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DELLE BEVANDE*

Nel documento La Fisiologia del gusto (pagine 140-168)

67. - DEFINIZIONE

Si deve intendere per bevanda ogni liquido che possa mescolarsi ai nostri alimenti.

Sembra che l’acqua sia la bevanda più naturale. Essa si trova dappertutto ove esistono degli animali, essa so­ stituisce il latte per gli adulti e ci è necessaria quan­ to l’aria.

68. - L’ACQUA

L’acqua è la sola bevanda che spegne veramente la sete e appunto per questo non se ne può bere che una quantità assai piccola. La maggior parte degli altri li­ quidi di cui l’uomo si abbevera sono soltanto dei pallia­ tivi e se ci fossimo limitati all’acqua, di essa non si sa­ rebbe mai detto che uno dei privilegi dell’uomo è quello di bere senz’aver sete.

69. - PRONTO EFFETTO DELLE BEVANDE Le bevande si assorbono nell'economia animale con una grandissima facilità; il loro effetto è pronto e il sollievo che se ne ricava è quasi istantaneo. Offrite a un uomo affaticato i cibi più sostanziosi; egli ne mangerà appena e da principio ne avrà ben poco conforto. Date­ * Questo capitolo è strettamente filosofico. I particolari delle varie bevande non potevano entrare nel piano che mi sono prefisso: non avrei finito più.

gli un bicchier di vino o d’acquavite: subito si sentirà meglio e lo vedrete rinascere.

Posso fondare questa teoria su un fatto abbastanza notevole che ho saputo da mio nipote, il colonnello Gui- gard, uomo poco avvezzo a raccontare, ma sulla cui ve­ racità non c’è dubbio.

Egli comandava un reparto che tornava dall’asse­ dio di Giaffa ed era lontano solo poche centinaia di te­ se dal luogo ove i suoi uomini dovevano fermarsi e tro­ vare dell’acqua, quando si videro in terra i corpi di al­ cuni soldati che dovevano precederli in una giornata di marcia e che erano morti di caldo.

Tra le vittime di quel clima ardente c’era un carabi­ niere che molti di quel distaccamento conoscevano.

Doveva esser morto da più di ventiquattr’ore, il sole, che l’aveva colpito tutta la giornata, gli aveva fatto il viso nero come un corvo.

Alcuni compagni gli si avvicinarono, sia per vederlo un’ultima volta, sia per ereditar da lui, dato che avesse posseduto qualcosa, e si meravigliarono vedendo che le sue membra erano ancora flessibili e che c’era ancora un po’ di calore nella regione del cuore.

« Dategli una goccia di zozza », disse il buffone della compagnia: « vi garantisco che se non s’è ancora molto inoltrato nell’altro mondo, tornerà indietro per gustarla ».

Infatti, alla prima cucchiaiata del liquore il morto aprì gli occhi: fu una commozione generale: gli furono stro­ finate le tempie, gli diedero ancora un po’ di liquore e dopo un quarto d’ora, egli, con un po’ d’aiuto, potè es­ sere sollevato e messo su un asino.

Fu condotto così alla fontana: fu assistito durante la notte, gli fecero mangiare dei datteri, lo nutrirono con precauzione e il giorno dopo, risalito su un asino, giunse al Cairo con gli altri.

70. - BEVANDE FORTI

Una cosa degna d’attenzione è quella specie d’istinto, generale quanto impetuoso, che ci spinge alla ricerca delle bevande forti.

Il vino, la più gradevole delle bevande, sia che si deb­ ba a Noè il quale piantò la vigna, sia che si debba a

Bacco che per primo spremette il sugo del grappolo, da­ ta dall’infanzia del mondo; e la birra, che viene attribui­ ta a Osiride, risale ai tempi al di là dei quali non v’è nulla di certo.

Tutti gli uomini, anche quelli che si è convenuto di chiamare selvaggi, sono stati così fortemente tormentati dalla bramosia delle bevande forti, che sono riusciti a procurarsene per quanto limitate fossero le loro cogni­ zioni.

Essi hanno fatto inacidire il latte dei loro animali do­ mestici, hanno estratto il sugo di parecchi frutti, di pa­ recchie radici in cui sospettavano esserci gli elementi della fermentazione, e dappertutto ove si sono conosciuti uomini viventi in società essi si sono trovati provvisti di liquori forti dei quali facevano uso nei banchetti, nei sa­ crifizi, nei matrimoni, nei funerali, insomma in tutto ciò che tra loro avesse qualche aria di festa e di solennità.

