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DETERMINAZIONE DI MOLECOLE DERIVANTI DA PROCESSI DI OSSIDAZIONE

Le specie radicaliche non sono solitamente di facile analisi, spesso sono specie instabili di breve permanenza nei cicli metabolici e anche qualora fossero presenti stabilmente nei tessuti, le tecniche di rivelazione diretta non sono sempre di semplice applicazione, vedi tecniche EPR, quindi nella valutazione dello stress ossidativo è utile individuare dei marker di facile analisi. . Un marker è definito come una sostanza quantificabile, stabile e quindi resistente alla degradazione, utilizzabile come indicatore di un particolare stato fisiologico. Stante questa definizione sono definibili come marker tutte quelle molecole più o meno facilmente analizzabili, derivanti dai processi di ossidazione a carico delle principali biomolecole, lipidi, DNA e proteine. Il marker ideale dovrebbe avere determinate caratteristiche:

- dovrebbe essere chimicamente stabile, ossia non soggetto ad alterazioni durante la manipolazione e lo stoccaggio del campione

- dovrebbe avere un ruolo nella patogenesi di una malattia e nel migliore dei casi dovrebbe essere predittivo del suo decorso

- essere presente nel tessuto d’indagine o ad esso correlabile

- le sue tecniche di analisi devono essere sufficientemente precise e riproducibili, ed il più semplici possibile

- non deve essere influenzato da fattori dietetici - avere una bassa variabilità biologica

- devono esistere dati sull’intera popolazione

Come è facile immaginare difficilmente un singolo marker potrà avere tutte le caratteristiche necessarie e per questo motivo si utilizzano i marker più disparati anche compatibilmente con il fine delle analisi.

Marker individuato o nome delle tecnica Ref.

Sostanze reattive all’acido tiobarbiturico (TBARS) [1] [2] [3]

Malondialdeide (MDA) [1] [4] [5] [6]

4-idrossinonenale (HNE) [7] [8] [9] [10]

Idrocarburi respiratori [11] [12]

Isoprostani [13] [14] [15] [16]

DNA ossidato (8OHdG) [17] [18]

Proteine carbonilate [19] [20] [21]

Tra i primi markers di stress ossidativo ad essere studiato, e tuttora molto analizzato, vi è la malondialdeide (MDA). Tale molecola è prodotta durante i processi di perossidazione degli acidi grassi polinsaturi con due o più doppi legami separati da un solo carbonio. Le modalità di produzione della MDA non sono ancora del tutto note.

Tra le ipotesi proposte abbiamo quella di Stanley [22] secondo cui la MDA deriverebbe da un precursore non volatile con struttura contenente un perossido biciclico simile a quello presente nella biosintesi delle prostaglandine. Da questo precursore si formerebbe MDA in condizioni di stress ossidativo.

Figura 1: Biosintesi di MDA, illustrazione da Del Rio et al. [1]

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Due meccanismi di sintesi alternativi sono stati proposti in tempi più recenti da Esterbauer [23]. Essi si basano sulla formazione idroperossido a partire dagli acidi grassi e successive β-scissioni della catena degli acidi grassi, come illustrato in figura 1. I primi (1970-1995) e tuttora più diffusi saggi per la determinazione della MDA sono stati sviluppati sulla base della derivatizzazione con acido tiobarbiturico (TBA). La condensazione di queste due molecole dà luogo ad un addotto ad elevata assorbività facilmente valutabile con uno spettrofotometro. Purtroppo, la specificità di questi saggi è bassa, TBA può reagire anche con composti diversi da MDA, seppur derivati dai processi ossidativi. Inoltre, il trattamento dei campioni biologici per ottenere la condensazione del prodotto viene generalmente effettuato ad alta temperatura (tra gli 80 e i 100°C per 1 ora circa a seconda della metodica) e questo può generare un ulteriore ossidazione della matrice con evidente sovrastima dei risultati. Per ridurre al minimo l'ossidazione della matrice la maggior parte di questi metodi comportano la precipitazione delle proteine del campione biologico prima della reazione con TBA. Nonostante la laboriosità dei test e la loro aspecificità i saggi basati sull’addotto MDA-TBA vengono spesso utilizzati con apparente successo in studi clinici. Tuttavia viste le condizioni chimiche del test sembra che tali saggi diano un misura dell’ossidabilità del campione e non del suo stato di ossidazione [1].Spesso queste metodiche sono denominate TBARS. In tempi recenti grazie allo sviluppo della chimica strumentale è stato possibile sviluppare metodiche alternative ai saggi appena descritti. In particolare la determinazione della MDA senza derivatizzazione è possibile mediante tecniche separative quali HPLC (high pressure liquid chromatography) accoppiate con rivelatori di assorbanza nel UV [4] o mediante GC-MS (gas-chromatography-mass-spectrometry) con rivelatore quadrupolare. [5]

