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DIRITTO PROCESSUALE'TRIBUTARIO Rassegna critica eli giurisprudenza

Parte I

LE IMPOSTE DIRETTE ED INDIRETTE

Fa se co n te n zio sa a m m in is t r a t iv a degli a c c e rt a m e n t i

V. - Rimedi di impugnativa: ordinari e straordinari II ■ Rimedi ordinari: l'appello (continua).

c) Appello dell’ufficio (termini, modi e contenuto).

1. — Anche per il gravame dell’ufficio valgono le premesse d’ordine generale, di sistema in ordine ai rimedi ordinari e sulle quali ci siamo già indugiati segnalando qualche decisione fra le più significative circa i limiti della conte s ta zio n esu di un caso di reformatio in peius (v. re­ tro, fase. 1, 1951, pag. 75-75) identica essendo la ratio legis che le de­ termina.

Vogliamo invece ricordare una curiosa e singolarissima decisione della C. Prov. di Milano (Sez. Speciale), del 20 aprile 1951, n. 100 (ine­ dita), secondo la quale 1 inficio appellante, che dopo l’accoglimento del suo gravame, senza contraddittorio di parte, si avvede essere rimasto negli atti delTaccertamento, l’appello del contribuente, tempestivamente presentato ma non inoltrato alla Commissione, ben può rinnovare l’i­ stanza alla stessa Commissione di Appello per un nuovo giudizio, veri­ ficandosi nella specie l’ipotesi della revisione del processo ammissibile in rito. La stranezza della decisione — a parte la contradditorietà dei motivi — sta nell’avere introdotto nel sistema dei gravami il supposto rimedio straordinario inteso alla revisione del processo, argomentando da un, preteso schema proprio del diritto processuale civile, mentre l’ipo­ tesi configurata dall’art. 428 c.p.c. ovviamente non si attaglia, per nes­ suna obbiettiva nè subbiettiva rispondenza al caso in esame. Più grave è l’errore della Commissione per aver disconosciuto con la sua aberrante pronuncia, la norma fondamentale del processo che fa divieto all’orga­ no giurisdizionale di emettere — fuor dei casi previsti dalla legge (p. e. nel caso di revocazione o di correzione di errori materiali) — nuova pro­ nunzia su fattispecie già decisa, e con sentenza già pubblicata, nei

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modi di rito non suscettibile quindi di riesame per pretesi errori in judi- cando vel in procedendo. Principio questo poi esattamente affermato dalla stessa Comm. Prov. di Milano Sez. Speciale con pronunzia del 1° giugno 1951, n. 366 (pure inedita) secondo la quale, la decisione su pretesi errori di diritto che vizierebbero la pronunzia della Comm. di Appello, compete alla C. Centrale quale organo giurisdizionale superiore, mentre la Comm. Prov. non potrebbe modificare l’emesso giudicato, ormai perfetto e con il quale e nel quale la sua attività giurisdizione di secondo grado si è esaurita. Ed in tale senso segnaliamo pure la decisione 25 febbraio 1951 (inedita) della C. Prov. di Bari che dimise un’analoga istanza sia pure camuffata sotto l’aspetto di un preteso caso di revocazione per rin­ novo del giudizio di appello, perchè l’ufficio appellante, non aveva tra­ smesso per errore alla Comm. stessa il contro appello di parte: trat­ tandosi di una istanza di annullamento essa doveva farsi valere avanti l’organo giurisdizionale di legittimità (C. Centrale).

