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Capitolo 1. Autocinesi negli esseri viventi: fraintendimenti e opportunità

1.1 Phys VIII: la genesi del problema dell'automovimento

1.1.3 Deflazionismi

segni inequivocabili di una sovrainterpretazione. Qui si vorrebbero citare due tentativi di soluzione che in un certo senso negano l'esistenza stessa del problema in Aristotele: la prima strada porta a rileggere il testo restituendone una lettura meno radicale; la seconda osserva come l'automovimento degli esseri viventi diventi problematico solo quando si ignori la natura quadripartita della dottrina aristotelica della causalità.

51 Un uomo, in completa buona fede, potrebbe voler salvare un assetato dandogli da

bere, ma non sapendo, ad esempio, che questo è idropisico, aggrava il suo male e lo uccide (EN III 1, 1111 a 13-14).

52 Ad esempio, un lottatore o chi vuole provocare il solletico può ferire in modo

preterintenzionale una persona che intendeva solo sfiorare (EN III 2, 1111 a 14-15; V 8, 1135 b 15-16).

33 La prima via, si è detto, reinterpreta il testo e pone l'enfasi sul fatto che da esso scaturisce comunque un'idea di essere vivente come automotore, solamente non

integrale.54 In altre parole, un animale si può muovere da sé, ma non è necessario che lo faccia in ogni circostanza: molti sono infatti i movimenti causati dagli oggetti esterni che lo muovono, l'importante è che almeno uno abbia la ragione del proprio essere all'interno del soggetto. Questa è l'interpretazione di David Charles, che accorda una grande importanza all'affermazione di Aristotele secondo cui gli agenti "non sempre si muovono con continuità da se stessi" (Phys. VIII 6, 259 b 14-15).55

Ci sono pertanto molti casi di movimenti causati dall'esterno, come nell'esempio dell'alimentazione, ma con ciò Aristotele non intende escludere la possibilità di un movimento autonomo in sé. In definitiva, il contrasto visto da Furley tra queste affermazioni e la trattazione che viene fatta nelle altre opere aristoteliche è figlio di una distorsione nella lettura, poiché anche nella Fisica è negato solo che l'essere vivente sia automotore in senso integrale, che cioè abbia in sé la causa di ogni movimento da esso compiuto.56

Anche Ben Morison nega che i due passi della Fisica mettano davvero in dubbio l'automovimento degli animali. A suo parere, quando Aristotele afferma che anche la locomozione non è automovimento, o almeno "non in senso proprio" (οὐ κυρίως: 259 b 7), intende semplicemente dire che un semovente è un essere composto, che consta di una parte immobile (l'anima) e di una parte mossa da questa (il corpo). Questa affermazione porta verso la soluzione, ma elude una parte del problema. Come si è detto all'apertura di questo paragrafo, Aristotele usa due argomenti per evitare di trattare l'automovimento degli esseri viventi alla stregua di quello del primo motore e Morison si sofferma solo sul primo, per cui l'anima che causa il movimento è mossa per accidente dallo stesso corpo che muove. D'altronde, non si può ignorare che il filosofo si occupi qui anche delle cause esterne che muovono l'animale e che, anzi, sembrano muoverlo in senso pieno. L'animale, infatti, è sempre mosso dall'esterno attraverso l'alimentazione, la respirazione e da altri

54 Morel (2007), p. 139.

55 Charles (1984), pp. 103-104. 56 Charles (1984), p. 104, n. 47.

34 fenomeni che producono la locomozione e di cui non possiamo dire che sono in nostro controllo. Aristotele afferma qualcosa in più, che avrebbe potuto tacere.

Wolfgang Wieland colloca in una prospettiva più ampia il discorso fatto da Morison ed è costretto a riconoscere che nemmeno a proposito degli esseri viventi si può parlare più di automovimento:

È chiaro, dunque, che nessuna di queste cose muove se stessa da sé. Tuttavia, esse possiedono un qualche principio di movimento, non del muovere né dell'agire, bensì del patire.57 (Phys. VIII 4, 255 b 29-31)

