SEZIONE II- LA COLPEVOLEZZA PSICOLOGICA: LA MENS REA NELLE SENTENZE
2. L’elemento soggettivo: le forme di volontà colpevole
2.2. La difficile prova del dolo e gli éscamotages probatori
Per i crimini internazionali si annida, in sede processuale, il rischio della mancata
identificazione del contributo concorsuale dei singoli partecipi per assenza di prova, con la
conseguente necessità di traslare in via presuntiva la responsabilità di sistema sul terreno della
responsabilità individuale
833.
Nonostante si affermi che la mens rea non può essere presunta
834, così non accade nella pratica
dei Tribunali penali internazionali.
Gli stessi elementi meramente giurisdizionali, non sono nient’altro che un éscamotage per
eludere le difficoltà probatorie legate alla mens rea rispetto a taluni profili del fatto
835.
I precetti degli Elements of Crimes possono essere letti come il tentativo di “indirizzare” quel
processo di deduzione di una realtà (psicologica) ignota da una realtà (materiale) nota, che
inevitabilmente costituisce l’unico strumento “probatorio” a disposizione del giudice laddove
sia necessario appurare requisiti “soggettivi” dell’illecito”
836.
Date queste premesse, non si può fare a meno di citare la pronuncia Blaškić, la più illuminante
in materia, compiuta nel corso del processo che più si è soffermato sulla colpevolezza, e che
ha offerto conferma di una costante della giurisprudenza internazionale: l’approccio
pragmatico e deduttivo, che assume come punto di partenza l’osservazione e marginalizza le
regole e le norme ufficiali
837.
Infatti, il problema fondamentale è rappresentato dall’accertamento del dolo. In un unico caso
il punto di arrivo e quello di approdo dell’accertamento del dolo coincidono: l’ordine
manifestamente criminoso. Dalla obiettiva, manifesta criminosità dell’ordine si presume,
direttamente ed in ogni caso, la soggettiva consapevolezza di tale criminosità
838.
833 Così, testualmente, E.MEZZETTI, L’elemento soggettivo dei crimini internazionali, op. cit., p. 326.
834 ICTY, Blaškić, Trial Chamber I, Judgement, § 307; ICTY, Delalić and others (Čelebići case), Trial Chamber, Judgement, § 386.
835 A.VALLINI, L’elemento soggettivo, op. cit., p. 82. L’Autore si riferisce ad elementi che non fanno parte della fisionomia del reato, ma rilevano solo ai fini dell’affermazione della competenza giurisdizionale della Corte penale internazionale. Secondo l’Autore sarebbe rinvenibile un unico esempio di elemento senz’altro giurisdizionale, dato dalla necessaria attinenza dei crimini di guerra ad un piano o ad una strategia politica o ad una realizzazione su larga scala di crimini analoghi, come espressamente precisato dalla norma. Si veda, in posizione contraria, F. MONETA, Gli elementi costitutivi dei crimini internazionali, op. cit., pp. 6 ss., che propende per la natura costitutiva di tali coefficienti, in quanto pur sempre necessari a connotare un crimine internazionale e la sua peculiare offensività rispetto ad un reato di diritto comune.
836 A.VALLINI, L’elemento soggettivo, op. cit., p. 66. L’Autore cita il punto 3 dell’introduzione generale degli Elements of Crimes, ove si precisa, per l’appunto, che «l’intenzione e la conoscenza possono essere dedotti da fatti e circostanze rilevanti».
837 ICTY, Blaškić, Trial Chamber I, Judgement, § 676: Il est en effet apparu que la méthode de calcul adoptée par l’accusation est de nature pragmatique et déductive, dans le sens où elle privilégie un raisonnement partant de l’observation. Elle se différencie de celle de la défence qui, partant des données exposées par l’accusation, se veut plus abstraite et mathématique en se basant sur des règles et des normes officielles.
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Solo in questo caso si risolve immediatamente la vexata quaestio dell’«indagine sul dolo» che,
tuttavia, abbandonato questo circoscritto settore, si complica.
Perché l’accertamento del dolo non si trasformi in una probatio diabolica, si ricorre a massime di
esperienza per inferire un processo psicologico interno da fatti esterni conformi a fattispecie di
reato. Vengono, così, in rilievo tutte le modalità estrinseche della condotta, e tutte le
circostanze che possano assumere valore sintomatico della volontà colpevole
839.
Ma proprio la presenza di una serie di elementi soggettivi pregnanti che qualificano la condotta
o la stessa antigiuridicità del comportamento può determinare forme di presumed intent, ossia
forme presuntive di acquisizione della prova del requisito soggettivo
840.
