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La disciplina dell’orario di lavoro nel lavoro pubblico

1 L’articolazione dell’orario di lavoro: 1.1 l’orario di servizio, l’orario di apertura al pubblico e articolazione dell’orario di lavoro; 1.2 l’orario flessibile;

1.3 l’orario di lavoro straordinario. 2 Il rapporto di lavoro a tempo parziale: 2.1 La disciplina del part-time tra fonti pubblicistiche e privatistiche; 2.2 i problemi di applicazione della legge: lo svolgimento di altre attività e il regime delle incompatibilità per i pubblici dipendenti; 2.3 Le modalità di costituzione del rapporto; 2.4 la tutela previdenziale nel part-time.

1 L’articolazione dell’orario di lavoro:

1.1 l’orario di servizio, l’orario di apertura al pubblico e articolazione dell’orario di lavoro

La disciplina in materia di orario di lavoro nel pubblico impiego è stata costellata nel corso degli anni novanta da importanti e molteplici interventi.

Partendo, infatti, dal D.lgs n. 29/1993, che aveva innovato la disciplina rispetto alla legge n. 93/1983, passando attraverso la legge n. 724 del 19941, la circolare del Ministero della funzione pubblica n. 7 del 1995 si arriva alla legge delega n.

59/19972, al D.lgs n. 80/19983 ed al D.lgs n. 387/19984.

Iniziando l’analisi della materia con il D.lgs. n. 29/1993 si deve rilevare innanzi tutto che esso ha stabilito che l’attribuzione delle prerogative in materia di orario di servizio e di apertura al pubblico fosse suddivisa fra il dirigente generale, al quale, in base al disposto dell’art. 16 del decreto, spettava la determinazione, previa informazione alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, degli orari di servizio, di apertura al pubblico e dell’articolazione dell’orario contrattuale di lavoro per la struttura organizzativa cui era preposto, e dirigente preposto agli uffici periferici il quale, in base al disposto dell’art. 17, invece doveva provvedere

1 In suppl. ord. n. 174 alla G.U. n. 304 del 30 dicembre 1994.

2 In G.U. n. 63 del 17 marzo 1997.

3 In suppl. ord. n. 65/L alla G.U. n. 82 dell’8 aprile 1998.

4 In G.U. n. 261 del 7 novembre 1998.

all’adeguamento degli orari di servizio e di apertura al pubblico tenendo conto della specifica realtà territoriale e in sintonia con il 3° co. dell’art. 36 della legge n. 142 del 19905.

Questa novità, a differenza dell’assetto in precedenza risultante dal rinvio operato dall’art. 3 della legge n. 93 del’83 alle fonti negoziali, ha fatto confluire la materia nell’ambito del potere organizzativo6.

Questo sistema, se da un lato ha avvalorato la funzione dirigenziale in vista della realizzazione delle esigenze organizzative e di quelle dell’utenza, dall’altro ha invece introdotto una disciplina troppo puntuale in materia di orario di servizio7, restringendo la discrezionalità propria dei dirigenti nell’individuare le soluzioni più appropriate a seconda del tipo di servizio e della varietà di interessi dell’utenza8.

L’art. 5 lett. d di questo decreto legislativo ha posto poi fra i criteri di organizzazione della P.A. l’armonizzazione degli orari di servizio, di apertura

5 Il 3° dell’art. 36 della legge n. 142 del 1990, infatti, dispone che” il sindaco è competente a coordinare gli orari degli esercizi commerciali, dei servizi pubblici, nonché gli orari di apertura al pubblico degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche, al fine di armonizzare l’esplicazione dei servizi alle esigenze complessive e generali degli utenti.

6 Cfr..SCARPONI S., La disciplina in materia di orario, in Il lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche, Commentario a cura di CARINCI F., II, Milano, Giuffrè, 1995, p. 1059; SCARPONI S e PIZZOFERRATO A., La disciplina in materia di orario, in Il lavoro pubblico alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche Commentario a cura di CARINCI F.e D’ANTONA M., II, Milano, Giuffrè 2000, p.

1735.

