• Non ci sono risultati.

L E STAGIONI autunno 1904

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "L E STAGIONI autunno 1904"

Copied!
64
0
0

Testo completo

(1)
(2)
(3)
(4)
(5)

L E

STAGIONI

autunno

1904

(6)
(7)

LE

STAGIONI

autunno

Igo4

(8)

SOMMARIO

ANNO IV

NUMERO 4

DUBINI, GURGO SALICE E VACCARI

L'industria fra tm alino SER. Omaggio alla sintesi

J.

ORTEGA y GASSET

L'uomo viziato

IL MERCEOLOGO Il buon mercato M. AERATE L'eclisse dell'Europa

MARTINEZ, LONGO, RIZONA E DI LmGI

I reazionari P. GONDOLO DELLA RIvA

E. GIANERI

IL TORINESE

Gli amici di Verne L'età dei fiwtetti

In campagna era 1m' altra cosa

Il nuovo Consiglio di Amministrazione del

«San Paolo»

A Francesco Rota le insegne di Cavaliere del lavoro

IL SEGRETARIO Lettere dai lettori

LE STAGIONI

pago 3 10

11 13 17 21

32 37 44 46 48 50

Rivista trimestrale di varietà economica, edita dall'Istituto Bancario San Paolo di Torino. Autorizzazione del Tribunale di Torino n. 1465 in data 8 agosto 1961. Direttore responsabile: Sergio Ricossa. Direzione e amministrazione: Piazza S. Carlo, 156 (2/209). Le opinioni espresse nella rivista impegnano esclusivamcnte gli autori. La riproduzione di articoli 2 od illustrazioni è consentita citando la previa pubblicazionc su Le slagioni.

I"

,.

(9)

L'

INDUSTRIA

U N

FRA

ANNO

Ai Presidenti delle Associazioni industriali di Milano, Torino e Genova abbiamo posto le seguenti domande:

I) Quali sono le sue previsioni per il 1965 circa l'oc- cupazione e la produzione nell'industria?

2) Quali sono le sue previsioni per il 1965 circa gli investimenti nell'industria?

3) Quali politiche aziendali di carattere generale dovrebbero adottare gli industriali nel 1965?

Ecco le cortesi competenti ed autorevoli risposte:

Dott. Emanuele Dubini, Presidente dell' Associa- zione Industriale Lombarda: « il 1965 sarà un anno difficile ».

I) Non è mai cosa agevole cercare di fare prevlSloni sui possibili sviluppi di una situazione economica. Quando poi questa situazione, come purtroppo attualmente nel caso del nostro Paese, presenta problemi della delicatezza che sappiamo, il prevedere diviene davvero molto arduo. Una premessa di ordine generale può, anzi deve a mio avviso essere fatta: il 1965 sarà un anno difficile e ciò perchè, anche nel caso che le migliori speranze trovino conforto nell' evolversi della congiuntura, non potremo che recuperare parzialmente gli squilibri sofferti dal nostro sistema dei costi nel recente passato. Si tratterà quindi in ogni caso di un anno che dovrà essere affrontato da tutti con il massimo senso di responsabilità.

Per rispondere più direttamente alle domande che mi

sono state proposte, vorrei fare anzitutto qualche osser- 3

(10)

LE STAGIONI

vazione circa il possibile sviluppo della produzione indu- striale. Mi pare a questo riguardo che si debba fare una distinzione, a seconda della destinazione delle varie pro- duzioni; mentre si può pensare che la domanda dei beni di consumo immediato potrà mentenersi ancora su buoni livelli, non altrettanto mi sentirei di poter dire per quanto riguarda quelli durevoli; per questi ultimi si rende par- ticolarmente necessario fare conto sulla domanda estera che fortunatamente continua a mantenersi 'molto incorag- giante. Più difficile è fare previsioni sul settore dei beni strumentali per la maggiore influenza che su di esso eser- citano le decisioni di politica economica, in particolare quella creditizia, e quell'insieme di fattori sia economici che psicologici che determinano la « fiducia J) negli impren- ditori come nei risparmiatori. Non vi è dubbio che questo è il settore che desta le maggiori preoccupazioni e in cui una ripresa incontrerà le maggiori difficoltà.

Quanto all' occu pazione, se si esclude l'edilizia, confido che si riesca a non discostarsi dagli attuali livelli, tenendo anche presente l'attitudine delle imprese, ormai chiara- mente delineatasi, di tentare di evitare per quanto possibile riduzioni di personale, cercando ove necessario di raccor- ciare gli orari di lavoro. Le imprese non soltanto conoscono l'importanza di mantenere una manodopera esperta e capace ed alla cui preparazione hanno dedicato sforzi note- voli, ma tengono anche a quei vincoli di solidarietà che esistono fra azienda e lavoratori e che in queste circostanze vanno rinforzati. Mi sembra improbabile peraltro, anche nell'ipotesi più favorevole, di poter sperare in lU1 aumento sensibile dell' occupazione poichè, attualmente, almeno in molti settori, il grado di utilizzazione della manodopera occupata si è in questi ultimi mesi ridotto per cui livelli di produzione superiori a quelli attuali potrebbero essere raggiunti semplicemente riportando alla normalità gli orari di lavoro.

2) Ho già accennato al problema degli investimenti parlando della produzione dei beni strumentali. Esami- 4 nando più direttament-e le prospettive degli investimenti

l' j

(11)

t ,

\'

I

AUTUNNO 1964

nel prossimo anno, vorrei fare una precisazione, distin- guendo cioè gli investimenti volti ad ampliamenti degli impianti ed alla creazione di nuove iniziative da quelli destinati invece principalmente al rammodernamento degli impianti, alla loro razionalizzazione e in defInitiva a migliorare con la produttività anche la concorrenzialità.

Quanto ai primi, non si hanno - almeno fmo a questo momento - elementi per poter e~primere ottimistiche previsioni perchè, come ho detto prima, vi sono oggi indubbiamente dei margini di capacità inutilizzata in quasi tutti i settori industriali. Per quanto riguarda i secondi, che gli imprenditori sanno essere indispensabili e particolarmente in questa congiuntura, esistono pur- troppo dei limiti costituiti dall' offerta insufficiente del risparmio e quindi dall' elevato costo del denaro e dalle incertezze sulla politica creditizia che il permanere di pres- sioni inflazionistiche potrà consigliare. Una ripresa dovrebbe comunque essere possibile, soprattutto se assecondata da opportuni provvedinlenti come ad esempio quello all' esame del Parlamento per favorire le concentrazioni e fusioni aziendali. Ciò potrebbe infatti ridurre gli ostacoli anche tecnici che il processo di razionalizzazione può incontrare nelle ridotte dimensioni aziendali di molti settori.

3) Ho accennato nella premessa che la difficile situazione nella quale l'industria italiana si trova deriva fondamen- talmente dallo squilibrio verificato si nella struttura dei costi, soprattutto per effetto dei rilevanti incrementi del costo del lavoro ~he si sono dovuti sopportare in questi ultinli due anni. E quindi evidente la necessità assoluta di ritrovare al più presto un equilibrio, cosa che si può per- seguire soltanto attraverso una politica che assicuri aumenti della produttività quanto più possibile elevati.

A questo fIne è necessario investire e sono certo che gli imprenditori si rendono perfettamente conto di questa esigenza.

n

problema, come ho già detto, è di poter disporre dei capitali necessari ed è su questo punto che le prospettive si presentano difficili. Ciò sia per quanto

riguarda i mercati finanziari, per il modesto afflusso del 5

(12)

6

LE STAGIONI

risparmio privato, sia per quanto riguarda la formazione del risparmio di impresa, limitata dalla sfavorevole situa- zione costi e ricavi che si è venuta a creare. In ogni caso dato che la disponibilità di capitali non sarà abbondante si rende necessaria una particolare oClùatezza che abbia per scopo la loro migliore utilizzazione possibile.

