Poteri e istituzioni religiose
3. Gli Ordini nuo
Tra l’età sveva e quella angioina, a partire dagli anni Trenta del XIII secolo fino alla metà di quello successivo, la vera novità istituzionale, per Salerno come altrove, fu il progressivo insediarsi dei nuovi “ordini” Mendicanti, un’espressio- ne utilizzata già dal Duecento per definire molti e diversi gruppi religiosi983: essi
ebbero un discreto impatto sulla sua vita sociale, culturale ed economica locale, incidendo non poco anche sull’assetto urbano, poiché contribuirono significativa- mente allo sviluppo e alla riconfigurazione funzionale di un’area, quella alle falde del monte Bonadies nella parte alta della città, distante dal centro urbano, dove essi fissarono la loro sede984.
979 CDS XIV, n. 32, pp. 97-98.
980 Ibid., n. 34, pp. 100-102, cfr. Mongelli, Regesto, IV, n. 3131, e ibid., n. 3132. L’8 novembre 1356
si fa ancora riferimento a un lascito di 10 once sulle botteghe di S. Lorenzo da parte di Tommaso de Ruggiero, per l’acquisto della tonnina, sicché S. Maria di Montevergine nomina un procuratore per l’acquisto della suddetta tonnina da chiunque la vendesse, ibid., n. 3558.
981 CDS XIV, n. 92, pp. 269-272.
982 Il 4 luglio 1367, papa Urbano incaricò gli arcivescovi di Napoli, Benevento e Salerno, di ordina-
re, sotto pena di scomunica, ad ecclesiastici e secolari di restituire i beni usurpati di Montevergine, Mongelli, Regesto, IV, n. 3643.
983 Sulla problematicità della definizione cfr. Pellegrini, «Che sono queste novità?», pp. 25-26. 984 Più in generale, sull’insediamento e sull’architettura dei conventi del Principato, cfr. Raspi Serra,
Come è stato opportunamente messo in luce qualche decennio fa, si trattava di una zona le cui vicende urbanistiche furono molto influenzate dall’acciden- tata orografia - ma nel contempo anche dalla sua lontananza dal mare - sicché fino all’XI secolo, con l’eccezione di alcune chiese ivi presenti e della sua parte più meridionale, il Plaium montis985, costituito da alcune aree meno ripide della
collina Bonadies986 e caratterizzato da una prevalenza di edilizia religiosa987, essa
aveva poco partecipato all’evoluzione urbanistica della città, per assumere un ruolo più significativo soprattutto nel XII988 secolo, fino ad arrivare a ricoprire
compiutamente una funzione di nuovo polo urbano proprio grazie al sorgere e allo svilupparsi dei Mendicanti989. La posizione geografica dell’area, infatti, si
prestava particolarmente ai nuovi insediamenti, essendo sufficientemente lontana dal centro urbano e dagli interessi delle strutture religiose di più antica e con- solidata presenza ma, nel contempo, altrettanto sufficientemente protetta, con il castello alle spalle e le mura vicine, e in tutti i casi idonea alla nascita di strutture conventuali nuove ed estranee al tradizionale mondo monastico di Salerno e al suo tessuto sociale. Nel corso della loro storia salernitana, i Mendicanti non ab- bandonarono mai le installazioni originarie, non inoltrandosi nel centro cittadino, a differenza di quanto avvenne a Napoli, dove fattori contingenti, ma anche il ruolo più significativo - sulla lunga durata - svolto nel tessuto sociale dalle nuove esperienze monastiche, determinarono l’occupazione di zone intramurarie, ben- ché agli inizi talvolta ai margini dei quartieri più urbanizzati, così da collocarsi lungo le direttrici est-sud-ovest dello sviluppo urbanistico del Due-Trecento990.