Tuttavia, se è legittimo ricorrere a massime di esperienza, non è altrettanto legittimo l’uso di
schemi presuntivi, perché la presunzione di prova è inconciliabile con il dolo inteso come
coscienza e volontà reali di un fatto criminoso.
A fortiori non è possibile esimersi dall’accertamento del dolo neanche a fronte di fattispecie
legali soggettivamente pregnanti
841, ossia quelle in cui la volontà colpevole sembra implicita nella
stessa realizzazione del fatto materiale.
Certamente in questa categoria si possono inserire anche le fattispecie che contemplano i
crimini internazionali, per la lapalissiana gravità degli stessi.
Tuttavia, se tali considerazioni risultano quasi scontate nell’ottica dell’internista, non
altrettanto accade nella giurisprudenza dei tribunali penali internazionali.
Anche in tale ambito, i mental elements affiorano anzitutto attraverso evidenze e regolarità
esteriori, ed il loro accertamento richiede una copiosa filiera di circostanze concordanti e
specifiche
842, nel tentativo di “oggettivizzare” il fine criminoso, ad esempio deducendolo,
come è accaduto per il genocidio, dallo stesso carattere massivo, seriale e sistematico degli atti
compiuti
843.
Si pensi al caso Jelisić, nel quale i giudici di primo grado non sono riusciti a compensare
l’incongruenza tra l’asserita sufficienza di un dato puramente psicologico ad integrare lo special
intent di genocidio ed il quid pluris rappresentato dal piano criminale, che non rientra, almeno
testualmente, nella fattispecie penale astratta: si è tentato, a fronte della natura puramente
839 G.FIANDACA eE.MUSCO, Diritto Penale -Parte Generale-, op. cit. Nello stesso senso, si veda R.CRYER,H. FRIMAN,D.ROBINSON eE.WILMSHURST, An Introduction to International Criminal Law and Procedure, op. cit., p. 200: “Knowledge may be inferred from the relevant facts and circumstances”, ICC Elements, General Introduction, p. 3.
840 E.MEZZETTI, L’elemento soggettivo dei crimini internazionali, op. cit., p. 340.
841 G.FIANDACA eE.MUSCO, Diritto Penale -Parte Generale-, op. cit. Gli Autori precisano che il principio secondo cui il dolo deve costituire oggetto di reale accertamento, è principio generale da rispettare sempre, sia nei casi in cui la prova dell’elemento psicologico risulti difficile sia in quelli in cui appaia semplificata dalla “pregnanza” della fattispecie, perché la volontà colpevole sembra implicita nella stessa realizzazione del fatto materiale. Il corsivo è degli Autori.
842 A.SERENI, Responsabilità personale e contesto del reato, op. cit., p. 813-815. L’Autore pone l’esempio della command responsibility, anch’essa esangue nel suo contenuto cognitivo.
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psicologica dell’intento speciale di genocidio, di trovare un riscontro oggettivo rappresentato
dal piano o dalla strategia genocida
844. L’imputato è stato poi assolto dalla specifica
incriminazione di genocidio non per l’assenza della chiara intenzione di distruggere il gruppo, a
causa di una personalità immatura e megalomane, bensì perché il suo agire non si inseriva in
concreto entro un quadro o piano omicida ma appariva isolato, compiuto a casaccio,
arbitrariamente, fuori anche da una strategia personale di distruzione dei non-Serbi di
Bosnia
845.
Si assiste, così, ad un’erosione dei contenuti rappresentativi del dolo, a cui talora consegue
l’adozione di standars presuntivi della mens rea e la configurazione di un’esigibilità disumana per
i crimini più gravi.
Si tratta di rimedi estremi a fronte del difficile accertamento dell’elemento soggettivo nelle
fattispecie psicologicamente orientate, e tuttavia necessari a causa del fatto che nei crimini
internazionali la volontà criminosa risulta diluita lungo la scala gerarchica degli organi di Stato,
nel percorso ideale che si snoda dalle posizioni di vertice agli esecutori materiali
846.
Tuttavia, le difficoltà probatorie permangono anche a fronte di coefficienti soggettivi meno
intensi rispetto al dolo: si pensi alla prospettazione della stessa recklessness come «criterio
ermeneutico di meccanismi logici complessi, in cui confluiscono bisogni di semplificazione
dell’indagine sul requisito psicologico»
847.
