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CAPITOLO 2: IMMIGRAZIONE E MATERNITA' TRA LONTANE RADICI E INCERTE NOVITA'

2.2 LE DONNE IMMIGRATE E LA MATERNITA'

2.2.2 Le difficoltà economiche e il lavoro

“Sebbene la maggior parte delle cittadine straniere, soprattutto di recente immigrazione, provenga dalla classe media, con un livello di istruzione medio-alto, l'esperienza migratoria schiaccia verso il basso il loro capitale umano categorizzandole...come adatte a svolgere determinate occupazioni e non altre.”54

Non è difficile in effetti incontrare donne straniere con un diploma o la laurea che si adattano a lavorare come colf o badanti pur di riuscire a mantenersi o contribuire ai redditi spesso instabili dei mariti. Batoula che abbiamo già incontrato ha un diploma alberghiero-turistico alle spalle, ma in Italia ha lavorato come badante per molti anni, ora è disoccupata e fa qualche lavoro saltuario in nero. Najat, 34 anni, del Marocco, ha una storia simile, diplomata, ma qui ha trovato lavoro come badante all'inizio, poi come cameriera. Vilma, 30 anni, è laureata e lavorava come insegnante in Albania, ma era precaria e la paga era molto bassa. Ha deciso di raggiungere il marito qui a gennaio, ma non riesce a trovare lavoro e ora che è incinta sente che le possibilità sono ancora minori. Il marito per fortuna lavora a differenza di quelli di Batoula e Najat, ma in compenso deve pagare anche gli alimenti all'ex moglie e al figlio avuto nel primo matrimonio. Non riesce a vivere serenamente la gravidanza, si sente molto in ansia “Non so cosa faremo, mio

marito non voleva questo bambino, ma per me è il primo, i soldi non bastano e anche la casa è mal messa, mi vergogno a viverci.” Problemi economici che

immancabilmente si intrecciano ad una immagine di sé distorta dalla situazione di essere in terra straniera, e non sentire riconosciuta la propria identità di persona completa.

Hanane si è sposata a 17 anni in Marocco e con il marito si è trasferita quasi subito qui e ha avuto due figli. Ha un diploma paragonabile al liceo scientifico e sperava di potersi iscrivere all'università, come Zahara che aveva frequentata due anni di università nella facoltà di lingue, sempre in Marocco. Lo davano quasi per scontato

54 L. LOMBARDI, Società, culture e differenze di genere. Percorsi migratori e stati di salute, ed. Franco Angeli, 2005, pag.137

perché la Francia riconosce i titoli di studio del loro Paese visti i trascorsi coloniali. L'Italia purtroppo no, a meno che non ci sia un passaggio diretto da un'università all'altra. In effetti spiegano che molte loro connazionali, passano prima per la Francia per farsi riconoscere il titolo e poi emigrano in altri stati. Certo ora con i bambini è difficile pensare di trasferirsi o riprendere a studiare.

Meryem, da quando il marito è rimasto disoccupato ha ripreso a cercare lavoro. Ha appena 21 anni, viene dal Marocco. Appena arrivata in Italia ha fatto la badante, ma ora che è in attesa sta facendo sostenuta dal comune un corso di cucito che spera possa offrirle qualche possibilità in più visto la nascita del suo primo figlio ad agosto.

Chi ha un lavoro a tempo determinato o come badante spesso con l'arrivo di una gravidanza lo perde. Così è successo a Maria, 35 dalla Moldavia. Viaggia tra l'Italia e il suo Paese d'origine dal 2004 tra permessi di soggiorno e clandestinità, lavori in regola come badante e poi in nero. Ora era in regola, ma quando la famiglia ha saputo che era in attesa di un figlio l'ha lasciata a casa. Blerina, mamma del Kosovo, è stata più fortunata perché il laboratorio di tessuti per cui lavorava ha chiuso l'attività dopo che lei aveva concluso la prima maternità: almeno ha avuto quei mesi sereni. Anche Sofia, 30 anni moldava, ha avuto un'esperienza positiva. Con un figlio già nato e un altro in arrivo è stata assunta come badante da una gentile signora che l'ha accolta come fosse di famiglia. Certo lei si è spesa molto tanto da lavorare fino all'ultimo, nonostante la placenta abbassata e una gravidanza a rischio. Morta la signora e con un terzo bambino in arrivo non ha più ripreso il lavoro e ora che il piccolo è nato e dovrà subire degli interventi al viso per una rara sindrome, dà un po' per scontato di non riuscire a riprendere il lavoro.

E sempre più spesso succede che la famiglia si divida. Il marito di Lulyeta, 34 anni del Kosovo ha trovato lavoro in Germania, precario, ma sufficiente a mandarle qualcosa per l'affitto e arrotondare la sua paga di colf che le permette di vivere con i due bambini, condividendo le spese con la famiglia della sorella. Il padre di Laetitia, giovane ragazza madre, da ormai due anni lavora in Svizzera per mantenere la numerosa famiglia composta da moglie, tre figli, due nipoti, il cognato con la sua famiglia e a volte qualche altro parente. Berla Man, del Camerun, in Italia da dieci anni, ha lasciato i due figli in Camerun con sua madre, ma ora anche la situazione

sua e del marito è talmente precaria che sta pensando di ritornare in Camerun e ricomporre la famiglia. Caroline, già conosciuta sopra, per ora non ci pensa: gli altri due figli sono ormai grandi e la nonna è in gamba, porterà a conoscerli la nuova sorellina, ma di riunirsi non ci sono i presupposti, tanto più che il loro padre è scomparso da tempo.

L'arrivo di una nuova gravidanza tra solitudine, spesso insita nell'essere in terra straniera, e difficoltà economiche, si prospetta davvero difficile, tanto da spingere più di qualche mamma a chiedere di interrompere la gravidanza per paura di non farcela. Anche Hajiba ci aveva pensato. Ha 31 anni, lei e il marito sono arrivati qui 10 anni fa. Sono ben integrati, tra connazionali e legami con i vicini di casa. Abitano vicino alla Chiesa locale e anche se mussulmani da quando il marito è in cassa integrazione lei dà una mano a pulire la chiesa e il parroco le dà qualcosa. L'ultima gravidanza, la terza, è arrivata imprevista e all'inizio vista la difficile situazione economica della famiglia e il contesto casa assai angusto, ha pensato di abortire. “Poi sono andata alla san Vincenzo, come ogni mese, e mi hanno convinto a

tenerlo, ma non so... sono preoccupata. So che anche per la mia religione non è una buona cosa abortire, anche se si può fare, ma ho ancora tanti pensieri.” Ora la

bambina ha nove mesi e Hajiba è felice della scelta fatta, tra comune, san Vincenzo, il CAV e qualche lavoro saltuario riescono a cavarsela e per ora va bene così.

La famiglia d'origine, spesso lontana, non è certo di aiuto, anzi spesso è fonte di preoccupazioni aggiunte o richieste inopportune ai nostri occhi.