L’inserimento dei nuovi religiosi nel tessuto cittadino salernitano dimostrava non poche coerenze con logiche insediative più generali, ma ripetute fondamen- talmente nel Regno, soprattutto di Francescani e Domenicani, nelle diverse fasi che le caratterizzarono, benché sia difficilmente contestabile anche per Salerno
985 Una parte della città che aveva avuto un suo primo sviluppo già nel IX secolo, grazie soprattutto
al principe Guaiferio (861-876), che vi costruì il palatium e la chiesa di S. Massimo. Sullo sviluppo del quartiere e le fondazioni di Guaiferio cfr. Franciulli, La dinamica edilizia; Kalby, Il quartiere
«Plaium montis», mentre su S. Massimo si vedano specificamente Ruggiero, Principi, nobiltà e chiesa e Loré, La Chiesa del Principe. Prima di Guaiferio, però, già la Chiesa salernitana aveva da-
to un primo impulso all’urbanizzazione dell’area, con il vescovo Bernardo (849-860 ca), cfr. Galdi,
Principi, vescovi, pp. 1434-1435.
986 Santoro, L’incidenza della geomorfologia, p. 55. 987 Finella, Storia urbanistica, p. 63.
988 Caterina, L’ambiente conventuale, in particolare pp. 98 e 119, ma anche pp. 119-122 per le vi-
cende urbane dell’area in questione durante l’età moderna.
989 Ibid., pp. 88-91.
l’impressione di «una sostanziale estraneità dei frati Minori e Predicatori rispetto alle terre del Regno», come confermerebbe anche il fatto che i corpi santi noti venerati nei conventi francescani meridionali fossero appartenenti perlopiù a frati umbri o comunque dell’Italia centrale «trasferitisi nelle terre meridionali per or- ganizzarvi la presenza francescana»991. In tutti i casi, la precoce presenza a Saler-
no dei Minori e delle Damianite - più tarda fu quella domenicana e agostiniana, ma comunque in coerenza con dinamiche di carattere più generale - può essere senz’altro considerata una “cartina di tornasole” di un discreto dinamismo sociale salernitano nella prima metà del XIII secolo, dal momento che la città rappre- sentò uno dei “centri catalizzatori” del territorio campano per i Mendicanti, pur nelle loro diverse strategie insediative992 ; un dinamismo che si esprimeva anche
in istanze religiose talvolta difficilmente inquadrabili nella loro configurazione (come si vedrà soprattutto per le moniales) e comunque estranee agli schemi monastici tradizionali.
Tuttavia, la ricostruzione della storia di tali insediamenti, la leggibilità della loro composizione sociale o delle dinamiche interne che di volta in volta emer- gevano (ignoriamo, per esempio, quasi del tutto i nomi dei loro abitanti), nonché la conoscenza dei rapporti dei frati con gli altri ceti sociali e con i poteri locali, sono fortemente condizionati dalla perdita documentaria a cui sono stati sottopo- ste tutte queste comunità993, soprattutto a causa delle soppressioni napoleoniche
- argomento noto e ben chiaro agli studiosi del fenomeno monastico in Italia meridionale - ma anche di fattori contingenti come i trasferimenti di sede, le crisi ricorrenti, l’incuria umana e gli accidenti casuali; né, per Salerno, è stata messa in atto quella certosina ricostruzione degli archivi monastici che ha interessato aree meridionali come quella amalfitana994.
Le lacune della documentazione, unite a una trasmissione di quella superstite segnata dalla dispersione in diverse sedi di conservazione e dalla disponibilità di poche edizioni integrali di documenti - più spesso fruibili in forma di regesti o di trascrizioni parziali -, impedisce di cogliere a pieno il ruolo dei Mendicanti nel tessuto sociale cittadino e di essi riusciamo a percepire quasi esclusivamente, ma in maniera diseguale e parziale, le consistenze patrimoniali, le aree verso le quali
991 Pellegrini, «Che sono queste novità?», pp. 71-72.
992 Sulle quali cfr. ibid., pp. 114-118: difatti, insieme alla Terra di Bari in Puglia, l’area tra i golfi di
Napoli e Salerno registrò la maggiore concentrazione dei Minori, ibid., p. 410. Cfr. anche Vitolo,
L’Italia delle altre città, pp. 34-37, 233 ss.
