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Deficit metacognitivi e di regolazione affettiva post-traumatica

Nel documento UNIVERSITÀ PONTIFICIA SALESIANA (pagine 60-63)

CAPITOLO 2. L’EYE MOVEMENT DESENSITIZATION AND REPROCESSING

2.2. La Bulimia Nervosa nell’ottica dell’EMDR

2.2.1. Deficit metacognitivi e di regolazione affettiva post-traumatica

Il termine mentalizzazione è stato introdotto nel lessico anglosassone da Fonagy (cit. in Lingiardi & Gazzillo, 2014,131), che la definisce come una forma di attività mentale immaginativa, per lo più di tipo preconscio, che interpreta il comportamento umano in termini di stati mentali intenzionali (per es., bisogni, desideri, sentimenti, credenze, obiettivi, propositi e motivazioni). Russo e colleghi (2009) la definiscono come un set eterogeneo di sottofunzioni, relativamente indipendenti l’una dall’altra, denominate: monitoraggio, differenziazione, integrazione e mastery.

Il monitoraggio si riferisce alla capacità di distinguere, riconoscere e definire i propri stati interni, ovvero cognizioni, emozioni e intenzioni e alla capacità di stabilire relazioni tra variabili mentali, descrivendo cause e motivazioni del proprio comportamento; la differenziazione si riferisce alla capacità di distinguere tra diversi tipi di rappresentazione, ovvero sogni, fantasie, ipotesi, credenze e tra rappresentazioni e realtà e di descrivere gli stati mentali e le azioni altrui a prescindere dal proprio punto di vita, senza ricorrere a stereotipi o luoghi comuni; l’integrazione è la capacità di costruire rappresentazioni di sé e dell’altro coerenti, mantenendo un senso di continuità al variare di contesti interpersonali; infine, la mastery si riferisce alla capacità di operare sui propri stati mentali per attuare strategie d’intervento volte alla regolazione e risoluzione di stati di sofferenza psicologica, nonché di problemi interpersonali (ivi).

Studi condotti con tecniche di brain imaging hanno messo in evidenza un interessante legame tra attaccamento e sviluppo della mentalizzazione: tale sviluppo avviene, infatti, nelle prime relazioni oggettuali primarie e sembra coinvolgere diverse aree cerebrali, tra cui l’area pre-frontale orbitale e mediale, i neuroni specchio a partenza dalla corteccia premotoria, le strutture del lobo temporale (tra cui l’amigdala) e le regioni temporo-parietali (Lingiardi & Gazzillo, 2014).

Quando, nel corso dell’infanzia, si verificano traumi psicologici, il normale sviluppo della capacità di mentalizzazione può risultare compromesso. Tale compromissione comporta una mancanza di autoriflessione, ovvero una difficoltà di considerare, riflettere e comprendere gli stati mentali propri e altrui, che può degenerare in un deficit nella possibilità di regolare e organizzare le emozioni, di comprenderne la natura contestuale e transitoria e di capire i legami tra eventi e affetti (Attili, 2007; Ammaniti, 2010).

Negli ultimi anni, alcuni studi si sono occupati di approfondire le difficoltà di mentalizzazione e di regolazione delle emozioni in soggetti affetti da DCA. Ciò che è emerso da questi studi è stato che i soggetti che riportavano esperienze di abuso nell’infanzia, in particolare abuso emotivo, mostravano una più alta correlazione con le difficoltà di mentalizzazione e di regolazione delle emozioni (Brewerton, 2007; Briere & Scott, 2007; Messman-Moore & Garrigus, 2007; Racine & Wildes, 2014).