Dunque di non minore difficoltà probatoria potrebbe risultare il riscontro dell’esistenza degli
speciali titoli soggettivi previsti a proposito della responsabilità dei comandanti militari e dei
superiori gerarchici
848, che è decisamente al di fuori dell’orbita della responsabilità dolosa,
essendo pienamente calata nella zona grigia della colpevolezza.
844 Così, testualmente, S.RAGAZZI, “Pulizia etnica” in Bosnia e crimine di genocidio, op. cit., p. 1293 ss., pp. 1303 e 1306. 845 ICTY, Jelisić, Trial Chamber, Judgement, § 66 ss. e § 102-108 (sulla necessità di una connessione tra l’intenzione del singolo e quella collettiva che sorregge il contesto genocidiario). A.VALLINI, La mens rea, op. cit., p. 172 ricorda che il dolo specifico nel crimine internazionale si indirizza per lo più verso macro-eventi di enorme portata sociale, certo non raggiungibili con scelte di azione individuali o occasionali, perché occorre l’idoneità della condotta rispetto ai risultati perseguiti, idoneità determinata dall’inserimento funzionale della stessa in un più generale ed esteso progetto criminoso, nel suo complesso adeguato allo scopo.
846 L.CAVICCHIOLI, Sull’elemento soggettivo nei crimini contro la pace e la sicurezza dell’umanità, op. cit., pp. 1057 e 1064- 1065. Della stessa Autrice Il costringimento psichico come causa di esclusione della colpevolezza nei crimini contro l’umanità: il caso Erdemović,in Riv. dir. int., 1997, pp. 377, nota 12 e 393-394, nota 64.
847 F.RAGO, I requisiti subiettivi minimi per un’imputazione giusta nello Statuto della Corte penale internazionale, op. cit., p. 94. 848 E.MEZZETTI, L’elemento soggettivo dei crimini internazionali, op. cit., p. 341. Si pensi alle circostanze di fatto dalle quali è dato desumere la consapevolezza del superiore dei crimini commessi dai subordinati (ICTY, Blaškić, Trial Chamber I, Judgement, § 307- 308): numero, tipo ed effetti degli atti criminosi commessi dai subordinati; periodo di tempo e luogo in cui sono stati compiuti, numero e tipo di soldati coinvolti, carattere e modus operandi di tali atti, luogo in cui il comandante o il superiore si trovava durante la commissione dei crimini, posizione di autorità rivestita dal sovraordinato (ICTY, Prosecutor v. Aleksovski, Trial Chamber, Judgement, § 80). Infine la consapevolezza si può desumere dall’organizzazione capillare della chain of command, tale da fare supporre che il superiore dovesse necessariamente sapere: come nel caso Karadzić, in cui la Trial Chamber ha ritenuto che l’imputato, nella qualità di presidente del partito democratico serbo della Bosnia-Herzegovina e, dunque, nella posizione di presidente della Repubblica serba della Bosnia-Herzegovina, disponesse di un effettivo controllo
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2.3. La zona grigia tra il dolo e la colpa e la residualità delle ipotesi colpose
La manichea separazione fra bene e male, che la pena per sua natura attua, se da un lato
semplifica le cose, dall’altro può far perdere di vista il chiaroscuro delle situazioni complesse
849.
Per quanto concerne i crimini internazionali, molte tipologie di comportamento non possono
essere “spiegate” secondo le nitide categorie di responsabilizzazione fissate dalla dogmatica
penale, perché appartengono alla “zona grigia”, che va dall’attiva motivazione, piena di
tensione morale ed ideale, a forme non intenzionali di partecipazione, come la connivenza o
l’indifferenza
850.
Nel rigore dell’art. 30 StICC ultimo comma, non sono contemplati né il dolus eventualis né
forme di recklessness o di colpa cosciente, tuttavia lo Statuto non ha rinunciato ad una loro
punizione in via eccezionale, legittimata in virtù della clausola di riserva contenuta nello stesso
art. 30 e ribadita dall’apertura dell’art. 28 in tema di responsabilità di comandanti militari e
superiori gerarchici, oltre che richiesta da alcune fattispecie incriminatrici di parte speciale.
In queste ultime, spesso viene usata una terminologia, variamente interpretata
851, sconosciuta
all’art. 30 StICC, derivante dall’uso del lemma wilful e suoi derivati
852. Nonostante parte della
dottrina
853ritenga che la terminologia adoperata non giustifichi una minore selezione del dolo
rispetto all’art. 30 StICC
854, nella prassi si oscilla tra dolo eventuale e colpa cosciente, sia
attraverso la clausola di riserva contemplata dallo stesso art. 30 StICC
855, sia nella
giurisprudenza dei Tribunali ad hoc che in quella recentissima della Corte penale internazionale,
proprio a proposito della command responsibility.
sulle forze armate e sul territorio e fosse a conoscenza dei reati commessi in tale zona, tuttavia astenendosi da qualsiasi attività di prevenzione e di impedimento di tali atti.
