§1 Genesi, USA; §2 Network Neutrality, Broadband Discrimination v. Lemley and Lessig; §3 Madison River; §4 FCC, Internet Policy Statement; §5 Hush-A-Phone e Carterfone; §5.1 Hush-A- Phone; §5.2 Carterfone; §5.3 Prima di attraversare l’oceano: osservazioni sui due casi; §6 Europa; §7 Un principio che non trova una definizione comune; §8 Le tesi nel dibattito; §8.1 Argomenti dei sostenitori; §8.2 Argomenti degli oppositori; §9 ‘Altre Neutralità’.
§1 La genesi negli USA
Il dibattito relativo alla neutralità della rete è sorto negli Stati Uniti, intorno ai primi anni 2000. La paternità del termine ‘net neutrality’ viene attribuita a Tim Wu, il quale scrisse l’ormai celeberrima opera “Network Neutrality, Broadband Discrimination”. Tim Wu partorì il concetto di net neutrality all’interno della politica delle telecomunicazioni statunitense, raffrontandolo alle teorie economiche relative all’innovazione, e all’impatto delle discriminazioni di banda praticate dagli operatori di rete. Nello stesso periodo, anche Lessig e Lemley diedero il loro contributo dottrinale all’argomento (in “The End of the End-to-
End”). In tale contributo, essi non parlarono di network neutrality, ma comunque parlarono di
una ‘neutral net’. Quest’ultima veniva concepita come diretta conseguenza del principio end-
to-end. Essa veniva inoltre dipinta come la culla di una concorrenza votata all’innovazione,
un luogo da preservare avverso i comportamenti anticoncorrenziali degli operatori di rete. Sebbene gli Autori proponessero definizioni e soluzioni diverse con riguardo alla neutralità della rete, essi incentrarono il problema sul fragile equilibrio tra concorrenza e innovazione. Un equilibrio affatto nuovo, che ha riguardato anche gli altri sistemi di comunicazioni (come la rete telefonica e la rete telegrafica, se pure con le debite differenze). In questa prima parte del Capitolo, si vuole sottolineare come il rapporto concorrenza-innovazione nella prospettiva della net neutrality abbia una storia lunga quanto la storia delle comunicazioni.
§2 Network Neutrality, Broadband Discrimination v. Lemley and
Lessig
“Network Neutrality, Broadband Discrimination” è la prima opera che parla esplicitamente della
in quel periodo si opponevano alla fusione AT&T e MediaOne72. Questi ultimi, assieme a
Saltzer73 (Cap. I, §4 Una rete stupida, delle applicazioni intelligenti) promuovevano il
modello regolatorio cd. di open access (o multiple access) e difendevano strenuamente il principio end-to-end (fu in quella stessa temperie che Lessig indirizzò a William Kennard, allora Chairman della FCC, la famosa lettera intitolata “It’s the Architecture, Mr. Chairman”74).
Per Lemley e Lessig l’open access era la soluzione per il mantenimento della neutralità della rete. Wu, sostenitore anch’egli del principio end-to-end, riteneva tuttavia che tale modello avesse i suoi limiti:
«Alcuni sostenitori, come Jerome Salzer, Larry Lessig e Mark Lemley, fanno il nesso logico tra regolazione open-access e la preservazione di una rete neutrale. Essi sostengono che se gli operatori cavo hanno il permesso di legare [“bundle”] i servizi ISP con i servizi cavo, gli operatori cavo sarebbero nella posizione di distruggere la neutralità della rete precludendo [“foreclosing”] la concorrenza tra le applicazioni di Internet. (…) Ma voglio sollevare una questione lievemente differente. Se siamo d’accordo con l’obiettivo normativo della network neutrality, fino a che punto il rimedio strutturale dell’open access serve i suoi interessi? Dovremmo forse invece indirizzare alla neutralità della rete delle questioni di discriminazione di banda?»75
Wu metteva in discussione i rimedi strutturali dell’open access intesi come mezzi per promuovere l’innovazione della rete, in quanto «potenzialmente controproducenti». Il miglior modo per assicurare la net neutrality andava oltre tali rimedi, verso un diretto scrutinio della broadband discrimination. La net neutrality sarebbe il modello di riferimento per
72 v. M. A. LEMLEY, L. LESSIG, FCC CS Docket n. 99-251, AT&T/MediaOne: “We offer this written ex parte to address the question on ‘open access’ and its relationship to the architecture of the Internet. It is our view that the extraordinary growth and innovation of the Internet depends crucially upon this architecture. Changes in this architecture should be viewed with skepticism, as they may in return threaten innovation and growth”.