Il criterio che a mio avviso dovrebbe essere determi- nante in una tale complessa situazione è quello della reddi- tività degli investimenti. Sia in campo aziendale, sia, e direi soprattutto, in campo nazionale i capitali disponi- bili devono essere impiegati nelle forme economicamente più valide, evitando dispersioni e sprechi.

Ritengo poi indispensabile insistere negli sforzi per sviluppare ulteriormente le nostre esportazioni. Il favo- revole sviluppo della congilmtura internazionale e in particolare di quella degli altri Paesi del M.E.C. dovreb- bero consentire ulteriori incrementi delle nostre esporta- zioni, che non mancherebbero di influire positivamente.

Il rapporto costi-ricavi rende indubbiamente difficile il raggiungimento di questo obiettivo. A questo fine occor- rerà soprattutto contenere i costi e confidare che lo Stato : appoggi tale politica come ha iniziato a fare sia pure in misura insufficiente col provvedimento sulla fiscalizza- zione degli oneri sociali.

Dott. Ermanno Gurgo Salice, Presidente della Unione Industriale di Torino: « la produzione non dovrebbe scendere al disotto del 75-85% dei massimi ».

I) Alla prima domanda rispondo che, a date condizioni di cui in seguito dirò brevemente, la produzione indu- striale nel 1965 e nei settori caratteristici del vertice tori- nese del « triangolo., non dovrebbe scendere al disotto del 75 -85% dei massimi toccati verso il 1961-62. L'occu- pazione dovrebbe diminuire ancor meno, grazie agli sforzi degli industriali per evitare i licenziamenti.

2)

GIl

investimenti che si potranno fare nel 1965 dipen- dono, oltre che da un ritorno della fiducia nell' economia

(13)

italiana, dalla situazione finanziaria. Bisogna riconoscere che la crisi congiunturale in corso è crisi più fmanziaria che economica, nel senso che 1'industria non manca di capacità produttiva, ma manca di liquido per finanziare il giro di affari e gli investimenti fissi destinati a ridurre i costi di produzione. A sua volta questa deficienza di liquido non deriva tanto da una minore quantità di moneta circolante, quanto dal fatto che la moneta non si dirige verso le imprese che ne hanno bisogno.

Non ha funzionato, per vari mesi, uno dei più neces- sari .strumenti per raccogliere e cumulare le offerte di moneta: vale a dire la borsa. È indispensabile far tornare alla normalità il mercato monetario non solo per le aziende pubbliche, ma per tutte, aumentando il movimento dei titoli in borsa, anche senza forti aumenti delle loro quo- taziOlù. Le autorità monetarie, a mio parere, potrebbero riuscire nell'intento abbastanza facilmente, almeno per avviare una ripresa che in seguito si sosterrebbe da sè.

L'errore di molti consiste nel credere che il risparmio possa nascere costringendo la gente a ridurre i consul1Ù. Poichè in pratica è assai difficile riuscire a comprimere tutti i consunù, questa politica rischia di provocare soltanto uno spostamento della domanda da certi consumi a certi altri. Oppure, anche quando la politica sembra aver suc- cesso, essa può favorire sia il risparnùo sia il tesoreggia- mento, in quest'ultimo caso con gravi conseguenze per 1'economia.

Migliore è la politica di rendere attraenti i risparmi, tutelandoli, dopo di che la popolazione restringe volon- tariamente i consumi e finanzia gli investimenti. Ecco dunque, in breve, le prospettive per il 1965, anno in cui gli investimenti non potranno certo attingere dai profitti.

Altri tre aspetti preoccupanti sono: le sempre più pesanti dilazipni dei pagamenti (e il primo che non paga è lo Stato), la natura inflazionistica della « scala mobile» e la crisi del mercato immobiliare, cioè i patrimoni con- gelati sotto forma di terreni ecc. acquistati ad alto prezzo all' epoca del denaro facile, ed oggi invece senza domanda.

Anche per questo è urgente un ritorno alla normalità. 7

(14)

8

LE STAGIONI

3) Fra le politiche aziendali raccomandabili sono ovvia- mente quelle di plUltare sulla esportazione, in mancanza di domanda interna; di essere molto vigilanti al fine di evitare ogni immobilizzo evitabile, concentrando i mezzi monetari per la riduzione dei costi; di studiare favorevol- mente le possibilità di fusioni od altri accordi produttivi capaci di assicurare i vantaggi della grande dimensione anche in tempi di domanda declinante.

Dott. Benito Vaccari, Presidente dell' Associazione degli Industriali di Genova: ({ ad una prima fase di stagnazione, potrebbe seguire anche una ripresa ».

I) Nonostante 1'affiorare di qualche elemento positivo come 1'aumento delle esportaziOlù e la llÙgliorata situa- zione di liquidità del sistema monetario, sussistono per molti settori dell' industria delle gravi difficoltà, si che - almeno per i primi mesi del 1965 - non si possono prevedere sostanziali mutamenti nell' attuale andamento della produzione.

Per quanto riguarda in particolare Genova, dove hanno gran parte le industrie produttrici di beni strumentali e 1'edilizia - settori che oggi si trovano in una fase di reces- sione - la stasi produttiva non ha sinora avuto una larga incidenza sull' occupazione, anche perchè gli imprenditori hanno cercato di evitare di ricorrere a grossi licenziamenti.

Dopo 1'estate si è però registrata un' accentuata riduzione delle ore di lavoro ed lUl più intenso ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni. Tutto ciò fa prevedere per i pros- sillÙ mesi - specialmente per il settore edilizio - una ulteriore tendenza recessiva, a meno che non si creino nel frattempo - con adeguati provvedimenti - le pre- messe d'ordine generale per lUla ripresa degli investimenti e dell' attività produttiva.

Elementi equilibratori, sul piano locale, potrebbero essere costituiti da lUla normalizzazione dell' attività por- tuale (con la speranza che nel 1965 non si registrino oltre

500 nùla ore lavorative sinora perdute in quest' anno per

(15)

AUTUNNO 1964

scioperi politici) e dall' acceleramento dei programmi delle opere pubbliche nella Regione.

In conclusione, ad una prima fase di stagnazione, nel corso del prossimo anno potrebbe seguire anche una ripresa, subordinata però al verificarsi di molte condizioni che a tutt' oggi non appaiono ancora chiaramente delineate.

2) Per procedere a nuovi investimenti occorrono dei margini aziendali sufficienti e la fiducia dell'imprenditore in migliori prospettive per la sua azienda.

La forte spinta dei salari avutasi negli anni scorsi ha portato la maggior parte delle imprese al limite dei costi, soprattutto perchè all' aumentata incidenza della mano- dopera non ha corrisposto un pari incremento della pro- duttività. Ne è conseguita - come ha dimostrato lilla recentissima indagine della Confindustria - una notevole riduzione degli investimenti rispetto alle previsioni in precedenza formulate.

Nonostante che in questi lùtimi tempi vi sia stata una minore tensione salariale si è ancora lontani dall' aver riportato l'equilibrio in questo campo dove tal uni istituti, come ad esempio quello della scala mobile, e la perdurante pressione sindacale in molti settori sono di ostacolo ad un efficace ridimensionamento dei costi.

Per ricostituire la fiducia occorrono poi misure ed incen- tivi non soltanto parziali, ma lill fermo indirizzo di poli- tica economica a favore dell' impresa privata.

