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1. INTRODUZIONE

1.2. Definizione e natura delle reazioni tissutali alle radiazioni ionizzanti

(8) A seguito di elevate dosi di radiazioni, ci può essere un effetto letale sulle cellule tale da provocare reazioni tissutali rilevabili. Queste reazioni, rispetto al tempo di irradiazione, possono manifestarsi radidamente (giorni) o in un secondo tempo (mesi o anni), a seconda del tessuto in questione. Il depauperamento della popolazione cellulare parenchimale in fase di rinnovamento, modificato

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dall’influenza dello stato dello stroma, gioca un ruolo cruciale nella patogenesi delle reazioni precoci del tessuto. La dose al di sopra della quale viene rilevato il danno dipende dallo specifico livello di lesione e dalla sensibilità del metodo adottato per misurarlo.

(9) Quando il termine “stocastico” fu introdotto per descrivere gli effetti sulle singole cellule, come la mutagenesi, gli effetti causati dai danni alle popolazioni cellulari erano chiamati “non-stocastici” (Pubblicazione 41, ICRP, 1984). Quest’ultimo fu in seguito considerato un termine inadatto e fu sostituito con il termine “deterministico”, che significa “determinato causalmente da eventi precedenti” (Pubblicazione 60, ICRP, 1991). Adesso è noto che sia le reazioni tissutali precoci che quelle tardive non sono necessariamente predeterminate e possono essere condizionate, dopo l’irradiazione, da diversi modificatori della risposta biologica. Quindi è stato considerato preferibile riferirsi a questi effetti come reazioni precoci o tardive dei tessuti o degli organi. Nella Pubblicazione 60 (ICRP, 1991), l’analisi era incentrata sulla morte cellulare indotta da radiazioni in relazione al danno sui tessuti. Da allora è apparso chiaro che gli effetti citotossici delle radiazioni non possono spiegare tutte le reazioni dei tessuti e che gli effetti non letali delle radiazioni su cellule e tessuti, con i conseguenti disturbi nei segnali molecolari cellulari, giocano anch’essi un ruolo cruciale nel determinare la risposta del tessuto alla irradiazione. Questo aspetto verrà ulteriormente chiarito nel paragrafo 1.3.7.

(10) Le manifestazioni del danno tissutale variano tra un tessuto e l’altro in funzione della composizione cellulare, del tasso di rigenerazione e del meccanismo di risposta alle radiazioni, che può essere fortemente specifico per ciascun tessuto. Esempi, che saranno discussi dettagliatamente nel Capitolo 2, includono la cataratta, le lesioni non maligne della pelle, la deplezione cellulare del midollo osseo con conseguente deficit ematologico e le alterazioni cellulari alle gonadi che determinano una compromissione della fertilità. Le reazioni tissutali, specialmente quelle tardive, dipendono anche dalla compromissione dei vasi sanguigni o degli elementi delle matrici extracellulari, che sono presenti nella maggior parte degli organi del corpo umano.

(11) Le reazioni tissutali precoci (da alcune ore a poche settimane dopo l’irradiazione) possono essere di natura infiammatoria, come risultato di un cambiamento della permeabilità cellulare e del rilascio di mediatori dell’infiammazione. Le reazioni successive sono spesso conseguenza della perdita di cellule (ad esempio mucosite e desquamazione del tessuto epiteliale), sebbene anche gli effetti non citotossici sui tessuti contribuiscano a tali reazioni precoci. Le reazioni tissutali tardive (da alcuni mesi ad anni dopo l’irradiazione) sono chiamate “generiche”, se avvengono come risultato di un danno diretto sul tessuto bersaglio (ad esempio occlusioni vascolari che portano a necrosi del tessuto dopo irradiazioni protratte), o “consequenziali” se si manifestano come esito di reazioni precoci gravi (ad esempio necrosi del derma come risultato del denudamento dell’epidermide o per infezione cronica, stenosi intestinale causata da gravi ulcerazioni) (Dorr and Hendry, 2001). Tuttavia è importante sottolineare che queste due condizioni non si escludono a vicenda ma spesso coesistono. (12) E’ sempre più noto che la struttura dei tessuti e degli organi ricopre un ruolo importante nella risposta all’irradiazione. Organi appaiati (ad esempio reni e polmoni) o organi dove le subunità funzionali (FSU) sono disposte in parallelo (per esempio il fegato) possono tollerare l’inattivazione di molte FSU senza segni clinici di danno, per la notevole capacità di riserva e di compensazione delle rimanenti FSU. Questa è una delle principali ragioni della presenza di una dose soglia per il danno funzionale, soprattutto per la maggiore tolleranza in caso di irradiazione parziale dell’organo

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laddove una parte critica dell’organo viene ad essere risparmiata. Al di sopra di questa dose soglia, ad un incremento di dose corrisponde una gravità crescente del danno funzionale. Al contrario, organi strutturati in serie (ad esempio il midollo spinale) hanno una riserva funzionale piccola o nulla e la dose tollerata è molto meno dipendente dal volume colpito. In questi organi, al di sopra della dose soglia, il danno funzionale che si riscontra tende ad essere di natura binaria piuttosto che aggravarsi all’aumentare della dose (vedi paragrafo 1.3.6).