2. — La inosservanza del termine per la proposizione del gravame, induce decadenza, insanabile in danno dell’ufficio appellante: principio basilare nell’ordine del processo e che ha trovato ancora una volta con­ ferma presso l a . C. C. la quale ha ribadito che è tardivo l’appello del­ l’ufficio proposto dopo decorsi i sessanti giorni dalla data di effettiva recezione della decisione di primo grado (decisione 17 novembre 1945, n. 79196, Girar. Imp. dir. e ind. 1948, n. 8) avvertendo altresì che detto termine perentorio, decorre dalla data in cui l’ufficio riceve la deci­ sione e non già in quella in cui esso restituisce alla segreteria della Comm. di prima istanza, il duplicato dell’elenco di trasmissione della decisione stessa (dee. 6 febbraio 1947, n. 87453 Giur. imp. dir. e ind. 1948, 85): la tesi sostenuta dall’ufficio, assurda e puntigliosa, era resi­ stita dal preciso tenore dell’art. 35 R.D.L. 8 luglio 1937, n. 1516; non senza notare che la pretesa di far decorrere il termine utile per la proposizione dell’appello dalla data di restituzione dell’elenco (art. 34 R. Decreto citato) rimetterebbe alla discrezione (od alla... indiscrezione) dell’ufficio la decorrenza di un termine perentorio, stabilito a pena di decadenza, nell’ordine di rigore del processo. Per una evidente analoga affermazione di tesi, in rapporto a ipotesi che potrebbe trovare riscontro in materia di appello e per quanto si tratti di ricorso straordinario alla C. Centrale, vogliamo ancora ricordare una prece­ dente decisione della C. C. (8 marzo 1946, n. 81320, Giur. imp. dir. e ind. 1947, 35) secondo la quale è inammissibile il ricorso dell’ufficio che sia giunto alla C. Centrale dopo i 30 giorni dalla notifica della decisione della Provinciale, a nulla rilevando il fatto che tale ricorso sia stato spedito prima della scadenza del termine (anteriormente però al R. D. dell’8 luglio 1937 la C. C. si era orientata diversamente — dee. 4 novem­ bre 1929, n. 99597 Giur. imp. dir. 1930, n. 115 — in quanto l’art. 99 del Reg. 11 luglio 1907, n. 560 parla di presentazione dell’appello, mentre l’art. 38 del dee. del 1937 precisa che l’atto deve giungere nei termini). Sottigliezze se si vuole ma giustamente rilevate nel contesto della nota

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redazionale, perchè quando trattasi di termini bisogna eliminare ogni ragione di dubbiezza e di incertezza, riaffermando il rigorismo norma­ tivo della legge inteso in definitiva non soltanto al rispetto dei modi e delle forme degli atti processuali ma diretto in definitiva a tutelale la lealtà del contradditorio.

Di due altre decisioni, sempre in terma di termini, è opportuno dare notizia anche per il reciso contrasto di tesi che si è verificato, in fattispecie identiche, tra una Comm. di merito (Conim. Prov. di Mi­ lano) e la stessa C. Centrale, la quale (dee. 15 ottobre 1949, in Qiur. Hai. 1950, III, 26-32) stabiliva che per effetto del D.L.C.P. 23 dicembre 1947, n. 1464 e successive disposizioni, che ha prorogato i termini di prescrizione e di decadenza in materia di tasse e imposte indirette sugli affari, siccome la proroga opera in tutti i casi di pieno diritto per l’ Ani- ministrazione, deve ritenersi valido l’atto di appello proposto oltre i termini normali, anche se costituisce ripetizione di altro atto tempe­ stivamente notificato ma viziato di nullità.

Ma a parte la questione della estensione della sospensione dei termini anche a quelli propri del processo oltre a quelli dell’accerta­ mento, è da rilevare, ammesso che la proroga fosse operativa anche per i termini di rito, la nullità del primo atto di appello (difetto di moti­ vazione, su di che ritorneremo fra poco) nullità che, profittando della eennata proroga, si pretese nella specie di rimediare notificando nel limite dei termini prorogati un altro atto di appello. E’ vero che la proroga dei termini è operativa pleno jure, ma non mai contro i principi basilari del processo che non consentono la rinnovazione di un atto già compiuto sia pure viziato di nullità, in quanto con la notifica del primo atto di appello l’Amministrazione aveva per implicito già rinunziato a valersi della proroga. In tali sensi appunto e con ben maggiore senso giuridico la C. Prov. di Milano con decisione 13 gennaio 1950, n. 1620 (Giur. it. 1950, III, 31-32) pronunziando su caso analogo, affermava che il compi­ mento dell’atto di appello nei termini normali, preclude la possibilità di ripeter l’atto o di notificarne successivamente i motivi con atto se­ parato, specie quando il contradditorio è già instaurato e l’eccezione è stata sollevata da controparte, non potendo in tal caso invocarsi le di­ sposizioni concernenti la proroga dei termini di prescrizione o di deca­ denza. (V. la acuta nota del Git j s s a n i, Sospensione e restituzione nei ter­ mini del processo tributario, in calce alle predette decisioni, con un compiuto richiamo di precedenti e particolarmente della letteratura sul­ l'argomento).

