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1. La “China Policy” americana attraverso la lente interpretativa della

2.2 La dicotomia della politica cinese: politica interna versus politica estera,

Sebbene la linea maoista verso gli Stati Uniti, inaugurata alla fine degli anni Sessanta, rimase vaga fino agli inizi degli anni Settanta è comunque possibile scorgere degli elementi innovativi nella formulazione della “American Policy” cinese. Nella costruzione delle relazioni sino-americane, la leadership cinese dovette affrontare una serie di frizioni interne ed internazionali che impedivano loro di assumere una posizione unanime.

La crisi sino-sovietica si acuì profondamente a seguito dell’invasione della Cecoslovacchia, sebbene già negli anni precedenti si presentarono già delle occasioni di contrapposizione e divergenza. Il vero dibattito all’interno del Partito Comunista cinese verteva intorno alla reinterpretazione della politica estera americana e dell’atteggiamento di Washington verso la RPC. La presenza USA sul fronte sud della Cina, a causa del conflitto in Vietnam, poneva seri problemi di sicurezza per Pechino. Per Mao Zedong e le varie fazioni interne del PCC era necessario adottare una linea interpretativa degli obiettivi americani in Asia. Questa rivalutazione dei rapporti sino-americani era dettata, da un lato, dall’aggressività sovietica nei confronti di Pechino, dall’altro, dalla necessità della RPC di formulare una strategia di politica estera innovativa che le permettesse di uscire dall’isolamento causato dalla Rivoluzione Culturale.

Le possibili soluzioni di politica estera adottate dai vari leader cinesi erano strettamente legate all’andamento della politica interna. I moderati, guidati da Zhou Enlai, consideravano l’Unione Sovietica come la principale minaccia alla sicurezza cinese, rivalutando invece la posizione degli Stati Uniti. Secondo Zhou Enlai, gli americani erano una minaccia diretta per il Vietnam non per la Cina. Data la situazione internazionale, i moderati volevano che il PCC adottasse una posizione ufficiale di intransigenza nei confronti di Mosca. I militari, di cui Lin Biao rappresentava la voce predominante all’interno del People’s Liberation Army (PLA), si contrapponevano alla fazione dei moderati. Essi credevano che la naturale aggressività americana avrebbe condotto ad una inevitabile contrapposizione con la Cina comunista. Rispetto all’Unione Sovietica, sebbene Lin Biao riconoscesse che vi era stato un cambiamento da parte di Mosca, era convinto che le divergenze potessero riappianarsi. La Cina avrebbe dovuto resuscitare l’antica collaborazione

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con l’URSS per evitare l’acuirsi delle tensioni e data la naturale avversione verso il mondo capitalista occidentale. Infine, vi era una terza fazione, quella dei radicali, che proponeva una simultanea opposizione all’URSS e agli USA. Essi condividevano, da un lato, la posizione dei militari circa la contrapposizione agli Stati Uniti, dall’altro, consideravano valide le preoccupazioni dei moderati verso la minaccia Sovietica. Tuttavia, rispetto alla strategia da adottare nei confronti di Mosca, i radicali spingevano per l’adozione di un’iniziale posizione conciliativa che avesse in realtà lo scopo di lungo periodo di minare dall’interno il decadente revisionismo sovietico. Tuttavia, i radicali si affiancarono alle posizioni di Lin Biao considerando le valutazioni dei moderati, sugli Stati Uniti, troppo azzardate.

Mao Zedong, data la delicatezza della situazione interna dettata dalle tensioni provocate dalla Rivoluzione Culturale, evitò di propendere definitivamente per l’una o l’altra fazione. Il suo impegno per la riorganizzazione della società cinese richiedeva il supporto di Lin Biao, il quale guidava la sola organizzazione capace di sorvegliare quel movimento di rettifica del Partito. Allo stesso tempo si rivolse al gruppo dei radicali, guidati da sua moglie (Jiang Qing), per sferrare un attacco contro i “defezionisti” del Partito. Infine, si affidò a Zhou Enlai per minimizzare i danni di lungo termine della Rivoluzione Culturale. Con l’acuirsi delle tensioni, l’anti- sovietismo di Mao lo spinse ad appoggiare la linea dei moderati al fine di isolare Mosca attraverso la normalizzazione con Washington.

