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1. La “China Policy” americana attraverso la lente interpretativa della

1.2 L’amministrazione Ford e la transizione incompiuta

Nixon diede le dimissioni nell’agosto 1974, dopo lo scandalo Watergate, e Gerald Ford divenne il 38° Presidente degli Stati Uniti. I compiti che Ford dovette fronteggiare sin dal suo insediamento si dimostrarono fin da subito ardui, poiché era necessario ricostruire la credibilità sia interna che internazionale del Paese. Sebbene l’amministrazione Ford sembrava intenzionata a mantenere in vita la distensione questo non implicava che avrebbe accettato passivamente l’espansionismo sovietico. In linea di principio, Ford cercò di mandare avanti la “dual track policy” elaborata da Nixon basata sulla convergenza di due linee di politica estera: cooperazione e competizione. Anche rispetto alla “China Policy” la nuova amministrazione cercò di perseguire la linea definita dalla precedente amministrazione, incrementando i rapporti con la RPC.

Tra il 1974 e il 1976, l’evoluzione delle relazioni sino-americane fu ostacolata dalla combinazione di una serie di fattori. In primo luogo, è importante sottolineare come le relazioni RPC-USA furono ampiamente influenzate dagli sviluppi interni sia negli Stati Uniti che in Cina. Ford concordava con la linea politica di Nixon, ovvero era favorevole alla costruzione di una “China Policy” che servisse da bilanciamento all’Unione Sovietica. Considerando l’andamento della distensione, Ford era sempre più persuaso della necessità di affidare un valore strategico alla partnership con i cinesi.69 Tuttavia questa posizione appariva sempre più difficile da portare avanti, poiché le dimissioni di Nixon avevano condotto ad una frattura all’interno del Partito Repubblicano, con Reagan che criticava apertamente le scelte condotte dall’ex Presidente. Reagan difendeva in una certa misura la lobby taiwanese, ponendo l’accento sul divario esistente tra gli interessi della “red China” e quelli di Taiwan; una parte del Partito Repubblicano avrebbe voluto fare un passo indietro rispetto agli avanzamenti diplomatici conquistati nei confronti della RPC per rafforzare i legami con Taipei. Queste posizioni discordanti all’interno del Partito instillarono in Ford una serie di dubbi sulla normalizzazione con la Cina, il Presidente si rese conto che il prezzo domestico per il raggiungimento del riconoscimento diplomatico sarebbe stato troppo elevato.70

69 Barbara Zanchetta, The Transformation of American International Power in the

1970s, Cambridge University Press, 2014, pp. 180- 192.

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Anche in Cina la fine della Rivoluzione Culturale aveva condotto ad una serie di contrapposizioni interne al Partito Comunista Cinese che contribuirono a peggiorare la situazione di stallo nel processo di riavvicinamento a Washington. Il PCC vedeva al suo interno una contrapposizione tra moderati, guidati da Zhou Enlai e Deng Xiaoping, e radicali capeggiati dalla moglie di Mao, Jiang Qing.71

In secondo luogo, la percezione della debolezza americana causò un raffreddamento delle posizioni cinesi. Molteplici furono i fattori che contribuirono a determinare questa mancanza di fiducia nei confronti di Washington: la caduta di Saigon, l’incapacità di avanzare nei negoziati per i SALT, la crescente divisione interna negli USA, l’incapacità di adottare una posizione rigorosa nella crisi angolana. Queste vicende spinsero la nomenklatura cinese a considerare la posizione statunitense verso un sentiero di declino e di perdita di prestigio internazionale.

La crescente complessità nelle relazioni sino-americane emerse in maniera lampante durante il viaggio di Kissinger in Cina (ottobre 1975), che precedette quello del Presidente Ford (dicembre 1975). Durante il colloquio tra Kissinger e Deng Xiaoping, quest’ultimo evidenziò i timori riguardanti la poca determinazione americana nell’opporsi all’espansionismo sovietico.72 Kissinger per difendere le posizioni americane cercò di giustificare alcune scelte facendo una distinzione tra strategia e tattica:

“As far as our strategy assessment is concerned we believe that the Soviet

Union is gaining in strength and that at some point it may be tempted to translate that strength into political adventures. We think it is gaining in strength, not as a result of détente policies, but as a result of the development of technology and the general state of the economy. […] Our strategy is to attempt to maintain the world equilibrium to prevent attacks in either the West or the East.

This leads to the second question: the tactics to be pursued in carrying out the strategy. And here, there is obviously a difference between us, although some of it arises from the difference in our geographic situation and our

71 Cfr. Jean Garrison, “Framing the National Interest in U.S.-China Relations: Building

Consensus Around Rapprochment”, in Asian Perspective 24, N. 3 (2000).

