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Senso proprio e senso metaforico

Capitolo 2. I molteplici significati di phantasia

2.1 Senso proprio e senso metaforico

La teoria della rappresentazione è esposta da Aristotele in DA III 3, ma in una forma così convoluta che è stato difficile riconoscere una teoria organica. Il testo sembra costellato di tentennamenti e ripensamenti al punto da sembrare in aperta

76 contraddizione in alcuni luoghi. È possibile però che in questo capitolo Aristotele proceda in modo dialettico e che si debbano quindi separare gli argomenti che dispiega per confutare alcune teorie dei predecessori, di cui non è detto che sia pronto ad accettare in toto la validità, dalla teoria positiva della facoltà rappresentativa. Certo, se una teoria positiva della phantasia esiste, questa è molto difficile da riconosce, anche perché le descrizioni aristoteliche mancano di perspicuità. Alle linee 428 a 1-5 troviamo un esempio eclatante di questa incertezza nel procedere:

Se allora la phantasia è ciò secondo cui diciamo che si produce in noi un

phantasma, e non se diciamo qualcosa secondo un uso metaforico, essa è una

delle facoltà o abiti con i quali giudichiamo e siamo nel vero e nel falso. Tali facoltà sono la sensazione, l'opinione, la scienza, l'intelletto.1

Da questa descrizione i problemi sono tutt'altro che dissipati. Accanto a una

phantasia stricto sensu, di cui si dà una definizione non troppo illuminante, si trova

anche un senso kata metaphoran, di cui allo stesso modo non si dà conto. Una testimonianza delle difficoltà degli interpreti è stata la tendenza, affermatasi con Trendelenburg,2 a leggere l'apodosi nella prima proposizione in senso interrogativo, al fine di negare che la phantasia rientri nelle facoltà capaci di essere nel vero o nel falso. La forza di questa lettura è data proprio dall'esclusione della phantasia dal novero delle facoltà kritika elencate nella successiva proposizione.

Vi siano almeno quattro argomenti che ci inducono a evitare questa costruzione. In primo luogo, poche linee prima, nel periodo che precede immediatamente il brano citato, Aristotele afferma che il pensiero, noein, sembra includere phantasia e

hypolepsis, e il nous rientra nel novero delle facoltà kritika. Nous è detto quindi in

un'accezione molto ampia, che ha molti riscontri, sia nei capitoli finali del terzo libro che nel De motu animalium, e questa non può essere quindi considerata un'ipotesi che Aristotele vaglia per poi rigettarla frettolosamente senza spiegazioni. In secondo

1 εἰ δή ἐστιν ἡ φαντασία καθ' ἣν λέγομεν φάντασμά τι ἡμῖν γίγνεσθαι καὶ μὴ εἴ τι κατὰ

μεταφορὰν λέγομεν, μία τις ἔστι τούτων δύναμις ἢ ἕξις καθ' ἃς κρίνομεν καὶ ἀληθεύομεν ἢ ψευδόμεθα. τοιαῦται δ' εἰσὶν αἴσθησις, δόξα, ἐπιστήμη, νοῦς.

77 luogo, l'argomento che segue immediatamente il nostro passo (428 a 5-428 b 9), ha una chiara impronta dialettica, perché dimostra che la phantasia non è sensazione, opinione (o una combinazione di queste due), ma neppure scienza e nous. Qui invece

nous va inteso in senso ristretto, come un abito conoscitivo che è sempre nel vero e

quindi non compatibile con la phantasia, che anzi è più spesso nel falso che nel vero. L'argomento dialettico, a mio parere, mostra come la rappresentazione abbia semplicemente un modo di essere nel vero e nel falso irriducibile rispetto alle modalità conosciute e che debba essere descritto a parte, come si fa nella sezione finale del capitolo; non ha quindi la finalità di escludere la rappresentazione dalle facoltà kritika. Inoltre, l'inizio del capitolo nono (432 a 15-19) apporta un altro argomento a supporto di questa tesi. Col capitolo ottavo si chiude, riassumendone i risultati, l'indagine sulle facoltà conoscitive e nel nono capitolo si esordisce dicendo che l'anima è definita in rapporto alla capacità locomotrice e a quella discriminatrice, appunto, "che è funzione dell'intelletto e della sensazione". Ma di questa, dice Aristotele, si è sufficientemente parlato. La riduzione a sensazione e intelletto mostra come queste due forme siano quelle più primitive, ma che non escludano le altre forme elencate. Da ultimo, in MA 6, 700 b 19-22 la rappresentazione è annoverata esplicitamente tra le facoltà kritika, a fianco della sensazione e del nous come elementi cognitivi necessari all'azione.3

In conclusione, anche se alcuni commentatori hanno voluto leggere la frase interrogativamente, sarebbe prudente affermare sin d'ora che per Aristotele la

phantasia è una capacità cognitiva discriminativa e come tale ricercarne la funzione

nel suo sistema psicologico.