Si è bevuto il vino per secoli e secoli, prima d’imma­ ginare che fosse possibile estrarne la parte spiritosa che ne fa la forza: ma da quando gli Arabi ci insegnarono l’arte della distillazione, ch’essi avevano inventata per estrarre il profumo dai fiori e soprattutto dalla rosa tan­ to celebrata nei loro scritti, si cominciò a credere che fosse possibile scoprire nei vino la causa dell’esaltazio­ ne di sapore che dà al gusto un eccitamento così parti­ colare, e, di tentativo in tentativo, si scoprirono l’alcole, lo spirito di vino, l’acquavite.

L’alcole è il re dei liquidi e porta al grado supremo la esaltazione del palato: le sue diverse preparazioni han­ no aperto nuove fonti di gioia * : dà a certe medicine un’energia che non avrebbero avuta senza quest’interme­ diario **: è esso stesso divenuto, nelle nostre mani, un’ar­ ma formidabile, perché le nazioni del nuovo mondo sono state quasi tutte domate e distrutte con l’acquavite quan­ to con le armi da fuoco.

Il metodo che ci ha fatto scoprire l’alcole ha anche condotto ad altri risultati importanti, perché, consisten­ do esso nel separare e mettere a nudo le particelle che costituiscono un corpo e lo distinguono da tutti gli altri, è dovuto servir di modello a coloro che si sono dedicati

• I liquori da tavola. »♦ Gli elisirl.

a ricerche analoghe e che ci hanno fatto conoscere so­ stanze del tutto nuove, come la china, la morfina, la stricnina e altre simili scoperte o da scoprire.

Comunque sia, questa sete di un liquido che la natura aveva avvolto di veli, questa bramosia straordinaria che agisce su tutte le razze umane, sotto ogni clima e ogni temperatura, è ben degna di fermare l’attenzione dell’os­ servatore filosofo.

Io vi ho pensato come altri e avrei voglia di mettere il desiderio dei liquidi fermentati, ignoto agli animali, accanto alla preoccupazione dell’avvenire, che è altret­ tanto aliena da essi, e di considerare l’uno e l’altra come caratteristiche del capolavoro dell’ultima rivoluzio­ ne sublunare.

71. - L’ULTIMA RIVOLUZIONE SUBLUNARE Ho detto « l’ultima rivoluzione sublunare » e questo pensiero, espresso così, mi ha trascinato lontano, molto lontano.

Monumenti di sicura autenticità c’insegnano che il no­ stro globo ha già provato molti mutamenti assoluti che sono stati tante fini del mondo; e un certo indefinibile istinto ci avverte che altre rivoluzioni debbono ancora avvenire.

Già più volte si è creduto che tali rivoluzioni fossero vicine,. e molte brave persone andavano a confessarsi per timore della cometa acquosa predetta dal buon Giro­ lamo Lalande.

Secondo quel che è stato detto sull’argomento, tutto è stato disposto per circondare questa catastrofe di ven­ dette, di angeli sterminatori, di trombe e di altri acces­ sori non meno terribili.

Ahimè, non occorre tanto fracasso per distruggere noi: non meritiamo tanta solennità: e se la volontà del Si­ gnore è tale, Egli può cambiare la superficie del globo senza tanto apparato.

Supponiamo, per esempio, che uno di quegli astri er­ ranti dei quali nessuno conosce il corso né la missione e l’apparire dei quali è sempre stato accompagnato da un tradizionale terrore, supponiamo, dico, che una cometa passi abbastanza vicino al sole per caricarsi di un ecces­ sivo calorico e si avvicini abbastanza a noi per produr­ re sulla terra sei mesi di uno stato generale di 60 gradi Réaumur * (una volta più caldo di quello della cometa del 1811).

Alla fine di tale stagione funesta, tutto ciò che vive o vegeta sarà perito, tutti i rumori saranno cessati: la terra rotolerà silenziosa finché altre circostanze non ab­ biano sviluppato altri germi; ciò non ostante, la causa di tale disastro sarà rimasta sperduta nei vasti campi dell’aria e sarà stata lontana da noi di molti milioni di leghe.

