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DELL'EUROPA

Nel documento L E STAGIONI autunno 1904 (pagine 23-50)

Sono evidenti agli occhi di tutti i cambiamenti a causa dei quali l'Europa della metà del xx secolo differisce, per la sua struttura politica interna, economica e sociale, e nei suoi rapporti col resto del mondo, dall'Europa del

XJX secolo. Questi cambiamenti nel contenuto e nel con-testo della civiltà europea sembrano aver avuto come cause tre grandi cataclisnù: due guerre ed una crisi econo-mica mondiali.

Certo, la parola « crisi» è la più usata in tutti gli studi su questo periodo, ed anzi si sarebbe tentati di presentare quest' èra della violenza come una concatenazione di crisi, ognuna delle quali è prodotta da una precedente situa-zione di instabilità e contiene in sè i germi della prossima.

Anche se vi è qualche cosa di vero in questa sequenza di crisi, è bene non dimenticare che il presente non è correlato soltanto con il passato più recente, e che esistono delle tendenze a più lungo termine la cui influenza non è' affatto trascurabile. CosÌ, molte idee maestre, movi-menti e « spinte» realizzatisi nel xx secolo nacquero già nel precedente, per esempio la generale propensione verso un maggiore benessere materiale e la serpeggiante atti-tudine verso la violenza e disumalùzzazione della società.

La vocazione alla violenza come mezzo solutorio di contrasti sociali e internazionali era abbondantemente chiara assai prima del 1914. Basti pensare al comune patrimonio spirituale dei profeti della nuova èra, ed alla loro molto simile origine politica. I paradossi dell'Soo divelmero evidenti nei vent'anni prima del 1914. Rapidi avanzamenti del suffragio universale, dell'istruzione

pri-maria obbligatoria, della legislazione e delle riforme sociali I7

18 diretta» in pieno sviluppo. Sul piano internazionale, mili-tarismo ed imperialismo furono le espressioni tipiche di questo momento. Tutte le grandi potenze, attraverso confronti indiretti, la corsa agli armamenti, le tensioni, gli incidenti, scontavano l'imminenza di un conB.itto generale, alimentato dalle passioni irredentistiche. La grande guerra, per vari suoi aspetti, può essere riguardata come una forma esasperata del trend nichilistico ed autodistrut-tivo inerente alla civiltà europea.

ti secondo cataclisma generale del periodo, la grande depressione, non fu soltanto il prodotto delle condizioni del dopo-guerra, ma sembra provenire dalle contraddi-zioni insite nei modi dello sviluppo economic;o europeo.

Gli inglesi sostengono che le recessioni « in democracy ~

precedono e seguono quelle economiche, ed effettivamente esaminando gli avvenimenti europei tra il 1923 ed il I930 è difficile negare l'esistenza di una certa relazione tra i due termini. Ma ciò non può originare, nè interamente spiegare, le involuzioni più evidenti. Certamente l'idea di una concatenazione di eventi, dalla guerra mondiale alla crisi economica alla dittatura, contiene qualche cosa di valido, ma fu un processo più vasto e complesso, non un semplice rapporto di causa ed effetto fra alcuni fatti.

Non è il caso di illustrare le connessioni tra la prima e la seconda guerra mondiale. Ambedue produssero tm progressivo deterioramento del ruolo dell'Europa nel mondo. Dal 1919 il suffragio universale ed il diritto delle naziOlù all'indipendenza ed all' autodeterminazione furono ritenuti le migliori basi di governo. Si sperava che la combinazione di ideali democratici e di stato nazionale, il tutto garantito dalla Lega delle Nazioni, rendesse pos-sibile 1'organizzazione della pace. Tutto ciò andò a ter-minare nella crisi economica più grave e nella guerra

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più distruttiva mai conosciute dall'Europa e dal mondo.

E questo fu il dramma del concetto liberale del progresso in armonia. Le cosiddette «rivoluzioni coloniali» inco-raggiate dalle nuove potenze mondiali extraeuropee, hanno fatto il resto. In conclusione, dopo il 1945, è iniziato un rapidissimo processo di contrazione di quell' espansione europea che durava da più di quattro secoli. causali, ma possono anche essere riguardate· in retrospettiva, come tre differenti espressioni di tendenze e forze perma-nenti della civiltà europea. Tuttavia, si è contemporanea-mente verificato un impetuoso progresso materiale (spesso accelerato dalle guerre): nonostante gli incalcolabili danni e le miserie provocate dai conflitti e dalla crisi, i popoli europei sono. generalmente più ricchi e più prosperi nel 1960 che nel 1900. Il tenore di vita è piLI alto, la vita media è più lunga, più vacanze e divertimenti.

