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Derniers remords avant l’oubli: il ritorno alla tradizione Un dramma

Nel documento LA DRAMMATURGIA DI JEAN-LUC LAGARCE (pagine 189-200)

3. L’Intimo e il Mondo

3.6 Derniers remords avant l’oubli: il ritorno alla tradizione Un dramma

Nell’opera drammatica lagarciana, questa pièce491

rappresenta un momento di evoluzione ben preciso. Dopo gli anni di sperimentalismo, di riscritture ‘assurdiste’, e di alcune pièces drammaturgicamente già mature nella loro complessità, come abbiamo visto, questa del 1987 costituisce una sorta di ritorno, o meglio di ingresso lagarciano in una costruzione più tradizionale del testo drammaturgico. Tale ingresso nella tradizione si identifica con il recupero di alcune convenzioni a metà strada tra le unità aristoteliche classiche, il dramma borghese settecentesco e il dramma ottocentesco autobiografico sul modello strinberghiano e cecoviano. Allo stesso tempo nella pièce, si afferma in modo esemplare e sempre più decisivo quella poetica della difficoltà ad esprimersi e della comunicazione sempre fallace, in cui cadono i personaggi lagarciani, e che attraversa una grossa parte dell’opera del drammaturgo.

Il plot potrebbe essere così riassunto: un trio di amici di lunga data, due uomini e una donna, Pierre, Paul e Hélène, decidono di ritrovarsi nella casa in cui hanno vissuto insieme alcuni anni prima, e dove adesso abita, da solo, Pierre. Gli altri due si presentano con i rispettivi coniugi, Anne e Antoine. Quest’ultimo e Hélène arrivano con la figlia diciassettenne, Lise. Il motivo dell’incontro, come si chiarisce durante il corso dell’azione, sarebbe quello di fare il punto della situazione sulla proprietà che i tre amici dividono. Hélène ne propone la vendita per un presunto bisogno economico, successivamente smentito da lei stessa. La faccenda della proprietà si rivela in fondo solo un pretesto per rivedersi, fare un bilancio del passato e delle proprie vite. La pièce termina con la constatazione amara delle illusioni fallite e del sentimento di repulsione che domina ormai i loro rapporti.

Se il contenuto della trama, come ho tentato di riferire, rinvia ad un contesto temporale e spaziale ben preciso, il bellissimo titolo della pièce riconduce la visione del testo ad una dimensione, a mio avviso, universale e poetica. L’azione, che vede i protagonisti fare i conti con il proprio passato, scoprirsi cambiati

491

Parte dei contentuti di questo paragrafo sono stati pubblicati in un articolo sulla rivista online www.drammaturgia.it nel 2011. Cfr. C. Fossi, Derniers remords avant l’oubli di Jean-Luc Lagarce in http://www.drammaturgia.it/saggi/saggio.php?id=5149.

durante gli anni, incapaci di amarsi e di comunicare come un tempo, potrebbe svolgersi in qualsiasi luogo e in qualsiasi epoca.

Si assiste, contrariamente al solito, ad un tentativo di abbozzo di una trama, una concezione del luogo unico in senso realista, una casa di campagna, un contesto temporale ben definito dalla didascalia iniziale, che recita “[…] en

France, de nos jours, un dimanche, à la campagne […]”492, alla creazione di personaggi maggiormente caratterizzati, denominati con nomi propri e lontani dall’idea di figure o attanti delle pièces precedenti. Sempre nella didascalia iniziale, il drammaturgo specifica i rapporti di parentela ed indica l’età di ogni personaggio.

Il primo elemento che indica in Derniers remords avant l’oubli una novità rispetto alle pièces precedenti potrebbe essere individuato semplicemente nella scelta di una concezione tradizionale della mimesis: in Derniers remords avant

l’oubli assistiamo alla coincidenza totale tra attore e ruolo. La pièce è costituita da

venticinque sequenze (non numerate nel testo), il cui découpage è evidenziato dal consueto segno (…). Tale segno risulta essenziale nell’indicare lo scorrere di un lasso di tempo tra ogni sequenza, secondo un’idea di montaggio cinematografico. La temporalità è trattato in modo piuttosto libero dal drammaturgo in altre pièces, come si è già potuto notare. Derniers remords avant l’oubli è di fatto concepita secondo norme aristoteliche: unità di azione e spazio, linearità del tempo, contenuto entro le ventiquattro ore.