Le decisioni di cui sopra ci servono di transizione ad altra casistica pure di grande rilievo dogmatico e pratico.

3. — Circa l’obbligo della motivazione del gravame. La situazione giuridico-processuale dell’ufficio rispetto all’obbligo della motivazione è, come osservammo, diversamente disciplinata nei confronti di quel­ la del privato contribuente. In massima può affermarsi a traverso l’esame della giurisprudenza (v. in tema la accurata Rassegna sotto la

voce Appallo di M. Veu-ani, in Riv. dir. e proc. civile 1950, p. 519 e segg.) che nel processo comune, l’obbligo della motivazione del gravame va in­ teso non con criteri di chiuso formalismo, ma in aderenza al principio sostanziale della certezza al quale deve informarsi ogni atto di parte mediante il quale si dia inizio ad nna determinata fase del giudizio. Così la citazione, in quanto pone con la domanda i termini (limiti) della con­ testazione, non deve, a pena di nullità, peccare di indeterminatezza circa il petitum e la causa petendi (la c.d. edictio actionis — limiti ob­ biettivi della controversia); altrettanto dicasi per l’atto di appello, per il ricorso alla Cassazione e via dicendo. Il concetto di indeterminatezza è per altro relativo: deve valutarsi teleologicamente, in relazione cioè ai fini pratici e specifici che l’atto si propone.

Nel processo tributario, dove purtroppo non esiste una compiuta disciplina normativa dei vari atti, mediante i quali si sviluppa, se non per linee essenziali; dove giorno per giorno si assiste al lodevole sforzo della giurisprudenza (sorretta dalla dottrina) di salvaguardare la regola del contraddittorio, del leale contraddittorio, tanto più necessaria nella sua osservanza perchè normalmente si trovano di fronte due av­ versari di cui l’uno scaltrissimo, conoscitore della materia (fisco) l’altro (il contribuente) per lo più ignorante di diritto e soltanto preoccupato ad evadere sul terreno nell’ambito del giudizio estimativo; e sopra ed al di fuori dei quali contendenti, gli organi decidenti che non sempre, per il modo ed i criteri di loro formazione, sono pari alle delicatissime fun­ zioni di attività giurisdizionale cui sono chiamati. Nel processo tribu­ tario ripetesi con l’art. 38 del R.D. 8 giugno 1937, n. 1516, il legislatore ha dettato una chiara norma che avrebbe dovuto troncare ogni perples­ sità in materia, mentre invece, qualche dubbiosa decisione si può ancor leggere in argomento, senza contare la persistenza di qualche ufficio nel voler ignorare il precetto legislativo.

