• Non ci sono risultati.

Dinamiche sociali e conflittualità

L’importanza delle famiglie Mazza, Scillato e de Ruggiero nella società sa- lernitana, nonché il loro profondo radicamento nel tessuto cittadino, sono bene viandogli intanto i materiali necessari e anticipandogli l’arrivo dei maestri d’ascia (di cui evidente- mente Salerno non disponeva) da Amalfi e Maiori, CDS XIII, 2, n. 552, p. 654.

259 Cfr. Lamboglia, Aspetti della guerra del Vespro, pp. 145-146.

260 CDS XIV, nn. 31, p. 126 (5 ottobre 1315), 34, p. 126 (18 gennaio 1316), 36, p. 126 (22 aprile

1316), 61, p. 168 (6 agosto 1317). Per il 1317 cfr. anche cfr. Caggese, Roberto d’Angiò, I, p. 176.

261 Al medico salernitano Niccolò Manganaro, per il suo passaggio al nemico, furono sequestrati i

beni e concessi a Giordano de Siragusia, CDS XIV, n. 83, p. 201 (30 ottobre 1314), cfr. Caggese,

Roberto d’Angiò, I, p. 212 e nota 1.

262 Caggese, Roberto d’Angiò, I, p. 190.

263 Carlo Martello morì a Napoli intorno al 19 agosto, probabilmente per peste, negli stessi giorni in

cui moriva la moglie Clemenza, cfr. Schipa, Carlo Martello, XV, pp. 102-103.

264 Precisamente l’8 settembre, a tre giorni dallo svolgimento di un parlamento generale a Napoli,

quando Carlo ricevette anche il cingolo militare e l’Onore di Monte Sant’Angelo dal nonno Carlo I, cfr. ibid., XIV, pp. 258-262; sembra invece infondata la notizia, riportata da Salimbene de Adam, che Carlo avesse avuto l’investitura di Salerno dal nonno già all’indomani della cattura del futuro re Carlo II da parte di Ruggiero di Lauria, nel 1284, cfr. ibid., pp. 236-237.

265 Ibid., XV, p. 97, per la composizione del consiglio. 266 Morelli, «Il furioso contagio delle genealogie», pp. 37-38.

esemplificate in una disposizione emanata a Napoli il 27 febbraio 1296 da Carlo II d’Angiò. Questi, rivolto agli stratigoti di Salerno tam presentibus quam fu-

turis, accoglieva la richiesta dell’Universitas affinché l’amministrazione locale

continuasse a restare nelle mani di dodici persone, nominate dagli elettori divisi per piazze e strade e non più dall’assemblea dei cittadini; nel contempo elencava gli undici distretti in cui era divisa la città, i nomi di tre dei quali rimandavano alle famiglie Mazza (in loco de Maczis e Sancto Vito de Scutis), Scillato (in loco

Scillitanorum) e de Ruggiero (in loco de Rugerii)267, a testimoniare la loro capa-

cità, grazie a rilevanti prerogative sociali ed economiche, di controllare gli spazi urbani prima che, più tardi, su di essi si strutturassero i seggi cittadini.

Il documento, però, contiene altri elementi significativi. A parte i riferimenti alla topografia urbana e alle caratterizzazioni in senso artigianale di molti dei luoghi elencati, argomenti sui quali ritornerò nel capitolo successivo, esso rinvia ad una delle più costanti controversie che interessarono Salerno, ed altre città del

Regno268, nel periodo angioino, in special modo fino alla prima metà del Trecen-

to, e cioè le discordie sociali in merito all’elezione delle magistrature cittadine. Sulla questione si misurò più di una volta la difficile ricerca di un equilibrio tra le componenti della società locale e fu una delle problematiche - se non la princi- pale - che ne alimentò uno stato di conflittualità diffusa destinato a perdurare per buona parte della sua storia.