73 v. J. H. SALTZER, “Open Access” is Just the Tip of the Iceberg, [online], web.mit.edu, post del 22 Ottobre 1999,
http://web.mit.edu/Saltzer/www/publications/openaccess.html, (ultimo accesso: 19.06.15).
74Nella quale predicava le conseguenze negative della fusione: “This change will disrupt the environment for innovation. It will threaten innovation this newest market on the Internet: When the owners of the network, rather than the users, get to choose how the network will be used, innovations that threaten the owners of the network won’t be allowed”.
una politica volta all’innovazione, il fine a cui tendere, e la broadband discrimination il mezzo con cui raggiungerla. Tim Wu descriveva la net neutrality come principio per cui la rete non favorisce alcuna applicazione in luogo di altre, un trade-off tra la neutralità dell’upper layer (applicazioni) e lower layer (connessione). La questione del controllo degli utenti con i servizi di rete – sosteneva ‒ non è nuova nell’ambito delle telecomunicazioni (si vedano i casi
Hush-A-Phone, Carterfone76), e neppure la prevenzione della discriminazione (v. disciplina del
Common Carriage e le limitazioni della integrazione verticale). Egli indicò inoltre l’esigenza di
sviluppare un theorical framework per un broadband discrimination regime. Nella sezione 4.B di
Network Neutrality, Broadband Discrimination si può rinvenire la sua proposta di regime di net neutrality: un «tentativo di bilanciamento tra il divieto per gli operatori di banda di attuare
restrizioni a ciò che gli utenti fanno con le loro connessioni, dando all’operatore la libertà generale di gestire il consumo di banda e altre problematiche di rilevanza locale».
A seguito di tale opera si inaugurò il dibattito sulla neutralità della rete. Seguirono poi altri due momenti estremamente significativi per la storia del dibattito: il caso Madison River (§3 Madison River) e l’Open Internet Order della FCC (§4 FCC, Internet Policy Statement).
§3 Madison River
Con Madison River la Federal Communication Commission (FCC) si pronunciò per la prima volta sull’argomento della net neutrality. Fu un’occasione importante perché a seguito di questa, essa colse l’occasione per redigere l’“Internet Policy Statement” (infra, §4 FCC, Internet Policy Statement), contenente le linee guida anche note come “le quattro libertà di Internet”.
Sul caso Madison River si sa molto poco. Le informazioni furono scambiate confidenzialmente. Quello che è noto è che la FCC aprì una procedura di investigazione verso l’operatore Madison River perché sospettato di rallentare volontariamente un’applicazione VoIP (‘Vonage’) per indurre i propri utenti ad utilizzare i servizi telefonici forniti dall’operatore medesimo. L’autorità intervenne per porre fine a tale discriminazione, e la procedura terminò con un consent decree77: Madison River versò 15.000 dollari all’U.S.
Treasury e pattuì di non bloccare più i port usati per le applicazioni VoIP e di non far trovare
76 Infra, §5.1 Hush-A-Phone e §5.2 Carterfone; cfr. anche con §5.3 Prima di attraversare l’oceano: osservazioni sui due casi.
77 Federal Communications Commission, In the Matter of Madison River Communications, LLC and affiliated
ai suoi utenti blocchi all’uso delle applicazioni VoIP. Con tale atto si pose fine alla vicenda, e si pattuì che i fatti sviluppati in quel luogo non potessero dar corso a nuove procedure contro Madison River riguardanti lo stesso oggetto dell’investigazione.
§4 FCC, Internet Policy Statement
Il caso Madison River ebbe una tale risonanza sull’opinione pubblica da indurre la FCC a redigere nel 2005 delle linee guida sulla neutralità della rete: l’Internet Policy Statement78.
Esse contenevano quattro importanti principi a tutela dell’utente:
1. Diritto di accesso a tutti i contenuti leciti su Internet sulla base della propria scelta; 2. Diritto di utilizzare applicazioni e servizi di propria scelta, nel rispetto delle leggi; 3. Diritto di connettere i propri apparati purché non pericolosi per la sicurezza della
rete;
4. Diritto di beneficiare della concorrenza tra operatori di rete, applicazioni e fornitori di servizi e contenuti.
Sebbene non direttamente esecutivi79, tali principi segnarono una significativa presa di
posizione da parte della FCC in relazione alla net neutrality. Da segnalare che, all’interno dell’atto nella nota n. 15 venne specificato che detti principi avrebbero dovuto essere ricondotti alla gestione ragionevole del traffico («Accordingly, we are not adopting rules in this policy statement. The principles we adopt are subject to reasonable network management»80). Si iniziò così a delineare un primo approccio alla neutralità della rete che
sarà poi sviluppato negli anni successivi: la net neutrality come principio generale e gestione del traffico come eccezione al principio stesso.