Il classicismo e le norme aristoteliche rivivono nella scelta dell’unità di luogo e di azione, nella temporalità racchiusa in una giornata, nella elaborazione approfondita di personaggi dotati di psicologia e di un passato. I personaggi complessi, in rapporto ad una trama esile, fanno pensare anche alla tragedia raciniana, Bérénice in particolare. Sappiamo infatti che da regista Lagarce ha messo in scena con successo testi classici come Phèdre e Le Malade imaginaire.

Il modello del dramma borghese mi sembra risiedere nella scelta dell’ambientazione domestica, nella problematica finanziaria legata alla proprietà, alla ricerca di un certo realismo, alla commistione di toni tra il serio e il leggero, alla presenza di un vero e proprio comico. L’influenza del dramma strindberghiano e cecoviano è sottolineata dall’intimo, dall’autobiografia e dalla

492

J.-L. Lagarce, Derniers remords avant l’oubli, in Théâtre complet III, Besançon, Les Solitaires Intempestifs, 1999, p. 10.

soggettività. In Théâtres du moi et théâtres du monde Jean-Pierre Sarrazac associa tuttavia l’intimo al mondo, ovvero alla presenza di un contesto sociale e politico, all’interno del dramma. Strindberg inaugura una drammaturgia dell’autoritratto, in cui la biografia dell’autore entra nella propria opera. Lo scrittore svedese infatti “entreprend de tirer, avec la plus grande netteté possible, son autoportrait […] en société et, par-dessus tout, en couple”493.

Come da prassi, in Lagarce, l’elemento fondamentale della costruzione drammaturgica è il linguaggio. L’autore non svela niente dei fatti che i tre hanno vissuto insieme in passato, né chiarisce in modo evidente ed esaustivo le motivazioni e le dinamiche che esistono tra di loro. Qualsivoglia spiegazione rimane oscura e di fatto impossibile, nonostante gli sforzi dei personaggi di parlarsi, di cercare una comunicazione, che non avviene mai. In realtà essi sembrano non avere intenzione di cercare un chiarimento, mettendo semplicemente in scena le loro relazioni irrisolte, nascoste dentro uno scontro verbale che di fatto non esprime niente né fa mutare le loro posizioni. Accanto ad una caratterizzazione più verosimile, o semplicemente più concreta, i personaggi lagarciani esistono solo nelle parole che pronunciano, soggetti parlanti ma incapaci di comunicazione e comprensione autentiche.

Dal punto di vista psicologico, l’elemento linguistico del testo appare come la punta dell’iceberg di tutta una materia rimossa (in termini psicanalitici), pronta ad esplodere, ma che di fatto rimane nascosta, o che si presenta solo per frammenti e tracce. In un passaggio del suo diario, Lagarce afferma: “Travail encore sur

Derniers remords avant l’oubli. Il faudra bien admettre un jour mon incapacité à

dépasser le superficiel”494

.

L’elemento autobiografico è un aspetto evidente e forte nell’opera lagarciana, basti pensare alla rappresentazione dei rapporti familiari e amorosi in pièces successive come Juste la fin du monde e Le Pays lointain. Il tema del triangolo amoroso, che ha legato in passato Pierre, Paul e Hélène, ritorna con frequenza, come si è già visto, in altre pièces (ad esempio, il dittico di Histoire d’amour). A

493

J.-P. Sarrazac, Théâtres intimes, cit., p. 31. Il critico afferma che esiste nella struttura stessa delle pièces di Strindberg una corrispondenza stretta con la sua vita amorosa, fisica e spirituale, “comme par exemple dans la pièce Le Lien (1892), où l’on voit des époux régler leurs comptes les plus intimes devant un tribunal, ou comme dans Le Chemin de Damas I (1898) qui narre les pérégrinations existentielles et spirituelles de l’écrivain”. (Ibidem).

494

fianco dell’esperienza autobiografica495

, il modello letterario di riferimento appare essere il romanzo del 1953, Jules et Jim, di Henri-Pierre Roché496. Il personaggio di Pierre497 fa pensare ad una sorta di alter ego dell’autore per i riferimenti ai suoi tentativi letterari, alla scrittura di poesie: “[…] C’est moi qui ai écrit des livres, un ou deux, la poésie […]”498. E ancora: “Je renonçai à l’écriture prétentieuse de

petits poèmes adolescents pour devenir, il était temps, professeur, enseignant auxiliaire dans le secondaire […]”499

.