993 Il problema è evidenziato da Vitolo, L’Italia delle altre città, p. 236. 994 Cfr., con relativi riferimenti bibliografici, Galdi, Amalfi, pp. 65-66.
si indirizzarono i loro interessi e alcune tracce delle strategie economiche perse- guite. Nel contempo, però, la rarità delle testimonianze pervenuteci per tutto il Trecento e la prima metà del Quattrocento, sia pubbliche sia private, in confronto con quanto ci è pervenuto in misura più consistente per il XIII secolo, non può fare a meno di suggerire che, insieme alla perdita documentaria, si debba consi- derare una progressiva perdita di importanza degli insediamenti conventuali, a sua volta un riflesso di un certo ridimensionamento del ruolo della città di Salerno nel contesto regnicolo tre-quattrocentesco, per ragioni certo congiunturali, ma anche locali e, soprattutto, strutturali.
Non è inutile, da ultimo, sottolineare che, come si vedrà specificamente più avanti, la monarchia interverrà spesso, soprattutto nella prima età angioina, per sostenere queste strutture e le sue, vere o presunte, difficoltà di sopravvivenza, con sovvenzioni minime (da sei a dodici once, a seconda dei momenti storici, degli orientamenti di fondo ma anche della diversa natura dei destinatari), ov- viamente sempre tratte dai proventi locali e talvolta destinati anche a strutture non salernitane995, oppure con reiterati ordini allo stratigoto locale di intervenire
contro abusi e appropriazioni indebite nei loro confronti provenienti dal mondo laico o ecclesiastico/monastico, un segno, quest’ultimo, di una società inquieta ma anche di oggettive difficoltà del quotidiano, laiche o religiose che fossero. In tutti i casi, i sovrani non mostreranno mai, come già evidenziato a proposito delle strutture monastiche benedettine, un particolare legame con i Mendicanti saler- nitani, ad eccezione della precipua attenzione per i Predicatori mostrata da Carlo II nel decennio finale del XIII secolo; né attraverso essi, certamente, passarono le strategie di consenso degli Angioini a Salerno.
Nelle pagine che seguono prenderò in considerazione, per il periodo qui og- getto di attenzione, Minori, Domenicani, Agostiniani, Damianite/Clarisse (ad ec- cezione delle religiose di S. Maria della Pietà, attestate solo dal 1450996), senza
soffermarmi sugli altri gruppi “mendicanti” , il cui insediamento a Salerno e nel Salernitano fu molto più tardo, situandosi tra la fine del Quattrocento e la fine del Cinquecento997.
995 È il caso, per esempio, dei frati minori del convento di Nola, per i quali, il 16 settembre 1382,
Carlo III ribadì una disposizione loro concessa da Roberto e Giovanna circa il diritto di ricevere sei once all’anno da prelevarsi dai diritti del fondaco e della dogana, che non gli erano stati versati negli ultimi due anni, CDS XIV, n. 70, pp. 207-209.
996 Alle origini contiguo all’attuale chiesa del Crocifisso: sulle notizie relative cfr. Crisci, Salerno
sacra, III, pp. 118-122.
997 Nella frazione Curti di Salerno fu eretto nel 1490 il convento di S. Maria a Carbonara, dei Servi
3.1. Minori, Domenicani e Agostiniani
Nel maggio 1238, il chierico e diacono dell’archiepiscopio e abate della chie- sa di S. Nicola de la Fontana998, Giovanni Pizzicavilus, nel palazzo arcivescovile
di Salerno e alla presenza e con il consenso dell’arcivescovo Cesario d’Alagno, donava alla chiesa di S. Francesco l’uso di un corso d’acqua che sorgeva in una terra vicina al suo beneficio, riservandosi il diritto - per lui e i suoi successori - di riprendersela nel caso avesse voluto costruire un bagno pubblico. La chiesa di S. Francesco, si precisa nel documento, sorgeva in plano montis et super et
prope ecclesiam S. Marie que de Radulfo dicitur999. La notizia fa supporre che
il convento fosse già edificato o in corso di costruzione, benché alcuni scrittori francescani, senza fondamento, abbiano ricondotto la sua fondazione al 1222 - in virtù di una ben nota «tendenza incoercibile ad anticipare al massimo ogni data di fondazione»1000 - e allo stesso diacono Nicola1001.
