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la difficoltà di essere laic

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Di fronte a temi molto antichi, come l’aborto, oppure recen- ti, come lo stato vegetativo permanente, o del tutto nuovi, come l’uso delle cellule staminali embrionali, c’è una specie di reazio- ne istintiva «di default», molto comune nel nostro paese: delegare a un’autorità (la chiesa cattolica in particolare), ma poi decidere di caso in caso a seconda della convenienza. Da tutte le statistiche emerge che gli italiani sono poco informati su questi temi, in ge- nerale leggono poco i giornali e ancor meno i libri, ma, se interro- gati, si schierano sul versante che loro pare più sicuro. Questo at- teggiamento di «pratica prudenza» che sfuma nell’ipocrisia sem- bra oggi la nota etica dominante in un’Italia sempre più conserva- trice. Al tempo stesso non paiono aiutare quelle posizioni oltranzi- ste (alla piergiorgio odifreddi, per intendersi), che faustianamente sbeffeggiano i codini e sostituiscono al padre nostro una preghiera a newton (come fa odifreddi in uno dei suoi libri). È chiaro che questo atteggiamento non fa fare un passo avanti (semmai due in- dietro) alla laicità. mai come in questo momento la chiesa cattoli- ca sembra irrestibilmente attratta dal pensiero reazionario e l’etica laica da un pensiero liberale (o libertino) schematico e irriverente. eppure ci sono alternative.

Un esempio della incapacità di molta parte del mondo laico di parlare al pubblico più generale (la cosiddetta «gente») sta nella completa dissociazione tra i sentimenti e le argomentazioni razio- nali, di cui sono esempi eccellenti John Harris e lo stesso odifreddi. non si può parlare di cellule staminali solamente appellandosi alla libertà individuale di trarre vantaggio da una nuova tecnologia, se

non cadendo nello stesso atteggiamento per il quale è ricordata la signora thatcher: «La società non esiste, esiste solo l’individuo». Invece, la società esiste eccome, e «sovradetermina» l’individuo. Come ci ricorda il documento della tavola valdese sulle cellule sta- minali, esse pongono non solo una questione astratta relativa alla dignità dell’embrione, ma anche problemi molto pratici, antropo- logici, sul rapporto con la corporeità umana, sul superamento dei confini di specie, «sulle trasformazioni radicali dei tratti fondati- vi della vita umana». se non si mantiene in vita un sentimento di compassione e di solidarietà con le persone con cui condividiamo la vulnerabilità, come laici ci rendiamo colpevoli di un doppio er- rore di individualismo (alla thatcher) e di prometeismo. Questo lo dice martha nussbaum, non un teologo cattolico. e ancora, giusta- mente, il documento richiama gli aspetti simbolici impliciti in ogni innovazione biotecnologica, talora imprevisti e sempre sottovaluta- ti. La constatazione che l’identità individuale è un ambito ritenuto «sacro» nella storia dell’umanità non può essere liquidata come fa Harris quando parla della clonazione terapeutica. Il fatto che mol- ta parte del pensiero laico oggi si riferisca al sacro con irriverenza e dileggio, come a un simulacro della superstizione oscurantista, è forse il suo più serio limite ideologico, segno di debolezza e di in- capacità a parlare alla «gente». Il documento della tavola valdese è da questo punto di vista molto più avanzato.

Un altro grave errore del pensiero laico – ma anche di quello cattolico – è la reificazione, la tendenza cioè ad appellarsi a verità scientifiche per fondare scelte etiche. È noto che le verità scienti- fiche sono sempre parziali e transeunti. Le recenti scoperte sul fat- to che molti organismi viventi (dal topo allo scimpanzé, all’essere umano) condividono larga parte della sequenza del DnA, e la sco- perta dell’importanza dell’interazione «epigenetica» tra DnA e am- biente, mettono in discussione alcuni presupposti su cui entrambi i versanti, quello laico oltranzista e quello religioso, si reggono.

Questi avanzamenti scientifici svuotano di qualunque signifi- cato una posizione essenzialista secondo cui l’inviolabilità del- l’embrione è legata al suo patrimonio ereditario unico e irripetibi- le. D’altra parte, sul versante laico le verità scientifiche come fon- danti della libertà umana spesso non sono altro che una forma di «feticismo delle merci».

Dunque che cosa vuole dire essere laici? secondo Guido Ar- mellini, è laico:

1. sapere di non sapere. L’ignoranza peggiore non è l’ignoran- za semplice ma l’«ignoranza di secondo grado»: non sapere di non sapere. Il fanatico è spesso uno che non sa di non sapere, che si ap- pella a idee semplici ma sbagliate (pensiamo agli scalmanati che manifestavano davanti alla clinica di eluana englaro).

2. non indifferenza ma libertà e responsabilità, che significa- no apprezzamento della sottigliezza e anche della drammaticità dei problemi.

3. ricorrere alla narrazione (la mia storia, la storia dell’altro), all’immaginazione morale. non basta la ragione, è necessaria an- che l’emozione.