Il classicismo, o meglio una fusione tra tradizioni recuperate, emerge nella linearità e nella continuità del discorso dialogico. Lagarce non rinuncia tuttavia ai monologhi, utilizzati qui in modo più convenzionale, per far meglio conoscere i personaggi agli spettatori: è il caso soprattutto di Antoine, Anne e Lise, i quali vivono essi stessi più da spettatori che da protagonisti l’azione principale dominata dai conflitti tra Pierre, Paul e Hélène. I monologhi di questi ultimi partecipano, in fondo, all’idea di comunicazione impossibile che li caratterizza. Essi risultano come delle isole, delle monadi impenetrabili l’una all’altra, inattaccabili e immutabili nelle loro posizioni.

Essendoci nella pièce una trama, seppur esile, da portare avanti, si evince un’idea di continuità e linearità del dialogo, e più in generale del discorso, per lo più assente nell’opera lagarciana precedente. Questo è un altro segno di una tradizione e ‘classicità’ ritrovate nella costruzione del testo drammatico:

Antoine. – Nous allons partir plus tôt que prévu. Laisser les choses, l’argent, toutes ces histoires, la vente de cette maison. Cela nous est égal.

Anne. – Le Grand Homme ne veut rien savoir?

Pierre. – Dites donc, vous, on ne vous a pas entendue et ça allait très bien ainsi…

495

Nel suo diario, Lagarce stesso attesta una continuità, nel segno dell’autobiografico, con il dittico di Histoire d’amour: “Derniers remords avant l’oubli: Tentatives désespérées sur cette suite à Histoire d’amour. (Dire la vérité?)”. (Cfr. J.-L. Lagarce, Journal 1977-1990, cit., p. 213). 496

Come mi ha rivelato il regista e a lungo collaboratore di Lagarce, François Berreur, nel corso di un’intervista che egli mi ha concesso a Parigi nell’aprile 2011.

497

Julie Valero, come avrò modo di mostrare anche in seguito, sottolinea il filo rosso che lega la presenza di doppi di Lagarce in pièces quali Derniers remords avant l’oubli, Retour à la citadelle, Juste la fin du monde e Le Pays lointain: “Pierre, Louis, le Nouveau Gouverneur: qu’importe le nom de ces personnages, on pressent qu’ils sont autant de figurations possibles de l’auteur”. (Cfr. J. Valero, Diarisme et écriture dramatique : du journal à l’espace autobiographique, cit. p. 249). 498

J.-L. Lagarce, Derniers remords avant l’oubli, cit., p. 29. 499

Hélène. – Tu lui parles sur un autre ton. Pierre. – Je parle comme je veux à qui je veux.

Paul. – Écoute, Hélène, tu as besoin de cet argent et tu pouvais très bien lui expliquer les choses…

[…]500

.

Il linguaggio e la scrittura in Derniers remords avant l’oubli si basano sulla consueta nozione di ripetizione-variazione-correzione. I personaggi non cessano di ripetere alcune parole, di proporre dei sinonimi, di cambiare il tempo verbale della frase, di cercare insomma le parole giuste per esprimersi. In questo, essi mostrano la volontà di trovare un modo per comunicare e parlarsi. Ma il linguaggio è per sua natura pieno di falle, di oscurità. Il linguaggio possiede l’uomo, e non è l’uomo a usufruirne a suo piacimento, come ci hanno insegnato la linguistica di Saussure e la psicanalisi di Lacan. I protagonisti di Lagarce non sono in mala fede, ma sono semplicemente prigionieri e vittime del dominio del linguaggio su di essi. Il ricorso, all’interno del testo, a parentesi che funzionano come degli incisi, delle pause autoriflessive in cui il personaggio si interroga sull’efficacia del suo discorso, concorre a questa idea di ricerca del termine più appropriato da utilizzare. Numerosi ne sono gli esempi, come questo estratto da un monologo di Pierre:

Pierre. – […] C’est vous, toi, elle (si je me trompe, vous m’arrêtez), c’est vous deux qui souhaitiez, qui avez souhaité, expressément, cela ne pouvait pas attendre, ce dimanche-ci, tout le monde, vos familles, immédiatement, c’est vous qui souhaitiez qu’on se voie, qu’on se parle, qu’on se revoie et que nous réglions nos affaires, l’argent, mettre tout cela à jour, cette maison, cet endroit, la part de chacun. Je ne me trompe pas. Je me trompe? 501.

E ancora: “Ne commence pas à dire que je fais des histoires, je suis peut-être, bien au contraire, je suis peut-être la personne, l’homme, la personne exactement, je suis certainement la personne qui fait (qui fasse?), qui fait le moins d’histoires”502

.

