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A differenza di quella di tipo primario, la c.d. vittimizzazione secondaria è quella che interessa la vittima nel momento in cui viene fatta partecipare al procedimento penale, quale utile fonte di prova per l’accertamento della verità processuale (79).

A tale riguardo, occorre da subito menzionare la Decisione quadro 15 marzo 2001, n. 2001/220/GAI del Consiglio dell’Unione Europea (80), la quale, all’art. 8, par. 1, dispone – in via generale – che ogni Stato membro assicuri «un livello adeguato di protezione alle vittime di reati ed eventualmente ai loro familiari o alle persone assimilabili, in particolare per quanto riguarda la sicurezza e la tutela dell’intimità della vita privata, qualora le autorità competenti ritengano che esista una seria minaccia di atti di ritorsione o prova certa di un serio intento di intromissione nella sfera della vita privata».

(78) Si veda G.GULLOTTA, Dalla parte della vittima. Un’introduzione, cit., p. 12.

(79) Infatti, al riguardo, M. GIALUZ, Lo statuto europeo delle vittime vulnerabili, cit., p. 82, osserva che «la tutela della vittima e quella del teste vulnerabile […] sono spesso sovrapponibili».

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La medesima norma lascia, poi, ai sistemi giuridici interni «un ampio potere discrezionale quanto alle concrete modalità di conseguimento degli obbiettivi […] perseguiti» (81). Essa recita, per l’appunto, che «ove sia necessario proteggere le vittime, in particolare le più vulnerabili, dalle conseguenze della loro deposizione in udienza pubblica, ciascuno Stato membro garantisce alla vittima la facoltà, in base a una decisione del giudice, di rendere testimonianza in condizioni che consentano di conseguire tale obbiettivo e che siano compatibili con i principi fondamentali del proprio ordinamento» (art. 8, par. 4, Decisione quadro 2001/220/GAI).

A ben guardare, il momento in cui l’offeso si trova a dover rendere la sua versione dei fatti dinnanzi all’autorità giudiziaria è la circostanza che maggiormente lo espone all’eventualità di una sua vittimizzazione secondaria. È stato efficacemente osservato che «la deposizione testimoniale […] ostacola quel processo di rimozione della sofferenza legata al reato, ritardando il […] ciclo dell’oblio» (82).

Proprio in relazione all’istituto della deposizione della vittima in dibattimento, è curioso osservare come, in Italia – pur essendosi attuati degli opportuni accorgimenti –, le esigenze dell’offeso continuano a ricoprire un interesse secondario (83).

Si pensi, ad esempio, all’art. 498, comma 4, c.p.p., a mente del quale «[l’]esame testimoniale del minorenne è condotto dal presidente su domande e contestazioni proposte dalle parti. Nell’esame il presidente può avvalersi dell’ausilio di un familiare del minore o di un esperto di psicologia infantile». Tale disposizione deroga alle modalità tradizionali di svolgimento dell’esame testimoniale, in virtù di un duplice obbiettivo: quello di non pregiudicare la personalità del minore, nonché quello di

(81) Così, Corte giust., 21 dicembre 2011, causa C-507/10, X, § 28.

(82) Così, S. ALLEGREZZA, La riscoperta della vittima nella giustizia penale europea, cit., p. 18.

(83) In materia di audizione della vittima, amplius, M.SIMONATO, Deposizione della vittima e giustizia penale, cit., p. 115 ss.

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assicurargli una serenità tale da metterlo nelle condizioni di essere una fonte attendibile.

La Cassazione ha avuto modo di precisare che, anche se nell’escussione del minorenne non vengono osservati i canoni ex art. 499 c.p.p., deve essere comunque garantita la finalità per cui tali regole sono state poste, quella di preservare l’attendibilità di quanto dichiarato. Il presidente deve, pertanto, condurre l’esame con minuta scrupolosità, per non nuocere alla veridicità delle risposte (84). Ciò dimostra come la vittima – anziché beneficiare, finalmente, di un procedimento che serva anche le sue esigenze – continui a essere considerata «un soggetto che deve servire le esigenze del procedimento» (85).