849 In tal senso A.SERENI, Responsabilità personale e contesto del reato, op. cit., p. 803. 850 Così E.MEZZETTI, L’elemento soggettivo dei crimini internazionali, op. cit., p. 316. 851 A.VALLINI, L’elemento soggettivo, op. cit., p. 76, nota 116.
852 StICC art. 8 comma 2, lett. a (I) “Wilful killing”, (III) “Wilfully causing great suffering, or serious injury to body or health”, (VI) “Wilfully depriving a prisoner of war or other protected person of the rights of fair and regular trial”.
853 Così A.SERENI, Responsabilità personale e contesto del reato, op. cit., p. 810: «L’impiego, nello Statuto, per alcuni crimini, dell’avverbio “intenzionalmente” o l’uso di predicati dal lemma willful non possono intendersi come minore selezione del dolo rispetto alla regola generale dettata dall’art. 30 StICC, ma vanno intesi come mero suo rafforzativo laddove, in particolare, la fisionomia del fatto potrebbe ingenerare equivoci sull’intensità dell’intenzione rispetto allo scopo. Lo stesso lemma willful può ritenersi ripetizione confermativa del canone generale dell’intenzione, perché mancano argomenti univoci per intendere la precisazione delle fattispecie di parte speciale, come allargamento al dolus eventualis o ad altro».
854 E.MEZZETTI, L’elemento soggettivo dei crimini internazionali, op. cit., p. 340: secondo l’Autore in base all’art. 30 dello Statuto della Corte penale internazionale il mancato riferimento all’accettazione del rischio fa escludere che esso possa rientrare nella disposizione, quantunque la norma difetti della dovuta chiarezza.
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La giurisprudenza internazionale spesso desume direttamente la colpevolezza degli imputati
dal loro ruolo di ufficiali o comunque superiori gerarchici all’interno della struttura in cui
operano
856.
Pur essendo esclusa la possibilità di dedurre la responsabilità del superiore a partire dalla sua
posizione di comando o di autorità, i Tribunali comunque la ritengono un importante indizio
da valutare ai fini della prova del dolo
857.
Il principio della necessità di provare il dolo è sempre strettamente congiunto con la reiezione
di forme di responsabilità da posizione, camuffate dietro l’accertamento presuntivo del dolo,
che in realtà si traduce nell’accertamento della violazione dell’obbligo di conoscenza gravante
sull’agente in ragione della posizione ricoperta in seno ad organizzazioni militari, politiche,
sanitarie o economiche
858.
Se è vero che nelle pieghe dell’accertamento presuntivo dell’elemento volitivo del crimine si
annida l’interscambio concettuale tra le forme di responsabilità dolosa con quelle colpose
859,
allora il settore della command responsibility
860è quello in cui più frequentemente si assiste a tale
fenomeno di interscambio.
Rispetto al dettato dell’art. 30 StICC, si tratta di un’ipotesi speciale di responsabilità colposa, la
cui disciplina dell’elemento psicologico prevale su quella contemplata dalla predetta norma.
L’art. 28 StICC declina la responsabilità da comando in tre diversi paradigmi di ascrizione
soggettiva del fatto
861.
In primis è prevista una responsabilità conseguente ad una consapevole inerzia rispetto
all’adozione delle misure necessarie per prevenire ed evitare la realizzazione dei crimini da
parte dei subordinati, ossia un omesso impedimento, nella piena consapevolezza che i propri
subordinati stavano commettendo o erano in procinto di commettere determinati crimini.
È una responsabilità ascrivibile sia ai superiori civili che militari, che integra un contributo
doloso riconducibile al concorso. Il dolo è inteso non solo come volizione del fatto criminoso,
ma anche come accettazione della sua realizzazione, dunque dolo eventuale: basti pensare a
diverse sentenze dei Tribunali ad hoc
862, ma anche della Corte penale internazionale
863.
856 E.MACULAN, Crimini di massa e modelli di attribuzione della responsabilità: riflessioni a margine della sentenza sul caso “Astiz”, in Cass. pen., n. 4, 2010, p.1441 ss., pp. 1451-1452.
857 ICTR, Kajelijeli, Trial Chamber II, § 776; ICTR, Kamuhanda, Trial Chamber II, § 607. 858 N.PISANI, L’elemento psicologico del crimine internazionale, op. cit., p. 1386.