7 Cfr. SANTUCCI R, Orario di lavoro, in L’impiego pubblico nel diritto del lavoro a cura di RUSCIANO M. e ZOPPOLI L.,Torino, 1993, p.205.

8 Cfr. SCARPONI S e PIZZOFERRATO A.., La disciplina in materia di orario, in Il lavoro pubblico alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche Commentario a cura di CARINCI F.e D’ANTONA M., II, Milano, Giuffrè, 2000, p. 1735.

degli uffici e di lavoro, con le esigenze dell’utenza e con gli orari della amministrazione pubblica dei Paesi della CEE, nonché con quelli del settore privato9.

L’articolo 60 dello stesso D.Lgs. ha inizialmente differenziato il concetto di orario di servizio10, inteso come periodo di tempo giornaliero necessario per assicurare il funzionamento dei pubblici uffici e l’erogazione dei servizi pubblici, dall’orario di lavoro11, inteso come periodo di tempo giornaliero nel quale il dipendente esplica la propria prestazione di lavoro nell’ambito dell’orario di servizio12.

Ad opera della Circ. n. 8 del 1993, emanata dalla presidenza del Consiglio dei Ministri venne definito l’orario di apertura al pubblico come il periodo di tempo giornaliero che, all’interno dell’orario di servizio, costituisce la fascia oraria di accesso ai servizi da parte dell’utenza. Nell’ambito dell’orario di servizio, pertanto, deve essere definito l’orario di apertura al pubblico mediante apposite fasce orarie antimeridiane e pomeridiane per 5 giorni lavorativi.

9 Per un quadro schematizzato degli orari degli uffici dei dodici paesi della Comunità europea cfr. Il Sole 24 ore del 10 maggio 1993 p. 35.

10 Sul punto vedi la Circ. del Ministero delle Funzioni Pubbliche n. 4797 del 1992 che ha definito l’orario di servizio come il periodo di tempo giornaliero necessario per assicurare il funzionamento delle strutture degli uffici pubblici e l’erogazione dei servizi all’utenza.

11 Al riguardo vedi la Circ. n. 8 della 1993 che, emanata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri in attuazione del D.lgs. n. 29 del 1993, ha a sua volta definito l’orario di lavoro come il periodo di tempo giornaliero durante il quale, in conformità dell’orario d’obbligo contrattuale, ciascun dipendente assicura la prestazione lavorativa nell’ambito dell’orario di servizio.

12 Cfr. CARINGELLA F. e MARINO R., Il pubblico impiego, Napoli, 1995, pp. 193-194.

Ai sensi del 1° co. dell’art. 60 inoltre l’orario di servizio si articolava di norma su 6 giorni lavorativi, dei quali 5 anche nelle ore pomeridiane, con interruzione di almeno un’ora, in attuazione dei principi generali stabiliti da questo decreto e al fine di corrispondere alle esigenze della clientela. Venne così introdotto il c.d. orario spezzato che consentiva, venendo incontro alle esigenze dell’utenza, l’apertura pomeridiana degli uffici13.

La puntualità di questa disposizione, giustificata dal ruolo strategico che l’istituto rivestiva nel progetto di riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, è stata criticata perché sembrava aver introdotto un fattore di rigidità più che un incentivo all’efficienza. La valorizzazione dell’inciso “di norma”, che conferiva una funzione sussidiaria in presenza di esigenze che potessero essere soddisfatte meglio mediante una differente modalità organizzativa, poteva però consentire una lettura più flessibile della normativa14.

Un elemento di maggiore rigidità era invece rappresentato dall’imposizione dell’interruzione del servizio di almeno un’ora nelle ore pomeridiane15. Questa parte del decreto inoltre evidenzia la confusione del legislatore tra i due diversi concetti dell’orario di servizio e di lavoro. La previsione di una pausa intermedia, infatti, sarebbe dovuta avvenire all’interno dell’orario di lavoro giornaliero e non all’interno di quello di servizio. In ogni caso, per coerenza

13 Cfr. CARINGELLA F. e MARINO R., Il pubblico impiego, Napoli, 1995, p. 194.

14 Cfr. SANTUCCI R, Orario di lavoro, in L’impiego pubblico nel diritto del lavoro a cura di RUSCIANO M. e ZOPPOLI L.,Torino, 1993, p.212.