Vediamo di sviluppare questi punti. Il secondo trova una forte risonanza nel documento della tavola valdese là dove esso distin- gue tra salvezza e salute, una dicotomia che nel pensiero laico si è espressa nella nota distinzione di max Weber tra «etica della con- vinzione» ed «etica della responsabilità». In altre parole, essere lai- ci significa non forzare le decisioni sulla base delle proprie con- vinzioni profonde, ma saper cogliere – con senso di responsabilità – le ragioni degli altri e la necessità di trovare per quanto possibile un terreno comune. Un esempio ovvio è quello delle molte prese di posizione a favore della legge per l’aborto da parte di persone che consideravano tuttavia negativo l’aborto secondo la loro «eti- ca profonda». Lo stesso vale per la distinzione della tavola valde- se (e di molte legislazioni) tra uso degli embrioni sovrannumerari e di quelli appositamente creati a scopo di ricerca.

secondo le parole di pier Aldo rovatti in un libro tanto sempli- ce quanto sincero, «[…] la risposta va cercata discutendo su che cosa significhi per noi, oggi, la parola “verità”, sugli effetti anche devastanti prodotti da una certa pratica della verità. Intendo una pratica assolutistica arroccata sulla semplicità indiscussa e sul ra- dicamento di alcuni principi, come il carattere sacro della vita, ri- petuti in modo acritico e spesso arrogante. A questa pratica del- l’assoluto non si contrappone la pratica del relativo (tante verità), ma la molto più faticosa pratica del ragionevole. Ciò vuol dire che la verità [da una parte e dall’altra; N.d.A.] non deve più funziona-

re coma una macchina da guerra […] ma deve essere umanizzata come mezzo di discussione civile, strumento per confrontarsi, in- terrogarsi, capirsi dentro la relazione sociale, che è fatta anche di amore e sofferenza»1.

Il fatto che il pensiero laico abbia dimenticato questi sempli- ci insegnamenti appiattendosi sul feticismo delle merci (della tec- nologia, del mercato) non può non ricordare, con tutti i suoi limi- ti temporali, il pensiero di pasolini. prendiamo per esempio il suo intervento al congresso del partito radicale, poco prima di morire: «I bisogni indotti dal vecchio capitalismo erano in fondo molto si- mili ai bisogni primari. I bisogni invece che il nuovo capitalismo può indurre sono totalmente e perfettamente inutili e artificiali. ec- co perché, attraverso essi, il nuovo capitalismo non si limiterebbe a cambiare storicamente un tipo d’uomo: ma l’umanità stessa. Va aggiunto che il consumismo può creare dei rapporti sociali immo-

dificabili, […] creando, nel caso peggiore, al posto del vecchio cle- rico-fascismo un nuovo tecno-fascismo […]»2. per quanto il pen-

siero di pasolini debba essere contestualizzato e fosse largamente provocatorio (prevaleva certamente in lui l’etica della convinzio- ne su quella della responsabilità), il suo grido d’allarme sembra ancora attuale. possiamo mettere da parte il termine «fascismo», ma è ovvio che persiste una dicotomia tra un versante «clerico» e uno «tecno», cui i documenti della tavola valdese sfuggono. (È anche interessante notare che la temperie culturale attuale spinge più spesso dal «tecno» al «clerico» che viceversa: si pensi a pera, a Capezzone, a roccella.)

tanto per fare un esempio concreto di «reificazione» basata sul feticismo della verità scientifica, rovatti ci ricorda l’incredibile ca- so del signor Abdelmaleck, un assassino cui il tribunale riconosce come attenuante la «vulnerabilità genetica» sulla base di sofisticate indagini biomediche. non posso dilungarmi, ma assicuro sulla ba- se della mia esperienza professionale che non esiste alcuna «vul- nerabilità genetica» al crimine basata su un esame del DnA e sulla scansione cerebrale. L’episodio si inscrive nella sempre più perva- siva presenza della «biopolitica» nella nostra società.

1 P.a. rovatti, Etica minima, milano, raffaello Cortina, 2010. 2 P.P. Pasolini, Lettere luterane, torino, einaudi, 1976.

Vi è, nelle società contemporanee, una crescente tendenza a dis- sociare l’identità individuale dal riconoscimento della «persona»: come messo bene in evidenza da Giorgio Agamben nel suo recente

Nudità3, la biometria a partire da Alphonse Bertillon – l’inventore

dei primi metodi polizieschi basati sull’antropometria – ha cerca- to di sviluppare strumenti accurati e oggettivi per definire univo- camente l’identità individuale, ma un’identità senza persona. Da Bertillon si è passati via via alle impronte digitali, poi al DnA e alla immagini della retina, in uno sforzo di oggettivazione le cui finalità erano essenzialmente di polizia; per usare il linguaggio di michel Foucault, per «sorvegliare e punire».

conclusioni

Accanto alle voci dissonanti nel mondo laico (pasolini, rovatti, Agamben), ci sono molte voci dissonanti nel mondo cattolico. ne ricordo solo due tra tante. Una è quella di Hans Kung, che ci ricor- da le origini antropologiche della «fede» nella radice etimologica del vocabolo «fiducia»: fede non è necessariamente trascendenza, ipostatizzazione, ricorso a una «stampella» (come diceva il gran- de laico scarpelli) per giustificare le nostre scelte etiche aprioristi- che, ma piuttosto la fiducia nel prossimo, la fiducia nel fatto che il mondo esisterà domani e dopo la nostra scomparsa, e così via (in- somma, un fondamento antropologico minimo per sopravvivere in questo mondo). La seconda voce dissonante è quella dei vescovi tedeschi a proposito dall’eutanasia passiva4. ovviamente, in Italia

non se ne è parlato, perché i media contribuiscono al clima di pe- sante conformismo intorno alle posizioni della chiesa, ma si tratta di un documento rivoluzionario, se pensiamo ai condizionamenti che il dibattito subisce in Germania a causa del passato nazista.

nell’ambito di queste voci dissonanti, i documenti della tavo- la valdese si caratterizzano sempre per un grande equilibrio, e per

3 G. aGamBEn, Nudità, roma, nottetempo, 2009. 4 Cfr. «Introduzione», p. 6, nota 3.

la capacità di parlare a persone dotate di ragione ma anche di sen- timenti.