Quest’avvenimento, possibile quanto un altro, mi è sempre parso un bell’argomento di fantasticheria e non ho esitato un momento a svolgerlo.

È curioso seguire con la mente questo calore sempre più forte, prevederne gli effetti, lo sviluppo, l’azione e domandarsi: « Che cosa ci sarà nel primo giorno, nel secondo e via di séguito fino all’ultimo? ».

Quale influsso avrà nell’aria, sulla terra, sull’acqua, sul formarsi, il mescolarsi, l’esplodere dei gas?

Quale sugli uomini considerati in rapporto all’età, al sesso, alla forza, alla debolezza?

Quale sulla subordinazione alle leggi, la sottomissione all’autorità, il rispetto delle persone e dei beni?

Quale sui mezzi da cercare o i tentativi da fare per sfuggire al pericolo?

Quale sui vincoli d’amore, d’amicizia, di parentela, sul­ l’egoismo, la devozione?

Quale sul sentimento religioso, la fede, la rassegnazio­ ne, la speranza, ecc. ecc.?

La storia potrà fornire alcuni dati sugl’influssi morali, perché già molte volte la fine del mondo è stata predetta e n’è stato anche determinato il giorno.

Mi dispiace sinceramente dì non poter dire ai lettori come ho regolato tutto ciò per conto mio secondo il mio senso, ma non voglio privarli del piacere di pensarci da loro. Ciò può abbreviare loro qualche insonnia durante la notte e preparare qualche pisolino durante il giorno.

Il grave pericolo scioglie ogni legame. Durante la grande febbre gialla che funestò Filadelfia verso il 1792, si videro dei mariti chiudere alle mogli la porta della casa coniugale; figli abbandonare il padre e altri feno­ meni simili in gran numero.

Quod a nobis Deus avertat *!

72. - CHE COS’È IL BUONGUSTO

Ho scorso i dizionari alla parola buongusto e non so­ no rimasto per niente soddisfatto di quello che vi ho trovato. C’è sempre una gran confusione fra il buongu­ sto propriamente detto e la ghiottoneria e la voracità. Ho concluso perciò che i lessicografi, quantunque rispet­ tabili per tutto il resto, non sono di quegli amabili scien­ ziati i quali si mettono in bocca con grazia un’ala di per­ nice per poi inaffiarla, col mìgnolo in aria, d’un bicchie­ re di vino di Laffitte o del Clos-Vougeot.

Essi hanno dimenticato, completamente dimenticato il buongusto sociale, che riunisce l’eleganza ateniese, il lusso romano e la delicatezza francese, che dispone con sagacia, fa eseguire con sapienza, assapora con forza e giudica con profondità: qualità preziosa che potrebbe anche essere una virtù e che per lo meno è certamente la fonte dei nostri godimenti più puri.

73. - DEFINIZIONI Definiamo dunque e intendiamoci.

Il buongusto è una preferenza appassionata, ragionata e abituale per gli oggetti che lusingano il gusto. *

* [Nell’originale: gourmandise, che è come dire il buongusto a tavola. Non accogliendo il consiglio dato dall’Autore alla fine della Meditazione, si è qui preferito tradurre la locuzione fran­ cese che, nell’impiego fuori del paese originale, ha assunto piut­ tosto il senso, derivato, di « avidità di buoni piatti ed eccesso nel mangiarli », che non è nell’intenzione dello scrittore].

Il buongusto è nemico degli eccessi: ogni uomo che fa indigestione e si ubriaca merita l’espulsione.

Il buongusto comprende anche la ghiottoneria che è la stessa preferenza applicata ai cibi leggeri, delicati, di poco volume, alle confetture, ai pasticcini, ecc. È una mo­ dificazione introdotta in favore delle donne e degli uomi­ ni che alle donne somigliano.

Da qualunque lato si consideri, il buon gusto non me­ rita che lode e incoraggiamento.

Dal lato fisico, è il risultato e la prova della condizio­ ne sana e perfetta degli organi della nutrizione.

Dal lato morale, è l’implicita rassegnazione agli ordi­ ni del Creatore, che, avendoci comandato di mangiare per vivere, c’invita a ciò per mezzo dell’appetito, ci so­ stiene col sapore e ce ne ricompensa col piacere.

74. - VANTAGGI DEL BUONGUSTO

Nei riguardi dell’economia politica il buongusto è il tratto comune che unisce i popoli per mezzo dello scam­ bio reciproco degli oggetti che servono al consumo gior­ naliero.

