Nella parte finale del saggio su La nascita dell’idea moderna di Stato, Jellinek riconosceva allo Stato nazionale il grande merito di aver realizzato una seria politica sociale a favore delle classi più povere. Qualche tempo più tardi, il giurista tornava su questo tema, precisando che lo Stato si era occupato della promozione sociale molto prima che venissero inventate le «assicurazioni sulla salute e sulla vita». ne era un esempio l’affrancamento dei contadini asburgici dalla loro condizione di semi-servaggio, realizzata alla fine del ‘700 dall’Imperatrice Maria Teresa. La loro vicenda era stata ricostruita dal sociologo Karl Grünberg nel libro La liberazione dei contadini
di Boemia, Moravia e Slesia, che fu recensito con toni elogiativi proprio da
Jellinek nel 1894 per la «neue Freie Presse».100
crazia terriera, ma perseguita con straordinaria tenacia dalla Corona asbur- gica – testimoniava, secondo Jellinek, la capacità dello Stato di intervenire positivamente nella società, di porre fine a situazioni di iniquità, e di lottare contro forze disgreganti e pericolose.101 Sotto il regno di Maria Teresa, queste
erano state incarnate dalla aristocrazia locale che aveva sfidato l’autorità centrale per mantenere i propri privilegi, mentre alla fine dell’800 – lasciava intendere Jellinek nella sua recensione – erano le forze socialdemocratiche a mettere in pericolo la stabilità e la coesione delle istituzioni. di fronte alla nuova minaccia spettava allo Stato impegnarsi a favore delle classi più povere.102
Nella sua recensione al libro di Grünberg – in maniera simile a quanto aveva già affermato nello studio su L’Idea moderna di Stato – Jellinek si diceva favorevole ad un sapiente piano di riforme “guidate” dall’alto. Un atteggiamento conservatore o – potremmo dire – “moderatamente riformi- sta” che, nel suo risvolto più chiaramente liberale, emergeva da altri due interventi, Sugli inizi della vita costituzionale in Germania, una recensione apparsa nel 1900 per «die Zeit» sull’omonimo libro dello storico leonard Müller, e il breve saggio Mirabeau e il diritto elettorale democratico. Storia
di una citazione, pubblicato nel 1905 per la «Frankfurter Zeitung».103
Lo studio di Müller sul parlamento del Baden, impegnato agli inizi dell’800 affinché fossero riconosciute maggiori libertà ai cittadini del Land, aveva evidentemente colpito Jellinek, che da liberale condivideva quell’im- pegno e si diceva ammirato dalla tenacia con cui il Baden, molto più di altri länder tedeschi, aveva portato avanti la sua battaglia nel nuovo secolo: «Come testimonia il preambolo – osservava Jellinek – per lui [Müller] il presente non è organizzato in maniera abbastanza progressista. Forse egli non ha trascorso abbastanza tempo fuori dal Baden, altrimenti forse capi- rebbe che, per un uomo con le sue tendenze, ancora oggi è sempre meglio appartenere al Baden che a qualsiasi altro Stato di lingua tedesca».104
Un atteggiamento moderato e liberale – dicevamo – che emerge anche da Mirabeau. Storia di una citazione. Al centro di questo breve ma denso scritto troviamo il commento di Jellinek alla celebre frase di Mirabeau: «i ceti sono per una nazione ciò che una mappa è per un territorio, sia essa parziale, sia essa in grande scala, la copia deve avere sempre la stessa proporzione dell’originale». nel dibattitio politico austriaco e tedesco di
fine ’800, le parole di Mirabeau venivano spesso utilizzate sia da coloro che chiedevano una rappresentanza «organica», con cui dare voce a tutti i principali gruppi sociali presenti nel paese, sia da coloro che sostenevano una rappresentanza politica di tipo proporzionale.105 Jellinek faceva solo due
fuggevoli accenni alla realtà politica del suo tempo e si diceva unicamente interessato ad analizzare la celebre frase di Mirabeau, riscoprendone il vero significato attraverso un rigoroso metodo storico.106
il giurista ricostruiva sinteticamente il contesto storico-politico in cui il riformatore francese aveva pronunciato le sue famose parole, caratterizzato non solo dalla crescente tensione tra Terzo Stato e il Re Luigi XVI – che avrebbe poi portato alla Rivoluzione del 1789 – ma anche da una vivace discussione politica, innescata dal pamphlet dell’abate Sieyès Che cosa
è il terzo Stato? sulla necessità di sostituire, all’interno della Assemblea
degli Stati Generali, il tradizionale meccanismo di voto “per ceti” – che garantiva la supremazia politica del clero e della nobiltà – con un nuovo sistema “per testa” che avrebbe assicurato al terzo Stato una rappresentanza adeguata.107
Con la sua celebre frase, secondo Jellinek, Mirabeau aveva preso le parti del sistema elettorale “per testa”, senza però voler negare il diritto alla rappresentanza della nobiltà.108 Nell’interpretazione di Jellinek, Mirabeau
non avrebbe avuto alcuna intenzione di difendere il sistema proporzionale, quanto piuttosto il diritto della aristocrazia – all’interno del nuovo regime elettorale “per testa” e non “per ceti” – ad avere una propria rappresentanza, attraverso la Camera Alta.109
Pur affermando – proprio come Sieyès – il diritto del Terzo Stato a rappresentare il tutto, la Nazione, Mirabeau ebbe sempre ben chiaro, se- condo Jellinek, il problema di tutelare anche le minoranze, in questo caso i «ceti superiori»:
la creazione da entrambi i primi due ceti di una Camera Alta avrebbe realizzato i suoi auspici. Soltanto in questa forma, egli avrebbe potuto riconoscere alle minoranze, fino allora predominanti, una parte decisiva alla vita politica della nazione.110
Jellinek insisteva sulla imparzialità e neutralità della sua indagine, in quanto indagine storica, volta a contestualizzare le celebri parole pronun- ciate da Mirabeau.111
tutti coloro che in Germania e in Austria chiedevano una trasformazione profonda del sistema elettorale in senso proporzionale o in senso «organico», rimproverandoli di aver del tutto frainteso la frase di Mirabeau; dall’altro, riaffermare da liberale la necessità di garantire alle minoranze una adeguata rappresentanza. Ma forse c’è molto di più. Difendendo la Camera Alta, un organo di tipo cetuale, che affondava le sue radici nella lontana età medieva- le, Jellinek sembrava sostenere che non tutte le istituzioni tramandatesi nel tempo potessero essere cancellate con un “colpo di spugna”, richiamandosi così – anche se implicitamente – ad un suo lungo saggio del 1883 su lo svi-
luppo dell’esecutivo nella monarchia costituzionale che, a nostro giudizio,
rappresenta l’ultimo ma non per questo meno importante “tassello” nella nostra analisi su Jellinek storico del pensiero politico.112