Purtroppo ci sfuggono del tutto le dinamiche dell’arrivo dei Francescani1002 a
Salerno e l’origine sociale e geografica dei primi frati che abitarono la struttura, presumibilmente in buona parte forestieri, ma di certo il loro insediamento si collocava nella prima fase della diffusione francescana in Terra di Lavoro, un termine relativo a un’area regionale dai confini non facilmente definibili se non a nord-est dove, in linea di massima, coincidevano con l’Appennino campano, mentre a nord-ovest essa includeva il territorio dei monti Aurunci fino alla zona costiera e a sud - ma senza poterne individuare una precisa demarcazione - con le province di Calabria e di Apulia1003. Una circoscrizione che risulta costituita
con questo nome – una delle cinque realizzate nel Mezzogiorno d’Italia - nel 1248, quando Tommaso da Celano scrisse la sua seconda Legenda agiografica su Salerno nel 1598, nella chiesa di S. Lorenzo de strata (ibid., pp. 132-139).
998 Il primo documento che la riguarda è del dicembre 1086 e la situa in Plaio Montis, la stessa area
su cui insisteva S. Francesco, cfr. Crisci, Salerno sacra, I, pp. 134-136.
999 Documento edito in Paesano, Memorie, II, pp. 349-350, ma anche in CDS XIII, 1, n. 95, pp. 191-
193. Riguardo la chiesa di S. Maria de Radulfo (in età moderna S. Eufebio/Eufemio/Eufromo etc.), attestata a partire dal 1186, doveva essere a sud di S. Francesco, cfr. Crisci, Salerno sacra, I, p. 143,
1000 L’efficace espressione è di Benvenuti, La fortuna del movimento, p. 70. 1001 Su di essi si veda Pergamo, Note per servire, VII, pp. 5-6, con relative note.
1002 Sui Minori in generale la storiografia è molto ampia e non se ne può dar conto in questa sede.
Riguardo però l’Italia meridionale, a parte i numerosi studi di impostazione locale o regionale, ri- mane ancora oggi un insuperato punto di riferimento, anche per la bibliografia e le fonti richiamate, il citato Pellegrini, «Che sono queste novità?».
1003 Pellegrini, Territorio e città, p. 15. Per l’espressione “Terra di Lavoro” per i Domenicani cfr.
s. Francesco1004, per essere poi ulteriormente ripartita in cinque custodie entro la
metà del XIII secolo, quando la provincia contava ormai trenta insediamenti1005.
La custodia salernitana avrebbe compreso i territori di Sarno, Nocera, Giffoni, Sorrento, Castellammare, Amalfi e Ravello nella sua configurazione definitiva, che sarà chiaramente precisata, però, solo negli anni Trenta del XIV secolo1006.
Il primitivo insediamento salernitano, verosimilmente precedente alla sua prima menzione nella documentazione, era coerente, nella sua cronologia, con quello di località vicine, a prescindere dalla richiamata volontà di attribuire all’i- niziativa stessa di Francesco d’Assisi le prime fondazioni minoritiche1007: difatti,
per limitarmi a qualche esempio, seguì di qualche anno la prima attestazione napoletana (17 ottobre 12311008) e quelle di Eboli (giugno 1233)1009 e Amalfi (10
maggio 1234)1010. L’espansione francescana in Campania, negli anni Trenta del
XIII secolo, coincideva non casualmente con un periodo di relativa concordia dei rapporti tra Federico II e il Papato, che avevano creato condizioni favorevoli per l’inserimento nel Regno dei Mendicanti, i quali, almeno fino al 12391011, qui
ampliarono la loro rete insediativa, grazie anche a un atteggiamento regio non ostile ai “nuovi” Ordini. Il ritardo della diffusione mendicante nel Mezzogiorno nei decenni successivi è tradizionalmente attribuito all’atteggiamento difficile e
1004 Secondo l’agiografo già al momento della morte di Francesco ne sarebbe stato ministro fra
Agostino di Assisi, cfr. Pellegrini, «Che sono queste novità?», pp. 106 ss.
