4. Dall’onore alla dignità della persona: introduzione
4.2 La dignità contro la stigmatizzazione: il caso del negazioni-
Un ambito in cui la libertà di manifestazione del pensiero s’in- terseca con il principio di dignità e con il tema dell’individuazione giu- ridica dei criteri rappresentativi le identità collettive è dato dalla san- zione del c.d. negazionismo.
Con questo termine – notoriamente – s’intende la negazione di fatti storici, in particolare «della verità di fatti storici percepiti dai più come fatti di massima ingiustizia»90 generalmente «crimini di genoci- dio, (…) crimini contro l’umanità e (…) crimini di guerra»91.
90 Così J.L
UTHER, L’antinegazionismo nell’esperienza giuridica tedesca e compa-
rata, Working paper n. 121, in Polis, 2008: «“Negazionismo” è un neologismo, di ori-
gine forse francese e di diffusione sicuramente internazionale, per un fenomeno cultura- le, politico e giuridico non nuovo. Si manifesta in comportamenti e discorsi che hanno in comune la negazione, almeno parziale, della verità di fatti storici percepiti dai più come fatti di massima ingiustizia e pertanto oggetto di processi di elaborazione scienti- fica e/o giudiziaria di responsabilità» (si può leggere all’indirizzo Internet http://polis. unipmn.it).
91 Cfr. ad es. l’art. 1 della Decisione quadro 2008/913/GAI del Consiglio, del 28 novembre 2008, sulla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia
mediante il diritto penale: «Reati di stampo razzista o xenofobo. Ciascuno Stato mem-
bro adotta le misure necessarie affinché i seguenti comportamenti intenzionali siano resi punibili: a) l’istigazione pubblica alla violenza o all’odio nei confronti di un gruppo di persone, o di un suo membro, definito in riferimento alla razza, al colore, alla reli- gione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica; b) la perpetrazione di uno degli atti di cui alla lettera a) mediante la diffusione e la distribuzione pubblica di scritti, immagini o altro materiale; c) l’apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, quali defi- niti agli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, dirette pubbli- camente contro un gruppo di persone, o un membro di tale gruppo, definito in riferi- mento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etni-
Anche in quest’ambito specifico – in cui l’esercizio del diritto alla libertà di manifestazione del pensiero s’intreccia strettamente con il passato e la storia di ogni singolo ordinamento giuridico – emergono numerosi riferimenti alla dignità la cui analisi delle modalità e delle motivazioni consente d’individuarne il ruolo sostanziale, sotto diversi profili.
La negazione di crimini contro l’umanità o genocidi è oggetto di previsioni specifiche, a partire dal panorama internazionale, conven- zionale e sovranazionale; in relazione sia ad accadimenti storici specifi- ci (generalmente l’Olocausto), sia di carattere più generale92.
Tutti e tre gli ambiti presentano riferimenti a questo fenomeno sia a livello normativo, sia nell’ambito del contenzioso. A livello nor- mativo, riferimenti specifici al fenomeno del negazionismo si accostano sovente alle norme relative a manifestazioni di hate speech93, quali l’in- citamento all’odio o alla discriminazione94.
ca, quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare alla violenza o all’odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro; d) l’apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini definiti all’articolo 6 dello statuto del Tribu- nale militare internazionale, allegato all’accordo di Londra dell’8 agosto 1945, dirette pubblicamente contro un gruppo di persone, o un membro di tale gruppo, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica, quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare alla violen- za o all’odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro. Ai fini del paragrafo 1, gli Stati membri possono decidere di rendere punibili soltanto i comportamenti atti a turbare l’ordine pubblico o che sono minacciosi, offensivi o ingiuriosi».
92 Cfr. ad es. la normativa cit. da M.C
ASTELLANETA, L’hate speech da limite alla
libertà di espressione a crimine contro l’umanità, in G. VENTURINI,S.BARIATTI, Droits individuels et justice internationale, Milano, 2009, passim.
