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dell’infrasedicenne

Art. 250 c.c. 5° comma

«Il riconoscimento non può essere fatto dai genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, salvo che il giudice li autorizzi, valutate le circostanze ed avuto riguardo all’interesse del figlio».

L’articolo in esame è stato oggetto di integrazione da parte della legge 219/2012, che ha aggiunto all’originaria formulazione della norma l’inciso «salvo che il giudice li autorizzi, valutate le circostanze ed avuto riguardo all’interesse del figlio», originariamente non previsto. La ratio dell’intervento è ravvisabile sia nel fine di responsabilizzare i genitori, anche se giovanissimi, sia nel ridurre la durata del periodo nel quale il figlio non era

Le circostanze rilevanti, ai fini dell’autorizzazione, sono:

1. L’età anagrafica del minore 2. La sua maturità psico-fisica 3. L’ambiente familiare

4. L’idoneità dell’ambiente familiare a supportare il genitore infrasedicenne ed a sostenerlo nell’assunzione delle sue responsabilità.

La norma dell’art. 250 comma 5° c.c. deve essere coordinata con l’art. 11 della L. 184/1983 (Diritto del minore ad avere una famiglia), che, al comma 3°, si riferisce al rinvio della procedura di immediata dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, quando non è riconoscibile per difetto di età del genitore.

In tal caso, la procedura è rinviata fino al sedicesimo anno di età del genitore, purché il nato sia assistito dal genitore o dai parenti sino al quarto grado, permanendo, comunque, in questo caso, il rapporto col genitore.

Al compimento del sedicesimo anno di età, il genitore può richiedere un ulteriore sospensione della procedura per altri due mesi.

La medesima sospensione per ulteriori due mesi può essere chiesta anche dal genitore che sia già stato autorizzato al riconoscimento prima del compimento del sedicesimo anno di età.

Se il Tribunale sospende la procedura, nomina, ove necessario un tutore provvisorio. Se, nei termini, viene effettuato il riconoscimento, la procedura per la dichiarazione dello stato di adottabilità, se non sussiste abbondono morale e materiale, viene dichiarata chiusa.

Al contrario, se non si procede al riconoscimento, il Tribunale per i minorenni, senza altra formalità, provvede a dichiarare lo stato di adottabilità.

Intervenuta la dichiarazione di adottabilità, il riconoscimento è privo di effetti. L’eventuale giudizio per la dichiarazione di paternità e maternità è sospeso di diritto, estinguendosi in seguito al passaggio in giudicato della pronuncia di adozione.

L’art. 250 5° comma c.c. attribuisce la competenza a concedere l’autorizzazione al «giudice», senza specificare se si tratti di Giudice ordinario o Tribunale per i minorenni.

L’autorizzazione al riconoscimento dell’infrasedicenne, tuttavia, non è materia che l’art. 38 disp. att. cod. civ., come novellato dall’art. 3 L.219/2012, attribuisce alla competenza del Tribunale per i minorenni, sebbene, a tal proposito, potrebbe essere fuorviante l’espresso richiamo, ad opera proprio dell’art. 38 disp. att. cod. civ., all’art. 251 c.c., che regola l’autorizzazione al riconoscimento dei figli incestuosi, che, al contrario, compete al Tribunale per i minorenni. Con l’ordinanza n. 16103 del 29 luglio 2015, la Corte di Cassazione ha enunciato il principio di diritto applicabile alla fattispecie:

«l provvedimenti di cui all'art. 250 c.c., non sono più, pertanto, di competenza del giudice specializzato, senza che possa farsi eccezione per quello previsto dal comma 5: deve infatti escludersi che l'(anch'esso novellato) art. 251 c.c., che subordina all’autorizzazione del giudice il riconoscimento del figlio nato da persone fra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta o all'infinito, detti nell'ultimo periodo (secondo cui "il riconoscimento di una persona minore di età è autorizzato dal tribunale per i minorenni") una disposizione di carattere generale valevole anche per il riconoscimento del figlio nato da genitore non ancora sedicenne.

Va in primo luogo rilevato, sul piano sistematico, che v'è una chiara differenziazione fra le due ipotesi contemplate dalle norme in esame.

Attribuendo al tribunale ordinario la competenza a provvedere sulla domanda proposta ai sensi dell'art. 250 c.c., di riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio, ancorchè minori, la L. n. 219 del 2012, ha infatti inteso sottolineare la necessità di rimuovere ogni discriminazione ancora esistente fra figli naturali e figli legittimi, dovendosi tutelare l'interesse dei figli in quanto tali - e in quanto unici titolari della posizione giuridica protetta - a conseguire il proprio status e la propria identità biologica, quali diritti soggettivi della personalità riconosciutigli dalla Costituzione italiana e dalle fonti sovranazionali. Ebbene, non pare dubbio che al medesimo intento risponda la previsione contenuta nel modificato ultimo comma dell'articolo che, nell'ammettere - previa autorizzazione del giudice - il riconoscimento anche da parte del genitore non ancora sedicenne (in precedenza non consentito), evidenzia come le

esigenze di tutela di quest'ultimo non possano più ritenersi prevalenti rispetto a quelle del figlio.

Per la fattispecie di cui all'art. 251 c.c. è stata invece dettata una specifica disciplina, che stabilisce, da un lato, che il riconoscimento, quale che sia l'età del genitore richiedente, possa essere effettuato solo previa autorizzazione del giudice e prevede, dall'altro, che il provvedimento venga emesso avuto riguardo all'interesse del figlio posto in stretta correlazione con la necessità di evitargli qualsiasi pregiudizio: deve allora ritenersi che, con esclusivo riferimento a tale ipotesi, il legislatore abbia previsto la possibilità che il diritto allo status filiationis ceda a fronte del diritto alla protezione ed alla salvaguardia del figlio nato da una relazione incestuosa, in ragione della situazione, particolarmente delicata, in cui egli versa.