Dunque secondo la norma del ricordato art. 38 secondo cpv. « del­ l’appello e dei motivi su cui questo si fonda, l’ufficio deve dare comu­ nicazione al contribuente, entro lo stesso termine (e cioè entro 30 giorni) salvo che non l’abbia già fatto con lo stesso avviso di notificazione della decisione di prima istanza ». In pratica avviene che col medesimo atto col quale vien notificata la decisione di prima istanza, gli uffici noti­ ficano anche la dichiarazione di appello riassumendone i motivi o con una banale formula (per miglior estimazione, per violazione di legge et similia) la quale se mai precisa il petitum non già la causa petendi oppure indicano questa ultima con un breve giro di frasi che si risol­ vono anch’esse. a ben guardare nell’apodittica formulazione del petitum. Questa la... regola dalla quale, dopo l’atteggiamento energico, reattivo specie di qualche Comm. di merito, gli uffici ormai, se non nella generalità, si vanno discostando, corredando i loro appelli di sufficiente motivazione, salvo dar loro conveniente sviluppo nel successivo rapporto alle Com­ missioni che per altro non viene mai notificato alla controparte. La quale, è vero, può prenderne visione presso la segreteria delle Commissioni con gli atti tutti del processo, nei giorni dieci precedenti la discussione : ma di tale diritto si vale il contribuente che può concedersi il lusso di una

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costosa assistenza tributaria: gli altri? arrivano alla discussione senza sapere quali ragioni o pseudo ragioni gli uffici hanno posto a base del loro gravame.

E veniamo dopo ciò alle decisioni più significative in materia: fin dal 1933 la C. C. (decisione 13 maggio 1933, n. 50100, in Giur. imp. dir. 1934, n. 5) aveva affermata l’esigenza, a pena di nullità, della motiva­ zione dell’appello ex officio, esigenza non assolta con la generica locu­ zione «per violazione di legge» (conforme C. C. 25 novembre 1936, n. 20449 (ibidem 1937, n. 55); ma poi, con uno scarto inspiegabile affer­ mava in contrario (dee. 13 dicembre 1939, n. 20449 ibidem 1940, n. 99) la validità di una motivazione espressa con la richiesta di integrale con­ ferma dell’accertamento oppure con la indicazione del disposto di legge violato, C. C. 9 maggio 1945, n. 75800, Leg. Fise. 1946, 70). Successivamen­ te, 1 orientamento della giurisprudenza della C. C. ridiventa ortodosso (C. C. 8 marzo 1946, n. 81329 Giur. imp. dir. 1947, n. 35 e in materia di imposte indirette, C. C. 20 marzo 1945, n. 74687 in Giur. imp. regis. c neg., 1946, n. 23; O. C. 15 novembre 1946, n. 85226 ibid., n. 79; C. C. 5 marzo 1948, n. 96179, ibid. 1949, n. 72; C. C. 11 ottobre 1948 n. 100420 ibid. 194:9, 78; C. C. 18 marzo 1949, n. 1651, Leg. fise. 1949, 645). E’ da sperare quindi che il principio, o meglio l'applicazione del principio inderoga­ bile circa la precisazione dei motivi dell’appello secondo quei criteri so­ pra cennati, non debba più fornire materia di dissensi i quali in de­ finitiva finiscono per disorientare il contribuente che giustamente chiede dati di certezza per la tutela dei suoi diritti, nel processo. Ed infine, per 1 adombrata possibilità di una tardiva ma pretesa rituale deduzione di motivi del gravame, è rimarchevole la decisione C. C. Sez. Spec. P. Beg. 8 luglio 1950 {Dir. e pratica trib. 1951, II, 64) che ha decisamente negata la giuridica possibilità di dedurre in sede di discussione del gravame quei motivi che a sostegno non vennero enunciati nell’atto di appello: e si capisce perchè nella discussione orale le parti debbono li­ mitarsi ad illustrare e svolgere motivi già ritualmente proposti, senza alcuna possibilità di sanare ii vizio radicale dell’atto di appello in quanto sfornito di adeguata motivazione.

Indiscutibile poi è la facoltà dell’ufficio di comunicare i motivi del- 1 appello, con atto separato purché notificato nei termini propri del- 1 appello principale : così deciso dalla C.C. con pronunzia non recente ma che reputiamo opportuno ricordare perchè afferma un principio impor­ tantissimo in materia (C. O. Sez. IL, 31 gennaio 1942, n. 50522, Giur. imp. dirette 1942, 101).