In questo modo Aristotele intenderebbe chiudere il cerchio con il concetto di natura di Phys. II 1-2. In questi capitoli il filosofo descrive la physis e la definisce come "l'avere in sé il principio del movimento e della quiete" (Phys. II 1, 192 b 13- 14). A differenza di Morison, Wieland riconosce che nell'essere vivente vi sono sempre delle cause esterne del movimento provenienti dall'ambiente e che non si può parlare di automovimento, ma di "muoversi mosso".58 C'è qualcosa che nel movente che fa in modo che il movimento prodotto sia peculiare pur dipendendo dall'azione esterna. Proseguendo la strada tracciata da Wieland, si può quindi dire che la natura agisce come una soglia di salience, si direbbe nella psicologia moderna, cioè un limite entro cui lo stimolo non dà adito a risposte e oltre il quale invece il soggetto reagisce. In altre parole, la stimolazione determina l'inizio del movimento, ma non lo necessita nella sua forma, che viene espressa dal soggetto posto in moto e dalla conformazione interna, materiale o psicologica. Così, pur essendo necessaria la stimolazione esterna, il principio del movimento dei viventi risiede pur sempre nel soggetto. Nonostante ciò, il principio così inteso consisterebbe nella physis dell'ente e sarebbe un principio passivo e non attivo, nel senso che risulterà capace non di generare il movimento da sé, ma di accogliere e trasmettere il principio attivo esterno e di muovere a sua volta il soggetto.

Questa conclusione sembra una rinuncia a giustificare in modo più audace l'autonomia del movimento degli esseri viventi, ma probabilmente si può considerare

57 ὅτι μὲν τοίνυν οὐδὲν τούτων αὐτὸ κινεῖ ἑαυτό, δῆλον· ἀλλὰ κινήσεως ἀρχὴν ἔχει, οὐ

τοῦ κινεῖν οὐδὲ τοῦ ποιεῖν, ἀλλὰ τοῦ πάσχειν.

35 tale solo sulla base di un confronto di Aristotele con una nozione di causa moderna, che può essere invece considerata più affine, per certi versi, alle intuizioni stoiche. Ciò che deve essere considerato causa secondo questi ultimi è in senso stretto solo il

poioun, ossia ciò che produce, in termini aristotelici la causa efficiente. È indubbio

che questa è, grosso modo, l'idea humiana e galileiana che si è imposta nel dibattito filosofico. Che Aristotele si conformi a tale idea è tutt'altro che chiaro ed è stato oggetto di acceso dibattito.59 Per alcuni autori, le quattro aitiai non sono sullo stesso piano per Aristotele, ma solo la causa efficiente è da considerarsi una relazione reale tra oggetti simile al concetto "humiano" di causa. Gli altri tipi di causa sono invece paragonabili a delle explanations, qualcosa che fa immediatamente pensare a un coinvolgimento gnoseologico più che a una relazione reale. Julia Annas vede Aristotele come colui che più di tutti si è avvicinato alla distinzione crisippea tra

aition e aitia, ossia tra ciò che è responsabile dell'effetto e la ragione di questo.60

Come si è già notato,61 Alessandro di Afrodisia riconosce acutamente come una dottrina delle cause simile a quella stoica possa comportare seri problemi. Il fatto che essi propongano uno "sciame di cause" nasconde in realtà la preminenza schiacciante della causa antecedente, elemento che è in un certo senso propedeutico al determinismo. Eliminare un senso forte di causalità per le altre cause porta in ultima istanza a ridiscutere l'autonomia del movimento del soggetto animale o umano, in quanto la ricerca della causa efficiente di un'azione può essere sempre riportata a una stimolazione ambientale.

Ben lungi dal voler dare in così breve spazio una risposta definitiva sulla questione, non si può fare a meno di notare che nel nostro caso un'interpretazione di questo genere finirebbe per schiacciare Aristotele a un rigido determinismo, se seguiamo i passi di Phys. VIII 2 e 6. In realtà l'anima è concepita da Aristotele come causa del corpo vivente in senso efficiente, finale e formale,62 quindi la sua capacità di produzione di un movimento è solo una parte della sua essenza; anzi, nemmeno la più importante, poiché alla causa formale viene accordata spesso una certa

59 Per una ricognizione del problema, si veda Natali (1997).

60 Annas (1982), p. 320, che riprende l'interpretazione di M. Frede (1980), pp. 222-223. 61 Cfr. infra, p. 24 e n. 35.

36 superiorità63 che con ogni probabilità le deriva dal realizzare questi tre tipi di causa tra loro strettamente connessi: a essa infatti è riportabile anche il fine, che è immanente alla natura stessa della cosa e non entità che guida dall'esterno, ad esempio, lo sviluppo e il decadimento di un essere vivente. Qualora si isoli la componente efficiente, si sarà portati inevitabilmente a individuare la causa del movimento degli animali come esterna, con una distorsione che non rispecchia il punto di vista aristotelico.

1.1.4 Le insidie del concetto di natura ‒ Per quanto si cerchi di risolvere la