3) Il primo pLmto resta quello di ridurre al massimo i costi di produzione, avendo ben presente che qualsiasi aumento delle retribuzioni deve essere contenuto entro i limiti dell'incremento della produttività. Inoltre, non si deve dimenticare che l'industria italiana si trova ormai in un mercato internazionale aperto, e che per poter competere con le industrie degli altri Paesi, bisogna ope- rare con strutture e dimensioni che consentano il migliore sfruttamento degli impianti, procedendo alla necessaria organizzazione produttiva e commerciale, a forme di

concentrazione aziendale e così via. 9

(16)

OMA.GGIO

ALLA SINTESI

L'ECONOMIA. - Saremmo ingiusti se ricordassimo la Si- gnora Joan Robinson, docente all'Università di Cambridge, sol- tanto come l'econonùsta più disposta alla sintesi fra i contempo- ranei. Titolo che le spetta quasi certamente, anche se i suoi colleghi inglesi, più di quelli di qualsiasi altra nazionalità, glielo conten- dono da vicino. La Robinson è' anche una nota ed apprezzata continuatrice degli studi keynesiani, e sebbene i suoi orienta- menti politici a sinistra non siano tali da farla giudicare propria- mente marxista, è da comprendere nel gruppo non numeroso dei marxialù simpatizzanti e intelligenti.

Chi, per ragioni comprensibilissime, non se la sente di affron- tare la faticosa lettura dei tol1Ù ostici di Carlo Marx, può ricor- rere alle svelte paginette della Robinson: Marx e la scienza economica è un suo scritto di meno di cento pagine pubblicato a Firenze dalla Nuova Italia e che concentra, modernizza e critica l'essenza econol1Ùca del troppo monumentale Capitale (fra l'altro mai interamente tradotto in italiano, se non sbagliamo).

Ma non è questo volumetto della Robinson che ci ha indotti a dedicarle il numero tre della rubrica «Omaggio alla sintesi », bensi un trattatello di econol1Ùa generale che la Signora ha fatto uscire da Watts and Co. nel 1962 con il titolo: Economie Philosophy.

Si tratta di una panoranùca della scienza econol1Ùca contem- poranea, alla quale si giunge dopo una rapida, ma magistrale rievocazione storica. Cosi il libro, di 150 paginette, sconfina nella storia delle idee econol1Ùche e, aggiungiamo, penetra abbondantemente anche nella politica. Cioè, la scienza econol1Ùca non è sintetizzata nella sua fredda apparenza obiettiva, ma il processo di sintesi lascia, anzi esalta, isolandoli, i sentimenti politici degli econol1Ùsti, che son pur sempre uol11Ì1ù e peccatori.

Naturalmente la Robinson non fa eccezione, come già abbiamo

IO detto le sue simpatie sono per un certo progressismo, la cui

(17)

AUTUNNO 1964

mancanza essa è pronta a condannare. Ma le sintesi sono sempre un'arte personale, biased per principio, e il più conservatore dei lettori, mentre annoterà a margine qualche critica politica, ricono- scerà che il libro della Robinson è un bel libro e meriterebbe una traduzione italiana.

SER.

ANTOLOGIA

CLASS I CA

L'UOMO VIZIATO. - Non si fa nessuna esagerazione nel dire che l'uomo generato dal secolo XIX è, agli effetti della vita pubblica, un uomo a parte rispetto a tutti gli altri uomini della storia. L'uomo del secolo xvrn si differenzia, naturalmente, da quello dominante nel secolo XVII, e questo da quello che caratte- rizza il secolo XVI, però tutti risultano legati da una parentela, sono affini e perfino identici nell' essenziale, se si confronta con essi quest'uomo nuovo.

Prima, anche per il ricco e il potente il mondo era un ambito di povertà, difficoltà e pericolo. Il mondo che fin dalla nascita circonda l'uomo nuovo, non lo costringe invece a limitarsi in nessun senso, non gl'intima nessun veto nè alcuna remOIa, ma, al contrario, eccita i suoi appetiti, che, per principio, possono crescqe illimitatamente. Allora accade - e ciò è molto impor- tante - che questo mondo del secolo XIX e degli inizi del xx non soltanto possiede le perfezioni e le ampiezze che di fatto ha, ma inoltre ispira ai suoi cittadini l'assoluta sicurezza che domani esso sarà ancora più ricco, più perfetto e più vasto, come se godesse d'tmo spontaneo e inesauribile accrescimento. Ancora oggi, nonostante alcuni segni che incominciano a fare una piccola

breccia in questa fede categorica, ancora oggi sono assai pochi [ [

(18)

I2

LE STAGION1

gli uomini che dubitano che le automobili saranno fra cinque anni più comode e più a buon mercato d'adesso. Vi si crede come nell'immancabile levata del sole. E la similitudine è giusta: chè, in realtà, l'uomo comlUle, nell'incontrarsi con questo mondo della tecnica e socialmente tanto perfezionato, crede che lo ha prodotto la Natura stessa, e non pensa mai agli sforzi geniali di individui eccezionali che presuppone la sua creazione. E ancora meno s'indurrà ad ammettere che tutte queste facilità continuano a sostenersi su certe difficili virtù degli uomini, il cui minimo difetto volatilizzerebbe la magnifica costruzione.

Tutto ciò ci porta a segnare nel diagramma psicologico del- l'uomo-massa attuale due primi tratti: la libera espansione dei suoi desideri vitali, pertanto della sua persona, e l'assoluta ingra- titudine verso quanto ha reso possibile la facilità· della sua esi- stenza. L'uno e l'altro tratto costituiscono la nota psicologica del bimbo viziato. E, in realtà, non cadrebbe in errore chi volesse utilizzare la nozione di essa come una lente attraverso cui guardare l'anima d.elle masse odierne.

La mia tesi è dunque questa: la perfezione stessa con cui il secolo XIX ha dato un' organizzazione a certi ordini della vita, è la prima causa per cui le masse che ne beneficiano non siano disposte a considerarla come un' organizzazione, ma come

« natura». In tal modo si spiega e si definisce l'assurdo stato d'animo che queste masse rivelano; non sono preoccupate se non del loro benessere, e, nello stesso tempo, non si sentono solidali con le cause di questo benessere. Siccome non vedono nei vantaggi della civiltà una scoperta e una costruzione prodi- giosa, che soltanto si possono mantenere a costo di grandi sforzi e cautele, credono che la propria funzione si riduca ad esigerli perentoriamente, come se fossero diritti nativi. Nelle sommosse che la carestia provoca, le masse popolari cercano di procurarsi il pane, e il mezzo a cui ricorrono suole essere queJ10 di distruggere i panifici. Questo può servire come simbolo del comportamento che, in più vaste e sottili proporzioni, usano le masse attuali di fronte alla civiltà che le nutre.

JOSÉ ORTEGA y GASSET Stralci da La ribe/liOlle delle masse, edizioni del Mulino, Bologna.

(19)

IL BUON

MERCATO

PER I NON VEGETARIANI

Questa nuova rubrica si occuperà di una delle più elemencari esigenze dell'economia: spender bene i propri soldi. E servirà lo scopo dclla rivista, che è di collegare l'economia ad altre arti o scicnze, questa volta alla merceologia.

L'uomo non può fare a meno di sostanze proteiche (protidi), che servono « per costruire e per reintegrare i tessuti che vengono costantemente consumati». Tali so- stanze, contenute negli alimenti, possono provenir gli sia dal regno vegetale sia da quello animale e famlO parte di miscele con glucidi (amidi e zuccheri), li pidi (grassi, ecc.), sali minerali, acqua ed altri componenti di mi- nore importanza.

È stato dimostrato che le sostanze proteiche provenienti da vegetali, in genere di costo minore, non sono in grado di sostituire in modo completo quelle di origine animale.

Queste ultime devono costituire almeno un terzo delle sostanze proteiche ingerite nella dieta ed un buon effetto compensativo da parte delle prime si raggiunge soltanto se la loro introduzione nell'organismo avviene contempora- neamente, o quasi, alle seconde. In altre parole: 1'uomo esclusivamente vegetariano non può vivere a lungo.

