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Il Delirio amoroso

Nel documento La poesia di Alda Merini (pagine 77-80)

Ho scritto il mio primo diario volontariamente. Questo, il secondo, l’ho scritto perché non potevo parlare con nessuno (so che non ho più amici). Così il foglio bianco è diventato il mio analista. L’uomo, per denaro, ucciderebbe il proprio simile. Caino non è morto, e Abele continua a soffrire. Se non mi aiutano impazzirò di certo. Anzi, sono già folle.105

In chiusura di questo secondo diario rappresentato dall’opera in prosa Delirio amoroso, troviamo la spiegazione del significato che esso racchiude. Tornata a Milano, Alda Merini inizialmente è sola. Disperata per la morte del secondo marito, dopo aver subito un secondo e traumatico internamento al Vergani di Taranto106, torna a Milano, nella sua vecchia casa che

guarda il Naviglio. Milano per la Merini vuol dire moltissimo, ha mille significati, che vanno ben oltre al sentimento che si può provare per la propria città natia, come riassume bene Roberta Alunni nel suo saggio:

Dopo la pausa tarantina, tornare a Milano è come rientrare nel guscio amato-odiato di una vita che stenta a rassomigliarci, ma è l’unica cosa che si possiede. Milano per la Merini è il luogo dell’anima e delle passeggiate sulla Ripa, il luogo dei fantasmi e delle ossessioni.

104 Ivi, pp. 814-815. 105 Ivi, p. 849.

106 Scene di vita in tale struttura manicomiale nel Meridione ci sono date dalla Merini anche in La pazza della

porta accanto, cit., posizione 603: «Il ricovero al Vergani aveva un senso: quello della demenza. Non si trattava

di fare impazzire, ma di demolire. […] L’infermiera che mi aveva lavata al Vergani era bionda e dispotica. Aveva cominciato col buttare in un angolo i miei stivali, peraltro regalato, che portavo ai piedi da più di sei mesi. Poi mi mandò a lavare una sottogonna ormai sdrucita, che non mi restituì più.»

Qui, per la prima volta, ha conosciuto l’internamento. È stata testimone di una cattività della mente che ha coinvolto molte persone, delle quali nessuna sarà mai ricordata.107

Milano è il ventre di tutta la vita di Alda Merini. La città inghiotte i sogni e diventa oggetto di un sentimento amoroso:

Non è che dalle cuspidi amorose crescano i mutamenti della carne, Milano benedetta

Donna altera e sanguigna con due mammelle amorose pronte a sfamare i popoli del mondo, Milano dagli irti colli

che ha veduto qui crescere il mio amore che ora è defunto.

Milano dai vorticosi pensieri dove le mille allegrie

muoiono piangenti sul Naviglio Milano ostrica pura

io sono la tua perla, amore.108

Al ritorno nella sua città, prostrata dalla debolezza, dalla malattia, ancora una volta, la poetessa ricomincia il doloroso percorso della cura psichiatrica, affidandosi questa volta alla dottoressa Marcella Rizzo, a cui dedica anche alcune delle sue liriche. Ricominciare, nuovamente, a cercare le fila di sé stessa, si rivela ogni volta straziante per la Merini, che ormai è una donna stanca e senza alcun elemento, umano né territoriale, a cui appigliarsi, in cui poter trovare sicurezza e serenità; descrive ancora così nel diario:

107 ROBERTA ALUNNI, Alda Merini: l’«Io» in scena, Società Editrice Fiorentina, Firenze, 2008, p. 99. 108 A. MERINI, Per Milano, in Poesie per Marina, in Vuoto d’amore, in Alda Merini, cit., p. 405.

Tornare sul Naviglio dopo quattro anni d’assenza mi è stato più che doloroso: disumano. Essere sradicata dal proprio ambiente, non trovare più radici, né patria, né letto d’amore. Quel letto di tacito desiderio, il letto delle nascite, a Taranto, è stato buttato (per eufemismo) e sono tornata al mio, diventato letto psichiatrico.109

Sono proprio il ritorno a Milano e la perdita del marito Michele Pierri che creano il fulcro di quest’opera; sono questi due eventi traumatici, ognuno in modo diverso, a farsi spinta, oltre che temi, del secondo diario. Il libello non supera il centinaio di pagine e non ha nessun tipo di ordine logico al suo interno, le riflessioni e i pensieri si accavallano in un continuum disomogeneo, e spesso è difficoltoso trovare un’adiacenza di pensiero. La poetessa riversa nelle pagine il suo spirito, le sue emozioni, tutta sé stessa in modo quasi delirante. Siamo di fronte ad un’artista che ripensa alla sua vita, ripensa anche la sua opera, e ad una persona che conduce sulla carta l’ennesima e inesausta analisi di sé stessa. Questa ricerca di chiarezza però non sembra dare alcun frutto ragionevole:

Ogni giorno cerco il filo della ragione, ma il filo non esiste, o mi ci sono aggrovigliata dentro. Poco tempo fa, appena due anni fa, il filo esisteva, ed era bello dipanare e dipanare quel grande gomitolo. E dipanandolo cantavo, proprio come la Silvia leopardiana. Ma da un po’ di tempo quel gomitolo è diventato un orrore di filamenti strani di tanti e tanti colori. C’è persino un colore musicale. Ho provato a far ragionare il gomitolo. Ho provato ad amare e in due abbiamo guardato quella matassa, offesa e dura come un osso di seppia.110

Nel Delirio amoroso oltre al rapporto con Milano e al pianto per la perdita del secondo marito, compare anche il nome di Padre Richards, un giovane religioso adorato e amato dalla poetessa per la sua purezza, per la sua veste, ma anche desiderato come uomo. Da come essa

109 EAD., Delirio amoroso, in cit., p. 820. 110 Ivi, p. 833.

stessa lo descrive, Padre Richards sembra riassumere in sé stesso tutti gli amori passati della Merini:

Padre R. incarnava la sapienza di Manganelli, l’altezza di Michele, era bergamasco come il mio primo marito, insomma era il compendio di tutti i miei amori in uno. Ma era un frate, e per giunta molto giovane e convinto della sua scelta. L’amore non consumato tra me e Padre R. potrebbe essere visto nel Delirio amoroso come la Recherche di Proust.

La ricerca dell’amore, del sentimento vero, il desiderio bruciante del contatto umano e spirituale che l’artista vive per tutta la vita, nelle più sfaccettate declinazioni, è davvero riassumibile, in due parole, in delirio amoroso. Come ella afferma in molte opere, sia in prosa che in versi, è sempre stato il suo sentire “ipertrofico” a condizionare, a governare la sua vita. Questo delirio amoroso che esiste da sempre nell’anima della poetessa prende ora finalmente forma di volume, ed è forse la sua opera autobiografica più significativa e importante anche ai fini di una qualsiasi analisi nei confronti di Alda Merini. Essa stessa lo afferma con chiarezza:

Considero il Delirio il massimo libro autobiografico che abbia mai scritto finora. Misi mano all’opera sollecitata da Paolo Volponi che, vedendomi stremata per la perdita in vita di Michele, mi invitò a raccontare che cosa era veramente successo in Taranto e per quale ragione mi sentissi perseguitata dal Portinaio.111

Nel documento La poesia di Alda Merini (pagine 77-80)