Tale linguaggio sembra ricercare un compromesso tra lingua parlata e scritta, tra oralità quotidiana e scrittura poetica, producendo l’effetto di un particolare

500 Ivi, pp. 28-29. 501 Ivi, p. 13. 502 Ivi, p. 15.

connubio tra la spontaneità dell’orale e l’artificialità della scrittura, che al momento della rappresentazione sulla scena risulta del tutto efficace e convincente. Come del resto afferma Pierre Larthomas, “la complexité du langage dramatique tient au fait qu’il est un compromis entre deux langages dont certains caractères sont, dans une grande mesure, opposés. Écrire un bon langage dramatique, c’est unir les contraires”503

.

Il procedere per ripetizioni, per pause ed esitazioni, per brevi segmenti che interrompono, prolungano e approfondiscono il discorso, l’uso stesso della punteggiatura, creano un ritmo all’interno della frase e suscitano l’idea della presenza di motivi musicali che ritornano e danno respiro al movimento di insieme della partitura. Questo modo di procedere della scrittura lagarciana rivela al proprio interno una costruzione che oltre ad essere musicale, risulta in un certo qual modo essa stessa un gioco metateatrale. Il critico Georges Zaragoza afferma che il linguaggio di Lagarce corrisponde al principio espresso da Larthomas di “un langage comme surpris”, ovvero di “un langage représenté” e “en représentation”. Egli afferma che “cette apparente banalité est le fait d’un art consommé dont la qualité essentielle est peut-être de se faire oublier”504. E specifica in modo assai pertinente, confermando quanto da me affermato: “La parole du personnage lagarcien semble hésitante, elle semble se découvrir, se constituer à mesure qu’elle se produit, en permanente gestation […]”505

.

Nel filone della stessa problematica della dimensione metalinguistica della scrittura, e della difficoltà ad esprimersi di molti personaggi lagarciani, Lydie Parisse parla di una “parole tremblée, ou trouée”, dove “l’exigence de formulation devient le principe d’une drammaturgie, car rien n’arrive hors du langage”506

. Ciò che mettono in scena i personaggi è un dramma del linguaggio, ma anche “une remise en cause des mots de la tribu, fondatrice d’une poétique”, in cui essi sono portatori di “une interrogation sur l’acte de dire”507

. Il continuo riflettere dei personaggi sulle parole da utilizzare evidenzia, e allo stesso tempo tematizza, la presenza della figura autoriale nel cuore del testo. I vari doppi di Lagarce presenti

503

P. Larthomas, Le langage dramatique, cit., p. 177. 504

G. Zaragoza, Jean-Luc Lagarce, une langue faite pour le théâtre, in AA.VV., Traduire Lagarce, Colloques Année (…) Lagarce III, Besançon, Les Solitaires Intempestifs, 2008, p. 36. 505

Ibidem. 506

L. Paresse, Réflexions sur Derniers remords avant l’oubli, in AA.VV., Les «Petites tragédies» de Jean-Luc Lagarce, (sous la direction de B. Jongy), Dijon, Les Murmures, 2011, p. 49.

507

nelle sue pièces di marca autobiografica, qui Pierre, in seguito Louis e, più in generale, il ‘figliol prodigo’, riportano in primo piano una sorta di mito romantico dello scrittore, o dell’intellettuale-artista, in perenne crisi e contrasto con se stesso e la società: questo è un tema maggiore del teatro lagarciano forse ancora troppo poco sottolineato.

Dal punto di vista sempre dell’enunciazione, Lydie Parisse afferma che i personaggi lagarciani si esprimono in un linguaggio che è loro estraneo, o una seconda lingua, all’interno delle parole più quotidiane e di un lessico ristretto:

La conscience des limites du dire et de l’inadéquation fondamentale du langage va de pair avec une fécondité littéraire indéniable, qui fait du manque ressenti dans le langage le moteur d’une poétique et le fondement d’une dramaturgie de la parole. Une parole qui laisse entendre un vide, une lacune, un inconnu au cœur des mots les plus ordinaires. Cette démarche paradoxale s’inscrit dans la lignée de la littérature de l’échec. Derniers

remords avant l’oubli, comme Juste la fin du monde, comme Le Pays lointain, comme J’étais dans ma maison et j’attendais que la pluie vienne,

place la figure auctoriale au centre du système énonciatif, proposant une mise en abyme du mythe de l’impuissance créatrice. Lagarce est de ces auteurs qui réconcilient le théâtre et la littérature, parce qu’ils font du théâtre le lieu de la parole, c’est-à-dire le lieu du texte, le lieu de l’écriture […]508

.