Questa contrapposizione di opposti è soltanto un vivido esempio di un aspetto paradossale della nostra civiltà: la correlazione tra guerre e benessere. È proprio qui che l'interconnessione tra i grandi movimenti ottocenteschi (democrazia delle masse, unità nazionale, industrialismo) mostra le sue corde. Poichè gli stati derivano la loro autorità dal suffragio universale, il loro potere dalla mobilitazione di tutte le risorse nazionali e la loro finanza dalla pressione fiscale, diventa necessario promettere in cambio di tutti questi sacrifici ampie prospettive di elevazione sociale.

Così, gli stati moderni mantengono anche in pace quel potere assoluto che avevano invocato per le necessità di guerra, e le popolazioni abituate tanto alle alte tassazioni di guerra, quanto all'ingerenza universale dello stato, tollerano sempre pill facilmente l'estensione di una pseudo-giustizia sociale che equivale in realtà ad uno strumento di pressione nelle mani dei politici. In sostanza, dalle

difficoltà economiche in cui l'Europa si dibattè nella 19

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d:::éade 1919-1929 emerse soltanto un maggior potere delle autorità pubbliche. La tendenza alla pianificazione econo-mica non nacque nella Russia sovietica dopo la rivolu-zione, ma nella Germania imperiale durante il blocco, e, a conferire ad essa una certa sistemazione, contribuì molto di più Walter Rathenau che Lenin.

Tale associazione di opposti confonde lo storico: come sistemare queste contraddizioni / Sorge il dubbio che democrazia e dittatura, guerra e benessere, dovizia e po-vertà non siano concetti così rigorosamente antitetici, come siamo generalmente abituati a considerarli. Simil-mente, nel campo economico, è possibile sostenere ìl pieno impiego senza inA.azione, o incrementare indefinita-mente la produzione senza cadere in crisi di sovrappro-duzione / Alcuni vogliono vedere una spiegazione di questi paradossi in una tendenza permanente verso il totalita-rismo e lo stato assoluto. Altri cercano luce nella tesi per cui 1'epoca del nazionalismo è incol11.patibile con la civiltà industriale; poichè la rivalità delle nazioni è continuata nell' età delle macchine infernali, e gli stati, nella ricerca di maggior potere, difficilmente accettano una comune disciplina di moderazione e di compromesso.

Ognuno dei predicatori di questa nostra età: teologi, filosofi, economisti, sociologi, artisti, ha una sua spiega-zione da offrire. Lo storico può soltanto modestamente ricordare che la capacità delle nazioni e dei governi a creare ed accumulare potenza e risorse in quantità incom-parabilmente pill grandi che in ogni altra epoca della storia dell'uomo, è stata in questo periodo superata soltanto dalla loro incapacità a rivolgere questa potenza e queste risorse a finalità costruttive e benefiche. Tristemente, il formidabile potenziale della scienza applicata, della tecno-logia e della meccanizzazione a produrre beni di tutte le specie, e le capacità di organizzare e concentrare il potere non vanno disgiunti dalla tendenza delle moderne società a distruggersi 1'una con 1'altra, e dall' abilità dei governi a trasformarsi in tirannie odiose e disumane.

MARIO ABRATE

I REAZIONARI

Non sono certo di moda, ma è forse una buona ragione perchè non se ne parli? Non dobbiamo cadere nell'equivoco che tutti i reazionari deplorevolmente «usino il manganello.. Platone, senza dubbio reazio-nario (anzi «fascista », come lo definisce Schumpcter, scnza complimenti, a pagina 68 della Storia dell'al/alisi fcol/omica edita da Boringhieri) proprio non ce lo figuriamo col manganello in pugno. Il manganello non distingue i reazionari, ma i violenti, che possono purtroppo appar-tenere a qualsiasi categoria umana, compresa quella progressista.

Nella pacifica evoluzionc delle idee, i reazionari hanno la funzione di freno. E in questa nostra epoca di ferventi automobilisti, è superfluo ricordare l'utilità c i pericoli che accompagnano l'uso del freno a bassa, media ed alta velocità.

