Con il concetto di “vittimizzazione primaria” si fa riferimento al complesso delle conseguenze pregiudizievoli – di natura fisica, mentale, economica e sociale – derivanti direttamente dal reato subito.
Si tratta di una pluralità di effetti connotati da una negatività considerevole per la vittima. Infatti, quest’ultima, immediatamente dopo il fatto criminoso, entra in uno stato ansioso, che può sfociare in veri e propri traumi psicologici (68).
Ovviamente, ciascun offeso elabora il torto subito a modo proprio. In tal senso, può tranquillamente sostenersi che non esiste un modello unitario di vittima: il processo di vittimizzazione è influenzato da molteplici fattori, riguardanti la sfera soggettiva del danneggiato (69).
A causa dei “postumi” del delitto, la persona offesa diviene molto più facilmente aggredibile. Si parla, in proposito, di repeat victimisation, o vittimizzazione ripetuta (70).
(67) Si veda T.BANDINI, voce Vittimologia, cit., p. 1012 e 1014.
(68) In tal senso, L.PEPINO –D.SCATOLERO, Vittime del delitto e vittimologia, in Dei delitti e delle pene, 1992, n. 1, p. 188.
(69) Sono di tale avviso, ad esempio, L. DE CATALDO NEUBURGER, Lo stress psicologico da vittimizzazione, in Dalla parte della vittima, a cura G. Guolotta, M. Vagaggini, Milano, 1980, p. 106; L.PEPINO –D.SCATOLERO, Vittime del delitto e vittimologia, cit., p. 189. (70) Si veda M. GIALUZ, Lo statuto europeo delle vittime vulnerabili, in S. ALLEGREZZA,H. BELLUTA,M.GIALUZ,L.LUPÁRIA, Lo scudo e la spada, cit., p. 59 ss.
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Affrontando il discorso concernente la tutela della vittima, i primi interventi in tal senso – definiti ex ante, considerata la loro finalità di prevenzione (in senso lato) rispetto al rischio di vittimizzazione – dovrebbero inserirsi nell’ambito che attiene la sfera sostanziale della vicenda penale, «dove la dinamica delittuosa ha generato la ferita umana e sociale, isolando nel suo peculiare ruolo chi ha subito il reato» (71).
La dottrina ha ricondotto tali strumenti di protezione a tre modelli: quello punitivo, quello terapeutico e quello strictu sensu preventivo (72).
Quanto al primo – che è quello che maggiormente interessa in questa sede –, il retaggio culturale italiano ha fatto sì che difficilmente si riesca a “tenere il passo” con le iniziative, derivanti dal panorama europeo, moderne e realmente attente alle istanze dell’offeso: le diverse fonti sovranazionali – come si è avuto modo di osservare – hanno, tra l’altro, elaborato categorie concettuali di vittima, lontane dal modo di pensare dell’ordinamento interno.
A livello di politica criminale, volta a scongiurare il pericolo della c.d. vittimizzazione primaria, «il sistema soffre di una cronica impotenza» (73): assai difficilmente si riesce a evitare che le conseguenze del delitto dilaghino – talvolta – irreparabilmente (74).
La strategia adottata dal legislatore – che tenta di sopperire alla mancanza di misure di protezione diretta – consiste, in primis, nell’inasprimento del trattamento sanzionatorio di certi tipi di reati, il cui
(71) Così, H.BELLUTA, Un personaggio in cerca d’autore: la vittima vulnerabile nel processo penale italiano, in S.ALLEGREZZA,H.BELLUTA,M.GIALUZ,L.LUPÁRIA, Lo scudo e la spada, cit., p. 95.
(72) Si veda G. GULLOTTA, Dalla parte della vittima. Un’introduzione, in Dalla parte della vittima, cit., p. 9 ss.
(73) Così, H.BELLUTA, Un personaggio in cerca d’autore: la vittima vulnerabile nel processo penale italiano, cit., p. 96.
(74) In tal senso, G.VASSALLI, Sintesi conclusiva della tavola rotonda, in AA.VV., La vittima del reato, questa dimenticata, cit., p. 80.
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minimo comun denominatore è la particolare “fragilità” del soggetto che ne diviene vittima (75).
Questa scelta operativa non si è arrestata all’aumento degli estremi edittali della pena e all’incremento delle circostanze aggravanti; ha altresì adattato la risposta punitiva dei fatti di reato (cui si è dedicata) alle peculiari esigenze della “loro” persona offesa, in particolare se minore (76).
Siffatte soluzioni legislative non vanno certo esenti da critiche.
Fare riferimento solo a fattispecie criminose ben individuate difficilmente consente di tutelare l’intera «area della vulnerabilità» (77). Inoltre, la tecnica del richiamo puntuale impedisce l’estensione dell’ambito di applicazione della nuova disciplina ad altre figure delittuose, considerata la sussistenza, a beneficio del reo, del rigido vincolo del divieto di analogia in malam partem.
La seconda categoria di rimedi – quella rispondente al modello terapeutico – attiene, invece, alla rieducazione dell’agente. Con i meccanismi protettivi di tale tipo, si tenta un percorso di recupero di quei valori fondamentali del vivere comune, messi in discussione dalla condotta
(75) Si pensi, ad esempio, alla legge 15 febbraio 1996, n. 66 («Norme contro la violenza sessuale»), alla legge 3 agosto 1998, n. 269 («Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù»), nonché alla legge 11 agosto 2003, n. 228 («Misure contro la tratta di persone») e alla legge 6 febbraio 2006, n. 38 («Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet»), sino ad arrivare alla legge 23 aprile 2009, n. 38 («Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori») e alla più recente legge 15 ottobre 2013, n. 119 («Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province»).
(76) In tal senso, H. BELLUTA, Un personaggio in cerca d’autore: la vittima vulnerabile nel processo penale italiano, cit., p. 97.
(77) Così, H.BELLUTA, Un personaggio in cerca d’autore: la vittima vulnerabile nel processo penale italiano, cit., p. 98.
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criminosa, al fine di consentire una piena reintegrazione del soggetto attivo nella società.
Da ultimo, i mezzi di tutela ex ante, di natura preventiva (in senso stretto), si prefiggono di individuare le cause della devianza, al fine di poterle eliminare e ridurre il numero delle potenziali vittime (78). Il riferimento è a quei fattori che scatenano l’impulso criminale, come la povertà, la cui rimozione dovrebbe tendenzialmente – e, perciò, non in termini assolutistici – comportare una riduzione della delinquenza ad essi legata.