La tendenza della scrittura lagarciana a ricorrere ad un uso creativo, metalinguistico del linguaggio medesimo, già identificata in particolare con la figura retorica dell’epanortosi509

, si collega al concetto di letteratura minore, teorizzato da Gilles Deleuze (insieme a Félix Guattari)510. Per Deleuze, compito della letteratura e dei veri scrittori è trascinare la lingua dentro un processo di trasformazione che si trova nel cuore stesso della creazione letteraria. La letteratura consisterebbe dunque in un particolare trattamento della lingua che dà vita a qualcosa come ad un’altra lingua, una lingua straniera dentro la lingua stessa: “l’apparition d’un écart, d’une singularité qui marque l’apparition de

508

Ivi, p. 75. 509

Dunque del ricorso alla variazione e alla correzione all’interno dell’enunciazione dei personaggi.

510

Ad una mia domanda, il professor Jean-Pierre Sarrazac ha risposto riconoscendo il riflesso sulla scrittura lagarciana, relativamente ai concetti di differenza e ripetizione, dell’opera filosofica di Gilles Deleuze, e mi ha suggerito quindi il riferimento alla definizione deleuziana di letteratura minore. (Cfr. G. Deleuze, Différence et répétition, Paris, Presses Universitaires de France, 1968; G. Deleuze G., e F. Guattari, Kafka – Pour une littérature mineure, cit.; G. Deleuze, Critique et clinique, Paris, Minuit, 1993).

quelques chose de nouveau dans la langue, qui se présente comme quelque chose d’«étranger», et qui n’est autre que le «style»”511

.

Il ritmo e il senso di gioco teatrale all’interno della frase è qui raggiunto anche attraverso l’uso fondamentale che nella pièce viene fatto dei pronomi personali e più in generale dei deittici. Ne è un esempio questa replica di Hélène, nella quale mi pare interessante far notare anche la correzione della concordanza al femminile del passato prossimo:

Hélène. – […] Je lui expliquais seulement pourquoi je m’étais permis –

permise? – cette expression: taciturne. C’est tout, cela parut l’émouvoir. Tu

n’as pas à m’interrompre, tu t’adresses à moi sur un autre ton, tu n’as pas à décider de mes paroles, me signaler ce que j’ai à dire ou ne pas dire. Tu notes ça dans un des petits recoins obscurs de ta tête: nous ne sommes plus rien l’un pour l’autre, toi et moi, rien de rien, plus mariés, tu m’entends?

Venus là pour régler nos affaires, l’argent, tout ça, tu ne l’oublies pas, tu ne recommences pas…

Toi non plus, tu ne changes pas, pas plus que lui, tu n’évolues pas, c’est l’idée que je cherchais, c’est cela, parfaitement, tu n’évolues pas512

.

L’uso del deittico513

determina un senso di teatralità all’interno della scrittura. Il deittico rinvia infatti alla gestualità dell’attore, ad un’azione, ad un movimento che sarà completato sulla scena. Esso può anche semplicemente costringere l’interprete a tener conto della presenza di un antagonista sul palco, contribuendo, se è il caso, a creare la tensione o il conflitto. Ne è un esempio questa battuta di Lise nella prima sequenza della pièce, nella quale essa si presenta agli altri personaggi, ma anche al pubblico: “Je suis leur fille, la seconde fille, leur fille, eux deux là”514

.

Nell’extrait scelto, si fa riferimento alla parola “taciturne”, aggettivo con cui viene descritto Pierre. Su tale attribuzione nasce una disquisizione che si ripercuote sui personaggi suscitando una tensione drammatica. Questo momento della pièce ha un tratto comune con quella del 1982 di Nathalie Sarraute515, Pour

un oui ou pour un non, pièce che si struttura sul conflitto tra due personaggi

511

A. Bounaniche, Gilles Deleuze, une introduction, Paris, Pocket, 2007, p. 256. 512

J.-L. Lagarce, Derniers remords avant l’oubli, cit., p. 20. Corsivo mio. 513

Si veda a tal proposito: AA.VV., Come comunica il teatro. Dal testo alla scena (a cura di A. Serpieri), Milano, Il Formichiere, 1978.

514

Ivi, p. 11. Tale momento costituisce anche l’unica rottura dell’illusione scenica nella pièce. 515

Lagarce, come testimoniano i suoi diari, assiste a varie regie di pièces di Nathalie Sarraute, autrice per la quale ha parole di ammirazione.

maschili, la cui amicizia viene messa in crisi per il fraintendimento a proposito di una parola utilizzata da uno dei due durante una conversazione passata.

La ricerca di musicalità nella scrittura lagarciana fa pensare al modello

Nel documento LA DRAMMATURGIA DI JEAN-LUC LAGARCE (pagine 189-200)