Come conseguenza della non sostenibilità e degli effetti deterritorializzanti propri della società di mercato, il “ritorno alle comunità locali” si è progressivamente elevato a paradigma culturale e concetto cerniera accomunante le proposte risolutive della crisi emerse dai principali autori del dopo-sviluppo. Sostenere il diritto delle comunità locali al territorio, all'autosufficienza e all'autogestione, si traduce nella possibilità di ridurre concretamente l'impronta ecologica e la dipendenza dai carburanti fossili, e di mitigare gli effetti del riscaldamento climatico, migliorando allo stesso tempo la nostra capacità di adattamento al caos climatico e finanziario, e rafforzando la sicurezza alimentare. Significa in sostanza passare dall'istituzione di sistemi allopoietici a quella di sistemi autopoietici43 (Shiva, 2009).
Vandana Shiva denomina “passaggio dal petrolio alla terra” o “democrazia della terra”, la controffensiva al dominio del mercato rappresentativa di una triplice localizzazione e transizione:
88
economica, tramite il disconoscimento dell'economia di mercato globale responsabile della crisi ambientale, sociale e finanziaria, e l'istituzione di una rete di economie sostenibili locali radicate nel territorio;
politica, con l'affermazione del diritto di tutti gli essere viventi allo spazio ecologico, e passando dalle attuali strutture pseudo-democratiche a servizio dei poteri economici forti, a forme democratiche decentralizzate che permettano alle comunità locali di gestire il proprio territorio ed il proprio futuro;
culturale, rinnegando il materialismo consumista ed abbracciando il nostro ruolo di coproduttori di territorio e collaboratori della natura, instaurando relazioni sinergiche materiali e simboliche con essa.
Rob Hokpins parte dall’inevitabilità della crisi energetica, e dalla necessità di mitigare gli effetti di quella climatica ed economica che ne conseguono, per proporre l'istituzione di una rete di Transition Towns44, le città di transizione ecologicamente sostenibili. Scopo della transizione è “supportare le risposte comunitarie al picco del petrolio e al cambiamento climatico, costruendo resilienza e felicità” (Hopkins e Lipman, 2009, p. 7, traduzione propria).
Recuperare ed istituire relazioni virtuose tra comunità locali e territorio rappresenta il fulcro del “progetto locale” proprio dell'approccio territorialista elaborato da Alberto Magnaghi (Magnaghi 2010a), esposto nel capitolo terzo.
44 Al 2009 le Transition Town parte del Transition Network sono più di centocinquanta, la maggior parte concentrate nel Regno Unito. Ma non mancano anche esperienze in Irlanda, Austrialia, Canada, Stati Uniti, Nuova Zelanda, Cile, Olanda, Giappone. In Italia fa parte di questa rete il Comune di Monteveglio (Hopkins e Lipman, 2009).
89
Serge Latouche inserisce tra il programma delle otto “R” della decrescita, quella di “Rilocalizzare”, ed altri ancora hanno integrato la localizzazione come nodo essenziale del proprio programma d'azione (Latouche, 2007).
Il successo di questo paradigma culturale è imputabile alla progressiva estensione ai contesti sociali del concetto di “resilienza”.
In ecologia, la resilienza indica la capacità di un ecosistema di rispondere a perturbazioni, shock e cambiamenti indotti a seguito di un intervento esterno di origine antropica o naturale, assorbendo il disturbo e riorganizzandosi durante il cambiamento in atto per ritornare allo stato di omeostasi, o equilibrio, mantenendo sostanzialmente inalterate identità e funzione.
In psicologia, la resilienza indica la capacità umana di affrontare, adattarsi e superare avversità e situazioni di stress, uscendo rafforzati dall'esperienza e perfino trasformati positivamente (Wald et al., 2006).
Ne consegue che una comunità resiliente deve essere in grado di far fronte agli shock esterni (climatici, finanziari, alimentari, energetici, ecc.) aumentando la propria autosufficienza, con lo scopo di mantenere uno stato di efficienza.