(13) Per un determinato effetto, la dose soglia può essere definita come la dose al di sotto della quale l’effetto non avviene. Questa dose è spesso difficile da determinare. Un modo per valutare l’evidenza epidemiologica di una soglia deriva dall’esame della dose più bassa alla quale può essere individuata una significativa relazione tra dose ed effetto. Ciò è subordinato a vincoli sulla dimensione del campione ed al particolare modello utilizzato per l’interpolazione dei dati. Nel presente documento la “dose soglia” è definita come ED1 (dose stimata per l’1% di incidenza), che sta ad indicare la quantità di radiazione necessaria a causare uno specifico effetto osservabile soltanto nell’1% degli individui esposti alla radiazione (ICRP, 2007: Allegato A, Fig.1.1). Sebbene l’ED1 non sia una “vera” dose soglia, nel senso che l’effetto non avviene su tutti gli individui esposti, essa è qui utilizzata per gli scopi pratici di radioprotezione. L’utilizzo di un livello più basso dell’ED1 comporterebbe una maggiore estrapolazione delle frequenze di risposta a dosi ancora più basse, con relative maggiori incertezze associate al valore. L’utilizzo di un livello più alto porterebbe ad incertezze più basse sul valore e ciò potrebbe essere accettabile in situazioni pratiche per alcuni scopi, ma non per altri. Tuttavia sarebbe ancora più lontano dal “reale” valore soglia. Nel caso dell’eritema della pelle, ad esempio, l’ED1 è approssimativamente pari a 5-6 Gy ricevuti in una singola esposizione, ed è più alto dell’ED1 per la epilazione temporanea (4 Gy) ma più basso dell’ED1 per la desquamazione e la necrosi (6-10 Gy), come discusso nel paragrafo 2.4. La valutazione dell’ED1 può essere difficoltosa nei casi di elevati livelli di base degli effetti specifici sul tessuto o in presenza di malattie che si sviluppano con l’invecchiamento, in assenza di esposizione alle radiazioni (ad esempio cataratte o malattie circolatorie). In tutti questi casi, l’ED1 si riferisce a effetti che iniziano ad aumentare sopra i livelli di base negli individui non irradiati, di pari età e, nel caso di malattie circolatorie, ad una dose che farebbe aumentare la già elevata incidenza naturale o la mortalità in soltanto l’1%. L’ED1 non implica che non ci siano effetti biologici a dosi più basse, ma si limita a definire la dose al di sopra della quale un effetto specifico diventa clinicamente visibile in una piccola percentuale di individui.

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Fig. 1.1. Relazioni tra la dose e la frequenza o la gravità delle reazioni tissutali. Pannello superiore: l'incidenza (frequenza) di morbilità come funzione della dose in una popolazione di individui di sensibilità diversa. Pannello inferiore: la dose in rapporto alla gravità della reazione per quattro sottopopolazioni con differenti radiosensibilità ('a' il più radiosensibile, 'd' il meno radiosensibile) che compongono la popolazione totale. Adattato da Pubblicazione 60 (ICRP, 1991; Hendry et al., 2006.).

(14) Al contrario dell’ED1, il termine “dose di tolleranza” è utilizzato per indicare la massima quantità di radiazione che un tessuto può sopportare senza che si riscontri alcun segnale clinico di danno nella maggior parte di individui. Il termine “clinicamente significativo” sta ad indicare un livello di gravità che, oltre ad essere rilevabile, è anche associato a sintomi o segnali evidenti di compromissione di funzionalità. Le conoscenze disponibili sulla relazione dose-effetto per le reazioni dei tessuti o degli organi umani deriva in gran parte dall’esperienza radioterapeutica, che ha permesso di stabilire le dosi e le condizioni di irradiazione in grado di provocare, o meno, effetti collaterali dannosi in una piccola percentuale di pazienti. La percentuale è spesso fissata nell’ordine dell’1-2%, ma varia a seconda della gravità della lesione. Sarà <1% nel caso di paralisi indotta, mentre può arrivare ad alcune unità percentuali nel caso di altre lesioni meno gravi e curabili. Tuttavia, il risultato di tali effetti è rilevato con metodologie relativamente grezze (cioè casi clinici lordi). Pertanto con il termine “tolleranza”, così come utilizzato in questo rapporto, si indica la capacità di un tessuto di resistere ad irradiazione senza evidenza di effetti negativi. Ciò non sta a significare che gli effetti meno gravi (cioè subclinici) siano assenti. Inoltre, dovrebbe essere evidente che la maggior parte degli effetti tardivi delle radiazioni progrediscono con il tempo. Le dosi di tolleranza, per un livello specifico di danno, non sono quindi assolute ma diminuiscono all’aumentare del tempo di “follow-up”, e dovrebbero essere riferite ad una tempo specifico dopo l’esposizione (ad es. 5 anni). Un’analisi di diversi gruppi di dati clinici ha dimostrato che la progressione dell’incidenza delle lesioni tardive su tessuti normali si verifica con una cinetica approssimativamente esponenziale, e può essere quantificabile come la percentuale di pazienti a rischio di sviluppare un effetto specifico per anno

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(Jung et al., 2001) . Questo rischio percentuale è rimasto relativamente costante nel tempo per un specifico effetto tardivo, ma è variato tra i tessuti (ad esempio, 5 % all’anno per derma e 12-14 % all’anno per vescica e ileo) dopo la radioterapia pre-operatoria per cancro al retto (Jung et al., 2001). La maggior parte dei dati disponibili si riferiscono a controlli annuali ripetuti fino a 10 anni, ma diversi studi hanno dimostrato in alcuni tessuti l’insorgenza di lesioni fino a 20, 25, e 30 anni dopo l’irradiazione. Ciò indica che, ai fini della protezione dei lavoratori e della popolazione, sono necessari tempi di follow-up molto lunghi per valutare le complessive manifestazioni di insorgenza delle lesioni nel corso della vita.

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