Le ragioni elettive e fiscali, tuttavia, non esaurivano i motivi che determi- navano discordie civili, benché di frequente ne fungessero da catalizzatore, ed opportunamente Carlo Carucci, che è stato il primo studioso a focalizzare l’at- tenzione su queste problematiche per Salerno, ebbe modo di scrivere: «… non è facile riconoscere i principii animatori delle liti aspre che caratterizzarono la vita della città nell’epoca …. né investigarne le ragioni, né ridurle ad una sola legge regolatrice»269. Ad esse comunque, nessuno fu estraneo, né laico, né ecclesiastico,

anzi, ne fu totalmente parte in causa soprattutto la Chiesa locale, che era - come altrove - naturalmente inserita nelle dinamiche socio-economiche del periodo e non solo quando al suo vertice assursero esponenti delle stesse famiglie cittadine o che comunque avevano interessi nel Salernitano, come si vedrà nelle pagine successive.

267 CDS XIII, 3, n. 250, pp. 285-286.

268 Nel caso di Napoli, uno specifico interesse per l’argomento risale già agli inizi del secolo scorso,

a partire dal corposo e documentatissimo lavoro di Schipa, Contese sociali napoletane.

In molti casi, purtroppo quasi i soli per i quali veniamo a conoscenza dei conflitti sociali, la monarchia dovette intervenire su di essi, adottando interventi

che non furono sempre lineari e coerenti270. Ovviamente essa faceva pressione so-

prattutto sullo stratigoto - in rari casi sul Giustiziere - e chiedeva a lui non solo di sedare le violenze in atto mediante le prerogative che gli erano proprie, ma anche di fare da arbitro tra i cittadini. Il funzionario regio, però, fu molto spesso inca- pace di intervenire efficacemente, sia per l’insufficienza dei mezzi che aveva a disposizione, nonostante si cercasse talvolta di potenziarne l’ufficio aumentando il personale271, sia per la mancanza del necessario equilibrio tra le parti discordi

e sia, non da ultimo, perché fondamentalmente estraneo al tessuto cittadino, alla sua articolazione e alle sue dinamiche interne, come avvenne soprattutto da quan- do, come si è visto, l’incarico fu affidato a elementi forestieri.

Prima di esaminare le problematiche che scaturivano dalle elezioni delle ma- gistrature cittadine, in particolar modo quando esse riguardavano questioni tribu- tarie, vorrei accennare ad altri motivi che alimentarono la conflittualità cittadina, in particolare tra e verso le famiglie più ricche della città, a partire da quella dei de Ruggiero.

Come prevedibile, considerato sia il ruolo esercitato da Matteo nel contesto regnicolo, sia le sue molte proprietà nel Salernitano, egli si inserì profondamente nelle dinamiche locali, a volte su delega della monarchia, per esempio quando, nell’estate del 1290, fu incaricato dal principe Carlo, di cui era familiare e consi- gliere, insieme allo stratigoto, di trovare le soluzioni adatte a comporre i conflitti sorti in città (per i soliti motivi elettorali e fiscali), che avevano provocato l’arre- sto di alcuni nobili e di altrettanti mercanti272. Ma, soprattutto, egli fu impegnato a

difendere le sue proprietà dagli attacchi di altri esponenti della società salernitana, spinti probabilmente dalla presenza “ingombrante” di Matteo in città, esplicata non solo mediante i suoi interessi economici e fondiari, ma anche il suo rapporto privilegiato con la monarchia, che non esitava a impiegarlo - come si è visto nel 1290 - come arbitro delle discordie cittadine, una circostanza rispetto alla quale la sua appartenenza alla nobiltà poteva non renderlo del tutto super partes.

Motivazioni di natura patrimoniale e non fiscale, però, furono alla base dell’in- vasione di un suo fondo poco lontano da Salerno da parte di un gruppo di chierici

270 Sulla scarsa incisività degli interventi della monarchia, in particolare durante il regno di Roberto

d’Angiò, insiste Caggese, Roberto d’Angiò, I, pp. 235-236.