Esso fa viaggiare dall’uno all’altro polo i vini, le ac­ quaviti, gli zuccheri, le droghe, le conserve, i salumi, le provviste d’ogni genere e perfino le uova e i meloni.

Esso dà un prezzo proporzionato alle cose che sono mediocri, buone o eccellenti, sia che tali qualità derivino loro dall’arte, sia che esse le abbiano ricevute dalla na­ tura.

Esso sostiene la speranza e l’emulazione di una folla di pescatori, cacciatori, orticultori ed altri i quali em­ piono giornalmente le dispense più sontuose col prodot­ to del loro lavoro e delle loro ricerche.

Esso finalmente dà da vivere alla moltitudine indu­ striosa dei cuochi, pasticcieri, confettieri ed altri prepa­ ratori sotto vari nomi, i quali, alla lor volta, impiegano per l’opera loro altri operai d’ogni genere; cosa che pro­ duce in ogni luogo, in ogni tempo e continuamente, una circolazione di denaro di cui neppure la mente più eser­ citata può calcolare il movimento né definir l’ammontare. E notiamo bene che l’industria che ha per oggetto il buongusto offre tanto maggior vantaggio in quanto si

fonda, da una parte, sulle più grandi fortune, e dall’al­ tra sui bisogni che rinascono ogni giorno.

In una società progredita come quella d’oggi, è diffici­ le immaginare un popolo che viva soltanto di pane e le­ gumi. Tale nazione, se esistesse, sarebbe immancabil­ mente soggiogata dagli eserciti carnivori come è accadu­ to agl’indiani, i quali sono stati via via la preda di tut­ ti quelli che hanno voluto assalirli; oppure sarebbe con­ vertita alla cucina dei suoi vicini, come un tempo i Beo­ ti, i quali divennero buongustai dopo la battaglia di Leuttra.

75. - CONTINUAZIONE

Il buongusto offre grandi risorse al fisco: alimenta i dazi, le dogane, le imposte dirette. Tutto ciò che consu­ miamo paga tributo e non v’è pubblico tesoro di cui i buongustai non siano il più forte sostegno.

Dobbiamo dire anche di quello sciame di preparatori i quali, da molti secoli, escono ogni anno dalla Francia per raccogliere le ghiottonerie esotiche?

La maggior parte di costoro fa fortuna e seguendo poi un istinto che non muore mai nel cuore dei Francesi, manda in patria il frutto della propria economia; tale contributo è più considerevole che non si creda e quegli uomini avranno, come gli altri, un albero genealogico.

Ma se i popoli fossero riconoscenti, chi più dei Fran­ cesi avrebbe dovuto innalzare al buongusto templi ed altari?

76. - POTENZA DEL BUONGUSTO

Nel 1815, il trattato di novembre impose alla Francia l’ordine di pagare agli alleati settecentocinquanta milio­ ni entro tre anni.

A tale onere si aggiunse quello di far fronte ai recla­ mi particolari degli abitanti dei vari paesi, di cui i so­ vrani riuniti avevano regolato gli interessi, ammontan­ ti a più di 300 milioni.

Bisogna finalmente aggiungere a tutto questo le re­ quisizioni d’ogni genere fatte in natura dai generali ne­ mici, che ne caricavano continuamente dei carri facen­

doli andare alle frontiere e che il tesoro pubblico dovet­ te pagare più tardi: in tutto più di 1500 milioni.

Si poteva, anzi si doveva credere, che pagamenti così forti e che si facevano da un giorno all’altro in contan­ ti, dovessero recare al Tesoro l’imbarazzo, il deprezza­ mento di tutti i yalori nominali e per conseguenza tutti i guai che minacciano un paese che non ha denaro, né i mezzi per procurarselo.

« Ahimè! », dicevano i ben pensanti vedendo passare il fatale carrettone che andava a riempirsi in via Vi- vienne; « ahimè, il nostro denaro emigra in massa: l’an­ no venturo ci dovremo inginocchiare davanti a uno scu­ do: stiamo precipitando nella pietosa condizione di un uomo rovinato: tutte le imprese naufragheranno: non troveremo più un soldo in prestito; vi sarà consunzione, marasma, morte civile ».