1. I NOSTALGICI DELL' ANCIEN RÉGlME.

Ve ne sono ancora. Il Figaro Litteraire del 30 aprile 1960 ci permette di conoscere come uno di essi, lo scrittore René Behaine, in occasione di una intervista, abbia escla-mato con tutto il cuore: «Et la Bastille, ce restaurant de première catégorie, doublé d'une auberge de luxe!» Si tratta evidentemente di un caso di adorazione dell' Ancien Régime estesa alle sue prigioni che, a prescindere dal regime politico, di solito non sono veri e propri lieux de délices.

Con maggior moderazione un gruppo di studiosi ha ridimensionato gli « orrori» di quell' epoca, separando la leggenda dalla storia. E cosÌ, per esempio, Albert Bachman ha cercato di dimostrare che, specie nella seconda metà del xvm secolo, quando Malesherbes era Directeur de la librairie, la censura era relativamente dolce. Betty Behrens ha tentato di documentare che il tanto criticato sistema fiscale francese era criticabile più per gli abusi dei funzionari chiamati ad applicarlo che per le intenzioni

dei governanti suoi ideatori o riformatori. 21

22 pubblicati da Droz a Ginevra, è prezioso per la conoscenza del XVIII secolo). Chi o che cosa potrebbe mai salvarsi dall' attacco di una concentrazione di intelligenze vinùente e tutte di prima grandezza, come quelle che costituirono l'Illuminismo francese? Voltaire, il quale era letto anche e forse soprattutto dalla nobiltà, dal clero, insomma da quando ammoniva che i réformateurs indiscrets ricordano les filles d'Eson qui tuèrent leur père en voulant le rajeunir.

Ma possiamo dire che l'acceleratore gli piaceva assai più del freno, gusto condiviso da tutti coloro che prepararono direttamente o indirettamente, coscientemente o inco-scientemente,. il. fatale I789.

Il difficile, continuando l'analogia automobilistica che Le stagioni ci propongono, è indovinare la giusta velocità:

si viaggia o troppo in fretta o troppo adagio in lilla strada che magari si crede di conoscere e che non si conosce affatto. Il franco-piemontese Rivarol, che merita piena-mente il titolo di reazionario, già nel I790 aveva visto che l'eccesso di velocità dei rivoluzionari avrebbe portato agli sbandamenti napoleonici. Più tardi egli scriveva, amareggiato dalla sua stessa preveggenza: « Bonaparte règne pour avoir tiré sur le peuple et pour avoir réellement fait le

Paradossalmente, per conservare bisogna mutare, un pre-cetto che piaceva anche a Machiavelli.

, ,

AUTUNNO 1964

Perchè, non ostante tutto, 1'Ancien Régime continua a sedurre, quale è il suo incanto? La miglior risposta è ancor sempre un noto brano della baronessa Dupin de Francueil che, in una stupenda lettera alla nipote George Sand, scrisse questo. i~o alla nostalgia: « In quell' epoca non si era mai vecchi. E la Rivoluzione che ha introdotto la vecchiaia nel mondo. Vostro nonno, mia cara ragazza, è stato bello, elegante, curato, profumato, gioviale, amabile, affettuoso e di un carattere eguale fino all' ora della sua morte. Si sapeva vivere e morire, allora. Non si avevano mai delle infermità inopportune. Se uno aveva la gotta, cercava di camminare egualmente e senza fare delle smorfie. Non si avevano preoccu-pazioni di affari, che guastano il buon umore e rendono lo spirito greve. Ci si sapeva rovinare, senza fame accorgere 11essuno, come dei buoni giocatori che sanno perdere senza mostrare nè inquietudine nè dispetto. Si pensava che era meglio morire al ballo o al teatro che 11el proprio letto, tra quattro ceri e dei brutti uomini vestiti di nero. Si era filosofi. Non si ostentava l'auste-rità, e se qualche volta uno l'aveva, non ne faceva mostra.

Quando si era saggi era per }<usto, senza fare riè il pedante, il suscettibile. Si godeva la vita e quando era venuto il momento di perder la, si cercava di /1On disgustare gli altri di vivere.

L'ultimo addio di mio marito fu di augurarmi a sopravviver gli molti anni e a rifarmi una vita felice» l.

MARCO MARTINEZ

l A questo si può far segu.ire u.n altro quadretto nostalgico, del DE

MAISTRE nelle Serate di Pietrobllrgo, dove si elogia la guerra eli delltelles prerivoluzionaria: «Il soldato solo combatteva il soldato, e mai le nazioni si odiavano. Tutto ciò che è debole era sacro ... Fra il clamore delle armi continuava a mostrarsi la corte,ia più ricercata e si scambiavano i riguardi.