La seconda, importante questione riguarda i due sensi in cui si può dire

phantasia. Questa facoltà "è ciò secondo cui diciamo che si produce in noi un phantasma" (ἐστιν ἡ φαντασία καθ' ἣν λέγομεν φάντασμά τι ἡμῖν γίγνεσθαι), ciò non

secondo un senso metaforico. La descrizione è estremamente poco informativa, anche perché a differenza della traduzione di Movia,4 che rende καθ' ἣν con "mediante cui", qui prevale l'idea della semplice conformità, mentre per avere

3 Labarrière (1984), pp. 29-30 rimarca giustamente l'importanza del passo del De motu animalium a proposito capacità motrice animale.

78 un'accezione strumentale ci aspetteremmo forse un διὰ. Questo implica che non si sta ancora parlando al livello di facoltà conoscitive (e per Wedin dovremmo farne del tutto a meno, ad esempio),5 ma di una semplice delimitazione del campo di applicazione, che ha il difetto di utilizzare lo stesso radicale dell'explicandum nell'explicans. Aristotele ha solo spostato il problema dalla facoltà al risultato del suo esercizio, ai phantasmata. Più interessante, invece, l'osservazione sul senso proprio e su quello metaforico di phantasia, di cui sono state date molteplici interpretazioni.6

Si cominci col valutare il senso proprio: phantasma significa grosso modo "apparenza", ma questo termine può essere interpretato con molte sfumature differenti, tante quante ne può assumere il vocabolo nelle sue accezioni ordinarie.7 Secondo una tradizione che parte con Beare e Hicks, passa per Hamlyn e Sorabji, e arriva fino al recente commentario di Polansky,8 la phantasia consiste nella contemplazione di un'immagine mentale che è in nostro potere suscitare. Questa capacità del soggetto lo pone a debita distanza dall'immagine e ne consegue che la si osserva come in un dipinto, cioè senza coinvolgimento emotivo, mentre ciò non capiterebbe con la doxa, a cui, invece, corrisponde immediatamente l'emozione appropriata. In altre parole, se crediamo di scorgere un oggetto temibile, proviamo paura, ma non è necessario che rappresentandoci mentalmente lo stesso oggetto, magari in sua assenza, si provi la stessa emozione. Questa interpretazione è basata su 427 b 17-24, ossia il passo che precede l'introduzione dei due tipi di phantasia:

Infatti quest'affezione [la phantasia] dipende da noi, allorché lo vogliamo (è possibile infatti raffigurarsi qualcosa davanti agli occhi, come coloro che dispongono [gli oggetti da ricordare] nei luoghi mnemonici e costruiscono immagini), ma avere opinione non dipende da noi: infatti [con l'opinione] è necessario essere nel falso o nel vero. Inoltre, qualora si abbia opinione che qualcosa è terribile o pauroso, subito sperimentiamo l'emozione corrispondente,

5 Wedin (1988), pp. 45-57.

6 Wedin (1988), pp. 64-71 e Astolfi (2011), pp. 17-20 mostrano questa varietà. 7 Si veda il curioso e programmaticamente incompleto catalogo fornito da Astolfi

(2011), pp. 139-140.

8 Beare (1906), pp. 290-291; Hicks (1907); Hamlyn (1968); Sorabji (2004), solo

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e allo stesso modo se è rassicurante; ma secondo la phantasia ci troviamo nella stessa condizione di chi contempla in un dipinto cose terribili o rassicuranti.9

Ebbene, in questo caso, se il senso proprio della phantasia consiste nella produzione/contemplazione dell'immagine mentale, il senso metaforico è un senso estensivo, che include tutte le capacità cognitive, le cui singole istanziazioni

phainontai, "appaiono", al soggetto conoscente. Ma questo non si può affermare con

tranquillità. Che la phantasia in senso proprio sia davvero una produzione autonoma di immagini sembra essere contraddetto da molti passi, a partire da quello di poco successivo, in cui si afferma che questa facoltà non può essere sensazione perché può capitare di avere phantasmata anche quando il senso non è in attività, come nel caso dei sogni: ma è evidente che i sogni, le allucinazioni e altri simili fenomeni non sono in nostro potere, anzi, prendono forma proprio quando l'azione del kurion viene meno.10

Queste difficoltà hanno portato Malcolm Schofield a ribaltare addirittura la prospettiva e a considerare il senso proprio della phantasia come quello decettivo.11 Allucinazioni, sogni, immagini della memoria, tutto ciò che "appare", nel senso più deteriore del termine, è phantasia e dà vita a quelle che egli chiama "esperienze sensoriali non standard". Queste occorrenze diventano quindi i casi esemplari di

phantasia che, d'altra parte, è riconosciuta come per lo più nell'errore proprio perché

opera quando i dati sensoriali non sono precisi. Il senso secondo cui la phantasia è ἐφ' ἡμῖν, dipende cioè da noi, scivolerebbe quindi in secondo piano.