La definizione di Tim Wu, il caso Madison River, e l’Internet Policy Statement funsero da apripista al dibattito mondiale relativo alla neutralità della rete. Negli Stati Uniti si susseguirono altre vicende non meno importanti (come ad esempio il caso Comcast o il caso Verizon), cui verrà dedicato debito spazio nel Capitolo V (Net Neutrality negli Stati
78 Federal Communication Commission, Internet Policy Statement, 2005 (la traduzione del testo è tratta da AGCOM, Allegato B alla delibera 39/11/CONS, op. cit. n. 27, p. 104).
79 Ibidem, p. 3: “To foster creation, adoption and use of Internet broadband content, applications, services and attachments, and to ensure consumers benefit from innovation that comes from competition, the Commission
will incorporate the above principles into its ongoing policymaking activities” (cors. mio).
Uniti). In questa sede importa rilevare l’impatto delle singole istanze nella storia del dibattito della neutralità della rete globalmente inteso. Per lo stesso motivo nei due successivi paragrafi saranno riportati due episodi sovente citati come antecedenti storici del principio di net neutrality: il caso Hush-A-Phone (§5.1 Hush-A-Phone ed il caso Carterfone (§5.2 Carterfone).
§5 Hush-A-Phone e Carterfone
Le vicende relative all’Hush-A-Phone e Carterfone lasciarono un segno profondo nella storia delle comunicazioni negli Stati Uniti. Essi riguardano le comunicazioni telefoniche, più dettagliatamente l’annessione alla rete di dispositivi esterni e il controllo della rete verso l’utente finale.
Questi casi vengono solitamente richiamati a sostegno dei principi della net neutrality per sottolineare come il nesso tra norme non discriminatorie e innovazione non sia soltanto prerogativa delle vicende legate all’ecosistema della rete, ma sarebbe invero elemento ricorrente dei sistemi di comunicazione generalmente intesi. Si vedrà in tal modo che i principi di entrambi i casi sono stati la guida per la formulazione dei principi stessi e delle norme riguardanti la net neutrality.
§5.1 Hush-A-Phone
Il dispositivo Hush-A-Phone venne inventato negli anni ’20 per migliorare la qualità delle conversazioni telefoniche. Si trattava di una coppetta di plastica da attaccare alla cornetta del telefono per ridurre i rumori di sottofondo, e impedire che altre persone potessero origliare la conversazione di chi telefonava nella stessa stanza.
La vicenda ebbe inizio quando AT&T fece in modo che non si potessero annettere dispositivi esterni alla sua rete, redigendo con la FCC delle cd. tariff. All’interno delle tariff, erano contenuti i prezzi e le regole relative ai servizi telefonici. Tra queste figurava il divieto di annettere apparecchi che non fossero forniti dalla compagnia telefonica. Se il divieto veniva violato, la compagnia aveva il diritto di sospendere o far venir meno il servizio dell’utente.
AT&T informò sia i venditori che gli utenti di Hush-A-Phone, e alcuni di loro smisero di venderli. Ciò spinse i rappresentanti di Hush-A-Phone a chiedere alla FCC la cessazione di
tali pratiche.81 In particolare, venne chiesto: (1) di porre fine alle interferenze alla
distribuzione e utilizzo degli Hush-A-Phone; e (2) di emendare le tariff riguardanti le annessioni degli apparecchi, in modo da permettere l’utilizzo degli Hush-A-Phone.
La FCC, dopo quattro anni, diede dapprima ragione a AT&T, sostenendo che l’apparecchio fosse un «foreign attachment», un «public detriment», «deleterious to the telephone system and injures the service rendered by it»82.
Hush-A-Phone si rivolse allora alla D.C. Circuit Court of Appeals che nel 1956 rovesciò la decisione della Commissione. La Corte ritenne che il divieto di AT&T non fosse ‘just, fair
and reasonable’ come richiesto dal Telecommunications Act (Sezioni 201(b), e 202(a)), e che
il dispositivo non danneggiasse fisicamente alcun servizio della compagnia telefonica, né alcuna conversazione al di fuori di quella dei due interlocutori interessati. Statuì inoltre che: «The intervenors’ tariffs (…) are in unwarranted interference with the telephone subscriber’s right reasonably to use his telephone in ways which are privately beneficial without
being publicly detrimental». (cors. mio)83
In sintesi, (1) il dispositivo non danneggiava i servizi della compagnia telefonica - (2) al massimo intaccava la conversazione dei due utenti ‒ (3) pertanto il divieto di commerciarlo non era giusto, equo né tantomeno ragionevole.
