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CAPITOLO 3 La valutazione del livello di efficacia dei codici di condotta

3.1 La dimensione dell’efficacia

Capito meglio cosa si intende per codici di condotta e per cosa essi si distinguono, si può ora tornare al nucleo del presente lavoro: quali basi possono sostenere questa proliferazione di codici di condotta, che non sono direttamente “armati” della spada pubblica hobbesiana?103

L’efficacia dei codici di condotta deve essere misurata principalmente alla luce della loro capacità di influenzare in concreto il comportamento dei soggetti cui si rivolgono104. Cruciale sembra infatti il passaggio da strumenti volti solamente alla

tutela della reputazione a mezzi efficienti per garantire una vera “etica” degli affari e il rispetto di determinati valori.

Il dibattito sulla valutazione dell’efficacia dei codici etici e dei modi per incrementarla è molto vivo e avviene sia attraverso indagini empiriche sia con studi su diverse variabili quali la loro struttura, il loro linguaggio, le modalità di elaborazione, comunicazione, controllo e sanzione. Come scrive Perulli, infatti, analizzare la messa in pratica dei codici di condotta non è di certo facile, ma il problema è cruciale in quanto l’efficacia delle norme di origine privata dipende dai mezzi di verifica della loro attuazione105.

Per approcciarsi all’argomento, verrà ora brevemente esposto quanto emerso da una ricerca della Fondazione Unipolis sull’attuazione dei codici etici in Italia. Tuttavia, data la consapevolezza che la ricerca in questione, pur ricoprendo un vasto insieme di esperienze societarie, non può offrire una rappresentazione completa di tutte le realtà imprenditoriali, si andrà poi ad esaminare quanto affermato dalla letteratura internazionale sui fattori che si sono dimostrati rilevanti per l’efficacia dei codici di

103 A. Perulli, La responsabilità sociale dell’impresa: verso un nuovo paradigma della regolazione?, p. 61.

Thomas Hobbes scrive nel Leviatano che “la validità dei patti non comincia se non con la costruzione di un potere civile, sufficiente a costringere gli uomini a mantenerli”. Da qui il riferimento della domanda posta.

104 Così anche A. Perulli: “il focus dell’analisi si sposta dalla creazione di norme vincolanti per gli attori alle

modalità con cui certe norme influenzano in concreto gli attori”.

condotta. La trattazione sarà basata su un confronto tra ciò che la dottrina ha trovato essere auspicabile per l’ottenimento di codici efficaci e ciò che avviene, spesso in senso opposto, nella realtà e nella prassi non solo italiana ma anche internazionale.

3.1.1 Un’analisi sull’applicazione dei codici etici in Italia

106

La ricerca della Fondazione Unipolis, grazie a numerosi dati empirici, ha consentito di sviluppare una riflessione partendo dalla diretta conoscenza della realtà materiale. L’analisi quantitativa è stata realizzata in un campione di 96 imprese che a settembre 2008 avevano adottato un proprio codice etico. L’analisi qualitativa è stata svolta su un campione di 20 aziende, tutte di dimensioni rilevanti, selezionate dal gruppo delle 96 in base ad obiettivi di rappresentatività per settori di attività economica, contenuti del codice etico e tipologia di governance.

La ricerca testimonia come ci sia stata una indiscutibile estesa diffusione dei codici di condotta nelle aziende, ma non manca di sottolineare come questi codici siano rimasti fino ad oggi strumento sostanzialmente inerte all’interno delle società107. Questo viene confermato anche da Francesco Peraro, presidente di “Veneto

Responsabile”, il quale, nell’intervista realizzata presso Banca Etica il 4 agosto del 2010, afferma che al di là del fatto che l’azienda abbia adottato al suo interno un codice etico, quello che ancora si verifica è una costante “divaricazione tra i valori dichiarati e i valori attuati”.

Questa divaricazione deriva dal fatto che molto spesso, contrariamente a ciò che dovrebbe accadere, il codice di condotta non è frutto di un processo multi- stakeholder, ovvero multilaterale, ma viene confezionato unilateralmente in modo autonomo dall’imprenditore in prima persona o da persone che presiedono i vertici aziendali.

106 P. Morara e F. Vella, (a cura di), Governance e responsabilità sociale, Analisi sull’applicazione dei codici

etici in Italia, in “I Quaderni di Unipolis”, 1, 2009.

107 Interessante è anche notare che l’analisi delle date in cui sono stati adottati i codici di condotta porta a

ritenere che questa adozione sia stata frutto della necessità “protettiva” di adeguarsi alle previsioni del decreto legislativo 231/2001 sulla responsabilità della persona giuridica e della volontà di sottrarsi alle rilevanti sanzioni da essa previste. Il decreto prevede l’esonero di responsabilità dell’ente per uno dei reati considerati, se viene provato che ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenirlo.

Dalla ricerca appaiono altri due segnali sintomatici: il primo si riferisce alla composizione degli organi predisposti al controllo dell’applicazione del codice; il secondo riguarda invece l’irrogazione di sanzioni.

Sotto il primo aspetto, emerge che la maggior parte delle società ha deciso di formare gli organi di controllo e vigilanza sul rispetto dei codici non con soggetti indipendenti ed estranei o almeno in prevalenza indipendenti e estranei alla consueta catena di comando interna all’impresa. Al contrario, a presidio dell’applicazione dei codici vi sono spesso proprio i soggetti che rivestono posizioni apicali nell’organizzazione dell’impresa come il consiglio di amministrazione o il presidente della società. Questa scelta non da garanzie sull’osservanza delle regole e sulla corretta erogazione di sanzioni: se sono gli stessi amministratori, cioè coloro che gestiscono la società, a formare l’organo che presidia l’applicazione del codice di condotta e a dover giudicarne il rispetto, senza che ci sia almeno una rilevante presenza di esterni, il risultato del loro controllo tendenzialmente sarà di non far trapelare le eventuali contraddizioni dell’agire dell’organo di governance rispetto alle regole del codice.

In questo senso fa riflettere il secondo dato prima richiamato: la maggior parte delle persone intervistate ha dichiarato che non sono quasi mai state intraprese azioni o irrogate sanzioni per la violazione di quanto previsto nei codici. La ricerca non vuole sostenere che l’efficacia di un codice etico si valuta dal numero di sanzioni che vengono comminate; ma ritiene che una così bassa incidenza di sanzioni non possa essere conseguenza di un atteggiamento sempre virtuoso e responsabile in tutte le imprese intervistate. Si ritiene piuttosto che tale dato sia conseguenza di una carenza di controlli sull’applicazione dei codici e che, nonostante le violazioni ci siano, non vengono irrogate le relative sanzioni.

Come anticipato, per ampliare l’orizzonte dell’analisi, verrà ora esaminato quanto affermato dalla letteratura internazionale sui fattori che si sono dimostrati rilevanti per l’efficacia dei codici di condotta.