La capacità di un sistema di riorganizzarsi e autoripararsi a seguito di un intervento destabilizzante esterno dipende da tre fattori: diversità; grado di modularità; restringimento delle retroazioni (Walker e Salt, 2007).
La diversità di un ecosistema è valutata in termini di diversità di specie che vanno a costituire l'ecosistema stesso. Ne discende che nel caso di un insediamento umano, il termine si riferisce al grado di differenziazione degli
90
elementi che lo compongono, siano questi persone, istituzioni, utilizzi del suolo, fonti energetiche, fonti alimentari, fonti di ricchezza, ecc. Più elevato è il grado di diversità, maggiore è la resilienza della comunità.
A titolo di esempio si possono considerare i metodi di produzione agricola. La presenza di policolture e di un tipo di agricoltura biologica, ovviamente locale, garantirà il massimo grado di biodiversità e di fertilità del terreno, rafforzando di conseguenza la sicurezza alimentare. Di contro l'agricoltura chimico-industriale e le monoculture, che per definizione significano assenza di biodiversità, hanno indotto a crescenti fenomeni di erosione e perdita di fertilità dei suoli, aumentando la dipendenza dalle esportazioni e riducendo la sicurezza alimentare delle comunità locali.
Il concetto di diversità implica inoltre l'affermazione della peculiarità dei sistemi, ciò significa che le soluzioni adottate da una comunità possono rivelarsi inadatte in un'altra, e che le risposte non possono essere imposte dall'alto, pena l'inefficacia delle stesse, bensì devono essere elaborate dal basso (Hopkins, 2009).
Le modalità con le quali gli elementi che vanno a comporre un sistema sono interconnessi tra loro, ne definisce la modularità. Maggiore è la capacità di questi di isolarsi efficacemente in caso di shock, evitandone o minimizzandone la diffusione all'interno, maggiore la modularità di una struttura.
La mutua dipendenza globale e la natura ipercollegata dei sistemi caratterizzanti il moderno ecumene globale45, garantiscono una diffusione estremamente rapida e capillare degli shock, con esiti potenzialmente catastrofici.
45 Con ecumene globale si allude all'interconnessione del mondo che avviene tramite interazioni, scambi e sviluppi correlati, riguardanti anche l'organizzazione della cultura oltre che quella materiale (Hannerz, 2001).
91
I meccanismi della finanza globale ne rappresentano un esempio emblematico. È sufficiente ripensare alla recente crisi economica che, originatasi nel 2008 negli Stati Uniti d'America in seguito alla bolla immobiliare, entro tempi brevissimi (si parla di pochi mesi) si è diffusa in tutto il Nord del mondo.
Pensiamo cosa potrebbe succedere nel caso di un blocco delle importazioni e del trasporto dei beni alimentari all'interno del Paese, dovuto ad una inaspettata situazione di scarsità di benzina. Probabilmente nel giro di una settimana o poco più, una volta esaurite le scorte e come conseguenza dell'innalzamento dei prezzi, si avrebbe una situazione allarmante. Tale emergenza sarebbe principalmente sentita nelle zone maggiormente dipendenti da input esterni come le grandi città, mentre potrebbe praticamente passare inosservata nelle zone rurali o di montagna. Una maggiore autosufficienza alimentare, energetica, monetaria, ecc., permette di diminuire tale vulnerabilità in caso di sconvolgimento delle reti più ampie; è necessario passare quindi dalla mutua dipendenza globale alla condivisione e collaborazione (Hopkins, 2009).
Con restringimento delle retroazioni si indica la velocità con la quale gli effetti del mutamento di un sistema sono recepiti da ogni sua parte. Ad un allungamento delle retroazioni, ad esempio come effetto della globalizzazione o di un forte accentramento governativo, corrispondono maggiori rischi di superare una determinata soglia senza rendersene conto e di non riuscire a reagire in tempo (Walker e Salt, 2007).