Quest’ultime metodiche potrebbero essere facilmente automatizzabili e quindi utilizzabili per analisi routinarie, ma visto l’alto costo iniziale dei macchinari e la necessità di personale altamente specializzato non si sono mai realmente diffuse al di fuori dei laboratori di ricerca. È stato fatto anche qualche tentativo di determinare la MDA mediante reattivo di Shiff, reattivo aspecifico sensibile alle aldeidi, ma con scarsi risultati. [6] Un'altra tipologia storica di marker dei processi di lipoperossidazione sono gli idrocarburi respiratori, in particolare pentano ed esano derivanti da acidi grassi polinsaturi n-3 o n-6 [24] . Già dagli anni ’70 del secolo scorso è nota la correlazione tra lipoperossidazione e tali idrocarburi presenti nell’esalato respiratorio[25], e già negli anni ’80 si iniziato ad applicare tecniche strumentali atte alla loro misurazione come la gas-cromatografia[12].La misura degli idrocarburi nell’esalato respiratorio, essendo non una tecnica invasiva, potrebbe essere particolarmente adatta per l'uso di routine nella ricerca e nella clinica, tuttavia, la mancanza di metodi standardizzati per la raccolta, l’elaborazione e l’analisi dell'aria espirata ha comportato l'uso di una grande varietà di tecniche diverse che hanno dato risultati anche molto discordanti tra loro. La principale fonte di errore deriva dalla contaminazione del campione con l’aria dell’ambiente di campionamento presente nei polmoni del soggetto, in cui di solito le concentrazioni di idrocarburi sono molto più grandi e più variabili rispetto a all'aria espirata. [11]

Un altro marker derivante da processi di lipoperossidazione, di più recente utilizzo è il 4-idrossinonenale (HNE). Quest’aldeide deriva da acidi grassi polinsaturi (PUFA) aventi un doppio legame C=C in posizione 6 come l’acido arachidonico, il più efficiente precursore di HNE, o l'acido linoleico. Il meccanismo di formazione di HNE dai PUFA non è ancora pienamente noto ma sembra essere di natura radicalica non enzimatica il cui primo step potrebbe essere la formazione di un lipoperossido. HDE può essere analizzato come tal quale o mediante analisi dei suoi numerosi addotti, derivanti dalla sua straordinaria reattività nei confronti di vari substrati [7]. Le metodologie di analisi dell’ HDE sono piuttosto varie e solitamente di natura strumentale, vanno da tecniche di gascromatografia a tecniche di spettrometria di massa accoppiata con eletron-spary [7]. Esistono tecniche basate su HPLC con rivelazione in assorbimento UV [8].

La tecnica strumentale più semplice, e forse l’unica applicabile alla pratica clinica quotidiana è la derivatizzazione di HNE con 1-metil-2-fenilindolo e quantificazione mediante analisi colorimetrica dell’addotto, ma questa tecnica tende a sovrastimare il dato non essendo altamente specifica e rivelando tutte le aldeidi a 9 carboni [9]. Molto diffuse sono anche tecniche di immunofissazione denominate Western blot [10] Questa tipologia di metodica biologica è generalmente basata su di una separazione elettroforetica delle proteine su poliacrilamide, trasferimento delle stesse su membrana di nitrocellulosa mediante capillarità, spesso coadiuvata da tecniche di electroblotting. La rivelazione qualitativa e quantitativa avviene mediante tecniche di assorbimento UV-visibile o chemioluminescenza associate a tecniche ELISA (enzyme-linked immunosorbent assay)o ELIspot.

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Figura 2: Panoramica delle reazioni del HNE con vari substrati, illustrazione da Poli et al. [7]

Altra classe di marker dei processi di ossidazione lipidica molto nota e utilizzata specialmente in ambito di ricerca è quella degli isoprostani. La classe di isprostani più utilizzata come marker è denominata F2-IsoPs dalla presenza di una anello di tipo F2 analogo alla prostaglandina 2α. Un possibile meccanismo di formazione di tali molecole si basa sulla generazione di formazione di perossido biciclico per addizione di ossigeno all’acido arachidonico radicalizzato per perdita di un elettrone da un suo doppio legame, formazione di perossido radicale per ulteriore addizione di ossigeno e stabilizzazione dei gruppi perossidici a idrossilici per addizione di idrogeno. Sulla base di questo meccanismo di formazione, si formano quattro regioisomeri indicati come 5-, 12-, 8 o 15-serie a seconda dell’atomo di carbonio a cui è collegato l'ossidrile catena laterale. La principale tecnica di analisi degli isoprostani è la spettroscopia di massa accoppiata alla gascromatografia o alla cromatografia liquida ad alte pressioni. Gli isoprostani vengono solitamente determinati nelle urine [13], ma anche nel plasma sanguineo [14], e più raramente nell’esalato [15].