271 Come nel giugno 1290, quando il principe Carlo Martello dispose che al servizio dello stratigoto

dovessero esserci 4 stipendiari a cavallo e 20 a piedi, CDS XIII, 2, n. 125, p. 223.

e laici guidati dal priore di S. Lorenzo de Monte, una dipendenza cassinese, e dall’abate Giovanni della Porta, un episodio che provocherà due successivi inter- venti del principe di Salerno Carlo Martello l’11 dicembre 1292 e il 12 gennaio 1293273. Si trattava dei beni posseduti dal de Ruggiero - in parte come proprietario

e in parte come enfiteuta - nella contrada Caput-strate, precisamente nei pressi

della chiesa di S. Demetrio, e che determinarono una lunga vertenza274 destinata

a risolversi a favore del de Ruggiero275. I contrasti, che avevano coinvolto reli-

giosi in grado evidentemente di muovere al loro comando armate private, aveva interessato una zona, Caput-strate, tutt’altro che marginale della città, un luogo fortificato (nei pressi dell’odierna Fratte) dove convergevano alcune importanti strade d’accesso a Salerno, tra cui l’asse che congiungeva la costa con il centro nevralgico Rota-Sanseverino. L’importanza strategica dell’area è dimostrata al- meno da due circostanze. Innanzitutto qui lo stratigoto, prima del 17 dicembre del 1292, aveva rinvenuto diversa arma, tra cui scuta con le insegne di re Giacomo d’Aragona, di Giovanni da Procida e di Giovanni della Porta, qui locum ipsum

incastellasse asseritur276; ma nello stesso luogo, prima del 4 aprile 1293, alcuni

Salernitani si erano fortificati in alcune case e, armati e uniti in squadre, avevano incitato il populum contro lo stratigoto Pietro de Guinsac, costringendolo alla fuga277.

Se la documentazione ci rimanda altre notizie di attentati ai beni di Matteo278,

fu però la spartizione della sua ricca eredità - che consisteva in proprietà im- mobiliari ma anche in denaro contante, benché non sia chiaro se direttamente impiegato in attività finanziarie o legato a un ruolo di intermediazione con socie- tà finanziarie/mercantili279 - a rivelarsi particolarmente problematica. Egli morì

verosimilmente nel 1298280 e da subito iniziarono i contrasti tra i figli Riccardo, miles, e Giovanni, arcidiacono di Reggio, il nipote Giovanni (figlio del fratello di

273 Ibid., nn. 138 e 143, pp. 168-169 e 173-174. 274 Di non facile risoluzione, cfr. ibid., n. 165, p. 198.

275 Su decisione del Giustiziere di Principato (2 settembre 1293, ibid., n. 170, pp. 204-205). Cfr.

anche n. 216, pp. 251-252 (2 settembre 1294).

276 CDS XIII, 2, n. 226, p. 331. 277 CDS XIII, 3, n. 151, pp. 183-184.

278 Ibid., n. 161, p. 194 (25 giugno 1293), n. 167, p. 200 (28 agosto 1293).

279 Il 31 maggio 1299 la regia Curia ordinava ai mercanti della società dei Bardi, Frescobaldi e Moz-

zi di versare al nipote di Matteo, Giovanni de Ruggiero, la terza parte delle somme depositate da Matteo e dai figli presso di loro, nonostante il parere contrario del giudice degli appelli e di Andrea d’Isernia, professore di diritto civile, ibid., n. 348, pp. 394-395.

Matteo, Tommaso) e il custode della Casa salernitana dell’Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme281.

Ma è soprattutto il figlio Riccardo (+ 1302)282, miles e familiare di Carlo Mar-

tello, ad essere protagonista di una conflittualità continua con diversi esponenti della società salernitana, negli anni Novanta del Duecento. Particolarmente lun- ghi furono i suoi scontri, che talvolta sfociarono in attacchi fisici, con l’arcive- scovo di Salerno Filippo Capuano, inerenti a possessi e rendite di beni, sui quali mi soffermerò nella seconda parte di questo lavoro; talmente violenti da causare a Riccardo diversi periodi di prigionia, dai quali, però, riusciva a sottrarsi grazie a ricche cauzioni che poteva consentirsi in virtù del suo considerevole patrimonio.