Tale asserzione, divenuta poi massima, rappresenta (ancora oggi) il confine di legittimità di un apparecchio esterno alla rete. Un apparecchio può essere utilizzato se non nuoce al bene pubblico; il consumatore ha il diritto di usare il suo telefono nella misura in cui non rechi detrimento alla rete telefonica.
81 Sulla base del §208 del Communications Act.
82 Riferimento tratto dalla decisione del D.C. Circuit Court of Appeals: v. Hush-A-Phone Corporation. v. United States, 238 F.2d 266 – Court of Appeals, Dist. of Columbia Circuit 1956, traducibile in “apparecchio
esterno”, “detrimento pubblico” e “deleterio per il sistema telefonico e danneggia al servizio reso da esso”.
83 Ossia: “le tariffe della parte (…) sono un’interferenza ingiustificata al diritto del consumatore di usare ragionevolmente il suo telefono nei modi che siano privatamente benéfici senza essere pubblicamente dannosi”. (trad. mia).
Si è detto che «Può sembrare ridicolo oggi che un pezzo di plastica senza alcuna interfaccia elettronica in una rete telefonica potesse porre una tale minaccia»84, ma l’oggetto della
questione non era poi così scontato. La libertà di usare i propri dispositivi, e i limiti a tale libertà possono essere facilmente trasposti nel dibattito relativo alla rete85. Come detto, le
conseguenze di questa vicenda sono vive ancora oggi, basti guardare alla terza regola del Policy Statement del 2005 (riguardante il diritto di poter connettere i propri apparati non pericolosi per la sicurezza della rete) o più diffusamente all’interno del nuovo regolamento relativo al Telecom Single Market (infra, Cap. VI).
§5.2 Carterfone
Il ‘Carterfone’ era uno sdoppiatore acustico che permetteva all’operatore radiofonico di conversare con un altro soggetto collegato alla line telefonica. Per esempio si usava per ricevere e trasmettere al pubblico una telefonata durante una trasmissione radiofonica. Questo veniva allacciato al telefono, ma non era invece connesso elettricamente alla rete telefonica. L’operatore poteva sia comporre un numero nel sistema di rete Bell Sytem, sia ricevere telefonate dagli ascoltatori. Uno speaker in separata sede poteva monitorare la conversazione, aggiustando i volumi e mettendo in atto gli altri accorgimenti necessari alla trasmissione in diretta radiofonica della conversazione.
AT&T, che vendeva già apparecchi con simili funzionalità, era contraria alla annessione di altri apparecchi alla propria rete. Avvisò dunque i suoi utenti che l’uso di Carterfone li rendeva passibili di alcune penali a norma delle tariff redatte con la FCC.
Carter si rivolse alla District Court, che rinviò il caso alla FCC.86 Nel 1966 la FCC diede
ragione a Carter. Decise che la tariffa di AT&T fosse «irragionevole e discriminatoria,
84 J. S. MARCUS, C. WENICK, K. R. CARTER, Network Neutrality: Implications for Europe, WIK Diskussionsbeitrag No. 314, 2008, reperibile in SSRN,
http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1522039, (ultimo accesso: 11.07.15), p. 21. 85 Cfr. con la nozione di device neutrality, ultimo paragrafo del presente Capitolo.
86 FCC, In the matter of Use of the Carterfone device in message toll telephone service; in the Matter of Thomas F. Carter and
Carter Electronics Corp., v. American Telephone and Telegraph Co., et. Al., Docket No. 16942; Docket No. 17073, 13
FCC2d 420 (1968); 13 Rad. Reg. 2d (P & F) 597; Release- Number: FCC 68-661; 26 Giugno 1968. Sul rinvio alla FCC si legge infatti: “A private antitrust action was brought by Carter against AT&T. The District court held that because of its “special competence and ‘expertise’” in the technical and complex matter of telephone communication, the FCC, under the doctrine of primary jurisdiction, is vested with the right to
perché richiedeva agli utenti finali di installare gli apparecchi di AT&T con le stesse funzionalità». «Carterfone non aveva alcun materiale effetto negativo avverso la rete telefonica»87 e ordinò di abolire le relative previsioni delle tariff. Pertanto, l’idea sottesa alla
decisione era che: (1) il dispositivo non danneggiava la rete; (2) e che sarebbe stato totalmente iniquo ammettere il commercio di un dispositivo concorrente con le stesse funzionalità, vietando il primo88. In questo modo, la FCC, forte anche del caso Hush-A-
Phone – citato nella decisione ‒ aprì il mercato della rete telefonica a tutti gli apparecchi ‘non-Bell System’.89
Più tardi negli anni ’70, la FCC stabilì un programma di certificazione per valutare la connessione di apparecchi esterni alla rete. Il controllo venne affidato alla National Academy of Sciences, attraverso degli standard per evitare il danneggiamento della rete. Il lavoro culminò nelle Part 68 Rules, regole governanti la diretta connessione tra dispositivi terminali e la rete telefonica pubblica.