Ritornando al più vasto orizzonte europeo – la cui normativa offre preziosi suggerimenti diretti a salvaguardare l’integrità della vittima durante il giudizio penale, alleggerendo al massimo l’invasività del rito –, si possono registrare due livelli di trattamento della vittima nell’ambito della vicenda processuale penale (86).

Il primo, un livello-base, tiene conto delle esperienze migliori, sperimentatesi in Europa.

In linea di massima, tutte le fonti normative prescrivono che la vittima venga sentita tempestivamente – da persone specializzate e in luoghi idonei, in modo da consentire alla vittima di elaborare e nutrire un sentimento di fiducia con l’agente di polizia –, evitando le ripetizioni non necessarie delle audizioni nel corso delle indagini e durante il giudizio, nonché il contatto visivo diretto tra aggressore e aggredito, mediante l’utilizzo di tecnologie di comunicazione più o meno sofisticate. Si impone altresì una disciplina che limiti al massimo la pubblicità delle udienze e che inibisca la sottoposizione del teste vulnerabile a domande superflue sulla vita privata.

(84) Cfr. Cass., sez. III, 31 maggio 1995, Ranieri, in Dir. pen. proc., 1995, p. 1054 ss. (85) Così, M.SIMONATO, Deposizione della vittima e giustizia penale, cit., p. 119. (86) In tal senso, M.GIALUZ, Lo statuto europeo delle vittime vulnerabili, cit., p. 82 ss.

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Il secondo modello di trattamento contempla un livello più articolato di tutela, destinato in modo particolare alle vittime minorenni.

In questo caso, le fonti europee si sono ispirate ai canoni dettati dalla Convenzione di Lanzarote, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, il 12 luglio 2007 (87).

Sul presupposto che i procedimenti penali contro i reati compiuti a danno di minori debbano essere considerati «a priority and carried out

without any unjustified delay» (art. 30, par. 3, Convenzione di Lanzarote),

si prescrive che le audizioni della persona offesa abbiano luogo immediatamente dopo la segnalazione dei fatti alle competenti autorità, in locali adatti allo scopo e alla presenza di operatori con un’apposita formazione. Si impone, altresì, di ridurre allo stretto indispensabile – ai fini delle indagini e del procedimento – le occasioni in cui il minore viene sentito, dove lo si vuole accompagnato da un rappresentante o da un adulto di sua scelta. Si contempla, poi, la possibilità che la vittima minorenne possa essere ascoltata in aula, senza essere fisicamente presente, avvalendosi di idonee strumentazioni tecnologiche di comunicazione.

Nelle particolari ipotesi di procedimenti contro reati di tratta o legati allo sfruttamento sessuale di soggetti non adulti, gli Stati membri devono adottare tutti gli accorgimenti necessari, affinché le deposizioni della vittima – o del mero testimone minorenne – possano essere videoregistrate. In tal modo – conformemente alle legislazioni interne –, le videoregistrazioni possono essere utilizzate come prova nel procedimento penale, evitando che il minore sia più volte chiamato a rendere dichiarazioni.

(87) «Council of Europe Convention on the Protection of Children against Sexual Exploitation and Sexual Abuse», adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, il 12 luglio 2007, aperta alla firma il 25 ottobre 2007. L’Italia ne ha sottoscritto il testo in data 7 novembre 2007, ratificandone il contenuto con legge 1 ottobre 2012, n. 172.

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Da non trascurarsi, infine, l’aspetto della tutela della privacy della vittima minorenne. Per quanto questo profilo venga affrontato in maniera vacua, rimane apprezzabile la sensibilità del legislatore europeo, con riguardo sia al pericolo di vittimizzazione secondaria, che al rischio di vittimizzazione ripetuta (88).

10. Le lacune del sistema processuale penale italiano e