Altre decisioni, se pure risalgono a qualche anno addietro, crediamo utile ricordare, perchè la fattispecie ivi precisata rispecchia ipotesi che si ^ripetono. Per primo quella della C. C. 7 luglio 1931, il. 25559 (Foro it. 1932, III, 239) che esattamente ha precisato come la mancanza della firma dell’atto di notifica della decisione di primo grado, con la con­ testuale dichiarazione di appello, mentre fa salva la validità della no­ tifica eseguita dall'ufficio quale attività meramente amministrativa, comprovabile anche mediante il timbro, invalida invece, rende nullo il gravame che risolvendosi in una concreta manifestazione di volontà

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spettante esclusivamente al procuratore, impone la identificazione del medesimo a traverso la firma che per tal modo entra come elemento es­ senziale per la giuridica esistenza stessa dell’atto. Seguono in senso con­ forme, C. C. 7 ottobre 1933, n. 53851, Giur. imp. dir. 1931, 52; e C. C. 11 febbraio 1936, n. 81350, ibid. 1936, 281 ed infine sostanzialmente conforme, la decisione, inedita, della C. Prov. di Bari in data 23 aprile 1951. La quale ultima decisione è particolarmente notevole come affermazione di principio anche se riguarda l’atto di accertamento e non l’atto di ap­ pello, in quanto l'u fiicio eccepiva preliminarmente la tardività del re­ clamo in prima istanza da parte del contribuente, con che, sosteneva, gli era inibito di eccepire la rilevata nullità, meglio inesistenza dell’ac­ certamento officioso. La commissione ha esattamente rilevato che per potersi parlare di tardività del reclamo era necessaria la previa giu­ ridica esistenza di un accertamento presupposto di fatto e di diritto del ricorso. Nella fattispecie la inesistenza dell’atto iniziale per man­ canza di firma del Proc. rendeva ultronea ogni altra discussione sia pre­ giudiziale che di merito. Se si fosse trattato di atto di appello di uffi­ cio per mancanza di firma del Proc. neppure la eventuale tardività del­ l'appello incidentale non avrebbe impedito alla Comm. di prendere in esame la relativa eccezione, in quanto rilevabile d’ufficio.

A conclusione ricordiamo infine altra decisione della C. C. 11 di­ cembre 1950, n. 18139 che ritenne proponibile l’appello deH’ufficio non ostante la mancanza sull’avviso di notifica della data di ricevimento della deciisone appellata, ben potendo — secondo la C. C. — il contri­ buente altrimenti accertarla mediante indagine presso la Segreteria della Commissione distrettuale. Ma tale inversione dell’onere di una prova che per legge spettava all’ufficio (artt. 34-35 R.D. 8 luglio 1937, n. 1516) ha poi condotto la stessa C. ad escludere la essenzialità della indicazione della data in questione, mentre proprio in tale data è il presupposto di legittimazione della eccezione di cosa giudicata.

R E C E N S I O N I

P. J. A. Am man i - Het belastinyrecht. Zijn grondslayen en ontwlkkeling. (Il di­ ritto tributario. I suoi principi ed il suo sviluppo). Amsterdam, L. J. Veen’s Uitgeversmij. N. V., 1948-50. Voi. 3. Pp. 380 + 413 + 395. PI. ol. 43,50. Con questa importante opera l’insigne studioso olandese ha chiuso degna­ mente la sua carriera di docente all’Università di Amsterdam.

L’opera è suddivisa in tre volumi, pubblicati, rispettivamente, nel 1948, 1949 e 1950.