15 A tal proposito vedi la Circ. n. 8 del 1993, in G.U., 1993, n. 60.

con l’unificazione delle regole del lavoro privato e pubblico, si sarebbe dovuto incaricare di tale compito la contrattazione collettiva come avveniva nella generalità dei casi nel mondo del lavoro privato16.

Il 2° co. poi stabilì che l’orario di lavoro nell’ambito dell’orario d’obbligo contrattuale doveva essere funzionale all’orario di servizio.

La determinazione dell’orario di lavoro veniva demandata invece alla contrattazione collettiva, che doveva in ogni caso tener conto dell’orario di servizio stabilito dal decreto legislativo in discussione.

L’art. 60 del D.Lgs n. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 28 del D.lgs n.

546 del 199317, è stato abrogato dal 5° co. dell’art 22 della legge n. 724 del 1994 concernente misure di razionalizzazione della finanza pubblica in materia di pubblico impiego.

Ai sensi dell’art. 22 co. 1 di questa legge pertanto l’orario di servizio si articola su 5 giorni settimanali, anche nelle ore pomeridiane, al fine di corrispondere alle esigenze dell’utenza e in attuazione dei principi generali previsti dal D.lgs n. 29 del ’93 indirizzati ad accrescere l’efficienza delle amministrazioni, a razionalizzare il costo del lavoro pubblico e ad integrare gradualmente la disciplina del lavoro pubblico con quello del lavoro privato.

Il modello normale di distribuzione dell’orario di servizio, prefigurato da questa disposizione, accoglie il contenuto delle direttive in precedenza

16 Cfr. SANTUCCI R, Orario di lavoro, in L’impiego pubblico nel diritto del lavoro a cura di RUSCIANO M. e ZOPPOLI L., Torino, 1993, p.212.

17 In suppl. ord. n. 123 alla G.U. n. 304 del 29 dicembre 1993.

formulate nei confronti della P.A. dalla Circ. Min. n. 4797 del 199218 che, nel quadro di “omologazione con il settore privato” e di “omologazione a livello europeo”, delineò un modello di P.A. flessibile ed in sintonia con la realtà sociale che consentisse “anche un positivo impatto con la scadenza europea del 1993. A tal proposito pertanto l’orario di lavoro settimanale veniva articolato in 5 giorni lavorativi in modo che fosse assicurata l’erogazione dei servizi pubblici a favore degli utenti sia nelle ore antimeridiane che in quelle pomeridiane, previa sospensione dell’attività per almeno un’ora per consentire il necessario recupero delle condizioni psico-fisiche dei dipendenti19.

Rispetto a tale nuova disciplina poi, sempre l’art. 22 co. 1 della legge n. 724 del ’94, precisa che sono fatte salve in ogni caso le particolari esigenze dei servizi pubblici da erogarsi con carattere di continuità e che richiedono orari continuativi o prestazioni per tutti i giorni della settimana, quelle delle istituzioni scolastiche, nonché quelle derivanti dalla necessità di assicurare comunque la funzionalità delle strutture di altri uffici pubblici con un ampliamento dell’orario di servizio anche nei giorni non lavorativi.

Ai sensi del 2° co. dell’art. 22 di questa legge, inoltre, l’orario settimanale di lavoro ordinario d’obbligo contrattuale, è funzionale all’orario di servizio e si articola su 5 giorni, anche nelle ore pomeridiane, ad eccezione delle particolari esigenze dei servizi pubblici indicate al co. 1 di quest’articolo.