Ma i destinatari dell’aggressività di Riccardo furono anche molti altri, i suoi familiari, alcuni cittadini salernitani, gli stratigoti, il monastero della SS. Trinità

di Cava283: è difficile desumere dalla documentazione i motivi specifici di tali

contrasti, se non in qualche circostanza, ma di certo essi erano generati da ragioni economiche e non di rado si legge in essa di invasioni delle sue proprietà o furti di suoi beni284. Riccardo, in tutti i casi, non fu protagonista della stessa brillante

carriera del padre Matteo, difatti sembra che sia stato insignito della sola carica di capitano nel Principato Ultra: anche nell’esercizio di questa funzione, però, non mancò di compiere dei reati ai danni delle terre di Avellino, Serino e Forino, che gli procurarono un mandato di arresto, una condanna in contumacia (si era infatti sottratto alla cattura, nascondendosi) e una serie di altri provvedimenti, tutti revo- cati da Carlo II d’Angiò, il 23 ottobre 1299, con interessata benevolenza, dietro

pagamento di 500 once d’oro285.

Sebbene si muovesse soprattutto in un contesto ecclesiastico, altrettanto in- quieto fu il fratello Giovanni, medico personale di Carlo II, arcidiacono di Reggio

e canonico di Nola e Salerno286, dunque anche lui espressione di quel patriziato

cittadino in grado di intessere rapporti proficui con la monarchia e funzionaliz- zarli alla sua ascesa sociale: indubbiamente, infatti, egli era uomo di fiducia della

281 CDS XIII, 3, n. 349, pp. 395-396 (3 giugno 1299). Sulla Casa giovannita salernitana cfr. Iorio,

Strutture e ideologie, pp. 76-77. Alcuni dei contrasti tra Riccardo e Giovanni riguardavano il pos-

sesso del piccolo feudo di Ruviano, presso Sanseverino, e una terra con giardino in Caput-strate,

ibid., nn. 398-399, pp. 446-448 (4 febbraio 1300).

282 Morì nel 1302, almeno secondo l’obito registrato nel Necrologio del Liber Confratrum, p. 97. 283 Cfr. Galdi, Conflittualità, potere regio, p. 248.

284 CDS XIII, 3, pp. 113-114 (1291), 261 (1294): per i particolari cfr. Galdi, Conflittualità, potere

regio, p. 248.

285 Ibid., n. 381, pp. 427-430.

Corona se, nel 1291, fu delegato ad andare a Roma, come sindaco della città insieme a Riccardo Domnomusco, per chiedere al pontefice la dichiarazione del diritto di primogenitura e della successione al trono di Roberto, duca di Calabria dal 1296, dopo la morte del fratello Carlo Martello287. Il suo interesse prevalente,

però, fu la carriera ecclesiastica, tanto che concorse - ma senza successo - alla cattedra arcivescovile di Salerno alla morte dell’arcivescovo Berardo (1309), non sottraendosi nemmeno ad appropriazioni indebite di beni arcivescovili, stando almeno all’inchiesta condotta su di lui, su delega papale del 14 novembre 1310,

dagli arcivescovi di Napoli e Capua e dal vescovo di Caserta288, di cui però non

si conosce l’esito.

Anche dopo la scomparsa dei figli di Matteo de Ruggiero, la famiglia continuò ad essere fortemente radicata nel tessuto cittadino, tanto che, almeno dagli inizi del Quattrocento, essa risultava in massima parte riunita nel seggio che da lei ave-

va preso il nome289. La sua fisionomia economica e professionale rimase sostan-

zialmente costante per tutto il XIV secolo: a parte la persistenza della connotazio- ne militare, essa mostrò una scarsa propensione per l’amministrazione cittadina a favore della carriera nella burocrazia regnicola, una sostanziale indifferenza per le professioni notarili e giuridiche, a differenza di altre compagini familiari come i Pinto e i Dardano, una discreta attenzione per la carriera ecclesiastica e una par- ziale attrattiva per la professione medica; i suoi interessi economici, infine, con- tinuarono ad essere incentrati sulla gestione dei beni patrimoniali e feudali nelle terre del Principato, con qualche incursione nel mondo dell’artigianato locale, dal momento che alcuni suoi esponenti furono coinvolti nel possesso di botteghe, forse più per sfruttarne le rendite con gli affitti che per svolgere attività artigianali e commerciali in proprio290.

