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Dipendenza epistemica dagli altri e standard di giustificazione

4. La testimonianza in un’ottica sociale

4.3 Dipendenza epistemica dagli altri e standard di giustificazione

Il nostro stato è quello di soggetti che necessitano continuamente di sapere a proposito delle più disparate questioni e che sono estremamente dipendenti dagli altri nel reperimento di ogni tipo di informazione, a partire da quelle più futili fino a quelle di importanza vitale. L’idea che dobbiamo affidarci alle parole altrui con prudenza, se ciò significa, come intende la Fricker115, che dobbiamo prendere per vera la parola solo di coloro che riteniamo degni della nostra fiducia, in un panorama socio-epistemico di questo tipo non è sostenibile. Ci sono un’infinità di informazioni che ci sono essenziali per venire a conoscenza delle quali non possiamo se non affidarci alla testimonianza d’altri. A che ora parte il primo treno

per Salisburgo? Che giorno sarà il mio esame di laurea? Ho superato la selezione per un certo lavoro? Qual è il mio nome?116

È poi capitato di sentirsi rispondere alla biglietteria della stazione “Salisburgo non esiste”, o, come alla sottoscritta, di ricevere un’informazione sbagliata riguardo il giorno e l’ora di un esame importante dalla segreteria d’Istituto. Potremmo forse desiderare, data la brutta esperienza, di rivolgerci, in un’occasione simile, ad altra fonte che non sia la testimonianza per ottenere l’informazione desiderata. Ma in quale altro modo potremmo giungere a conoscenza di notizie di questo tipo? Possiamo cambiare testimone, scegliere di confrontare diverse testimonianze, ma in moltissimi casi non possiamo che affidarci agli altri per giungere a conoscenza di ciò che abbiamo necessità di sapere. A che ora parte il treno? Per prendere il treno non possiamo andare in stazione a vedere se parte adesso. Andiamo in stazione adesso se ci hanno detto che parte adesso. In tutti i servizi, come i viaggi in ferrovia, dobbiamo fidarci di quello che ci dicono gli altri che quei servizi offrono, presumendo che sia nel loro interesse darci informazioni corrette.

La possibilità di incontrare soggetti ignoranti che si sentano nondimeno legittimati ad asserire è da preventivarsi quanto quella di prendere un abbaglio nell’esercitare le nostre capacità di riconoscimento visivo in un ambiente a nostra insaputa sfavorevole. Se è vero che in linea di principio tutti i testimoni potrebbero essere a nostra insaputa inaffidabili e tutte le situazioni sfavorevoli, questa consapevolezza difficilmente ci confina all’agnosticismo o alla paralisi epistemica. Valutiamo se intraprendere riflessioni sulla competenza, sull’autorità o sull’onestà di un testimone solo in situazioni particolari, e generalmente sulla base dell’importanza e dell’urgenza della conoscenza che si vuole raggiungere. Anche quando dubitiamo che le testimonianze altrui siano precise, tendiamo spesso a pensare che ci offrano di solito l’informazione migliore possibile – cioè, che noi non sapremmo fare di meglio. L’informazione sulla puntualità di un treno chiesta da

116 Dobbiamo certamente riconoscere che riguardo a determinate questioni a diverse fonti

riconosciamo diverse autorità, e che in talune circostanze teniamo conto dei casi in cui non sappiamo che autorità hanno.

un dottorando che deve eventualmente avvisare i propri colleghi del suo possibile ritardo a un seminario, necessita di molte meno garanzie rispetto alla stessa informazione richiesta da un agente dei servizi segreti per l’esecuzione tempestiva di un blitz che ha l’obiettivo di sventare un’offensiva nucleare. Inoltre che il treno non sia puntuale ma viaggi con un ritardo di ventisette secondi sarà un’informazione rilevante per l’agente della CIA e trascurabile per lo studente. Lo standard di giustificazione che richiediamo per le nostre conoscenze varia in relazione al contesto, e l’attenzione che investiamo nel reperimento delle informazioni di cui abbiamo bisogno è proporzionale all’importanza che queste hanno nella circostanza rilevante.

Se il nostro obiettivo è acquisire conoscenza, l’attenzione impiegata non scenderà probabilmente mai al di sotto di una certa soglia, e, in quanto persone competenti, nel momento in cui ci troveremo ad essere responsabili della divulgazione di informazioni, e quindi della conoscenza altrui, non offriremo ragioni di credere se le nostre stesse ragioni non saranno al di sopra di quella soglia.

Se devo prendere un antinfiammatorio per il raffreddore, basterà a convincermi una singola prescrizione del mio medico curante, mentre se devo sottopormi a una serie di interventi chirurgici ognuno dei quali comporta un rischio per la vita probabilmente non mi basterà il parere del mio medico curante, e probabilmente neppure quello di un solo luminare. Andrò in cerca di ogni tipo di informazione, documentazione, ricerca effettuata su casi simili al mio, e alla fine giungerò a una decisione basata sulla valutazione di molti aspetti eterogenei.

Allo stesso modo, se sono un biologo, e nel corso di un esperimento sembrano emergere risultati che possono rivoluzionare la scienza contemporanea, non mi accontenterò dell’impressione visiva di un singolo evento per credere definitivamente alle possibili implicazioni e conseguenze di un solo episodio apparentemente confermante. Dovrò replicare l’esperimento per rendere i parametri confacenti a standard di correttezza e scientificità riconosciuti e richiesti per un lavoro di livello e importanza internazionale.

Se è vero che gli standard di giustificazione e conoscenza sono contestuali, allora questo vale tanto per la testimonianza quanto per la percezione. Questo non rende la testimonianza fonte meno diretta di conoscenza, esattamente come non rende la percezione fonte di secondo livello.

In quanto soggetti responsabili sappiamo quando l’incontro tra le nostre facoltà e determinate situazioni ambientali può generare conoscenza. “Perdonami sono troppo stanco per ragionare in questo momento”, “Non chiedermi di guardarlo ora, con questo buio non lo saprei riconoscere”, “Posso risponderti domani? Ora non sono sicura di ricordarlo esattamente”, queste e altre esternazioni sono indicative delle capacità critiche che possiamo avere nei confronti delle nostre fonti e del controllo che possiamo quindi esercitare su di esse. Quando siamo chiamati a testimoniare non offriremo il peggio delle nostre capacità, siamo utenti di una lingua, di una pratica epistemica condivisa, e siamo membri di una società in cui la cooperazione fruttuosa è riconosciuta come un valore, e la testimonianza viene a maggior ragione descritta come un processo virtuoso se pensiamo che tra le fonti fondamentali di conoscenza è quella che in modo più evidente connette l’etica all’epistemologia.