Altra tipologia di macromolecola facilmente suscettibile di attacco da parte dei radicali liberi è il DNA, tale fenomeno viene indicato come danno ossidativo al DNA. Le possibili reazioni sono molteplici ma i principali prodotti dell’ossidazione radicalica del DNA sono addotti di natura radicalica composti da base azotate e radicale H o OH, più raramente questi addotti comprendono la molecola di zucchero. Esistono varie

Figura 3: struttura delle 4 serie di isoprostani. Modificato da Schwedhelm et al.[16]

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tecniche analitiche per la misura del danno ossidativo al DNA. Le tecniche di GC (gas-chromatography) o di LC (liquid-chromatography) o MS (mass-spectrometry) possono misurare simultaneamente numerosi prodotti diversi, e fornire un’analisi accurata del danno ossidativo. La misurazione di più prodotti evita conclusioni fuorvianti che potrebbero essere tratte dalla misurazione di un singolo prodotto, in quanto i livelli di prodotto variano in funzione delle condizioni di reazione e dello stato redox delle cellule. In passato, GC-MS è stato utilizzata per la misurazione del glucosio e delle basi modificate oltre che di addotti DNA-proteina, mentre più recentemente si è utilizzato LC –MS/Ms (liquid-chromatography-mass spectrometry tandem) per la misurazione dei nucleosidi modificati. Con l'uso di queste tecniche di misurazione potrebbero però crearsi artificialmente degli addotti non originariamente presenti nel campione . L'uso di condizioni sperimentali adeguate può evitare la formazione di addotti artificiali [17].Il principale marcatore di stress ossidativo del DNA è l’addotto che si forma dalla reazione di addizione di un radicale idrossile al C8 della base azotata guanina denominato 8-deossiguanosina (8OHdG)[26] . Esso può essere rilevato e quantificato con metodologia LC-MS o con metodologie ELISA. Sebbene sia possibile, la sua analisi a livello cellulare, la metodologia stessa comporta la parziale ossidazione del DNA e comunque quand’anche ciò non avvenga normalmente non si conoscono i livelli basali di 8OHdG per un opportuno confronto. Più utile è la determinazione del livello di stress del DNA sistemico mediante la misura del 8OHdG nelle urine.[18]

Un diffuso biomarker di stress ossidativo a livello sistemico è costituito dai gruppi carbonilici, aldeidici o chetonici presenti sulle catene laterali delle proteine, specialmente sui residui di prolina, arginina, lisina e tirosina. I gruppi carbonilici hanno il vantaggio di essere chimicamente stabili, il che è utile sia per quanto riguarda l’analisi che lo stoccaggio dei campioni. La generazione dei gruppi carbonilici può avvenire sia come conseguenza di diretta ossidazione delle proteine, principalmente via α-amidazione o via ossidazione della catena laterale glutaminica, con formazione di un peptide in cui l’azoto terminale è bloccato da α-chetoacido. Inoltre i gruppi carbonili possono essere introdotti nelle proteine per reazione del nucleofili presente nelle catene laterali di principalmente cisteina, istidina, o lisina, con aldeidi, tipicamente 4-idrossi-2-nonenale, malondialdeide o 2-propanale, derivanti dalla prossidazione lipidica. Altri addotti sono formati con derivati carbonilici derivanti dalla reazione di zuccheri riducenti, o dei loro prodotti di ossidazione con i residui lisinici delle proteine (reazione di glicazione). [19].

Figura 4: Strutture dei derivati carbonilici derivanti dall’ossidazione diretta della catena laterale, illustrazione da Dalle-Donne et al.

2003 [19]

Le moderne metodologie di analisi dei derivati carbolici sono basate sulla derivatizzazione del gruppo carbonile con dinitrofenilidrazina (DNPH) con conseguente formazione di addotti stabili 2,4-dinitrofenilidrazone[20]. Gli addotti così prodotti si possono facilmente analizzare con sensibilità anche significative mediante spetrofotometria di assorbimente nell’UV, eventualmente accoppiata con HPLC per la separazione dei vari residui proteici, ma anche tecniche ELISA o eletroforetiche.[19]

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2.3

DETERMINAZIONE DI SPECIE REATTIVE MEDIANTE REAZIONI CHE COINVOLGONO