I fisiologi sostengono che il fabbisogno di sostanze proteiche dell'uomo adulto, quahmque sia la sua attività, corrisponde, al giorno, a circa I grammo per chilogrammo di peso corporeo e che quello dei bambini al disotto di un

anno di età raggiunge 3,5 grarmni per chilogrammo. 13

(20)

LE STAGIONI

È ovvio che tali quantitativi debbano però essere ancora aumentati perchè l'organismo non è mai in grado di uti- lizzare il cento per cento delle proteine ingerite.

Il rifornimento di proteine aIùmali può aver luogo ricorrendo sia alle carni, sia al latte (e ad alcuni suoi deri- vati), sia alle uova, sia al pesce.

È stato recentemente pubblicato, anche dalla stampa quotidiana, che nel nostro Paese nel 1963 la disponibilità di carni per abitante è stata di kg 34,3, superiore alla dispo- nibilità degli anni precedenti e finalmente statisticamente sufficiente agli effetti di un' alimentazione equilibrata.

Inoltre da fonte responsabile è stato precisato che il con- sumo effettivo di carni ha raggiunto kg 32,5 pro capite.

La copertura è stata ottenuta per due terzi con la produ- zione nazionale e per il rimanente con l'importazione, in cifra tonda, di 5.710.000 quintali, che ha gravato sulla

bil~ncia dei pagamenti per oltre duecento miliardi di lire.

E utile rilevare come l'importazione è stata ripartita (sempre in valori arrotondati): carne bovina q 4.675.000;

carne suina q 536.000; carne equina q 353.000; carne di conigli e di pollame q 102.000; carne ovina e caprina q 46.000.

Non è pensabile di comprimere il consumo comples- sivo quando si è appena raggiunta la sufficienza ed allora occorre esanÙllare se sia conveniente qualche spostamento della domanda da una voce all' altra, con conseguente

rel~tivo incremento della produzione nazionale.

E ben noto che le preferenze dei consumatori sono spesso influenzate da consuetudini e da pregiudizi non sempre giustificati ed il pill delle volte determinati dal- l'ignoranza delle caratteristiche merceologiche dei pro- dotti. In particolare: dei prodotti alimentari i consumatori soltanto molto di rado conoscono il valore nutritivo.

Sembra quindi interessante riportare, da Teggia, Mariani e Cochetti (Schemi di dietologia applicata, Il pensiero scien- tifico, Roma, 1953), i valori energetici e la composizione di alcuni alimenti, riferiti a 100 grammi di prodotto edibile, cioè « privato delle parti incommestibili» o « di rifiuto»

14 (con approssimazione a più o meno qualche unità

%'

(21)

AUTUNNO 1964

perchè la composlZ1one varia con la razza degli animali, con i mangimi impiegati, ecc.):

Cal.

Vitello (valore medio) 94 Manzo, carne semigrassa 136 Maiale. carne magra 148

Pollo 200

Coniglio. 174

Baccalà secco. r64

Latte di vacca 65

Parmigiano. 389

Uova 162

Acqua g 77.80 72.50 71.00 66.00 68.00 6r.oo 87.30 36.18 74.00

Protidi Lipidi

g g

21.09 I.Il 2r.oo 5.50 19.91 6.8r 20.20 12.60 21,00 10,00 33.75 r.63 3.50 3.50 36.34 26.22 12.80 Il.50

Glucidi g o o

l,IO

o o 2.60 5.00 0.26 0.70

Oggi in Italia si macellano in discreta percentuale bovini di poche settimane, il cui peso è sui 100 kg e le cui carni sono meno nutrienti di quelle di animali più anziani.

Il consumatore le preferisce perchè sono più tenere! Se mantenuti in vita, i vitelli così giovani sono caratterizzati da un rapido aumento di peso (fino a 2 kg al giorno), aumento che poi va relativamente attenuandosi col cre- scere dell' età. Di conseguenza i tecnici ritengono che sarebbe assai più vantaggioso, sia per 1'economia nazionale, sia per i consumatori, macellare bovini di età non infe- riore ad l anno, cioè di peso non inferiore a 400 kg. Se i consumatori acquistassero esclusivamente carni di questi ultimi, utilizzerebbero prodotti che, se pure soggetti, a parità di « taglio », a scarti di cucina più sensibili, in defini- tiva, a pari disponibilità di sostanze proteiche, sarebbero meno costosi.

E veniamo al « taglio». Soprattutto nelle grandi città la richiesta verte di preferenza sulla coscia « affettata ».

Un animale di 100 kg ne fornisce meno di 16 kg ed uno di 400 kg circa 80 kg. Di rado vengono richiesti altri tagli, i quali, di conseguenza, devono essere smerciati a prezzi bassi. Il venditore allora è costretto a rifarsi con prezzi alti per la coscia affettata (a prescindere dalla ten- denza di smerciare della carne affettata proveniente da altre parti e dalla « irrazionalità» del sistema distributivo

che alcuni lamentano). I5

(22)

LE STAGIONI

In base ai prezzi medi di mercato e alla composlzlOne, è facile dedurre che i costi per la stessa quantità di sostanze proteiche in linea di massima sono crescenti nell' ordine:

uova, carne di pollo, carne suina, carne di vitellone, carne di vitello, mentre i valori energetici di queste merci decre- scono pressochè nello stesso ordine. Conviene quindi spostare la domanda verso i costi più bassi. Concetti analoghi recentemente sono stati anche sottolineati dal Ministro dell' agricoltura (<< Convegno di studio sull' orien- tamento dei consumi alimentari », Roma, I41uglio 1964).

La carne di pollo, di cui parliamo, è quella che pro- viene dagli animali «di allevamento », il cui prezzo al dettaglio è assai più basso di quello dei polli « da cortile »:

ad esempio, a Torino attualmente sta come !OO a 170.

I consumatori considerano questi ultimi più gustosi, ma la prevenzione che spesso li anima verso·i primi, ritenuti non igienici, a tutt' oggi non ha trovato alcuna seria giusti1ìcazione, basata su fondamenti scienti1ìci.

Un celIDO merita ancora la carne di coniglio. Il suo prezzo in Italia è elevato. Occorre però tenere presente che nel nostro Paese la cunicoltura non è ancora praticata su basi industriali.

Quella in auge nelle aziende agricole ha carattere familiare e basi empiriche, pertanto è spesso danneggiata dall' alta mortalità. Quando sarà industrializzata e poggerà su basi razionali, cosa non difficile, ci fornirà con abbondanza carne nutriente e digeribile, a prezzi assai più bassi degli attuali.

Quasi un decennio fa in Francia a cura del Ministero delle fmanze era stato consigliato di consumare di prefe- renza carne di pollo al posto delle carni bovine. Lo sposta- mento dei consumi è tanto più utile in Italia: i Paesi che dispongono di un patrimonio bovino insufficiente e la cui bilancia commerciale è in passivo hanno particolare interesse di incrementare gli allevamenti di polli e di conigli ed i consunti delle loro carni. E lo spostamento della domanda rappresenta una necessità a carattere non transitorio anche perchè si prevede che i prezzi dei bovini sui mercati mondiali per un lungo periodo di tempo tendano all' aumento.

IL MERCEOLOGO

(23)

L'ECLISSE

DELL'EUROPA

Sono evidenti agli occhi di tutti i cambiamenti a causa dei quali l'Europa della metà del xx secolo differisce, per la sua struttura politica interna, economica e sociale, e nei suoi rapporti col resto del mondo, dall'Europa del

XJX secolo. Questi cambiamenti nel contenuto e nel con- testo della civiltà europea sembrano aver avuto come cause tre grandi cataclisnù: due guerre ed una crisi econo- mica mondiali.

Certo, la parola « crisi» è la più usata in tutti gli studi su questo periodo, ed anzi si sarebbe tentati di presentare quest' èra della violenza come una concatenazione di crisi, ognuna delle quali è prodotta da una precedente situa- zione di instabilità e contiene in sè i germi della prossima.