18 In G.U. n. 254 del 28 ottobre 1992.

19 Cfr. NARDI A., Il rapporto di pubblico impiego, Bologna, 1995, p. 284.

Secondo il testo dell’art. 22 co. 3 della legge n. 724 del 1994, l’articolazione dell’orario di servizio, dell’orario di apertura al pubblico e dell’orario di lavoro, è definita attraverso l’esercizio da parte dei funzionari dirigenziali delle prerogative in materia di orario di servizio e di apertura al pubblico, il quale deve essere però attuato in vista del perseguimento delle finalità e degli obiettivi da realizzare nonché delle prestazioni da assicurare secondo le modalità maggiormente rispondenti alle esigenze dell’utenza20. Questo comma 3 infine precisa che “l’orario di lavoro, comunque articolato, è accertato mediante forme di controlli obiettivi e di tipo automatizzato.

Successivamente in materia è intervenuta la Circ. Ministero della Funzione Pubblica n. 7 del 199521 che ha precisato innanzitutto che: a) per orario di servizio si intende il periodo di tempo giornaliero necessario per assicurare la funzionalità delle strutture degli uffici pubblici e l’erogazione dei servizi all’utenza; b) per orario di apertura al pubblico invece si intende il periodo di tempo giornaliero che nell’ambito dell’orario di servizio, costituisce la fascia oraria, ovvero le fasce orarie di accesso ai servizi da parte dell’utenza; c) per orario di lavoro si intende il periodo di tempo giornaliero durante il quale, in conformità all’orario d’obbligo contrattuale, ciascun dipendente assicura la prestazione lavorativa nell’ambito dell’orario di servizio.

20 Cfr. SCARPONI S e PIZZOFERRATO A.., La disciplina in materia di orario, in Il lavoro pubblico alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche, Commentario a cura di CARINCI F.e D’ANTONA M., II, Milano, Giuffrè, 2000, p. 1736.

21 In G.U. n. 73 del 28 marzo 1995.

Secondo le indicazioni contenute nella circolare, pertanto, l’orario di servizio negli uffici pubblici deve essere articolato dai Dirigenti responsabili su 5 giorni dal lunedì al venerdì, assicurando il funzionamento degli uffici sia nelle ore antimeridiane sia in quelle pomeridiane.

Nell’ambito dell’orario di servizio, i Dirigenti responsabili delle Amministrazioni Pubbliche, dopo aver individuato gli uffici che hanno rapporti con il pubblico, dovranno definire l’orario di apertura al pubblico, prevedendo apposite fasce orarie di accesso ai servizi da parte dell’utenza in ciascuno dei 5 giorni lavorativi settimanali sia nelle ore antimeridiane che in quelle pomeridiane.

Infine nel rispetto dell’obbligo dell’effettuazione del previsto orario ordinario di lavoro settimanale, l’orario di lavoro deve essere articolato dai Dirigenti responsabili in funzione delle esigenze organizzative derivanti dalla strutturazione dell’orario di servizio, nell’ambito delle tipologie indicate dai contratti collettivi. In base poi alle finalità, in applicazione delle disposizioni contenute nel 2° co. dell’art. 22 delle legge n. 724 del ’94, la durata giornaliera dell’orario ordinario di lavoro settimanale di ciascun dipendente deve essere articolata dai Dirigenti responsabili su 5 giorni, completando in tal modo l’orario d’obbligo di lavoro settimanale. Nell’ambito della sopra indicata articolazione giornaliera dell’orario ordinario di lavoro settimanale è indispensabile definire una adeguata sospensione, non inferiore a 30 minuti, idonea a consentire il necessario recupero delle condizioni psico-fisiche dei

dipendenti, al fine di evitare che il lavoro troppo prolungato e continuo nel corso della giornata, diventi eccessivamente usurante e dannoso per la loro salute. I dirigenti, nel fissare la nuova articolazione dell’orario di lavoro settimanale devono utilizzare, in maniera programmata ed in forma combinata, le diverse tipologie organizzative dell’orario di lavoro, quali : l’orario ordinario, l’orario flessibile, i turni, i recuperi dei permessi brevi e dei ritardi giustificati22. I dirigenti responsabili, nel determinare l’articolazione dell’orario di lavoro settimanale, devono valutare le particolari esigenze espresse dal personale che intende utilizzare forme flessibili dell’orario di lavoro. In tale valutazione deve essere data la precedenza ai dipendenti in situazioni di svantaggio personale, sociale e familiare, ed a quelli impegnati in attività di volontariato, come stabilito dall’art. 7 del D.lgs. n. 29/1993 (il citato art. 7 è stato sostituito dall’art. 5 del D.lgs. n. 546 del ’93), dovendo in ogni caso tenere in considerazione le esigenze delle dipendenti con figli in tenera età.