Se da un lato lo sguardo retrospettivo sembra suggerire una continua e logica sequenza di eventi strettamente interconnessi che avrebbero condotto alla socializzazione sino-americana, dall’altro, se si sofferma l’attenzione sul biennio 1970-71 è possibile rintracciare una certa discontinuità nell’andamento della politica estera cinese. Gli eventi 1968-69 non condussero direttamente alla normalizzazione dei rapporti tra Pechino e Washington. Tra il 1970 e il 1971 si assistette, infatti, ad un relativo allentamento delle tensioni tra RPC e URSS che vengono a configurarsi come un elemento di discontinuità nel processo di riavvicinamento sino-americano. La propaganda anti-sovietica in Cina decrebbe sensibilmente durante il 1970. Nel giugno 1970, in occasione di un incontro a Pyongyang per il ventesimo anniversario della Guerra di Corea, i rappresentati coreani sottolinearono il principale ruolo svolto dall’Unione Sovietica in tale occasione. Tali riferimenti furono ripresi in articoli comparsi su Peking Review nel luglio 1970, in cui si faceva presente come “le forze

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nordcoreane fossero state appoggiate dall’URSS, dalla Cina e da altri Paesi socialisti”.151

Tralasciando gli aspetti retorici, ci sono degli elementi sostanziali che dimostrano una certa attenuazione delle tensioni sino-sovietiche. Nell’ottobre del 1969, ad esempio, le due parti avviarono una serie di consultazioni per risolvere gli attriti causati dagli scontri militari lungo il confine. Entrambe le parti si impegnarono a modificare le rispettive politiche di pattugliamento al fine di evitare l’irrigidimento irreversibile delle tensioni.152 Tuttavia, i negoziati non riuscirono a ristabilire il clima di fiducia; i sovietici misero sul tavolo una serie di proposte che però i cinesi non accettarono. Nonostante il fallimento dei negoziati, la reciproca volontà di portare avanti un dialogo sulla questione contribuiva a dimostrare che vi fosse un interesse condiviso nell’evitare il tracollo finale.153

Durante il 1970 si cercò anche di incrementare le relazioni sino-sovietiche dal punto di vista commerciale. Sia Pechino che Mosca guardavano al commercio come ad una variabile che avrebbe contribuito alla “normalizzazione” delle relazioni politiche tra i due Paesi.154 Il 12 novembre 1970 una delegazione sovietica si recò a Pechino e il 22 novembre fu siglato un accordo di un anno riguardante i commerci e il sistema dei pagamenti.155

Come si evince dal grafico, l’analisi diacronica delle relazioni sino-sovietiche può essere altresì rappresentata attraverso i flussi commerciali tra i due Paesi. Se si guardano i trend generali, è possibile sottolineare come dalla fine degli anni Cinquanta fino agli inizi degli anni Sessanta si registrarono degli scambi commerciali più che positivi tra Mosca e Pechino; tuttavia con l’inizio delle tensioni si assistette ad un graduale raffreddamento dei rapporti politico-commerciali. Gli anni che vanno dal 1967 al 1970 mostrano una drastica diminuzione degli scambi commerciali, che possono essere altresì interpretati come un più generale aumento

151 Cfr. Peking Review, No. 27 (23 July, 1970), p. 28.

152 Cfr. John Garver, “Chinese Foreign policy in 1970s: The Tilt towards the Soviet

Union”, in The China Quarterly, No. 82 (Jun., 1980, pp. 214-249.

153 I negoziati tra la Cina e l’Unione Sovietica per la risoluzione delle dispute di confine

avvennero in diversi cicli: dal 20 ottobre 1969 al 14 dicembre 1969; dal 4 gennaio 1970 al 22 aprile 1970 e dal 15 gennaio 1971 fino all’estate del 1971.

154 Cfr. Jan Prybyla, “The China Trade”, in Current History, Vol. 63, No. 373 (Sept.,

1972), p. 110.

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degli attriti. Il periodo in questione, infatti, combacia con l’invasione sovietica della Cecoslovacchia e gli scontri sul fiume Ussuri. Dal 1971, si assiste invece ad un’inversione di tendenza e ad un incremento dei flussi commerciali, correlati ad un miglioramento dei rapporti politico-diplomatici.

Grafico ad opera dell’autore.Fonte: Yearbook of International Trade Statistcs, United Nations.