Anche se vi è qualche cosa di vero in questa sequenza di crisi, è bene non dimenticare che il presente non è correlato soltanto con il passato più recente, e che esistono delle tendenze a più lungo termine la cui influenza non è' affatto trascurabile. CosÌ, molte idee maestre, movi- menti e « spinte» realizzatisi nel xx secolo nacquero già nel precedente, per esempio la generale propensione verso un maggiore benessere materiale e la serpeggiante atti- tudine verso la violenza e disumalùzzazione della società.

La vocazione alla violenza come mezzo solutorio di contrasti sociali e internazionali era abbondantemente chiara assai prima del 1914. Basti pensare al comune patrimonio spirituale dei profeti della nuova èra, ed alla loro molto simile origine politica. I paradossi dell'Soo divelmero evidenti nei vent'anni prima del 1914. Rapidi avanzamenti del suffragio universale, dell'istruzione pri-

maria obbligatoria, della legislazione e delle riforme sociali I7

(24)

18

LE STAGIONI

coincisero con un crescente ricorso alla violenza nei rap- porti sociali. Nei paesi di più radicata democrazia (Gran Bretagna, Francia, Belgio, Svezia, Stati Uniti) furono gli anni degli scioperi piLI vasti e piLI violenti; in Russia, l'equivalente fu la rivoluzione del 1905, ed in Italia i moti di fine secolo, fino al regicidio. Era la « teoria dell'azione diretta» in pieno sviluppo. Sul piano internazionale, mili- tarismo ed imperialismo furono le espressioni tipiche di questo momento. Tutte le grandi potenze, attraverso confronti indiretti, la corsa agli armamenti, le tensioni, gli incidenti, scontavano l'imminenza di un conB.itto generale, alimentato dalle passioni irredentistiche. La grande guerra, per vari suoi aspetti, può essere riguardata come una forma esasperata del trend nichilistico ed autodistrut- tivo inerente alla civiltà europea.

ti secondo cataclisma generale del periodo, la grande depressione, non fu soltanto il prodotto delle condizioni del dopo-guerra, ma sembra provenire dalle contraddi- zioni insite nei modi dello sviluppo economic;o europeo.

Gli inglesi sostengono che le recessioni « in democracy ~

precedono e seguono quelle economiche, ed effettivamente esaminando gli avvenimenti europei tra il 1923 ed il I930 è difficile negare l'esistenza di una certa relazione tra i due termini. Ma ciò non può originare, nè interamente spiegare, le involuzioni più evidenti. Certamente l'idea di una concatenazione di eventi, dalla guerra mondiale alla crisi economica alla dittatura, contiene qualche cosa di valido, ma fu un processo più vasto e complesso, non un semplice rapporto di causa ed effetto fra alcuni fatti.

Non è il caso di illustrare le connessioni tra la prima e la seconda guerra mondiale. Ambedue produssero tm progressivo deterioramento del ruolo dell'Europa nel mondo. Dal 1919 il suffragio universale ed il diritto delle naziOlù all'indipendenza ed all' autodeterminazione furono ritenuti le migliori basi di governo. Si sperava che la combinazione di ideali democratici e di stato nazionale, il tutto garantito dalla Lega delle Nazioni, rendesse pos- sibile 1'organizzazione della pace. Tutto ciò andò a ter- minare nella crisi economica più grave e nella guerra

(25)

AUTUNNO 1964

più distruttiva mai conosciute dall'Europa e dal mondo.

E questo fu il dramma del concetto liberale del progresso in armonia. Le cosiddette «rivoluzioni coloniali» inco- raggiate dalle nuove potenze mondiali extraeuropee, hanno fatto il resto. In conclusione, dopo il 1945, è iniziato un rapidissimo processo di contrazione di quell' espansione europea che durava da più di quattro secoli.

L'ordito sul quale si compone la tragedia europea del xx secolo è così intricato e complesso da rendere impos- sibile, per ora, un giudizio storico sereno. Sicuramente, le due guerre mondiali e la grande crisi economica non sono soltanto COlmesse tra di loro da intricati rapporti causali, ma possono anche essere riguardate· in retrospettiva, come tre differenti espressioni di tendenze e forze perma- nenti della civiltà europea. Tuttavia, si è contemporanea- mente verificato un impetuoso progresso materiale (spesso accelerato dalle guerre): nonostante gli incalcolabili danni e le miserie provocate dai conflitti e dalla crisi, i popoli europei sono. generalmente più ricchi e più prosperi nel 1960 che nel 1900. Il tenore di vita è piLI alto, la vita media è più lunga, più vacanze e divertimenti.

Questa contrapposizione di opposti è soltanto un vivido esempio di un aspetto paradossale della nostra civiltà: la correlazione tra guerre e benessere. È proprio qui che l'interconnessione tra i grandi movimenti ottocenteschi (democrazia delle masse, unità nazionale, industrialismo) mostra le sue corde. Poichè gli stati derivano la loro autorità dal suffragio universale, il loro potere dalla mobilitazione di tutte le risorse nazionali e la loro finanza dalla pressione fiscale, diventa necessario promettere in cambio di tutti questi sacrifici ampie prospettive di elevazione sociale.

Così, gli stati moderni mantengono anche in pace quel potere assoluto che avevano invocato per le necessità di guerra, e le popolazioni abituate tanto alle alte tassazioni di guerra, quanto all'ingerenza universale dello stato, tollerano sempre pill facilmente l'estensione di una pseudo- giustizia sociale che equivale in realtà ad uno strumento di pressione nelle mani dei politici. In sostanza, dalle

difficoltà economiche in cui l'Europa si dibattè nella 19

(26)

LE STAGIONI

d:::éade 1919-1929 emerse soltanto un maggior potere delle autorità pubbliche. La tendenza alla pianificazione econo- mica non nacque nella Russia sovietica dopo la rivolu- zione, ma nella Germania imperiale durante il blocco, e, a conferire ad essa una certa sistemazione, contribuì molto di più Walter Rathenau che Lenin.

Tale associazione di opposti confonde lo storico: come sistemare queste contraddizioni / Sorge il dubbio che democrazia e dittatura, guerra e benessere, dovizia e po- vertà non siano concetti così rigorosamente antitetici, come siamo generalmente abituati a considerarli. Simil- mente, nel campo economico, è possibile sostenere ìl pieno impiego senza inA.azione, o incrementare indefinita- mente la produzione senza cadere in crisi di sovrappro- duzione / Alcuni vogliono vedere una spiegazione di questi paradossi in una tendenza permanente verso il totalita- rismo e lo stato assoluto. Altri cercano luce nella tesi per cui 1'epoca del nazionalismo è incol11.patibile con la civiltà industriale; poichè la rivalità delle nazioni è continuata nell' età delle macchine infernali, e gli stati, nella ricerca di maggior potere, difficilmente accettano una comune disciplina di moderazione e di compromesso.

Ognuno dei predicatori di questa nostra età: teologi, filosofi, economisti, sociologi, artisti, ha una sua spiega- zione da offrire. Lo storico può soltanto modestamente ricordare che la capacità delle nazioni e dei governi a creare ed accumulare potenza e risorse in quantità incom- parabilmente pill grandi che in ogni altra epoca della storia dell'uomo, è stata in questo periodo superata soltanto dalla loro incapacità a rivolgere questa potenza e queste risorse a finalità costruttive e benefiche. Tristemente, il formidabile potenziale della scienza applicata, della tecno- logia e della meccanizzazione a produrre beni di tutte le specie, e le capacità di organizzare e concentrare il potere non vanno disgiunti dalla tendenza delle moderne società a distruggersi 1'una con 1'altra, e dall' abilità dei governi a trasformarsi in tirannie odiose e disumane.