Il primo volume ha inizio con una descrizione storica dell’autorità finan­ ziaria preposta alla riscossione dei tributi. Segue poi il significato che l’a. attribuisce alla parola « imposizione ». Indi distingue fra imposta, tassa, con- trbuto, prezzo di monopolio, entrate riscosse per fronteggiare crisi ed altri tributi. L’a. espone poi la sua teoria dell’imposta che non aderisce a quella della causa giuridica enunciata dalla scuola pavese. Forse la conoscenza della dottrina della causa durante cinque secoli, come dimostra il Pomini nel suo volume sulla « Causa impositionis nello svolgimento storico della dottrina finan­ ziaria», potrà essere suggestiva di qualche differente conclusione. Egli spiega poi le ragioni per cui preferisce la distinzione delle imposte in soggettive ed oggettive alle altre. Infatti, secondo lui, le imposte soggettive si riferiscono al- 1 individuo ; per tassarli viene presa in considerazione una misura obbiettiva. Le imposte oggettive si riferiscono, invece, ad un oggetto ; per poterla riscuotere è necessario riferirsi all’individuo. Intesa in questo senso, la distinzione ac­ quista grande importanza, afferma sempre l’a., perchè accentra l’attenzione sul fatto pili importante di ogni imposta : la circostanza che provoca l’imposizione.

Vengono poi descritte le diverse teorie dell’imposizione : 'dell’assicurazione, dell'interesse, della capacità contributiva, del sacrificio, senza aderire a nes­ suna di esse, perchè, secondo l’a., una teoria deve essere tale da poter essere utilizzata in ogni epoca, cioè tanto in tempi di economia libera, che in tempi di economia pianificata, anzi persino nella collettività socialista.

Dopo essersi occupato delle aliquote delle imposte e dell’amministrazione finanziaria, l’a. fa la storia delle principali imposte dirette ed indirette del­ l’Olanda e di molti altri paesi, fra i quali purtroppo, non figura l’Italia. Una maggiore concisione in questa parte storica non avrebbe, a mio avviso, nuo­ ciuto alla chiarezza dell’argomento.

Nel secondo volume viene affermata l’autonomia del diritto finanziario e presa in considerazione l’interpretazione della legge fiscale : autentica, restrit­ tiva, analogica (la quale, secondo l’a., non è sempre applicabile). Anche nella trattazione di questo argomento si nota una importante lacuna. Infatti l’inter­ pretazione funzionale delle leggi finanziarie vi è totalmente ignorata.

Largo spazio è dedicato al contenzioso tributario ed al problema della valutazione.

Vi è, infine, un ampio capitolo dedicato al diritto tributario internazio­ nale, nel quale vengono esaminate le doppie imposizioni, la loro origine, il lavoro delle organizzazioni internazionali per evitarle, nonché un elenco com­ pleto delle Convenzioni internazionali stipulate dai diversi paesi a questo scopo. Il terzo volume, pur valendosi dei principi esposti nei primi due, si oc­ cupa prevalentemente di problemi pratici.

Questa opera, nel suo complesso, on o ra la scienza olandese ed il suo au­ tore, il quale, come egli stesso dichiara troppo modestamente nella breve pre­ fazione che la precede, « non ha mirato alla perfezione, ma ha tentato, invece, di aprire la via ad ulteriori studi ».

Fulvia Carena

Giovanni Buzzetti - Perequazione tributaria e rilevamento fiscale straordi­

nario. Milano, Giuffrè, 1951. Pp. 334. L. 1.090.

Ottima e maneggevole guida, in forma non di commento, nia di lodevole sistematica disposizione della legge, per la comprensione ed applicazione della legge Vanoni sulla perequazione tributaria ed il rilevamento finanziario straor­ dinario, la cui disposizione sistematica è condotta con linguaggio semplice e prevalentemente descrittivo, quindi accessibile a tutti, con largo ricorso al­ l’ausilio dei lavori parlamentari, delle circolari ministeriali, nonché dei con­ tributi già apprestati dalla dottrina su argomenti particolari.

Il volume è in particolare consigliabile ai funzionari deH’amministrazioue finanziaria ed ai consulenti tributari, dai quali dipende in gran parte la divul­ gazione di quei principi di etica tributaria, che è appunto negli scopi della legge di perseguire.

Renzo Pomini

T. H. McKittrick e altri - Economie Condilions and Banking Problemi, Swe- dish Banks Association, 1950, pag. 281.

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