Sia la legge n. 724 del 1994 che la circolare n. 7 del 1995 demandano l’articolazione dell’orario di lavoro alla disciplina pattizia.

La seconda riforma del rapporto di lavoro pubblico, messa in atto attraverso la legge delega n. 59 del 1997, il D.lgs. n. 80 del ’98 ed il D.lgs. n. 387 del 1998, influisce solo marginalmente sulla disciplina dell’orario di lavoro23.

22 Cfr. CARINGELLA F. e MARINO R., Il pubblico impiego, Napoli, 1995, p 197.

23 Cfr. SCARPONI S. e PIZZOFERRATO A.., La disciplina in materia di orario, in Il lavoro pubblico alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche Commentario a cura di CARINCI F.e D’ANTONA M., II, Milano, Giuffrè, 2000, p. 1753.

Il D.lgs n. 80 del 1998 ridefinendo i poteri dirigenziali, riporta alla luce, relativamente alla disciplina dell’orario, controversie interpretative che sembravano essere state risolte dalla prevalente dottrina, in relazione alla ripartizione di competenze, sul versante privatistico, fra dirigente e contratto collettivo.

Riaffermata la divisione fra determinazione dell’orario di servizio e di apertura al pubblico, rientranti nel regime pubblicistico, e articolazione dell’orario di lavoro, facente parte dei poteri privatistici di gestione del personale, sorge il dubbio che la contrattazione collettiva possa sostituirsi nella pratica al dirigente nell’articolazione e distribuzione dell’orario di lavoro.

Tale incertezza scaturisce dal fatto che, mentre le precedenti versioni degli artt. 16 e 17 D.Lgs. n. 29 del 1993 menzionavano espressamente il potere dei dirigenti generali e dei dirigenti di determinare l’articolazione dell’orario contrattuale di lavoro in relazione alle esigenze funzionali della struttura organizzativa cui sono preposti, in seguito a un esame con le organizzazioni sindacali secondo modalità predefinite, le attuali formulazioni delle lettere d) e h) del 1° co. dell’art. 16, e delle lettere d) ed e) dell’art. 17, non si pronunciano più espressamente il tal senso. Dalla soppressione di questa specificazione si potrebbe arrivare alla conclusione che i dirigenti pubblici vengano in tal modo

privati della prerogativa di articolare l’orario di lavoro, per poterla demandare alla contrattazione24.

Questa tesi però non è accoglibile, innanzi tutto perché la mancanza di tale previsione non comporta necessariamente un intento restrittivo ma, al contrario, manifesta una volontà di razionalizzazione del legislatore, che non intende effettuare esemplificazioni concrete, al fine di evitare una lettura riduttiva della disposizione.

Il legislatore della seconda riforma, nel rivedere la formulazione di tali disposizioni, ha pensato di non dover ripetere l’espressa attribuzione di competenza al dirigente, sia perché ormai unanimemente riconosciuta ed accettata, sia perché inutile alla luce della chiara ed onnicomprensiva formulazione delle lettere h) ed e), rispettivamente degli artt. 16 e 17, e della indubbia conformazione del corrispondente potere del dirigente privato25.

La presenza di un peculiare obbligo pubblicistico di funzionalizzazione dell’orario di lavoro all’orario di servizio, non fa che rafforzare la tesi della permanenza di un potere dirigenziale di articolazione dell’orario di lavoro. La contrattazione collettiva infatti non potrebbe essere il garante di tale rispondenza, dal momento che non potrebbe assumere delle responsabilità in

24 Cfr. SCARPONI S e PIZZOFERRATO A.., La disciplina in materia di orario, in Il lavoro pubblico alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche Commentario a cura di CARINCI F.e D’ANTONA M., II, Milano, Giuffrè, 2000, p. 1755.