La peculiarità della posizione del figlio nato da persone legate da un vincolo di parentela giustifica, in definitiva, la scelta di attribuire al tribunale specializzato (a composizione mista ed anche per questo maggiormente attrezzato allo svolgimento di indagini che richiedono l'integrazione di saperi squisitamente giuridici con quelli propri delle discipline socio-psicologiche) a provvedere sulla domanda di autorizzazione al riconoscimento del minore proposta ai sensi dell'art. 251 c.c.. Va peraltro verso osservato, sul piano meramente esegetico, che l'attuale testo dell'art. 38 disp. att. c.c., così come ulteriormente modificato dal D.Lgs. n. 154 del 2013, attribuisce espressamente al giudice minorile la competenza per il provvedimento autorizzativo di cui all'art. 251 c.c., ma non per quello previsto dall'art. 250, u.c..

La competenza territoriale è del tribunale del luogo in cui il minore risiede abitualmente.

Stabilita la competenza del tribunale ordinario, occorre verificare, nel silenzio della legge, se essa spetti al giudice tutelare o al tribunale in composizione collegiale. Sul punto si registra un’isolata decisione del Tribunale di Catanzaro del 5 marzo 2013, secondo cui la competenza andrebbe attribuita al giudice tutelare sul rilievo che l’autorizzazione, atto tipico di quel magistrato, avrebbe solo la funzione di rimuovere un limite posto dall’ordinamento nei confronti di un soggetto, superando, in tal modo, la presunzione di incapacità del minore infrasedicenne. Inoltre, tale scelta valorizzerebbe la posizione centrale assunta dal Giudice Tutelare in tema di protezione dei minori di età e delle persone incapaci, tanto nel codice civile che nelle leggi

In realtà, venuta meno la competenza del TM a seguito della modifica apportata dall’art. 38 disp. att. cod. civ., trattandosi di procedimenti in materia di famiglia, la competenza è sicuramente del Tribunale in composizione collegiale.

Il procedimento non ha natura contenziosa e rientra nelle procedure di volontaria giurisdizione; inizia con ricorso e prevede la partecipazione necessaria del pubblico ministero. La decisione è assunta con decreto, reclamabile in Corte d’appello. Il provvedimento emesso dal giudice di secondo grado, essendo revocabile e modificabile, non è ricorribile in Cassazione.

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La legittimazione attiva

Il riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio è atto personalissimo, per cui può essere compiuto solo dal genitore, ritenendosi inammissibile ogni forma di sostituzione o di rappresentanza.

Bisogna, tuttavia, distinguere la legittimazione sostanziale al riconoscimento dalla legittimazione processuale alla richiesta di autorizzazione giudiziale al riconoscimento.

Secondo il Tribunale di Milano, che si è pronunciato con provvedimento del 2 dicembre 2013 «In materia di riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio, in caso di minore di anni sedici, l’autorizzazione va richiesta dal genitore interessato che gode di legittimazione attiva».

Il ragionamento del Tribunale di Milano prende le mosse dal divieto di sostituzione processuale, salvo casi eccezionali previsti dalla legge, di cui all’art. 81 c.p.c., rapportandolo, principalmente, agli atti personalissimi, in cui, in linea di principio, risulta perfino inammissibile una rappresentanza sostitutiva. In materia di riconoscimento, l’atto giuridico tipizzato dall’art. 254 cc (atto di nascita o apposita dichiarazione resa davanti all’ufficiale di stato civile o contenuta in un atto pubblico o in un testamento) può essere compiuto direttamente e personalmente da chi riconosce. L’art. 250 c.c. comma quinto non muta assolutamente la struttura morfologica dell’istituto, ma introduce l’autorizzazione giudiziale per il caso in cui il genitore non abbia ancora compiuto il sedicesimo anno

Già con decreto del 17 aprile 2013, il tribunale di Milano aveva precisato che « Il procedimento ex art. 250, comma V, c.c. non è diretto ad accertare né la paternità del neonato, né l’idoneità della ricorrente a validamente occuparsi della cura, della crescita e dell’educazione del piccolo, bensì solo a verificare se possa la madre procedere a quel riconoscimento che, comunque, costituirebbe un suo diritto, laddove ella avesse già compiuto il sedicesimo anno di età». Il giudice, pertanto, giunge alla considerazione che l’autorizzazione va richiesta direttamente dal genitore (infrasedicenne), al cui impulso ed alla cui volontà resta affidato. Non lascia neanche spazio ad una legittimazione attiva dei servizi sociali, precisando che questi, semmai, potranno attivarsi per un intervento dell’Autorità competente, in caso di situazioni che richiedano una presa in carico o l’intervento

Non è apparsa dello stesso avviso la Corte di Cassazione, almeno così si deduce dall’ordinanza 16103/2015, già citata in questo lavoro, in cui il ricorso introduttivo era stato presentato proprio dai genitori dell’infrasedicenne, in qualità di genitori, senza che in motivazione sia stato mosso alcun rilievo al riguardo.

La questione, quindi, è ancora molto controversa, come è dubbio se occorra nominare un curatore speciale quando l’azione è esercitata dai genitori, con i quali è ravvisabile un conflitto di interessi.

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