La bomba, in alto, risparmiava il palazzo del re. I combattimenti avevano come intermezzi danze e spettacoli. L'ufficiale nemico invitato a queste feste ci veniva per parlare ridendo della battaglia annuncia.ta per il giorno dopo; ed anche nell'olrore della mischia più sanguinosa, l'orecchio del moribondo poteva sentire l'accento della pietà e le formule della gentilezza '.

LE STAGIONI

2. ETICHETTE POLITICHE.

In un regime democratico che si fonda su suffragi sempre più l1lliversali e che impone discorsi in piazza o per tele-visione, pagine di stampa e manifesti murali, gli uomini politici sono venuti gradualmente coniando tutto un gergo ermetico e plurivalente che meriterebbe una serie di arti-coli che forse potrebbero essere ammaestratori. Le stesse etichette dei partiti politici non mancano di offrire allo' spettatore disincantato una serie di considerazioni di un amaro umorismo. Ricordo una spasso sa pagina di Daninos, descrivente un povero elettore francese alle prese col-l'elenco dei partiti politici del momento ed intento a decifrare, senza riuscirvi, il diverso significato dei tanti aggettivi consimili, messi quasi sempre a coppia, per rappresentare partiti diversi e qualche volta ostili. È in-dubbio che il senso di quelle aggettivazioni va conosciuto per altra via che non sia quella del vocabolario. E, se non riguardasse l1lla delle pagine più dolorose della nostra storia, potremmo ricordare, in tono umoristico, anche il caso, indubbiamente significativo, avvenuto durante l'ultimo periodo di guerra, quando il fascismo, rinato attraverso il partito fascista repubblicano (non più partito nazionale fascista) notoriamente succube del nazional-socialismo tedesco, volendo crearsi l1ll apparente oppo-sitore con cui dialogare pensò di dar vita ad un partito che avrebbe dovuto sembrare indipendente e che avrebbe dovuto chiamarsi socialista nazionale; ma questo, per non so quale incid€nte, vel1l1e al1l1l111ciato sui giornali come partito nazionale-socialista dando cos1 al pubblico (con l1lla semplice inversione dei due aggettivi) un'idea diame-tralmente opposta a quella voluta dai suoi inventori.

Non so se sia esatto, ma mi pare che per tutta questa terminologia si potrebbe parlare di «relativismo lingui-stico». Relativismo linguistico che fa si che nel corrente linguaggio dei politici tutta l1lla serie di parole (fra cui spiccano gli aggettivi sociale, liberale, popolare, demo-cratico, nazionale) assumano l1ll significato diverso a seconda del collocamento, dell' accoppiamento con altre

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parol~, e forse del soggetto che lo scnve o lo pro-nuncIa.

Il fenomeno nasconde indubbiamente una certa tendenza alla reticenza, al generico, se non addirittura al mendacio:

è la tendenza di cui abbiamo sopra discorso. Ma esso è in parte anche da attribuirsi alla natura stessa delle cose.

Ed invero, anche se passiamo dal linguaggio dei politici a quello dei cronisti o degli storici, troviamo una certa confusione nel designare uomini, tendenze e partiti poli-tici, tanto che gli studiosi veri e propri ripudiano in genere le etichette e scendono ad un esame del merito delle idee grinta feroce. Ma temo che 1'amico direttore non si accon-tenti... e allora? Allora io son tentato di dire che con le parole progressista, conservatore e reazionario si intendono per lo meno non tre ma sei diversi orientamenti.

Per progressista qualche volta si intende chi vuole modificare lo statu quo (o per via rivoluzionaria o per via riformistica). È evidentemente un innovatore ad tempus, destinato a diventare, sempre ad tempus, un

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credenti non può trovare un punto d'arrivo: tale pro-gressista (che in genere non è un rivoluzionario) non può evidentemente mai diventare un conservatore.

Alle due figure del progressista corrispondono due figure di conservatore: la figura di chi crede allo statu q uo perchè ritiene poco o nulla migliorabile la situazione momèn-tanea, e quella di chi crede invece allo statu quo non tanto temporaneo chi vuoI reagire a certi movimenti innovatori specifici; è reazionario permanénte il conservatore perma-nente che vuoI reagire a qualsiasi innovazione per ciò tutta la nostra bella catalogazione.