25 Cfr. PIZZOFERRATO A., Recenti orientamenti giurisprudenziali in materia di orario di lavoro, in QDLRI, 1995, n. 17, 1995, P. 243.

caso di erronea determinazione che rechi pregiudizio sia all’utenza sia alla pubblica amministrazione erogatrice26.

La negazione del potere unilaterale di articolazione dell’orario di lavoro comporterebbe anche il venir meno del potere di fissazione dell’orario di servizio e di apertura al pubblico, che avrebbe l’inevitabile conseguenza di imporre un necessario ricorso alle fonti normative per giungere ad una loro definizione. Tutto questo però contrasterebbe con lo spirito della riforma.

In base alle considerazioni svolte, pertanto, la cancellazione del riferimento al potere dirigenziale di articolare l’orario contrattuale, deve essere ritenuta ininfluente e deve conseguentemente ritenersi che sia rimasto in vigore il riparto delle competenze sui binari già tracciati in precedenza dal legislatore della prima riforma27.

In ogni caso, un’innovazione rispetto all’assetto precedente, deve essere colta nel maggior coinvolgimento delle parti nella trattazione e nella disciplina dell’orario.

Per questo motivo l’art. 10 del D.lgs. n. 29 del 1993 che, nel prevedere forme di partecipazione sindacale all’esercizio di poteri amministrativi e organizzativi aventi riflessi sul rapporto di lavoro, demanda alla stessa contrattazione

26 Cfr. SCARPONI S e PIZZOFERRATO A.., La disciplina in materia di orario, in Il lavoro pubblico alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche Commentario a cura di CARINCI F.e D’ANTONA M., II, Milano, Giuffrè, 2000, p. 1756.

27 Cfr. SCARPONI S e PIZZOFERRATO A., La disciplina in materia di orario, in Il lavoro pubblico alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche Commentario a cura di CARINCI F.e D’ANTONA M., II, Milano, Giuffrè, 2000, p. 1756.

collettiva il compito di stabilire tali istituti partecipativi in relazione alle diverse tipologie di atti interni compiuti dal dirigente, è stato novellato ad opera della legge delega n. 59 del 1997.

Precedentemente la legge prevedeva un procedimento informativo a carico delle amministrazioni pubbliche standardizzato e limitato alle misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro e alla qualità dell’ambiente di lavoro, compresa in ogni caso la definizione dell’orario di servizio e dell’orario di apertura al pubblico. Sia in vigenza del precedente testo, sia allo stato attuale, è imposto al dirigente un obbligo di partecipazione sindacale nelle scelte assunte in tema di orario; ma mentre prima l’istituto partecipativo era definito dal legislatore, ora è rimesso all’autonomia collettiva, che può articolarlo secondo i rapporti di forza contrattuali, purché comunque non sia leso il principio della responsabilità finale dei dirigenti.

La spinta ad un largo ricorso all’autonomia collettiva nella determinazione della disciplina dell’orario di lavoro va aumentando in relazione all’apertura della seconda tornata contrattuale che, eliminando la precedente normativa pubblicistica, produce l’effetto di generalizzare l’efficacia delle norme privatistiche nelle materie non diversamente regolate dalla contrattazione collettiva di comparto28.

28 L’art. 72, co. 3, D.lgs. n. 29 del 1993 dispone, infatti, che “ le disposizioni vigenti cessino in ogni caso di produrre effetti dal momento della sottoscrizione, per ciascun ambito di riferimento, del secondo contratto collettivo previsto dal presente decreto.

La prima tornata contrattuale stabiliva invece la durata normale e media settimanale, l’articolazione dell’orario su 5 giorni lavorativi, con l’esclusione dei dipendenti addetti a servizi da erogarsi con carattere di continuità, le pause

La prima tornata contrattuale stabiliva invece la durata normale e media settimanale, l’articolazione dell’orario su 5 giorni lavorativi, con l’esclusione dei dipendenti addetti a servizi da erogarsi con carattere di continuità, le pause

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