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Desto certamente, disse (Resp V 475D-476D) 114

Gli «amanti degli spettacoli» (filoqeavmone"), in questo contesto,

sono distinti dai filosofi proprio perché non sanno distinguere ciò che

appare da ciò che è

115

. I «non filosofi» sono «amatori di audizioni»

112 Cfr. FERRARI 20001, 372-373: «Socrate accusa gli amanti degli spettacoli di

confondere i due piani e di considerare ciò che è semplicemente ‘simile’ (o{moion) a qual- cosa, come se fosse ‘identico a ciò a cui assomiglia’ (aujto; hJghvtai ei\nai w|/ e[oiken). Ad esempio, ciò che è semplicemente simile al bello in sé, viene identificato con esso a causa dell’incapacità dell’amante degli spettacoli di ammettere, accanto all’esistenza delle molte cose belle, anche quella del bello in sé. Un ragionamento di questo tipo presuppone evi- dentemente che la relazione tra idee e particolari sia concepita in termini di somiglianza».

113Cfr. FERRARI20001, 373: «La qualità che caratterizza il filosofo rispetto all’aman-

te degli spettacoli consiste nella capacità di distinguere (e perciò non confondere) la forma in sé e ciò che di essa partecipa: egli è in grado di separare l’ aujto; kalovn da ta; ejkeivnou metevconta».

114Trad. M. Vegetti. Su questo passo cfr. SCHUHL1994, 33.

115Cfr. FERRARI20001, 366-367: «La linea di demarcazione tra filosofi e amanti degli

spettacoli si sovrappone alla distinzione tra coloro che conoscono le unità formali e quel- li il cui sapere si limita alle molteplici manifestazioni di queste forme». «Agli occhi di Socrate il filosofo è colui che è capace di distinguere ogni singola idea da ciò che di essa partecipa». Per l’affermazione secondo la quale «non c’è niente di più antiplatonico che confondere l’immagine con l’idea» cfr. SCHUHL1994, 35. In questa prospettiva non appa- re convincente l’ipotesi, sostenuta da VEGETTI(2007, 39-40), secondo la quale il Socrate del primo libro della Repubblica, «non ancora filosofo», «sia caratterizzato come quel phi-

lotheamon, l’amante di spettacoli che pratica la theoria nel senso primitivo e non sublima-

(filhvkooi), gente che, come se avesse affittato gli orecchi, corre in giro

per le Dionisie ad ascoltare tutti i cori, senza mancare né alle urbane né

alle rustiche (475D). Costoro non sanno che al di là di ciò che appare

molteplice e ogni volta diverso esistono elementi unitari, le idee, cia-

scuna delle quali «in se stessa è una, eppure, manifestandosi ovunque

nella relazione (koinonia) con le azioni, con i corpi, con le altre idee,

appare risolversi in molteplicità» (476A6-8)

116

. Gli amanti degli spet-

tacoli non sono filosofi perché il loro modo di vivere è fermo al piano

dell’apparire, il loro sguardo coglie solo «lo spettacolo», ciò che è visi-

bile agli occhi

117

, ma non è capace di vedere quel che si può cogliere

116In questa affermazione, come si vedrà immediatamente, il molteplice empirico è

presentato da Platone come luogo della manifestazione eidetica: ovunque si veda qualcosa, questo qualcosa che si vede è una koinonia (una relazione, una comunanza) dell’idea «con le azioni e con i corpi», è il «calarsi» dell’idea nel movimento e nella materialità. Sull’argo- mento cfr. PERL1999.

117Per determinare la differenza tra filosofi e non filosofi, nella quale l’elemento discri-

minante è la dipendenza dalla sfera della sensibilità, Platone fa riferimento non soltanto alla sensibilità visiva (i non filosofi colgono solo ciò che è visibile agli occhi e non ciò che è visibile all’anima), ma anche a quella auditiva: i non filosofi sono filhvkooi, laddove i filosofi sono th;" ajlhqei;a" filoqeavmone" cioè legati ad una visione che non è sensibile, perché è percezione della verità intellegibile. In questo contesto la sensazione visiva viene presentata come sdoppiata tra visione intellegibile (dei filosofi) e visione sensibile (dei non filosofi), laddove la sensazione auditiva appare inesorabilmente legata alla empiricità ed incapace di cogliere la verità delle idee, che sono eide, cioè forme visibili, intelligibilmen- te visibili e che dunque non si prestano in alcun modo ad essere colte dall’udito. Non esi- ste insomma un udito intellegibile, il che conferma la assoluta preminenza della vista nella concezione greca dell’apprendimento del sapere concepito come una visione. Natural- mente, come è noto, la cultura filosofica greca, soprattutto pitagorica, possedeva al suo attivo anche tanti studi sulla acustica, vale a dire sulla intelligibilità del suono – il suono è cosa esprimibile in numeri, anzi è la cosa che per eccellenza possiede tale proprietà – ma tali studi, che andarono perfezionandosi ai tempi di Aristosseno, non scalfirono l’idea, che restò pregnante in tutta la cultura greca, che fosse la vista e non l’udito l’organo per eccel- lenza della percezione intellegibile. Già ai tempi di Platone, comunque, una parte impor- tante della astronomia è organicamente dedicata allo studio delle armonie celesti, se è in tal senso che va letta la testimonianza di Alessandro di Afrodisia secondo la quale già per gli antichi pitagorici i pianeti producono nel muoversi «un suono, grave i più lenti, acuto i più veloci» (Alex. ad h. l. p. 38, 10 Hayduk). Gli studi di «razionalizzazione acustica» intesa come ricerca delle relazioni armoniche tra i toni e le velocità con cui viene mossa l’aria nel momento della produzione del suono, applicati all’astronomia, mostrano come non soltanto la vista, ma anche l’udito, possa essere considerato organo dell’intellegibile (sulla relazione stabilita dai pitagorici tra visione ed ascolto da un lato e astronomia e musica dall’altro cfr. Resp. VII 530D), ma ciò, per Platone, resta sempre un sapere di

solo con l’anima: ciò che sta «al di là» dello spettacolo e che lo rende

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