1005 Ibid., p. 112. 1006 Ibid., p. 113.
1007 Un’utile sintesi delle principali notizie relative agli insediamenti dei Minori in Campania è in
Bove, Gli insediamenti minoritici, particolarmente pp. 113-119, 168-186.
1008 Un locus dei frati minori è tra i beneficiari di un testamento di Ranieri Proxiccio, cfr. Vitolo,
Religiosità delle opere, p. 141. Si trattava di un località extramuraria e prossima al mare, destinata
a trasferirsi nel 1235 all’interno della città quando il Provinciale fra Nicolò da Terracina ottenne da Gregorio IX una bolla (7 novembre 1234) che approvava la donazione ai Minori di Napoli della chiesa napoletana di S. Lorenzo, con case e terreni annessi, da parte del Capitolo e del vescovo di Aversa, Bullarium Franciscanum I, Ab Honorio III ad Innocentium IV, pp. 144-145, cfr. Pellegrini, «Che sono queste novità», p. 121, nota 32.
1009 Sull’insediamento ebolitano e sulle ragioni della sua precocità cfr. Vitolo, Parrocchie, insedia-
menti, pp. X-XV.
1010 Il documento relativo è edito in Camera, Memorie storico-diplomatiche, I, pp. 416-417, ma
sull’insediamento amalfitano e le problematiche connesse, nonché, più in generale, sulla presenza mendicante in Costa d’Amalfi, cfr. Galdi, I Mendicanti in Campania.
1011 Anno della scomunica di Federico e della deposizione di Frate Elia, ministro generale dell’Or-
dine minoritico dalla primavera del 1232, che negli anni precedenti funse da mediatore tra l’impe- ratore e il papa Gregorio IX, cfr. Pellegrini, «Che sono queste novità», pp. 75 ss., ma anche Barone,
contrastante di Federico nei loro confronti, dal momento che essi erano diventati, molto più che nel 1229, «i più zelanti agenti della campagna di propaganda anti
imperiale»1012 perseguita da papa Gregorio IX, benché il comportamento fede-
riciano non risultasse sempre oppositivo, specialmente verso i Predicatori, con un’inevitabile accelerazione delle ostilità, però, negli ultimi anni di vita dello Svevo1013.
Così come, al contrario, è notoriamente registrato il favore degli Angioini ver- so i “nuovi” Ordini e i Francescani in particolare, anch’esso un riflesso – oltre che di propensioni personali, come durante il regno di Roberto e Sancia, e di scelte non indipendenti da variabili locali – delle dinamiche di relazione tra la casa d’Angiò e il Papato. Non è difatti un caso che nel ventennio successivo alla caduta degli Svevi le sedi minoritiche si raddoppino rispetto al periodo preceden-
te, raggiungendo il numero di 283 complessive nel 12821014. Tuttavia, il ritardo
iniziale nella diffusione meridionale dei Mendicanti è forse da connettere anche, oltre che ai problematici rapporti con la casata sveva, peraltro una prospettiva che rischia di far appiattire più complesse dinamiche insediative sul solo rappor- to con la monarchia, con lo specifico ambiente sociale, culturale e religioso del Mezzogiorno nella prima metà del XIII secolo, spingendoci a contemperare, così,
ragioni più complesse per comprendere una lenta e non lineare penetrazione1015;
considerato anche, come è stato giustamente osservato, che i pochi frati di cui conosciamo il nome nella prima metà del Duecento non risultano originari del Regno1016 .
La presenza dei Minori a Salerno, in tutti i casi, si inscriveva a pieno titolo nelle scelte insediative mendicanti, inizialmente poco programmatiche ma poi sempre più razionali, nella Terra di Lavoro, attente cioè alle principali arterie di comunicazione (come nel citato caso ebolitano), in particolare quelle che con-
sentissero un collegamento con Napoli1017, e, soprattutto, alle sedi socialmente
e politicamente più significative. Sicché l’analisi della geografia mendicante di- venta anche, nel lungo periodo, un osservatorio privilegiato – oltre che delle linee
1012 Barone, Federico II di Svevia, p. 614.
1013 Ibid., pp. 615-619. Sulla propaganda antifedericiana dei Mendicanti cfr. anche Ead., La propa-
ganda antiimperiale.