Per quanto sostenuta da un lavoro notevole, questa interpretazione ha stentato ad affermarsi, perché tralascia un ambito molto importante della phantasia, cioè quello pratico. La facoltà rappresentativa, come si vedrà, nei capitoli finali del terzo libro del De anima assume un ruolo decisivo nell'elaborazione dell'azione e non si può dire che questo sia semplicemente un senso accessorio. Anzi, il privilegio di

9 τοῦτο μὲν γὰρ τὸ πάθος ἐφ' ἡμῖν ἐστιν, ὅταν βουλώμεθα (πρὸ ὀμμάτων γὰρ ἔστι τι ποιήσασθαι, ὥσπερ οἱ ἐν τοῖς μνημονικοῖς τιθέμενοι καὶ εἰδωλοποιοῦντες), δοξάζειν δ' οὐκ ἐφ' ἡμῖν· ἀνάγκη γὰρ ἢ ψεύδεσθαι ἢ ἀληθεύειν. ἔτι δὲ ὅταν μὲν δοξάσωμεν δεινόν τι ἢ φοβερόν, εὐθὺς συμπάσχομεν, ὁμοίως δὲ κἂν θαρραλέον· κατὰ δὲ τὴν φαντασίαν ὡσαύτως ἔχομεν ὥσπερ ἂν εἰ θεώμενοι ἐν γραφῇ τὰ δεινὰ ἢ θαρραλέα. 10 De insomniis 2, 460 b 16-18. 11 Schofield (1979).

80 questo aspetto è all'origine dell'interpretazione di Martha Nussbaum, che riconosce nella phantasia la capacità del "seeing as", del "veder-come".12 Da un punto di vista cognitivo, questa lettura è sicuramente la più impegnativa, perché attribuisce alla rappresentazione il compito di assumere il dato percettivo secondo una particolare luce. Se siamo assetati questo bicchier d'acqua ci "appare come" un mezzo per soddisfare la sete e grazie a questa informazione il desiderio è capace di mettere in movimento le parti strumentali. La phantasia permette quindi di interpretare i dati che ci si presentano in modo potenzialmente motivante. Il significato kata

metaphoran resterà invece semplicemente linguistico, cioè sarà nient'altro che il

significato di "ostentazione", "sfoggio" e quindi, come tale, riveste un ruolo poco importante nella riflessione di Aristotele sul concetto. Anche Chiara Astolfi concorda con Martha Nussbaum sul senso metaforico, ma intende riunire sotto il senso proprio l'azione critica di interpretazione del dato sensoriale con la teoria della produzione delle immagini mentali grazie alla polifunzionalità del termine phantasia.13

L'interpretazione di Nussbaum permette, più delle altre, di conciliare le occorrenze a cavallo tra la psicologia e l'etica, che riguardano cioè la teoria della motivazione. Essa ha poi il merito di mettere a fuoco l'insufficienza della rappresentazione come dipendente dal soggetto che se la raffigura: nella quasi totalità dei passi delle Etiche, la phantasia è connessa alla passività. Seguire le immagini, quando si dispone della ragione che può vagliare alternative e può porsi in contrasto ad essa in vista di un maggior bene, non è certo un pregio ed è prerogativa animale.

È bene chiarire sin d'ora che il modo in cui le cose ci appaiono è in gran parte dato e se da un lato siamo responsabili dei nostri abiti comportamentali nel loro formarsi, una volta fissati in un ethos è difficile modificare la modalità in cui ci appaiono gli oggetti, al punto tale che la responsabilità permane solo per quel momento iniziale in cui era in grado di resistere. Un esempio molto semplice: l'akrates non è in grado di controllare la sua phantasia – la sua rappresentazione a seguito di un dato percettivo – di una fetta di torta, ad esempio, nonostante il ragionamento gli imponga di astenersi dal mangiarla; in breve, il piacere che si attribuisce all'oggetto da perseguire diventa pressoché necessario, anche se con una

12 Nussbaum (1978), pp. 221-269, in particolare pp. 244-249 e 255-261. 13 Astolfi (2011), pp. 133-142.

81 precedente disciplina l'uomo poteva scongiurare quest'evenzienza, cioè il mangiare questa particolare fetta di torta. Pertanto, la rappresentazione in questo frangente non dipende da noi, o, quantomeno, non certo nel senso di qualcosa che autonomamente e volontariamente sia prodotto dal soggetto, come è invece il ragionamento, che pure nell'akrates rimane inefficace dal punto di vista pratico. Coloro che enfatizzano l'autonomia dell'evocazione dei phantasmata dovrebbero dare conto di questi passi e sembra allo stesso tempo difficile che Aristotele intenda questo senso, così diffuso nel suo corpus, come meramente kata metaphoran.

Non tutto però è così semplice. Questa interpretazione parte non a caso dal De

motu animalium e si aggancia brillantemente alla parte conclusiva del terzo libro del De anima, ma lascia in gran parte inspiegata la trattazione più strettamente

psicologica che troviamo nel terzo capitolo, di cui ci si occupa ora. Inoltre, che Aristotele abbia in mente un senso così vago e semplicemente linguistico dell'accezione metaforica sembra dubbio, e forse è meglio non accontentarsi di questa soluzione.