93 Per un’analisi della normativa internazionale in materia cfr. E.F
RONZA, Il reato
di negazionismo e la protezione penale della memoria, in Ragion pratica, 2008, p. 27
ss. e L.SCAFFARDI, Oltre i confini della libertà di espressione: l’istigazione all’odio razziale, Padova, 2009, passim.
94 In particolare, con riferimento specifico alla negazione dell’Olocausto, cfr. ad es. la risoluzione n. 61/255 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del gennaio 2007: «Condemns without any reservation any denial of the Holocaust; Urges all Member
Il Consiglio d’Europa, ad esempio, è intervenuto con il Proto-
collo addizionale alla Convenzione sulla criminalità informatica, rela- tivo all’incriminazione di atti di natura razzista e xenofobica commessi a mezzo di sistemi informatici, il cui art. 6 fa riferimento alla negazione,
minimizzazione grossolana, approvazione o giustificazione di genoci- dio o crimini contro l’umanità95. Le note esplicative individuano nella dignità l’oggetto di tutela di tale norma96, così come la dottrina indivi-
States unreservedly to reject any denial of the Holocaust as an historical event, either in full or in part, or any activities to this end».
95 Cfr. l’art. 6 del Protocollo addizionale alla Convenzione sulla criminalità infor-
matica, relativo all’incriminazione di atti di natura razzista e xenofobica commessi a mezzo di sistemi informatici, STCE n. 189, Strasburgo, 28 gennaio 2003: «Denial, gross
minimisation, approval or justification of genocide or crimes against humanity. 1. Each Party shall adopt such legislative measures as may be necessary to establish the follow- ing conduct as criminal offences under its domestic law, when committed intentionally and without right: distributing or otherwise making available, through a computer sys- tem to the public, material which denies, grossly minimises, approves or justifies acts constituting genocide or crimes against humanity, as defined by international law and recognised as such by final and binding decisions of the International Military Tribunal, established by the London Agreement of 8 August 1945, or of any other international court established by relevant international instruments and whose jurisdiction is recog- nised by that Party. 2. A Party may either (a) require that the denial or the gross mini- misation referred to in paragraph 1 of this article is committed with the intent to incite hatred, discrimination or violence against any individual or group of individuals, based on race, colour, descent or national or ethnic origin, as well as religion if used as a pre- text for any of these factors, or otherwise (b) reserve the right not to apply, in whole or in part, paragraph 1 of this article».
96 Cfr. l’explanatory report in riferimento all’art. 6 cit. a nota prec.: «In recent years, various cases have been dealt with by national courts where persons (in public, in the media, etc.) have expressed ideas or theories which aim at denying, grossly mini- mising, approving or justifying the serious crimes which occurred in particular during the second World War (in particular the Holocaust). The motivation for such behav- iours is often presented with the pretext of scientific research, while they really aim at supporting and promoting the political motivation which gave rise to the Holocaust. Moreover, these behaviours have also inspired or, even, stimulated and encouraged, racist and xenophobic groups in their action, including through computer systems. The expression of such ideas insults (the memory of) those persons who have been victims of such evil, as well as their relatives. Finally, it threatens the dignity of the human community». Interessante notare come la previsione sia rivolta a fatti «la cui correttezza
dua nel medesimo principio il bene tutelato dalle norme internazionali contro il negazionismo, pur divergendo poi nelle considerazioni relative alla loro opportunità, proporzionalità ed efficacia97.
A livello sovranazionale, l’Unione europea ha adottato una prima Azione comune il 15 luglio 1996, sulla base dell’art. K3 del Trat-
tato sull’Unione europea, concernente l’azione contro il razzismo e la xenofobia; nonché una decisione quadro del Consiglio contro razzismo
e xenofobia, adottata nel 200898.