1014 Pellegrini, «Che sono queste novità?», p. 88.
1015 La riflessione è di Vitolo, Ordini mendicanti e dinamiche, pp. 67-69. Cfr. Pellegrini, «Che sono
queste novità», pp. 26-27.
1016 Vitolo, Ordini mendicanti e dinamiche, p. 68 e nota 3. 1017 Pellegrini, «Che sono queste novità?», pp. 121-123, qui 121.
strategiche perseguite nel tempo dai Mendicanti – della capacità attrattiva delle medesime sedi e della loro importanza nello scacchiere politico-economico del Regno.
Tuttavia, sulla lunga vita del convento francescano di Salerno, fino alla sua soppressione nel 1808, quando si avviò a diventare carcere giudiziario maschile, sappiamo davvero ben poco. Di certo, ed è quanto si legge nella documentazione ottocentesca quando ormai esso è identificato come S. Antonio, si presentava in questi anni come una grande struttura, benché in parte in rovina1018, la cui chiesa
presentava nel coro un noto e prezioso monumento sepolcrale, rimasto qui fino al 1811, per essere poi trasferito nella Cattedrale di Salerno e collocato nella sua navata sinistra: si tratta di un’opera di Antonio Biboccio di Piperno, scultore di corte di Ludovico di Durazzo, attivo soprattutto a Napoli, realizzata (1412-1414) in onore di Margherita di Durazzo, morta ad Acquamela di Baronissi il 6 agosto 1412 e sepolta nel convento salernitano1019.
Dopo il 1238 bisognerà aspettare il 1288 per ritrovare il convento nelle fonti superstiti, quando sarà protagonista di una lunga e singolare disputa con i ca- nonici della cattedrale di Salerno, dalla quale, nel contempo, si ricavano alcune interessanti informazioni sul ruolo svolto dallo stesso convento nella vita sociale e religiosa cittadina. L’intera vicenda si desume da una bolla di papa Nicola IV del 9 settembre 1288, più volte pubblicata e richiamata in sede storiografica1020.
Il pontefice, nello scrivere ai vescovi di Avellino e di Muro, ai quali aveva affidato un’inchiesta sui fatti, rievocava gli eventi accaduti nei mesi precedenti: un mercante fiorentino particolarmente devoto all’ordine francescano, dopo aver- ne assunto l’abito aveva espresso il desiderio di essere seppellito nel convento salernitano (destinandogli probabilmente una donazione….). Una volta decedu- to, i frati e il guardiano lo portarono nel loro cimitero per la sepoltura ma, con la connivenza dei loro superiori (non se ne fanno i nomi ma è evidente che il riferimento era all’arcivescovo, l’inquieto Filippo Capuano sopra richiamato), i canonici e i chierici della cattedrale cittadina si recarono nella chiesa, aggredi- rono i frati, presero il cadavere coperto dall’abito con cui era stato deposto nel
1018 ASS, Sezione Monasteri soppressi, Busta 2472; cfr. Caterina, L’ambiente conventuale, p. 103,
Crisci, Salerno Sacra, III, pp. 87-88.
1019 Si veda soprattutto Braca, Il Duomo di Salerno, pp. 191-194. Margherita si era ritirata dalla
Corte nel 1394 ed era venuta a Salerno: sul suo governo e sulla successione a Ladislao cfr. Galasso,
Il Regno di Napoli, pp. 242-251.
1020 Bullarium Franciscanum, IV, n. 54, pp. 38-39; Paesano, Memorie, II, pp. 349-350; CDS XIII, 3,
n. 26, pp. 44-47; tra coloro che hanno richiamato la vicenda ricordo almeno Carucci, Un Comune, p. 206, Fiore, Tre monasteri salernitani, pp. 14-15, Galdi, Conflittualità, potere regio, pp. 353-254.
feretro e lo seppellirono nel loro cimitero. In occasione delle feste pasquali gli attacchi ai frati proseguirono, ad opera soprattutto dei più giovani di quei chierici, sia colpendo lo stesso convento con pietre, sia disturbando con strepiti et sonitu