MARIO ABRATE

(27)

I REAZIONARI

Non sono certo di moda, ma è forse una buona ragione perchè non se ne parli? Non dobbiamo cadere nell'equivoco che tutti i reazionari deplorevolmente «usino il manganello.. Platone, senza dubbio reazio- nario (anzi «fascista », come lo definisce Schumpcter, scnza complimenti, a pagina 68 della Storia dell'al/alisi fcol/omica edita da Boringhieri) proprio non ce lo figuriamo col manganello in pugno. Il manganello non distingue i reazionari, ma i violenti, che possono purtroppo appar- tenere a qualsiasi categoria umana, compresa quella progressista.

Nella pacifica evoluzionc delle idee, i reazionari hanno la funzione di freno. E in questa nostra epoca di ferventi automobilisti, è superfluo ricordare l'utilità c i pericoli che accompagnano l'uso del freno a bassa, media ed alta velocità.

1. I NOSTALGICI DELL' ANCIEN RÉGlME.

Ve ne sono ancora. Il Figaro Litteraire del 30 aprile 1960 ci permette di conoscere come uno di essi, lo scrittore René Behaine, in occasione di una intervista, abbia escla- mato con tutto il cuore: «Et la Bastille, ce restaurant de première catégorie, doublé d'une auberge de luxe!» Si tratta evidentemente di un caso di adorazione dell' Ancien Régime estesa alle sue prigioni che, a prescindere dal regime politico, di solito non sono veri e propri lieux de délices.

Con maggior moderazione un gruppo di studiosi ha ridimensionato gli « orrori» di quell' epoca, separando la leggenda dalla storia. E cosÌ, per esempio, Albert Bachman ha cercato di dimostrare che, specie nella seconda metà del xvm secolo, quando Malesherbes era Directeur de la librairie, la censura era relativamente dolce. Betty Behrens ha tentato di documentare che il tanto criticato sistema fiscale francese era criticabile più per gli abusi dei funzionari chiamati ad applicarlo che per le intenzioni

dei governanti suoi ideatori o riformatori. 21

(28)

22

LE STAGIONI

È chiaro che ha irrimediabilmente danneggiato la fama dell' Ancien Régime l'avere avuto come avversario il

« clan dei philosophes» (1'espressione è di Diana Guira- gossian, in Voltaire' s Facéties, libro che, come molti altri pubblicati da Droz a Ginevra, è prezioso per la conoscenza del XVIII secolo). Chi o che cosa potrebbe mai salvarsi dall' attacco di una concentrazione di intelligenze vinùente e tutte di prima grandezza, come quelle che costituirono l'Illuminismo francese? Voltaire, il quale era letto anche e forse soprattutto dalla nobiltà, dal clero, insomma da chi costituiva il suo bersaglio, disponeva dei mezzi intel- lettuali per distruggere da solo e nei secoli la fama di qualsiasi regime che non gli fosse simpatico.

Eppure persino Voltaire c'è chi l'ha creduto lill rea- zionario, perchè ogni' tanto ricorreva al freno, come quando ammoniva che i réformateurs indiscrets ricordano les filles d'Eson qui tuèrent leur père en voulant le rajeunir.

Ma possiamo dire che l'acceleratore gli piaceva assai più del freno, gusto condiviso da tutti coloro che prepararono direttamente o indirettamente, coscientemente o inco- scientemente,. il. fatale I789.

Il difficile, continuando l'analogia automobilistica che Le stagioni ci propongono, è indovinare la giusta velocità:

si viaggia o troppo in fretta o troppo adagio in lilla strada che magari si crede di conoscere e che non si conosce affatto. Il franco-piemontese Rivarol, che merita piena- mente il titolo di reazionario, già nel I790 aveva visto che l'eccesso di velocità dei rivoluzionari avrebbe portato agli sbandamenti napoleonici. Più tardi egli scriveva, amareggiato dalla sua stessa preveggenza: « Bonaparte règne pour avoir tiré sur le peuple et pour avoir réellement fait le crime dont Louis XVI fut faussement aCa/sé ». Ma per quanto conservatore fino al punto di sostenere che le ~énie, en politique, consiste non à créer, mais à conserver; non à challger, mais à fixer », Rivarol si rendeva conto che !'immobilismo e soprattutto l'incapacità di comprendere e di adeguarsi della monarchia erano fra le cause del crollo dinastico.

Paradossalmente, per conservare bisogna mutare, un pre- cetto che piaceva anche a Machiavelli.

, ,

(29)

AUTUNNO 1964

Perchè, non ostante tutto, 1'Ancien Régime continua a sedurre, quale è il suo incanto? La miglior risposta è ancor sempre un noto brano della baronessa Dupin de Francueil che, in una stupenda lettera alla nipote George Sand, scrisse questo. i~o alla nostalgia: « In quell' epoca non si era mai vecchi. E la Rivoluzione che ha introdotto la vecchiaia nel mondo. Vostro nonno, mia cara ragazza, è stato bello, elegante, curato, profumato, gioviale, amabile, affettuoso e di un carattere eguale fino all' ora della sua morte. Si sapeva vivere e morire, allora. Non si avevano mai delle infermità inopportune. Se uno aveva la gotta, cercava di camminare egualmente e senza fare delle smorfie. Non si avevano preoccu- pazioni di affari, che guastano il buon umore e rendono lo spirito greve. Ci si sapeva rovinare, senza fame accorgere 11essuno, come dei buoni giocatori che sanno perdere senza mostrare nè inquietudine nè dispetto. Si pensava che era meglio morire al ballo o al teatro che 11el proprio letto, tra quattro ceri e dei brutti uomini vestiti di nero. Si era filosofi. Non si ostentava l'auste- rità, e se qualche volta uno l'aveva, non ne faceva mostra.

Quando si era saggi era per }<usto, senza fare riè il pedante, il suscettibile. Si godeva la vita e quando era venuto il momento di perder la, si cercava di /1On disgustare gli altri di vivere.

L'ultimo addio di mio marito fu di augurarmi a sopravviver gli molti anni e a rifarmi una vita felice» l.

MARCO MARTINEZ

l A questo si può far segu.ire u.n altro quadretto nostalgico, del DE

MAISTRE nelle Serate di Pietrobllrgo, dove si elogia la guerra eli delltelles prerivoluzionaria: «Il soldato solo combatteva il soldato, e mai le nazioni si odiavano. Tutto ciò che è debole era sacro ... Fra il clamore delle armi continuava a mostrarsi la corte,ia più ricercata e si scambiavano i riguardi.

La bomba, in alto, risparmiava il palazzo del re. I combattimenti avevano come intermezzi danze e spettacoli. L'ufficiale nemico invitato a queste feste ci veniva per parlare ridendo della battaglia annuncia.ta per il giorno dopo; ed anche nell'olrore della mischia più sanguinosa, l'orecchio del moribondo poteva sentire l'accento della pietà e le formule della gentilezza '.

(30)

LE STAGIONI

2. ETICHETTE POLITICHE.

In un regime democratico che si fonda su suffragi sempre più l1lliversali e che impone discorsi in piazza o per tele- visione, pagine di stampa e manifesti murali, gli uomini politici sono venuti gradualmente coniando tutto un gergo ermetico e plurivalente che meriterebbe una serie di arti- coli che forse potrebbero essere ammaestratori. Le stesse etichette dei partiti politici non mancano di offrire allo' spettatore disincantato una serie di considerazioni di un amaro umorismo. Ricordo una spasso sa pagina di Daninos, descrivente un povero elettore francese alle prese col- l'elenco dei partiti politici del momento ed intento a decifrare, senza riuscirvi, il diverso significato dei tanti aggettivi consimili, messi quasi sempre a coppia, per rappresentare partiti diversi e qualche volta ostili. È in- dubbio che il senso di quelle aggettivazioni va conosciuto per altra via che non sia quella del vocabolario. E, se non riguardasse l1lla delle pagine più dolorose della nostra storia, potremmo ricordare, in tono umoristico, anche il caso, indubbiamente significativo, avvenuto durante l'ultimo periodo di guerra, quando il fascismo, rinato attraverso il partito fascista repubblicano (non più partito nazionale fascista) notoriamente succube del nazional- socialismo tedesco, volendo crearsi l1ll apparente oppo- sitore con cui dialogare pensò di dar vita ad un partito che avrebbe dovuto sembrare indipendente e che avrebbe dovuto chiamarsi socialista nazionale; ma questo, per non so quale incid€nte, vel1l1e al1l1l111ciato sui giornali come partito nazionale-socialista dando cos1 al pubblico (con l1lla semplice inversione dei due aggettivi) un'idea diame- tralmente opposta a quella voluta dai suoi inventori.