I fatti smentirono queste paure; e, con grande mera­ viglia di tutti coloro che si occupavano di finanze, i pa­ gamenti avvennero agevolmente, il credito aumentò, tut­ ti si gettarono avidamente a sottoscrivere i prestiti, e per tutto il tempo che durò questo supersalasso, il cor­ so del cambio, misura infallibile della circolazione mone­ taria, fu a nostro favore: avemmo cioè la prova numerica che in Francia entrava più denaro di quanto ne uscisse.

Quale fu la potenza che venne in nostro aiuto? Quale divinità operò il miracolo? Il buongusto.

Quando i Bretoni, i Germani, i Teutoni, i Cimmeri e gli Sciti irruppero in Francia, vi portarono una vora­ cità rara e stomachi di non comune capacità.

Essi non si contentarono a lungo della mensa ufficiale che era loro offerta da un’ospitalità forzata; aspira­ vano a godimenti più raffinati: e presto la città di­ venne un immenso refettorio. Mangiavano, quegl’intru­ si, nei ristoranti, nelle trattorie, nelle bettole, nelle ta­ verne, nelle cantine e perfino per la strada.

S’impippiavano di carne, di pesci e di selvaggina, di tartufi, di dolci e soprattutto della nostra frutta.

Bevevano con un’avidità eguale al loro appetito e chie­ devano sempre i vini più costosi, sperando di trovarvi godimenti inauditi, che poi si stupivano di non sentire.

Gli osservatori superficiali non sapevano che pensare di quella pappatoria senza fine, ma i veri Francesi ride­ vano e si stropicciavan le mani dicendo: « Eccoli stregati!

E stasera avranno reso più scudi di quanti il pubblico Tesoro non ne ha dati loro stamane ».

Quell’epoca fu favorevole a coloro che fornivano ma­ teria ai piaceri del gusto. Yery finì di arricchirsi; Achard incominciò il patrimonio; Beauvilliers ne mise insieme un terzo; e la signora Sullot, il cui negozio a Palazzo Reale misurava meno di due tese quadrate, vendette fino a dodicimila pasticcini al giorno *.

L’effetto dura ancora: gli stranieri affluiscono da ogni parte d’Europa per rinnovare, durante la pace, le dolci abitudini da essi contratte durante la guerra: bisogna che vengano a Parigi e quando ci sono, bisogna che fac­ ciano ribotte a qualunque prezzo. E se i nostri titoli di Stato valgono qualcosa, ciò non si deve tanto all’in­ teresse vantaggioso che offrono quanto alla istintiva fi­ ducia che non si può far a meno di avere in un popolo presso il quale i buongustai sono felici **.

77. - RITRATTO DI UNA BELLA BUONGUSTAIA Il buongusto non disdice affatto alle donne; esso con­ viene alla delicatezza dei loro organi e le compensa di alcuni piaceri dei quali debbono privarsi e di alcuni malanni ai quali la natura sembra averle condannate.

'Non c’è nulla di più grazioso a vedere che una bel­ la buongustaia in armi: il suo tovagliolo è messo con garbo: una delle mani è posata sulla tavola, l’altra fa viaggiare verso la bocca bocconcini elegantemente tagliati, o l’ala di pernice che bisogna mordere: i suoi occhi brillano, le labbra sono umide, la conversazione è piacevole, tutti i movimenti gentili: ella non manca di quella sfumatura di civetteria che le donne mettono in ogni cosa: e perfino Catone il censore si lascerebbe commuovere.

• Quando l’esercito invasore passò in Champagne, portò via seicentomila bottiglie di vino dalle cantine del signor MoSt, di Epernay, famoso per la bellezza appunto delle sue cantine. Egli si consolò della enorme perdita quando vide che i sac­ cheggiatori ne serbavano il ricordo, e che le ordinazioni che ri­ ceveva dal Nord, da allora in poi, furono più che raddoppiate. ** I calcoli sui quali si fonda quest’articolo mi sono stati forniti dal signor M. B., aspirante gastronomo a cui non man­ cano i titoli per riuscire, perché è finanziere e musicista.

78. - ANEDDOTO Ma qui c’è un ricordo amaro per me.

Un giorno me ne stavo comodamente seduto a tavola a fianco della bella signora M...d, e mi rallegravo den­ tro di me di tanta fortuna, quando ella, voltandosi a un tratto verso di me, mi disse: « Alla vostra salute! ». Io subito cominciai una frase di ringraziamento, ma non

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