Uno scenario non dissimile si presenta a livello nazionale, poi- ché ai limiti costituzionalmente posti alla libertà di manifestazione del pensiero si affiancano le previsioni relative all’incitamento all’odio e, in alcuni casi, norme specifiche in merito al reato di negazionismo99.
storica sia stata stabilita» («The provision is intended to make it clear that facts of which the historical correctness has been established may not be denied, grossly mini- mised, approved or justified in order to support these detestable theories and ideas»); questo è un tema centrale su cui torneremo infra, in particolare in relazione alla giuri- sprudenza francese e svizzera.
97 Cfr. ad es. M.C
ASTELLANETA, op. cit. supra a nota 92, p. 157, che sottolinea la ri-
levanza della dignità umana nel diritto internazionale per individuare nell’hate speech (nel quale include il negazionismo) un limite alla libertà di manifestazione del pensiero. Indica nella tutela della dignità l’obiettivo delle norme contro l’hate speech ed il nega- zionismo, pur criticando l’efficacia di tale scelta, anche J.C.KNECHTLE, Holocaust De- nial and the Concept of Dignity in the European Union, in Fla. St. U.L. Rev., 36, 2008,
p. 41 ss.
98 Cfr. Azione comune del 15 luglio 1996, adottata dal Consiglio sulla base dell’art.
K3 del Trattato sull’Unione europea, concernente l’azione contro il razzismo e la xeno- fobia, in Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, 24 luglio 1996, volume L 185, p. 5
e la Decisione quadro cit. supra a nota 91. 99 Cfr. D.B
IFULCO, Negare l’evidenza. Diritto e storia di fronte alla “menzogna di
Auschwitz”, Milano, 2012 sia per un’ampia rassegna delle disposizioni nazionali in
materia (ivi, p. 32 ss.), sia per l’ampia disquisizione sull’importanza della distinzione tra revisionismo e negazionismo. In argomento cfr. inoltre O.POLLICINO, Il negazioni- smo nel diritto comparato: profili ricostruttivi, in Diritti umani e diritto internazionale,
5, 1, 2011, p. 85 ss. ed il volume di G.RESTA,V.ZENO-ZENCOVICH (a cura di), Ripara- re risarcire ricordare. Un dialogo tra storici e giuristi, Napoli, 2012, in particolare il
contributo di S.RODOTÀ, Il diritto alla verità, ivi, p. 497 ss. Amplius, sul ruolo della
Alcuni ordinamenti hanno infatti scelto di prevedere e sanzio- nare la manifestazione del pensiero di natura negazionista.
In questo senso si segnalano ad esempio gli ordinamenti giuri- dici tedesco, francese, svizzero, danese, austriaco, belga, slovacco, ce- co, polacco100, ungherese, lussemburghese, israeliano, e lituano101.
Il riferimento specifico all’Olocausto è al centro della disciplina giuridica in oggetto, rappresentando, naturalmente, una ferita ancora viva nella memoria in particolare continentale europea. Tale riferimen- to, pur maggioritario, non avviene però in via esclusiva, come dimo- strano ad esempio gli ordinamenti giuridici lituano ed ungherese, che contemplano altresì la sanzione della negazione dei crimini commessi dal regime sovietico102.
In ogni caso, al di là dei riferimenti specifici, gli ordinamenti intervengono a sanzionare la negazione o la minimizzazione di uno o diversi accadimenti storici, rendendo penalmente rilevanti tali compor- tamenti.
Le corti sono state spesso chiamate ad esprimersi nella valuta- zione dell’intreccio tra libertà di manifestazione del pensiero, dignità ed eguaglianza, che trova diversi bilanciamenti, specie nelle considerazio- ni delle giurisdizioni di carattere costituzionale.