Non so se sia esatto, ma mi pare che per tutta questa terminologia si potrebbe parlare di «relativismo lingui- stico». Relativismo linguistico che fa si che nel corrente linguaggio dei politici tutta l1lla serie di parole (fra cui spiccano gli aggettivi sociale, liberale, popolare, demo- cratico, nazionale) assumano l1ll significato diverso a seconda del collocamento, dell' accoppiamento con altre

(31)

AUTUNNO 1964

parol~, e forse del soggetto che lo scnve o lo pro- nuncIa.

Il fenomeno nasconde indubbiamente una certa tendenza alla reticenza, al generico, se non addirittura al mendacio:

è la tendenza di cui abbiamo sopra discorso. Ma esso è in parte anche da attribuirsi alla natura stessa delle cose.

Ed invero, anche se passiamo dal linguaggio dei politici a quello dei cronisti o degli storici, troviamo una certa confusione nel designare uomini, tendenze e partiti poli- tici, tanto che gli studiosi veri e propri ripudiano in genere le etichette e scendono ad un esame del merito delle idee e delle azioni che si svolgono o che si sono svolte sotto le etichette stesse.

Tutto ciò mi veniva in mente a proposito di un ingenuo che voleva sapere se un Tizio era davvero uomo di sinistra o non di destra, e mi è ritornato in mente quando il diret- tore di questa rivista mi ha chiesto di scrivere poche righe

sull~ pos~zione del progressista, del conservatore e del

reaZlOnano. '-

Lasciamo andare la destra e la sinistra, che hanno una ben nota origine storica e sugli sviluppi delle quali si sono già scritti dei volumi ... Ma che si intende per progressista, conservatore e reazionario? Forse la più seria e facile risposta da darsi sarebbe che oggi si suoI appioppare il primo aggettivo ad ogni uomo politico aperto ed intelli- gente, il secondo ad ogni barboso ed il terzo ad ogni grinta feroce. Ma temo che 1'amico direttore non si accon- tenti... e allora? Allora io son tentato di dire che con le parole progressista, conservatore e reazionario si intendono per lo meno non tre ma sei diversi orientamenti.

Per progressista qualche volta si intende chi vuole modificare lo statu quo (o per via rivoluzionaria o per via riformistica). È evidentemente un innovatore ad tempus, destinato a diventare, sempre ad tempus, un conservatore se non addirittura un reazionario là dove si veda accontentato. Molti rivoluzionari, ci insegna la storia, sono stati tali solo sino a che la rivoluzione non si è compiuta. Ma il progressista pili vero è quello che crede

nel « progresso », che è un' evoluzione che secondo i suoi 25

(32)

LE STAGIONI

credenti non può trovare un punto d'arrivo: tale pro- gressista (che in genere non è un rivoluzionario) non può evidentemente mai diventare un conservatore.

Alle due figure del progressista corrispondono due figure di conservatore: la figura di chi crede allo statu q uo perchè ritiene poco o nulla migliorabile la situazione momèn- tanea, e quella di chi crede invece allo statu quo non tanto perchè apprezzi quello che trova quanto perchè teme il peggio. Il vero conservatore è il secondo, che s<lJà sempre tale in qualunque ambiente viva, perchè è quello che veramente crede non a una certa situazione, ma al criterio di conservare ad ogni costo quello che si tr~)Va.

Ed altrettanto si può dire del reazionario. E reazionario temporaneo chi vuoI reagire a certi movimenti innovatori specifici; è reazionario permanénte il conservatore perma- nente che vuoI reagire a qualsiasi innovazione per ciò stesso che è un'irmovazione. Va da sè che anche i reazio- nari si ,posson poi distinguere, da un altro punto di vista, non diversamente dai progressisti, a seconda dei metodi con cui vorrebbero condurre la reazione. .

Di fatto però le figure interessanti (e spesso quelle storicamente più attive) sono altre due, che sfuggono il tutta la nostra bella catalogazione.

Da un lato vi è l'innovatore, che ha una mentalità che lo porta a cercare sempre qualcosa di nuovo ovunque si trovi. Esso può appartenere al gruppo dei veri progres- sisti, ma non è detto che vi appartenga sempre perchè può non credere a quella certa idea del progresso continuo;

spesso non vi appartiene affatto perchè crede che basti cambiare poche cose per mandare il mondo a posto, ma in linea di fatto trova sempre qualcosa da cambiare anche se per avventura trova realizzate tutte le sue vecchie aspira- zioni. Al polo opposto vi è il tradizionalista, che in verità corrisponde a colui che abbiamo chianJ.ato il vero conser- vatore, perchè ama il passato, accetta il presente e teme le varianti, ma che spesso fonda questo suo atteggiamento non ~anto sul pensiero quanto sul sentimento.

E mi si lasci dire che in ognuno di noi più o meno sonnecchiano questi due orientamenti: 1'aspirazione al

(33)

AUTUNNO 1964

nuovo (spesso anche solo perchè nuovo) e l'amor per il vecchio (spesso proprio solo perchè vecchio). Quando siamo giovalù lo spirito innovato re prevale per solito sullo spirito tradizionali sta, quando siamo vecchi quasi sempre quest' ultimo prevale sul primo. Siccome noi non vogliamo dichiarare di essere cambiati, diciamo che la storia si è evoluta realizzando le nostre antiche aspira- zioni: ciò è qualche volt:!; vero, ma è molto più spesso vero che siamo cambiati noi.

MARIO LONGO

3. GLI ECONOMISTI DEL PESSIMISMO.

Gli econollÙsti, come tutti gli uomini, si distinguono in ottimisti ed in pessimisti. I prinù traggono dalla loro scienza un senso di sicurezza e di potenza, che li spinge, talvolta con frenesia, a pianificare ogni cosa, fors' anche indipendentemente dalla opportunità di farlo. Sono di solito giovani, fiduciosi nella teclùca e nel progresso, inclini all'impiego delle matematiche e di tutto ciò che è o sembra preciso, razionale e moderno. .

I pessimisti, invece, sono di solito economisti impuri, cioè non degli specialisti, ma uomini che considerano la scienza economica una delle tante vie imperfette e tortuose che conducono alla conoscenza della società in cui viviamo.

Coltivano l'economia insieme alla storia, alla letteratura, ed in realtà ciò che li attrae è la sociologia o senz' altro la filosofia. Non sempre, per loro, la conoscenza è il pre- supposto dell' azione: può essere semplicemente il presup- posto della contemplazione scettica, il melanconico accer- tamento che l'umanità è sempre stata e sempre sarà un po' pazza.

Gli economisti del secondo genere sono più o meno saggiamente reazionari perchè, avendo un concetto, quanto mai disincantato del progresso, temono il peggio e si accontentano di poco. Luigi Einaudi, che pure fu uomo di stato benemerito e rimpianto, paragonava l'econollÙsta

« allo schiavo seduto ai piedi del capita/la trionfatore in Roma, 2'7

(34)

LE STAGIONI

a cui era affidato il compito di ricordare al vittorioso che accanto al Campidoglio vi era la rupe tarpea».