Da un lato vi è l'innovatore, che ha una mentalità che lo porta a cercare sempre qualcosa di nuovo ovunque si trovi. Esso può appartenere al gruppo dei veri progres-sisti, ma non è detto che vi appartenga sempre perchè può non credere a quella certa idea del progresso continuo;

spesso non vi appartiene affatto perchè crede che basti cambiare poche cose per mandare il mondo a posto, ma in linea di fatto trova sempre qualcosa da cambiare anche se per avventura trova realizzate tutte le sue vecchie aspira-zioni. Al polo opposto vi è il tradizionalista, che in verità corrisponde a colui che abbiamo chianJ.ato il vero conser-vatore, perchè ama il passato, accetta il presente e teme le varianti, ma che spesso fonda questo suo atteggiamento non ~anto sul pensiero quanto sul sentimento.

E mi si lasci dire che in ognuno di noi più o meno sonnecchiano questi due orientamenti: 1'aspirazione al

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nuovo (spesso anche solo perchè nuovo) e l'amor per il vecchio (spesso proprio solo perchè vecchio). Quando siamo giovalù lo spirito innovato re prevale per solito sullo spirito tradizionali sta, quando siamo vecchi quasi sempre quest' ultimo prevale sul primo. Siccome noi non vogliamo dichiarare di essere cambiati, diciamo che la storia si è evoluta realizzando le nostre antiche aspira-zioni: ciò è qualche volt:!; vero, ma è molto più spesso vero che siamo cambiati noi.

MARIO LONGO

3. GLI ECONOMISTI DEL PESSIMISMO.

Gli econollÙsti, come tutti gli uomini, si distinguono in ottimisti ed in pessimisti. I prinù traggono dalla loro scienza un senso di sicurezza e di potenza, che li spinge, talvolta con frenesia, a pianificare ogni cosa, fors' anche indipendentemente dalla opportunità di farlo. Sono di solito giovani, fiduciosi nella teclùca e nel progresso, inclini all'impiego delle matematiche e di tutto ciò che è o sembra preciso, razionale e moderno. .

I pessimisti, invece, sono di solito economisti impuri, cioè non degli specialisti, ma uomini che considerano la scienza economica una delle tante vie imperfette e tortuose che conducono alla conoscenza della società in cui viviamo.

Coltivano l'economia insieme alla storia, alla letteratura, ed in realtà ciò che li attrae è la sociologia o senz' altro la filosofia. Non sempre, per loro, la conoscenza è il pre-supposto dell' azione: può essere semplicemente il presup-posto della contemplazione scettica, il melanconico accer-tamento che l'umanità è sempre stata e sempre sarà un po' pazza.

Gli economisti del secondo genere sono più o meno saggiamente reazionari perchè, avendo un concetto, quanto mai disincantato del progresso, temono il peggio e si accontentano di poco. Luigi Einaudi, che pure fu uomo di stato benemerito e rimpianto, paragonava l'econollÙsta

« allo schiavo seduto ai piedi del capita/la trionfatore in Roma, 2'7

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a cui era affidato il compito di ricordare al vittorioso che accanto al Campidoglio vi era la rupe tarpea».

Tutti gli economisti « classici», da Smith a Mill, mostra-rono per generazioni questo tipo di pessimismo, che 1'ottimista Galbraith, nel libro notissimo The A.ffluent Society, defInisce criticamente «the tradition of despair ».

E a questi «classici» alludeva Car1yle quando prendeva in giro «the respectable professors of the Dismal ScieI1Ce».

Fra i nostrani, Vilfredo Pareto, ancora oggi un nome di risonanza mondiale, scrisse un monumentale Trattato di sociologia generale con l'intento di dimostrare che «la ragione vale poco o nulla per dare forma al fenomeno sociale»

e che è « da bambini il credere che si persuadano gli uomini con dimostrazioni logiche». Peggio ancora è pensare che gli uomini possano migliorare, progredire: « Chi legge le commedie di Aristofane ritrova nell' antica Atene i politicanti che può vedere vivi e freschi ai tempi nostri, e li sente adulare

j loro Demos non altrimenti di ciò che fa/mo i loro discendetlti ».

Certo, mentre Pareto ci mette in guardi;t contro le illusioni, è facile pensare che anch' egli sia un illuso; voglia essere oggettivo e sia soggettivo. Qualcuno ha affermato

Certo, mentre Pareto ci mette in guardi;t contro le illusioni, è facile pensare che anch' egli sia un illuso; voglia essere oggettivo e sia soggettivo. Qualcuno ha affermato

Nel documento L E STAGIONI autunno 1904 (pagine 23-50)

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