Relativamente a questi ultimi aspetti, le ricerche empiriche nell’ambito dei DCA risultano numerose; la maggior parte di queste si è focalizzata sul costrutto teorico dell’alessitimia, il quale risulta affine con la funzione metacognitiva del monitoraggio e viene inteso come l’incapacità di identificare, comprendere ed esprimere le proprie emozioni e quelle altrui (Russo et al., 2009). Gli studi che hanno analizzato la presenza di alessitimia in pazienti con DCA, pur utilizzando metodologie diverse e/o valutando aspetti emotivi diversi, hanno confermato la presenza di tale disfunzione, mostrando tassi di comorbilità compresi tra il 40 e il 63% (Pinna, Sanna & Carpiniello, 2014; Barth, 2015). Tali studi sembrano dimostrare come, nelle pazienti con BN, l’alessitimia possa costituire un tratto stabile della personalità e sia legata al senso di inadeguatezza e di insicurezza sociale, il quale può comportare una serie di conseguenze sul piano della regolazione emotiva: la riluttanza a formare relazioni intime ed a comunicare i propri sentimenti agli altri, e la difficoltà nel rispondere adeguatamente alle proprie sensazioni emotive e ad altri aspetti dell’esperienza di sé. Inoltre, secondo alcuni studi più inerenti al trauma, l’alessitimia, oltre ad essere una delle più evidenti forme di deficit metacognitivo, può anche essere considerata una delle manifestazioni dei processi dissociativi che seguono ai traumi (Liotti & Farina, 2011). Uno studio empirico controllato ha, infatti, dimostrato una

correlazione tra alessitimia e dissociazione, disregolazione emotiva e somatizzazione (McLean, Toner, Jackson et al., 2006).

Anche il disturbo dell’immagine corporea presente in pazienti con DCA può essere letto come una difficoltà nel comprendere in modo adeguato gli stati mentali: diversi studi hanno mostrato, da una parte, come questi pazienti attribuiscano agli altri l’idea che il loro corpo sia sgradevole, in assenza di segnali sufficienti ad indicare che gli altri abbiano tale percezione, dimostrando così una difficoltà di decentramento dal proprio pensiero; dall’altra, come questi pazienti abbiano difficoltà a differenziare tra le proprie rappresentazioni interne soggettive (ad esempio, sensazione di gonfiore) e la realtà esterna, interpretando così tutto ciò che è meramente soggettivo come un dato oggettivo. Rispetto a quest’ultimo aspetto, ad esempio, molte pazienti sono convinte di essere grasse (fantasia) in presenza di un riscontro oggettivo (peso effettivo) che contrasta con la loro credenza (Russo et al., 2009).

Infine, studi condotti sulla regolazione emotiva hanno mostrato che i DCA siano caratterizzati da problemi nella regolazione degli affetti, ovvero dall’incapacità di usare il ragionamento in termini mentalistici al fine di regolare scelte, modulare emozioni negative o pervenire alla soluzione di problemi per fronteggiare la sofferenza psicologica che ne deriva (Mastery). Ciò che emerge immediatamente dall’osservazione clinica è, infatti, che nelle pazienti con DCA vi sia una bassa stima di sé e una tendenza a valutare negativamente le proprie capacità ed i propri comportamenti, che portano al timore di non poter far fronte materialmente e/o emozionalmente alle situazioni temute. Tale incapacità di effettuare ragionamenti metacognitivi relativi al senso di autoefficacia renderebbe la mente di questi pazienti impotente e/o disregolata, comportando conseguenze sul piano della regolazione emotiva e comportamentale (ivi). Un indice di ciò potrebbe essere l’abbuffata, la quale è spesso preceduta da forti affetti negativi, in cui predominano un senso pervasivo di impotenza e perdita di controllo; essa potrebbe essere interpretata come la strategia comportamentale utilizzata per alleviare la tensione emotiva, data la sua azione diretta sulla modificazione dello stato somatico (ivi; Lavender, Wonderlich, Peterson et al., 2014; Racine & Wildes, 2014; Lavender, Wonderlich, Engel et al., 2015; Michopoulos, Powers, Moore et al., 2015).

Nel documento UNIVERSITÀ PONTIFICIA SALESIANA (pagine 60-63)