Tuttavia, la conflittualità cittadina si misurava su molte altre e diverse motiva- zioni che coinvolgevano famiglie ben inserite nel tessuto cittadino e particolar- mente “in vista”, come i Mazza, il cui esponente Alessandro, figlio del già citato giudice e familiare Filippo, vide attaccata la sua vigna presso la città dai fratelli Giovanni e Guglielmo Grillo nel 1294291, o i Marchisano, detentori di un feudo in

287 CDS XIII, 2, n. 342, p. 454 (31 marzo 1291). 288 Crisci, Il cammino, pp. 324-327, 329. 289 Ms Pinto, c. 135v.

290 Per tutti questi aspetti, e per la relativa documentazione, rinvio a Galdi, Conflittualità, potere

regio, pp. 249-250.

Salerno e nelle sue pertinenze che da loro prendeva il nome (de Marchisanis)292:

uno dei membri di quest’ultima casata, Tommaso, fu ucciso da Iacopo Bocca- mugello, forse per motivi di schieramento politico, dal momento che lo stesso

Iacopo doveva essere vicino alla corona d’Aragona293.

Dunque, motivazioni disparate e complesse, nello loro linee generali non esclusive della città di Salerno294, fanno da sfondo ad una conflittualità sociale,

leggibile attraverso la filigrana di una documentazione spesso non esplicita, che,

in analogia con quanto evidenziato per Napoli295, frequentemente si esprimeva

e si coagulava in aggregazioni se non in fusioni consortili, le quali diventavano esse stesse strumenti di una società inquieta e in trasformazione che nel nuovo corso politico cercava le strade per una sua ri-definizione, e contribuivano a un processo di riequilibrio degli assetti familiari e sociali delle componenti cittadine.

Il più ampio capitolo della medesima conflittualità, come accennavo all’ini- zio, è però inerente all’elezione delle magistrature cittadine e alla ripartizione dei carichi fiscali, soprattutto a partire dagli anni Novanta del Duecento; a questo proposito il Caggese, non senza un tratto di esagerazione, riconobbe che tali lotte furono così “aspre” e “micidiali” perché la città «ha sì ricche note caratteristi- che municipali, tanto da far correre il pensiero allo schema degli ordinamenti

comunali»296. Le stesse motivazioni sembrano essere dietro anche ad una serie di

scontri tra le famiglie salernitane già verso la fine degli anni Ottanta, che coin- volsero alcuni importanti personaggi della vita cittadina del tempo, tra i quali i

giudici Pandolfo Capograsso e Giovanni Mazza297.

«Nei primi decenni della dominazione angioina, i rapporti tra città e Stato, mal definiti, crearono le condizioni più favorevoli al risorgere ed all’accentuarsi del particolarismo», scriveva efficacemente, ormai molti decenni fa, Romualdo Trifo- ne, ricordando le trasformazioni lente e profonde innescate dal passaggio dell’am- ministrazione cittadina ad organi elettivi, riferendosi soprattutto ai giudici298, in un

saggio ancora valido, nonostante i molti studi particolari, per ricavarne un quadro di insieme delle diverse soluzioni adottate dalle varie comunità urbane del Regno.

292 Conteso tra Raholino Ferrerio e Riccardo Marchisano, ibid., n. 239, p. 272 (3 agosto 1294). 293 Condannato in contumacia, in suo favore era intervenuto Giacomo d’Aragona, ibid., n. 337, pp.

383-384 (26 gennaio 1299).

294 Cfr. Galasso, Il Regno di Napoli, pp. 436-437, 440-442. 295 Leone - Patroni Griffi, Le origini, p. 46.

296 Caggese, Roberto d’Angiò, I, p. 59. 297 Galdi, Conflittualità, potere regio, p. 250. 298 Trifone, Gli organi dell’amministrazione, p. 93.

Il problema, dunque, riguardava soprattutto i momenti in cui si dovevano eleggere i giudici o i delegati delle città per apprezzare i redditi e imporre propor- zionalmente le tassazioni a Salerno e nel suo districtus299, soprattutto nella forma

della sovvenzione generale annuale, che notoriamente articolava un meccanismo in cui non erano pochi i margini di manovra entro i quali potevano muoversi i

taxatores300. Naturalmente, però, non poche questioni sorgevano in merito anche

alle imposte indirette301 e in particolar modo a quelle straordinarie, dal momento

che, come è noto, l’età angioina proseguì - nonostante si ribadisse costantemente che si trattava di imposizioni eccezionali, per esempio nei Capitoli di S. Martino del futuro Carlo II il 30 marzo 1283302 - la consuetudine sveva della fiscalità oc-

casionale…. non occasionale303.