Tutti gli economisti « classici», da Smith a Mill, mostra- rono per generazioni questo tipo di pessimismo, che 1'ottimista Galbraith, nel libro notissimo The A.ffluent Society, defInisce criticamente «the tradition of despair ».

E a questi «classici» alludeva Car1yle quando prendeva in giro «the respectable professors of the Dismal ScieI1Ce».

Fra i nostrani, Vilfredo Pareto, ancora oggi un nome di risonanza mondiale, scrisse un monumentale Trattato di sociologia generale con l'intento di dimostrare che «la ragione vale poco o nulla per dare forma al fenomeno sociale»

e che è « da bambini il credere che si persuadano gli uomini con dimostrazioni logiche». Peggio ancora è pensare che gli uomini possano migliorare, progredire: « Chi legge le commedie di Aristofane ritrova nell' antica Atene i politicanti che può vedere vivi e freschi ai tempi nostri, e li sente adulare

j loro Demos non altrimenti di ciò che fa/mo i loro discendetlti ».

Certo, mentre Pareto ci mette in guardi;t contro le illusioni, è facile pensare che anch' egli sia un illuso; voglia essere oggettivo e sia soggettivo. Qualcuno ha affermato che, come Platone, Pareto è fautore dell'immobilismo sociale in quanto « aristocratico» disgustato dai movimenti popolari del suo tempo. La psicologia del pessimista è aggrovigliata, diciamo noi, è contorta, è sgraziata, ha tutti i difetti che si vuole; ma non è dimostrato che il pessimista sia inutile. La vita sarebbe tediosa senza la dialettica del pessimista e dell' ottimista; ma dire pessimista è dire reazionario.

Lo spazio manca per continuare. Come dimenticare, però, colui che è forse l' economista (e statistico e sociologo) italiano vivente di maggior fama, nel gruppo cui son dedicate queste pagine l Come dimenticare colui che ha avuto il coraggio di difendere la schiavitù, ai nostri te!llpi di culto (egli preferisce «mania») dell' eguaglianza l E il medesimo che ha condannato la fretta di decolonizzare, la «mania» dell'imparzialità, la « mania» del!a tecnica, la partito mania, la « mania» di rimediare, ecc. E Corrado Gini, emerito di statistica dell'Università di Roma, uomo

(35)

AUTUNNO 1964

di grande cultura, ed evidentemente di grandissimo senso critico. Quel senso critico, appunto, che fra 1'altro gli ha guadagnato 1'attenzione di tutti gli scienziati quando egli, solitario, ha dimostrato le debolezze di certa metodologia statistica anglosassone di quasi universale e troppo disin- volta applicazione.

La sua difesa della schiavitù, invero una difesa assai condizionata e non incompatibile con lilla certa dose di umanitarismo e perfino di progressismo (a tempo e luogo), è in un articolo pubblicato sul numero del gennaio 1962

della «Rivista di politica economica». Se ne ricordino

gli .even~uali compilatori di una auspicabile antologia

reazIOnana.

GIULIO R:rZONA

4. LA STRADA REAZIONARIA.

Son tornato al « paese» e vi son tornato per la « strada nuova ».

Dicendo « paese» intendo riferirrni a quello che per me è il paese per antonomasia: il luogo natìo di mio padre e dove continuò a vi vere sino all' età di novant'anni la nOlIDa. Esso è sempre stato per me il paese per eccellenza, nel doppio senso di contrada di origine della famiglia ed in quello di borgo del contado, di strapaese, in contrap- posizione ai centri urbani cittadini ed a quelli che tendono ad essere tali. Il paese contava, quando io ero ragazzo, duemila abitanti, e dei duemila almeno i quattro quinti lavoravan la terra. Al di fuori dei contadini, pochissimi i cosÌ detti borghesi, non più di due o tre bottegai e due o tre artigiani. La vita correva seguendo il cadenzato ritmo naturale delle stagioni e delle ore del giorno, cosÌ come è - o per lo meno era - la vita degli uomini legati alla terra e al calendario meteorologico che comanda alla terra.

La « strada nuova» non è oggi affatto tale perchè risale a quasi quarant'anni fa; ma per i vecchi del paese - che sanno additarvi tra i campi le tracce quasi scomparse

della vecchia via - si chiama ancora strada nuova. Parte 29

(36)

LE STAGIONI

dal capoluogo di mandamento, si snoda in una serie di curve e contro curve seguendo una valletta sino ad un plmto in cui si sdoppia, per proseguire da una parte verso altri centri collinari e per salire dall' altra ripida, a tornanti, sino al mio paese.

La ripercorro, dopo qualche almo di assenza, con la mente affollata di ricordi.

Pochi chilometri di strada, che sono stati in costruzione per non meno di un decennio e in progetto per forse venti o trent'anni.

Giunto alla biforcazione ed abbordata la salita finale, non posso non pensare alle discussioni che si fecero sul tracciato della strada. I progetti erano due. Uno portava la strada in alto sin dai primi chilometri, la faceva attra- versare il centro dell' abitato per poi proseguire diretta- mente per quegli altri paesi delle colline. L'altro, che è quello realizzato, teneva tutta la strada molto più in basso e per raggilmgere il nostro paese imponeva una dirama- zione che si arrampicasse dal fondo valle al clùrnine del colle.

Per la scelta dei due progetti si formarono quasi due partiti - quello dei progressisti e quello dei retrogradi - , capeggiati il primo dalla mia nOlma (che fu una d01l1la battagliera, per molti alllli grande elettrice, anche politica, della zona), il secondo dal parroco (che mia nonna giudi- cava un sant'uomo, ma troppo vecchio per capire certe esigenze nuove). I progressisti pensavano di evitare 1'arram- picata finale ai carri ed alle carrozze, e facevano progetti d'oro intorno all' avvenire di un paese attraversato nel suo centro da una strada che, prolungando si ben oltre il paese stesso, avrebbe promesso di divenire un non trascurabile canale di traffico commerciale. I retrogradi, vecchio parroco in testa, temevano che la strada attraverso il paese divenisse un veicolo di disturbo e di corruzione:

zirtgari, vagabondi, ubriachi e chi sa quali altri temibili soggetti sarebbero arrivati, dritti dritti, in centro all' abitato, e stridor di ruote, schioccar di fruste e di bestemmie avrebbero turbata la pace agreste di quel remoto angolo 30 di mondo i cui abitanti eran soliti andare a dormire

Riferimenti

Documenti correlati

Il profilatore è stato progettato per essere utilizzato anche su piccole imbarcazioni con spazio limitato della piattaforma (ad esempio, gommoni), e senza avere un’alimentazione

081-5833310 e-mail: scienzasocieta@szn.it Per ulteriori informazioni visitate il

Il binomio naturale-artificiale è stato alla base delle indagini di filosofia e sociologia fin dalle loro origini ed i limiti fra natura e artificio sono stati stabiliti

Molte delle materie plastiche sono impiegate nella produzione dei cosiddetti materiali compositi nei quali il materiale rinforzante, di solito fibre di vetro o di carbonio,

In più si potrebbe dire che se la diversità del parametro d’urto (e del valore della velocità dei singoli elettroni) contribuisce ad avere una banda larga delle tracce degli

Tuttavia la loro produttività è nettamente inferiore rispetto a quella degli scuotitori; inoltre l’utilizzo di queste macchine, oltre a provocare una notevole defogliazione

Inoltre, l’impegno del melancolico Democrito nell’indagine sulle cause della follia 47 , va incontro a quella idea del valore terapeutico della filosofia e della

Il contributo vuole presentare una serie di riflessioni sul tema dei beni digitali architettonici, con riferimento all’applicazione dei principi della “Carta di Londra” al