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La società di mercato, con lo scopo di supportare il proprio progetto di crescita illimitata, si è progressivamente “liberata” dal territorio illudendosi di poter costruire una seconda natura artificiale per mezzo della tecnologia. Con deterritorializzazione, ci si riferisce in questo paragrafo al progressivo distaccamento della società di mercato dai vincoli territoriali.

L'economia di mercato ha riconcettualizzato e ridotto il territorio ad uno spazio astratto e atemporale, la cui unica funzione è fornire una base materiale ad attività e funzioni economiche localizzate secondo logiche esogene ed indipendenti dalle peculiarità ambientali, culturali ed identitarie. Il “sito” si è sostituito al luogo, la regione economica alla bioregione, il city user all'abitante; la società di mercato ha contribuito dunque alla cancellazione delle identità locali non considerandole valori “funzionali” al modello di sviluppo attuale.

Nonostante l'illusione della “liberazione” dal territorio, la qualità dell'abitare ha raggiunto livelli negativi critici, manifestatisi in una serie di crisi ambientali e sociali dovute all'insostenibilità del modello di sviluppo.

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biologico, a causa della mancanza di biodiversità, della mercificazione e degrado dei beni comuni vitali come acqua, cibo e aria; economico, resosi evidente dalla crescente disoccupazione e dalle crisi finanziarie dovute alla dipendenza da logiche economiche esogene al territorio; e sociale, con la disgregazione del modelli socio-culturali locali (Sachs, 1996).

In Italia il fenomeno della deterritorializzazione è esploso a partire dal secondo dopoguerra come esito della massificazione del lavoro, e si è manifestato con il progressivo abbandono e la marginalizzazione della collina, della montagna alpina ed appenninica, e del Mezzogiorno, e con la conseguente costituzione delle aree metropolitane del “triangolo industriale” (Torino, Milano, Genova) e della pianura padana. La conurbazione o “città diffusa”, caratteristica del Veneto industriale moderno, né costituisce un triste esempio.

Alberto Magnaghi ha definito forma metropoli contemporanea una specifica regola insediativa astratta insostenibile dal punto di vista ambientale e sociale, caratteristica della società di mercato industriale e postindustriale (Magnaghi, 1989).

Tale modello si è posto in rottura radicale con le forme di insediamento precedenti: mentre la città storica o quella moderna affondano le loro radici in atti culturali costitutivi non esclusivamente economici, bensì legati alla realizzazione di un progetto sociale all’interno di un rapporto sia materiale che simbolico col proprio territorio, la forma metropoli contemporanea si esprime attraverso l'imposizione su di questo di una struttura urbana dettata squisitamente dalle

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Caratteristiche peculiari che connotano la forma metropoli sono: la liberazione dai vincoli spaziali; la subordinazione delle logiche insediative alle leggi della produzione industriale e del mercato; l'omologazione dei territori (Magnaghi, 2010a).

La liberazione dai vincoli spaziali, ovvero il disconoscimento dei limiti dimensionali imposti dalla riproducibilità delle risorse locali, è resa possibile dalla progressiva delocalizzazione, permessa dalla tecnologia e dai meccanismi di mercato, delle fonti energetiche, delle materie prime, della produzione alimentare, dell'approvvigionamento idrico, dello smaltimento dei rifiuti, delle informazioni e della forza lavoro. Ne consegue che, ignorando i limiti di carico del proprio ambiente e degradandone il capitale naturale, la metropoli per sopravvivere deve appropriarsi delle risorse di territori sempre più distanti.

Le logiche insediative, subordinate alle leggi della produzione industriale e del mercato (e alla presenza di deregolamentazioni salariali e ambientali nel Sud del mondo), hanno sostituito ai luoghi siti indifferenti alle individualità del territorio e suddivisi per funzioni. Queste possono essere economiche, come nel caso di quartieri commerciali, ma anche museali e turistiche (ad esempio il centro storico), o di tutela della ambiente (il parco, la riserva naturale). Il risultato della somma di questi siti non è una città, bensì un sistema economico-produttivo localizzato nello spazio e suddiviso per funzioni, che risponde a logiche economiche esogene rispetto al territorio particolare sul quale viene imposto e con il quale non ha alcuna relazione, destinato a morire nel momento in cui queste

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La forma metropoli implica una rottura delle relazioni fra territorio e legami socioculturali, tale da rendere progressivamente prevalente il modello insediativo del produttore/consumatore, il city user dislocato per motivi lavorativi in periferie stampate a macchina e a lui estranee, rispetto a quello dell'abitante che si riconosce nel territorio, valorizzandolo e usufruendone anche dal punto di vista culturale (Giangrande, 1998).

I luoghi di comunicazione sociale (il vicinato, la piazza, i viali, la strada, ecc.) sono ridotti a funzioni economiche e lo spazio pubblico non previsto dai piani regolatori dei nuovi agglomerati urbani, viene museificato se già esistente per finalizzarlo a sede del flusso turistico di massa. Questo fenomeno è indice della crescente subordinazione del bene pubblico alle logiche del mercato, e di conseguenza della perdita di potere su di esso da parte delle comunità locali.

L'impiego di metodi e di componenti edilizi standardizzati non più dipendenti dai materiali di costruzione locali (ad esempio l'utilizzo di cemento armato, plastiche, ecc.), dai vincoli geomorfologici (pompe sommerse, ecc.) e climatici (climatizzatori), e l'uniformazione delle tipologie costruttive, hanno contribuito alla marginalizzazione degli stili locali specifici dell'abitare in città, riducendoli a modesti standard riproduttivi funzionali alla dilatazione dell'economia.

Allo stesso tempo, alla progressiva delega della gestione e della riproduzione del territorio agricolo a grandi sistemi tecnologici e funzionali, è conseguita un'omologazione del paesaggio agrario oltre che delle colture, e l'innesco di una

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crescente criticità ecosistemica dovuta alla perdita dei saperi ecologici locali e della fertilità dei suoli.

Il venire meno delle relazioni di scambio materiale e simbolico col proprio territorio, dovuto all'espandersi delle logiche insediative della società di mercato, si traduce nel sempre più frequente sradicamento e mancata identificazione dell'abitante col proprio territorio, che gli appare estraneo e degradante. Tale processo si è accentuato con l'era telematica, nel momento in cui lo spazio materiale si è scoperto sempre più povero di segni, significati e relazioni con cui riconoscersi.

È possibile di fatto definire gli effetti decontestualizzanti della rottura della relazione sinergica tra ambiente e società, promossi dai processi di deterritorializzazione, come atti di “interruzione del paesaggio” in quanto prodotto storico sensibile dei processi di territorializzazione ed espressione dell'identità del luogo42.

Lo sviluppo della società di mercato è stato accompagnato da una crescente deterritorializzazione che ha messo in crisi le identità territoriali, intese come razionalità autorganizzative endogene in grado di conferire un senso di radicamento, e di permettere alle comunità locali di autorappresentarsi e di pianificare il proprio futuro sul territorio.

È quindi auspicabile produrre nuovi atti territorializzanti in grado di ristabilire relazioni materiali e simboliche sostenibili tra natura e cultura. La valorizzazione

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di queste relazioni virtuose è alla base dell'approccio territorialista e del concetto di sviluppo locale autosostenibile, che saranno trattati in maniera approfondita nel capitolo terzo.

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