§5.3 Prima di attraversare l’oceano: osservazioni sui due casi
Da questi due casi appena riportati si operare alcune osservazioni, riguardanti: (1) Il controllo degli operatori di rete, sulla rete e gli utenti finali; (2) il rapporto tra norme discriminatorie e innovazione all’interno della storia delle comunicazioni.
determine the “justness, reasonableness, validity, application, and the effect of the tariff and practices here involved” Carter v. AT&T, 250 F. Supp. 188, 192 (N.D. Texas, 1966)”.
87 “(…) the Carterfone had no material adverse effect upon use of the telephone system. (…) it would be unduly discriminatory under section 202(a) of the Act, since the telephone companies permit the use of their own interconnecting devices”.
88 Si può fare un parallelo con l’argomento di Hush-A-Phone, nota n.9: “A system whereby intervenors may market equipment until such time as the Commission orders a halt, while petitioners may not market competitive equipment until the Commission givers them an authorization, seems inherentily unfair. The unfairness is enhanced from time to time when the Commission’s adjudicatory process bogs down. In this case, for example, more than four years elapsed between the oral argument of the exceptions to the Commission’s initial decision and the final decision which left the initial decision essentially unchanged.” 89 Anche se la FCC ha dato ragione a Carter e si sono aperte nuove prospettive per l’apertura della rete, le cose non sono andate come si sarebbe auspicato. AT&T continuò a commerciare i suoi prodotti e a fare in modo che l’annessione dei dispositivi altrui fosse sostanzialmente più onerosa. (J. S. MARCUS, C. WENICK, K. R. CARTER, Network Neutrality: Implications for Europe, op. cit. n. 84, p. 22)
Il primo concetto si ritrova nella massima di Hush-A-Phone “privately beneficial without being
publicly detrimental”. La libertà dell’utente dell’apparecchio che preferisce risiede nel limite del
danno alla rete pubblica.
Il secondo concetto costituisce invece il Leitmotiv di entrambi i casi. L’innovazione è rappresentata dagli Hush-A-Phone e Carterfone, due ‘nuovi’ dispositivi che si sono scontrati con le norme discriminatorie imposte materialmente da AT&T (ossia i divieti di utilizzo dei dispositivi, e le eventuali penali per gli utenti finali). Da questo punto di vista partì anche Tim Wu, (in Network Neutrality, Broadband Discrimination, p. 142) quando per osservare la peculiarità del rapporto innovazione-discriminazione, scrisse: «Il nesso tra norme non discriminatorie e innovazione è vecchio come Carterfone e Hush-A-Phone». L’obiettivo di Wu era di sottolineare le dinamiche e le caratteristiche di detto rapporto per proporre la sua idea di regola antidiscriminatoria.
Si può descrivere questo rapporto con uno schema composto da tre soggetti: a) gli ‘innovatori’ (i content provider) da una parte; b) i consumatori (user) dall’altra; e c) gli operatori di rete, i ‘discriminatori’, nel mezzo90.
In questo modello gli innovatori dovrebbero essere liberi di ‘innovare’, cioè di produrre contenuti e di distribuirli indiscriminatamente agli utenti finali (ritorna qui il concetto di
innovation without permission, Cap.1 §1 I soggetti). Gli utenti finali dovrebbero esser liberi di
scegliere e utilizzare i contenuti loro proposti. Ma nella proposta dei contenuti interviene l’operatore di rete che può, appunto, ‘discriminare’, solitamente tramite limiti contrattuali o architettonici. È quello che fece AT&T all’epoca, ed è quello che ha fatto Madison River con Vonage, (oppure, come si vedrà) Vodafone con Viber, Comcast con BitTorrent, solo
90 Si veda anche similmente L. LESSIG, R. W. McCHESNEY, No tolls on The Internet, [online], washingtonpost.com, 08.06.06, http://www.washingtonpost.com/wp-