Le leggi nazionali sono state oggetto di diversi ricorsi innanzi tutto alla Corte europea dei diritti dell’uomo, chiamata a pronunciarsi sulla limitazione della libertà di manifestazione del pensiero sia nel-
Quando (e perché) la memoria si fa legge, in G. BRUNELLI, A. PUGIOTTO, P. VERONESI
(a cura di), Scritti in onore di Lorenza Carlassare, V, Napoli, 2009, p. 2337 ss. 100 Sul negazionismo negli ordinamenti slovacco, polacco e ceco cfr. M.S
HAFIR,
Between Denial and “Comparative Trivialization”: Holocaust Negationism in Post- Communist East Central Europe, in Acta, 19, 2002 (si può leggere nel sito http://sicsa.
huji.ac.il). 101 Cfr. J.Ž
ILINSKAS, Introduction Of “Crime Of Denial” In The Lithuanian Crimi-
nal Law And First Instances Of Its Application, in Jurisprudence, 2012, 19, 1, p. 315
ss.
102 Cfr. M.S
l’ambito specifico del negazionismo, sia in quello più ampio dell’hate
speech. La Corte di Strasburgo non ha individuato un contrasto indefet-
tibile tra la tutela della libertà di manifestazione del pensiero così come garantita dall’art. 10 della CEDU e questo tipo di previsioni. In linea di principio, secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo – inter- pellata a più riprese sull’argomento – l’art. 10 tutela le opinioni, incluse quelle più “scomode”103. Tuttavia, non si esclude la convenzionalità delle norme statali in oggetto, che possono trovare giustificazione nei «diritti altrui» (tra i quali l’eguale dignità) previsti sia dal medesimo art. 10104, sia nell’art. 17 relativo all’abuso del diritto, adottato proprio con riferimento ai regimi totalitari e secondo il quale: «Nessuna disposizio- ne della presente Convenzione può essere interpretata nel senso di comportare il diritto di uno Stato, un gruppo o un individuo di esercita- re un’attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione (…)»105.
103 Cfr. ad es. Handyside v The United Kingdom, n. 5493/72 (relativo ad una pub- blicazione scolastica dai contenuti ritenuti scabrosi): «Freedom of expression (…) is applicable not only to “information” or “ideas” that are favourably received or regarded as inoffensive or as a matter of indifference, but also to those that offend, shock or dis- turb the State or any sector of the population. Such are the demands of that pluralism, tolerance and broadmindedness without which there is no “democratic society”».
104 La libertà di manifestazione del pensiero è tutelata all’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: «Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive. L’eserci- zio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costitui- scono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’inte- grità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’au- torità e l’imparzialità del potere giudiziario» (trad. it. nel sito www.echr.coe.int).
105 Cfr. l’art. 17 della Cedu: «Nessuna disposizione della presente Convenzione può essere interpretata nel senso di comportare il diritto di uno Stato, un gruppo o un indivi-
Alcune delle considerazioni della Corte europea dei diritti del- l’uomo transitano nell’ambito del contenzioso nazionale, che su tale argomento si presenta però più variegato, poiché il medesimo conflitto tra dignità/identità dei gruppi e la libertà di manifestazione di pensiero si ripropone con esiti tra loro differenti.
Le corti – similmente a quanto affermato dalla Corte di Stra- sburgo – confermano come la tutela costituzionale della libertà di mani- festazione del pensiero includa le opinioni più scomode, salvo poi divi- dersi sul bilanciamento tra questa e gli interessi tutelati dalle norme che sanzionano il negazionismo: tra essi, emerge invariabilmente la dignità.
La Corte costituzionale ungherese, ad esempio, nel 1992 ha ri- tenuto incostituzionale la previsione dell’articolo 269 del codice penale, che sanzionava l’uso di espressioni offensive o denigratorie nei con- fronti di una serie di soggetti (dalla nazione ungherese ai gruppi)106.
Da un lato la Corte individuava esplicitamente nella dignità un limite alla libertà di manifestazione del pensiero, anche alla luce della
duo di esercitare un’attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione o di imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla stessa Convenzione» (ivi). Sull’approva- zione ed applicazione di quest’articolo cfr. H. CANNIE, D. VOORHOOF, The Abuse Clause And Freedom of Expression In The European Human Rights Convention: An Added Value For Democracy And Human Rights Protection?, in Netherlands Quarterly of Human Rights, 29, 1, 2011, p. 54 ss.