859 E.MEZZETTI, L’elemento soggettivo dei crimini internazionali, op. cit., p. 341. 860 Per la cui trattazione si veda diffusamente ante Parte Seconda, Sezione I.
861 Per questa ricognizione e per le note critiche si vedaR.SICURELLA, Per una teoria della colpevolezza, op. cit., p. 371 ss.
862 ICTY, Prosecutor v. Blaškić, Trial Chamber I, Judgement, § 254: il Tribunale afferma che la knowledge richiesta ai fini dell’ascrizione della responsabilità penale «include anche la condotta di una persona che si accolla deliberatamente un rischio nella speranza che esso non si trasformi in offesa», dunque la knowledge richiede anche la colpa con previsione escludendo solo forme più o meno gravi di colpa incosciente (sussumibili comunque nello should have known standard).
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Nonostante si auspichi che non vengano adottati ragionamenti presuntivi o indiziari,
determinando la metamorfosi della actual knowledge in constructive knowledge
864, in sede processuale
l’accettazione della produzione dell’evento è spesso presunta o sostituita da una generica
consapevolezza, ben lontana dalla rappresentazione e volizione del reato, con conseguente
depauperamento del dolo, o comunque suo snaturamento.
Per tale forma di responsabilità si riscontra un arretramento rispetto ai requisiti soggettivi
propri della responsabilità concorsuale. Viceversa, la riconducibilità alle forme del concorso
viene meno laddove l’atteggiamento soggettivo del superiore, lungi dall’integrare gli estremi del
dolo, si fermi ai margini di una consapevole indifferenza, che rientra nella previsione dell’art.
28 StICC.
È poi prevista una forma di consapevole “disattenzione” o “trascuratezza” del superiore circa
le informazioni in suo possesso, dalle quali risulterebbe chiaramente che i subordinati stavano
commettendo o erano in procinto di commettere determinati crimini.
Si tratta di una responsabilità prevista esplicitamente dalla norma solo per i superiori civili, ma
a fortiori configurabile anche per i superiori militari, poiché questi ultimi sono chiamati a
rispondere, a differenza dei superiori civili, anche in presenza di una forma di negligenza meno
intensa derivante dal fatto di non avere controllato o di non essere intervenuti per impedire il
crimine, in ragione di un’ignoranza delle circostanze di fatto, negligente o colpevole.
Per i superiori civili, accanto al criterio del dolo, comune ai superiori militari, c’è un parametro
colposo accostabile alla wilful blindness, a fronte di una responsabilità dei superiori militari
incardinata sul più ampio parametro dello should have known che si sostituisce al controverso had
reason to know standard affermato nel Čelebići case e previsto dagli Statuti dei Tribunali ad hoc.
Tale parametro colposo è espresso dal criterio del conscious disregard, che definisce una
responsabilità ridotta rispetto al superiore militare, poiché per il superiore civile non sussiste
un generale obbligo di tenersi informato circa i propri subordinati
865.
La responsabilità di stampo colposo è quella che si pone in maggiore tensione con il principio
di colpevolezza, perché attribuisce al superiore la diretta responsabilità dei crimini
863 ICC, Prosecutor v. Lubanga Dyilo, Pre-Trial Chamber, Decision on the confirmation of charges, Case n. 01/04- 01/06 OA 15 OA 16, 10 February 2006: decisione fondata sull’esplicito riferimento dell’art. 28 StICC, quale oggetto della consapevolezza, al rischio di consumazione di crimini (“he knew that the forces were committing or about to commit such crimes”). In merito si veda, più diffusamente, Parte Seconda, Sezione I.
864D.PIVA, Responsabilità penale individuale e collettiva, op. cit., p. 67.
865 La scelta del legislatore internazionale è stata di recuperare, con riguardo ai superiori militari, il criterio dello should have known, ampiamente consolidato nella giurisprudenza internazionale del dopoguerra, ma cui era stata preferita dai redattori degli Statuti dei Tribunali penali internazionali ad hoc la diversa espressione had reason to know, espressione più ambigua e non supportata da precedenti normativi e giurisprudenziali. In tal modo residua l’opzione per una più ampia responsabilità dei militari per dereliction of a duty, a fronte della consapevole ignoranza richiesta per i superiori civili, con i dubbi, a tale proposito avanzati, sul fatto che la responsabilità per i superiori civili sia costruita in termini eccessivamente restrittivi e, pertanto, non sufficientemente severi. Così, testualmente, R.SICURELLA, Per una teoria della colpevolezza, op. cit., pp. 398-399 ss.