72 FRUS, 1969-1976, Volume XVIII, China, 1973-1976, Document 121,

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domestic situation. You believe in taking a public posture of great intransigence, though you do not necessarily act, for variety of reasons, in every part of the world. We believe in taking a more flexible posture publicity, but we resist in any part of the world towards where the Soviet Union stretches out its hands. […] You need have no concern that we are conducting détente with illusion; we are conducting it as the best method for resisting Soviet expansionism.”73

La strategia necessitava che, sia gli Stati Uniti sia la Cina, si confrontassero con la minaccia sovietica. Ma gli USA perseguivano differenti tattiche per raggiungere tale scopo, perché non era possibile per Washington assumere un atteggiamento di aperta contrapposizione. Deng non apprezzò le esplicazioni di Kissinger, continuando ad affermare che per i cinesi la distensione era inaccettabile e che l’Unione Sovietica dovesse essere sfidata apertamente. Il PCC si aspettava che l’amministrazione Ford portasse avanti le promesse di Nixon. Sebbene la visita del Presidente si concluse senza alcuna dichiarazione formale, i canali di comunicazione rimasero aperti.

Il processo di normalizzazione verso la RPC, avviato dall’amministrazione Nixon, durante la metà degli anni Settanta entrò in una fase di stallo. Lo “China

Policy” durante la Presidenza Ford procedette verso una transizione incompiuta: in

un primo momento si cercò di portare avanti alcune linee strategiche che furono successivamente ostacolate dalle vicende sopra menzionate.

La cooperazione in ambito tecnico-militare e i rapporti commerciali rappresentarono ancora una volta i capisaldi della “China Policy” e permisero di

bypassare i limiti congiunturali. A tal proposito il NSSM-212 (ottobre 1974) si

poneva in continuità rispetto alla linea strategica perseguita dall’amministrazione precedente.74 Il Presidente Ford chiese di sviluppare uno studio sul trasferimento di equipaggiamenti militari verso la RPC e Taiwan. Il non riconoscimento diplomatico della RPC rimaneva uno dei principali attriti nelle relazioni sino-americane, tuttavia le questioni più scottanti erano individuate nella cooperazione militare. Il Congresso

73 Ivi.

74 FRUS, 1969-1976, Volume XVIII, China, 1973-1976, Document 88, “National

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americano, ma anche il Partito Repubblicano, erano spaccati: l’alleanza storica con Taiwan tornava ad assumere un ruolo preponderante nel processo di policy-making. Se da un lato emersero questi intoppi, dall’altro continuarono ad esserci segnali di continuità rispetto alle scelte compiute in passato.

In un documento preparato dalla CIA nel 1976 si continuava a sottolineare l’attitudine cinese verso una certa linea di convergenza rispetto agli Stati Uniti:

“If the post-Mao Politburo should be dominated by an alliance of ideologues and

opportunistic military leaders, the result might be an orthodox revolutionary attitude toward the US. […] In the post-Mao era, Chinese foreign policies will continue to resolve primarily around China’s concerns regarding the USSR. The Russians will still be the ‘main enemy’ to the moderates and still an enemy to the ideologues. […]The successors probably will continue to view the Sino-US rapprochement on strategic terms – i.e., they will view the US as the only effective counterweight to the USSR. This assessment will reinforce the successors’ view of Taiwan as being a secondary issue in the Sino-US relationship, subordinated to the strategic Sino-Soviet-US triangle and the national security of China.”75

Questo estratto mostra come l’intelligence americana considerasse alcune priorità cinesi irreversibili, nonostante le esternazioni d’indignazione rispetto all’andamento della politica estera americana. La questione di Taiwan diveniva un problema di “second’ordine” se paragonato all’esigenza di Pechino di controbilanciare le minacce provenienti da Mosca. Era fondamentale preservare gli interessi strategici cinesi anche a costo di cedere o glissare su temi considerati di interesse nazionale. Di fatto, nel biennio 1975-76 l’amministrazione Ford cercò di ridimensionare la presenza militare americana nel territorio taiwanese non potendo portare avanti linee di politica estera più preponderanti. Furono anni di transizione in cui si cercò di mantenere con difficoltà una condizione precaria ma necessaria.

75 FRUS, 1969-1976, Volume XVIII, China, 1973-1976, Document 148, “Paper

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1.3 Carter, Vance e Brzezinski: la “China Military Policy” e la normalizzazione sino-