106 Il testo dell’art. 269 del codice penale ungherese è tradotto nella versione inglese della sentenza in oggetto, n. 30/1992 (V. 26.) AB, che si può leggere in L.SOLYOM,
G. BRUNNER, Constitutional Judiciary in a New Democracy, Michigan, 2000, p. 229
ss.: «(1) A person who, in front of a large public gathering, incites hatred a) against the Hungarian nation or any other nationality, b) against any people, religion or race, fur- ther against certain groups among the population, commits a felony and is to be pun- ished by imprisonment for a period of up to three years. (2) Anyone who in front of a large public gathering uses an offensive or denigrating expression against the Hungar- ian nation, any other nationality, people, religion or race, or commits other similar acts, is to be punished for misdemeanour by imprisonment for up to one year, corrective training or a fine»; solo questo secondo comma sarà dichiarato incostituzionale.
menzione di tale principio nella Costituzione allora vigente107. Tale li- mitazione assume significato sia in una dimensione individuale, poiché l’attacco ad un gruppo minaccia l’«onore e la dignità» degli individui ad esso appartenenti108, sia in una dimensione collettiva in relazione alla protezione della dignità delle «communities»109.
Tuttavia, e d’altro lato, la Corte volge lo sguardo alla storia che – dice – prova che la restrizione delle opinioni “scomode” limita ed incide negativamente non solo sulla libertà degli individui, ma anche sulla costruzione stessa del contesto sociale110.
107 Nel 1992 era in vigore questa versione dell’art. 54 della Costituzione: «In the Republic of Hungary everyone has the inherent right to life and to human dignity. No one shall be arbitrarily denied of these rights. No one shall be subject to torture or to cruel, inhuman or humiliating treatment or punishment. Under no circumstances shall anyone be subjected to medical or scientific experiments without his prior consent». La versione attualmente in vigore prevede invece: «Human dignity shall be inviolable. Every human being shall have the right to life and human dignity; embryonic and foetal life shall be subject to protection from the moment of conception» (la versione inglese della Costituzione ungherese si può reperire nel sito http//www.kormany.hu).
108 «The disturbance of the social order and peace – or “public peace”, to use the Criminal Code terminology – also contains the danger of a large-scale violation of indi- vidual rights: emotions whipped-up against a group threaten the honour and dignity (and in more extreme cases, also the lives) of the individuals comprising the group, and by intimidation restrict them in the exercise of their other rights as well (including the right to the freedom of expression)», in L.SOLYOM,G.BRUNNER, op. cit. supra a nota
106, p. 236.
109 «According to the Constitutional Court’s Decision, the dignity of communities can be a constitutional limit to the freedom of expression. Thus, the Decision does not exclude the possibility for the legislature to extend the scope of criminal sanctions be- yond incitement to hatred. Nonetheless, there are other means available, such as ex- panding the possible use of non-material damages, to provide effective protection for the dignity of communities», ivi nel commento alla sentenza a p. 238.
110 «Historical experience shows that on every occasion when the freedom of ex- pression was restricted, social justice and human creativity suffered and humankind’s innate ability to develop was stymied. The harmful consequences affected not only the individuals but also the society at large, inflicting much suffering while leading to a dead end for human development. Free expression of ideas and beliefs, free manifesta- tion of even unpopular or unusual ideas is the fundamental requirement for the exis- tence of a truly vibrant society capable of development»; la traduzione inglese di questo
La tutela della public peace, quindi, secondo tale ricostruzione sussiste ma, nell’ambito di un giudizio di bilanciamento degli interessi in gioco, l’assetto democratico impone la prevalenza della libertà di manifestazione del pensiero.
Il ragionamento svolto dalla Corte ungherese percorre terreni comuni alla Corte suprema statunitense, individuando un tipo di inter- pretazione che la dottrina ha definito come «Hungarian “clear and pre-