l’attenzione alla dimensione storica dello Stato e delle libertà tornava con prepotenza alcuni anni più tardi, nel 1902, in una lunga e polemica
Risposta di Jellinek al celebre giurista e docente francese di diritto co-
stituzionale, Émile Boutmy, che sulle pagine delle «Annales des sciences politiques» aveva duramente attaccato il saggio di Jellinek sulle Dichia-
razioni dei diritti dell’uomo e del cittadino, che proprio in quell’anno era
stato pubblicato in Francia.92
Boutmy aveva anzitutto criticato Jellinek per aver “ridotto” la di- chiarazione del 1789 a «copia» dei Bill of Rights posti a “preambolo” delle principali Costituzioni redatte dalle colonie americane. Un errore ancora più grave, secondo Boutmy, era stato di ricondurre non solo i Bill of Rights ma anche la Déclaration al pensiero religioso riformato, negando l’influenza altresì profonda che su di essa avrebbe avuto la filosofia francese settecen- tesca. Proprio per questo – concludeva lo studioso francese – Jellinek non aveva compreso che i Bill of Rights e la Déclaration rappresentavano due concezioni politiche molto diverse tra loro: laddove le Carte americane erano un elenco di diritti che il parlamento non poteva arbitrariamente violare, la dichiarazione francese era il fondamento di un ordine politico del tutto diverso da quello precedente e, in quanto tale, doveva essere presa a modello di riferimento dallo stesso legislatore.93
Jellinek non tardò a rispondere e – come gli era del resto congeniale – nella forma più caustica possibile.94 nella sua replica egli rivendicò im-
mediatamente di essersi accostato alle Dichiarazioni del ‘700 con lo spirito dello storico e non del filosofo, diversamente da quanto, a suo giudizio, aveva fatto l’avversario francese. E proprio da storico si era limitato ad osservare come fossero stati gli americani a stilare il primo elenco scritto di diritti inalienabili con conseguenze di importanza straordinaria, che ave- vano travalicato i confini del Nuovo Mondo fino a giungere nella Francia della rivoluzione.95
Contro Boutmy che insisteva sul collegamento tra pensiero filosofico settecentesco – in particolare l’opera di Rousseau – e la Dichiarazione francese, Jellinek affermava che «i francesi, sotto l’influenza dell’America, hanno scritto nelle norme del diritto i princípi della libertà e l’hanno fatto per tutta l’Europa. Senza l’America, senza le Costituzioni dei sei diversi Stati noi avremmo in potenza una filosofia della libertà, giammai una si- mile legislazione della libertà».96 E i ribelli americani – osservava Jellinek
parole perché nel tempo, loro – e non i francesi – avevano fatto esperienza concreta di quelle libertà che i Bill of Rights erano chiamati a riaffermare: nelle ex colonie si era storicamente affermata la libertà religiosa e poi da questa, secondo Jellinek, erano derivate tutte le altre.97
Esattamente come ne La nascita dell’idea moderna di Stato, Jellinek ribadiva – questa volta in polemica con Boutmy – sia la centralità della libertà religiosa, sia il carattere storico ed esperenziale delle libertà: nella storia si sedimentavano una serie di libertà dinanzi alle quali lo Stato si “ritraeva” rendendole libertà effettive, ossia diritti di libertà positivi. Ancora una volta emergeva, in tutta la sua chiarezza, come la concezione jellinekiana della libertà fosse al contempo “storicistica” e positivistica. nella Risposta a Boutmy, Jellinek giungeva a questa conclusione rivendicando la “supe- riorità” del metodo storico su quello filosofico e, soprattutto, sminuendo l’influenza che la filosofia settecentesca – con le sue teorie giusnaturalistiche e contrattualistiche – aveva avuto sulle Dichiarazioni. Da giuspubblicista positivista Jellinek rifiutava sia l’idea di una fondazione dello Stato in ter- mini contrattualistici, sia l’idea che le libertà contenute nelle dichiarazioni fossero da intendersi come libertà naturali. Ed è per questo che nella sua polemica a distanza con Boutmy egli interpretava i Bill of Rights e la Dé-
claration come limiti al potere, e non come «contratti» capaci di fondare
le istituzioni politiche:
Noi crediamo – osservava Jellinek – che tutte le libertà non siano altro che la nega- zione di restrizioni anteriori poste all’attività umana. Abbiamo avuto una religione imposta, abbiamo avuto una costrizione ed è per questo che oggi si proclama la libertà religiosa. il peso della censura opprime la stampa e fa nascere l’idea della libertà di stampa […] Eliminando l’arbitrarietà del governo e sostituendo la legge alle ordinanze di polizia, vale a dire la legalità ai capricci dell’autorità, si è scoperto che le forze oppressive dello Stato si limitano dinanzi all’individuo. […] È in questa limitazione alla arbitrarietà dello Stato che risiedono tutte le libertà […] e tutti i diritti dei popoli moderni.98
Nei saggi fin qui esaminati, Jellinek tracciava una vera e propria storia del pensiero politico, intesa come storia dello Stato, della libertà e delle principali dottrine politiche che si erano sviluppate attorno ad essi. Egli si scagliava anzitutto contro quelle teorie razionalistiche (Hobbes e Rousseau) che, a suo giudizio, avevano preteso di cancellare – con esiti per Jellinek
assai pericolosi – la dimensione storica dello Stato (e della libertà). Attri- buiva al giusnaturalismo il merito di aver difeso il valore della libertà, ma lo riduceva a mera filosofia. Se l’attacco alle costruzioni razionalistiche era funzionale ad affermare l’importanza del concreto processo storico nello sviluppo dello Stato e delle libertà, quello – ben più sottile – alla dottrina giusnaturalistica era volto ad ribadire che solo il diritto positivo era effet- tivo, che l’idea dei diritti naturali antecedenti allo Stato e quindi capaci di condizionarlo era una teoria – affascinante, capace di dare impulso a tante battaglie per una maggiore libertà – ma pur sempre una teoria.99
nei due saggi appena analizzati, la componente “storicistica” si salda a quella positivista in un disegno assai interessante: le libertà prendono forma nel concreto processo storico e lo Stato – autolimitandosi dinanzi ad esse e quindi riconoscendo la “forza” della storia – le sancisce, rendendole effettive. in questo modo, senza ricorrere alla dottrina del diritto naturale, Jellinek conciliava Stato e individui, sovranità e libertà, attraverso una attenzione costante alla dimensione storica. in Jellinek, fare la storia dello Stato e della libertà non era quindi un esercizio di mera erudizione, ma parte integrante di una concezione giuspolitica ben più ampia e articolata che cercava di mediare tra «imperium e libertas».