Proprio tali circostanze, d’altra parte, costituiscono un osservatorio privilegia- to per misurare il più generale atteggiamento della monarchia nei confronti delle comunità urbane. Essa si mosse lungo una linea di tendenza fondamentalmente non ostile ai “particolarismi”, senza opporre «resistenze di principio alle sempre più diffuse rivendicazioni autonomistiche …. delle Università» - a prescindere se in questo atteggiamento si debba cogliere un «segno anche della tradizione francese» - ma senza nemmeno perseguire «quasi una sorta di lucido disegno di alleanza tra monarchia e terzo stato». Piuttosto essa assecondò «una politica di equilibrio, di pesi e contrappesi nella logica della concezione particolaristica del- lo Stato e del potere»304. È all’interno di questo più generale quadro interpretativo

che trovano giustificazione (almeno in parte) atteggiamenti invero poco coerenti, se non fluttuanti e ambigui, dei sovrani angioini - i quali si distinsero non per strategie ma per «mera differenza di fatto» -, ma comunque orientati a trovare,

299 Sulle norme angioine in materia, a partire dal 1277, cfr. Galasso, Il Regno di Napoli, pp. 409 ss.

e 423 ss., mentre, sulle fortune progressive dello iudex civitatis, pp. 427-428.

300 Cfr. Morelli, Il controllo delle periferie, p. 8, con relativa bibliografia. Sull’iter amministrati-

vo sotteso alla “Sovvenzione generale”, sulle problematiche inerenti la distribuzione effettiva del carico fiscale e sulla difficoltà di stabilire l’ammontare della quota focolaria, ancora fondamentale è la lettura di Egidi, Ricerche sulla popolazione, in particolare p. 736, ma vedi anche Allocati, Li-

neamenti, pp. 47-51. Cfr. anche, per le modalità dell’apprezzo, a parte le informazioni specifiche

contenute nei singoli documenti, la dettagliata disposizione di Roberto d’Angiò del 7 agosto 1333 edita in Trifone, La legislazione, n. 172, pp. 256-258. Riguardo la specifica realtà salernitana, non di rado nei registri della Cancelleria sono riportati i nomi di tassatores e collectores, come per il 1276-1277 (RCA XIII, n. 339, p. 296).

301 Sulle quali cfr. Galasso, Il Regno di Napoli, pp. 502-504.

302 RCA XXXI, n. 147, pp. 208-220, cfr. Galasso, Il Regno di Napoli, pp. 411-413. 303 Cfr. Martin, Fiscalité, p. 617.

volta per volta, le soluzioni più adatte alle circostanze e in genere predisposti a

“largheggiare”305, come è confermato anche dal “caso” salernitano.

Le prime tensioni sorsero già sotto il governo di Carlo I, il quale, nel 1272, aveva concesso all’Universitas di eleggere «sex de melioribus, honestioribus et fidedignioribus eiusdem civitatis pro taxandis collecta»306; e in particolare nel

1277, quando lo stratigoto aveva nominato direttamente i giudici di Salerno, un episodio che fu interpretato dal Carucci come una tappa di una più generale dia- lettica tra la tendenza della monarchia a “immischiarsi” nella vita interna della città e la difesa strenua di quest’ultima delle proprie libertates e consuetudines307.

Le tensioni per le elezioni cittadine, tuttavia, furono particolarmente vivaci – co- me prevedibile, dati i crescenti bisogni finanziari della monarchia, già normal- mente molto alti - a partire dal 1282 e cioè dopo lo scoppio dei Vespri308, quando,

peraltro, aumentò per le spese di guerra la fiscalità “eccezionale”, e per questo periodo la documentazione salernitana è particolarmente ricca, anche in coerenza con la più generale tendenza angioina a rendere più efficaci le forme del prelievo fiscale309.

Documenti correlati