D'altro canto in un sistema localizzato, le conseguenze delle pratiche che vi si svolgono sono più evidenti e sentite perché più vicine spazialmente e
92
simbolicamente, oltre che facilmente monitorabili. Quando si restringe il circuito delle retroazioni, si pone maggiore attenzione ai consumi e alla necessità di instaurare relazioni virtuose durevoli col territorio.
Come è stato esposto nel precedente paragrafo, nonostante l'economia di mercato preveda la realizzazione di una serie di attività situate localmente, la logica del processo è astratta, globale e aspaziale.
Col termine “glocalismo”, ci si riferisce alla strumentalizzazione del locale da parte del globale, attraverso la messa in concorrenza dei territori nel nome di uno “sviluppo locale” squisitamente eterodiretto (Latouche, 2005). Per attrarre investimenti dall'estero, i territori vengono coinvolti in un gioco al ribasso, dovendo garantire vantaggi fiscali, flessibilità del lavoro e deregolamentazione ambientale crescenti.
Nell'attuale società tutto procede contro il processo di ricostruzione delle resilienze locali. Attualmente infatti, nell’ambito del principio di non discriminazione sancito dalla World Trade Organization, vige la regola del trattamento indistinto tra prodotti locali ed esteri, una volta che quest'ultimi sono entrati nel paese di destinazione commerciale46, impedendo di conseguenza alle comunità locali di proteggere la propria produzione dai poteri economici forti e dalla competizione internazionale.
46 Da World Trade Organization, http://www.wto.org/english/thewto_e/whatis_e/tif_e/fact2_e.htm, consultato il 06.11.2013.
93
Col termine “rilocalizzazione” si identifica il percorso di emancipazione di un territorio rispetto al mercato globale, finalizzato all'investimento delle proprie risorse naturali, umane e finanziarie nella produzione (energetica, alimentare, ecc.) per il consumo locale. Come afferma Bonaiuti, “ridurre la scala dei sistemi produttivi significa spostare il baricentro dell'economia dai mercati globali a quelli regionali e locali” (Bonaiuti, 2007, p. 48).
Questo processo, enunciato nel “principio di sussidiarietà del lavoro” (Lafebvre, 1995), ovvero il principio della priorità del livello decentralizzato, non solo è auspicabile, bensì necessario con l'approssimarsi del picco del petrolio e al fine di avviare il sistema economico verso un cammino di sostenibilità ecologica. Ne consegue che, se è utile che le informazioni e le conoscenze continuino ad essere condivise, ogni merce e servizio fruibile sul territorio deve essere lì realizzato al fine di accorciare le filiere di produzione, qualora ciò sia possibile.
Una maggiore localizzazione della produzione può implicare allo stesso tempo un'eventuale riduzione della varietà dell'offerta e un aumento dei relativi costi, di conseguenza è auspicabile pianificare collettivamente come e cosa produrre, per valutare quali beni e servizi siano superflui e quindi sacrificabili, al fine di sostituire ad un crescente ben-avere una maggiore sostenibilità ambientale e sociale delle pratiche economiche situate nel territorio, quindi del benessere individuale e sociale.
Si sottolinea infine che, in quest'ottica, ricostruire la resilienza non deve significare istituire microcosmi chiusi, ossia indurre la società a chiusure identitarie, oppure ad un isolamento ed una localizzazione assoluta. È infatti
94
necessario consolidare pratiche di cooperazione e solidarietà tra comunità locali autogestite e culturalmente aperte, col fine di sperimentare pratiche di rafforzamento della resilienza e dell'esercizio della democrazia diretta in grado di resistere alla dominazione del mercato.
Nei riguardi della relazione asimmetrica che storicamente ha coinvolto e continua a coinvolgere il rapporto tra Nord e Sud del mondo, una progressiva rilocalizzazione permette di favorire una più equa distribuzione delle risorse, riorganizzando il sistema economico secondo modalità non predatorie, venendo a mancare la spinta per i paesi meno sviluppati ad incentrare le proprie economie sull'esportazione di materie prime e beni alimentari a vantaggio dei paesi occidentali.