Tra il 1970 e il 1971, Pechino intraprese una serie di gesti simbolici amichevoli nei confronti dell’Unione Sovietica. Il 21 maggio 1970, in occasione di una manifestazione di massa a Pechino contro l’imperialismo americano presieduta da Mao Zedong e Lin Biao, furono invitati alcuni membri della delegazione sovietica che avevano partecipato ai negoziati per le questioni di confine.156 L’invito fu di nuovo esteso per le celebrazioni dell’anniversario della nascita della Repubblica Popolare cinese, il 1 ottobre 1970.157 Tali gesti, seppur simbolici, rappresentarono dei momenti di fondamentale rilevanza perché mostrarono la volontà da parte di Mosca e Pechino di evitare il confronto diretto e di avviare dei canali di comunicazione che fossero funzionali ad una possibile distensione. L’atteggiamento

156 Ibidem, p. 229.

157 Ivi.

1958 1959 1960 1961 1962 1963 1964 1965 1966 1967 1968 1969 1970 1971 1972 1973 1974 1975 1976

Commerci RPC - URSS, 1958 - 1976 (valori in migliaia di dollari U.S.A)

1.513.707 2.052.834 1.663.557 917.859 749.028 599.622 449.106 416.805 318.126 106.998 95.889 56.778 46.556 154.111 254.040 273.411 282.669 278.071 417.043

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conciliatorio cinese ebbe un impatto significativo all’interno della nomenklatura sovietica, tanto che nell’agosto 1970 Breznev tenne un discorso ad Alma Ata durante il quale adottò dei toni pacati nei confronti di Pechino.158 In tale occasione non solo

sottolineò la volontà da parte di Mosca di ristabilire normali relazioni diplomatiche, ma aggiunse:

“L’Unione Sovietica è pronta a promuovere il ripristino di buone relazioni di vicinato e di amicizia tra il popolo sovietico e quello cinese e l’unione delle forze nella lotta contro l’imperialismo.”159

La “distensione” sino-sovietica ebbe tuttavia vita breve, poiché a partire dal 1971 riaffiorarono gli elementi di tensione. Nel gennaio 1971 i cinesi rifiutarono la proposta sovietica per la stipulazione di un trattato di mutua non-aggressione e dalla primavera dello stesso anno Zhou Enlai riprese a lavorare pubblicamente per il miglioramento delle relazioni con gli Stati Uniti. I sovietici rimasero alquanto amareggiata dalla doppiezza cinese, una volta che questi si accorsero di essere stati ingannati. I cinesi durante il biennio 1970-71 intrapresero una politica estera basata su due fronti: verso l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti. Se, da un lato, è possibile rintracciare delle valide motivazioni all’interno del dibattito interno, dall’altro, l’interpretazione più accreditata sembra incentrarsi su motivazioni di natura strategica.

Da un punto di vista meramente interno, il riavvicinamento a Mosca fu probabilmente una conseguenza del maggiore peso all’interno del PCC di Lin Biao. Considerando la situazione internazionale è possibile affermare che Pechino si riavvicinò all’Unione Sovietica per evitare l’escalation militare al confine, data l’incapacità americana di attuare una risposta univoca rispetto al riavvicinamento cinese. Le azioni di Pechino possono anche essere interpretate alla luce di una possibile strategia di convincimento nei confronti degli americani. L’illusione di un possibile riavvicinamento sino-sovietico avrebbe sicuramente spinto Washington ad

158 Central Intelligence Bulletin, No. 0207/70 (29 August 1970), reperibile sul sito

internet: http://www.foia.cia.gov/sites/default/files/document_conversions/5829/CIA-

RDP79T00975A017000080001-4.pdf.

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accelerare quel processo decisionale che infine portò Nixon e Kissinger ad elaborare una più strutturata “China Policy”.

In linea generale, il problema di fondo della “doppiezza” cinese va rilevato nell’incapacità della RPC di rispondere militarmente ad un attacco esterno (sovietico e/o americano). Data la conflittualità interna al PCC, per preservare la sopravvivenza dello Stato cinese, era necessario mantenere alta l’attenzione sul fronte diplomatico. È sulla base di queste ultime considerazioni che vanno rilette le interpretazioni storiografiche relative alla politica estera cinese.