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Capitolo 2. Incorporare lo spazio della città

2.3 Disconnessione e contrazione

I progetti illustrati, siano essi realizzati, teorici, immaginati o utopici, testimoniano come le condizioni di possibilità dell’urbanità si realizzino sempre più negli spazi costruiti della città. Si tratta di un fenomeno che racconta il processo di contrazione della città oggi in atto: la dimensione costruita si rafforza e diventa generatrice di nuove energie urbane. Allo stesso tempo, e in modo complementare, la dimensione sistemica della città appare indebolita e la possibilità di agire ‘urbanisticamente’ su di essa limitata. Una volta messa a fuoco questa fenomenologia, si propone di leggere la trasformazione in corso come una diversa articolazione dei materiali urbani che fino alla città moderna hanno organizzato la città sul principio della continuità della forma urbana: nel contesto sincopato della metropoli, altri spazi e altre logiche sembrano reggere e rammagliare la città come un tutto. Dalle infrastrutture, sole responsabili di gestire ancora la permeabilità dello spazio pedonale, siano esse di trasporto pubblico su ferro o siano connettivi in forma di ponti e passarelle; agli edifici ‘iconici’ specchio della ‘finanza globale’ (Sassen 2001)33, nuovi punti di orientamento, che non appartengono

più al disegno urbano ma sono sempre più, solo, emergenze dell’ambiente costruito.

Usando le parole di Secchi, è possibile leggere i frammenti della città contemporanea come i materiali di un sistema aperto, disponibili alla ripetizione, alla connessione e alla composizione (Secchi, 2000). Infatti, la post-metropoli dimostra in modo chiaro che la città si costruisce per approssimazioni successive, attraverso pratiche disgiunte e incrementali, dove il tema dello spazio fisico è cruciale e immanente. Si impone, dunque, il tema di riprogrammare il progetto della città attraverso soluzioni puntuali, meglio se con effetti di scala urbana, come le infrastrutture, che sono soluzioni puntuali con effetti sistemici. Emerge un’urbanistica che costruisce la città nel tempo breve e nell’urgenza delle necessità. Un’urbanistica umanista (Delijaicov, 2011) che si occupa dell’uomo, predisponendo le condizioni per il suo libero uso della città, quale suo proprio spazio di vita. In generale e a livello globale si può affermare che è in corso una contrazione delle pratiche dell’urbanistica nello spazio e nel tempo. Contestualizzare il fenomeno in oggetto nell’ambito disciplinare, significa riconoscere una sostanziale perdita di aderenza della realtà rispetto al discorso urbanistico. Costatazione che è confermata da un quadro disciplinare impegnato a implementare nuove articolazioni delle operazioni di pianificazione rispetto all’approccio moderno, estensivo e orientato a costruire ‘la città tutta’, secondo i principi delle regolarità, della continuità e dell’equilibrio (Secchi, 2000).

Nel Novecento la pianificazione modernista ha costruito le città in base al desiderio di creare 33 SASSEN, S. (2001) The Global City: New York, London, Tokyo, Princeton University Press; 2 edition

un insieme urbano unitario a partire da parti diverse e confuse. Come evidenzia Sandercock, la pianificazione si considerava più efficiente quando era più comprensiva. La comprensività era scritta nelle norme di pianificazione e si riferiva a piani spaziali multifunzionali e multisettoriali e anche agli intrecci tra pianificazione economica, sociale, ambientale e fisica. Essa cercava di esercitare un certo controllo sull’organizzazione spaziale della società. Il suo era un compito di coordinamento e integrazione, necessariamente di tipo gerarchico (Sandercock, 2004, p. 330). La pianificazione era, inoltre, un progetto di futuri diretti dallo stato. Ma, da un lato perché lo stato non sostiene più la sorte di quel tipo di pianificazione progressista interventista, dall’altro perché la città si rivela sempre più composta di materiali instabili e sfuggenti, questo modello di pianificazione sta lasciando spazio a un nuovo modello, è in corso di ‘definizione’. Nei processi di pianificazione contemporanei, le dimensioni regolative e procedurali sono fondamentali, ma hanno un legame debole con i reali processi di implementazione dello sviluppo urbano. Piani e programmi esplorano la visione strategica della trasformazione. Visione che in alcuni casi può essere testata dall’anticipazione del progetto di interventi cruciali e progetti infrastrutturali (Palermo, Ponzini, 2012).34 In questo solco, Palermo e

Ponzini discutono di come una strategia urbanistica di medio e lungo termine abbia bisogno, per essere efficiente, del progetto di una visione spaziale e strutturale che tenga in considerazione gli aspetti morfologici e dia priorità a un set di progetti di sviluppo. Il nodo sembra, quindi tornare sul progetto fisico, mettendo in luce come gli strumenti della pianificazione possono essere migliorati attraverso una fase di testing preliminare del progetto stesso (ibidem).

In questo senso, la relazione tra urbanistica e progetto dello spazio fisico diventa cruciale per lo sviluppo della disciplina. L’immagine della città, che invece di distribuirsi in estensione sulla mappa, si concentra negli spazi costruiti che, giustapponendosi, compongono la ‘città come un tutto’ (Bucci, 2011), evidenzia come anche le energie progettuali assumono questa possibilità, nelle pratiche. L’obiettivo è, quindi, affermare che ci troviamo nel mezzo di un cambiamento di paradigma, che vede il passaggio da una pianificazione estensiva a un approccio intensivo, site specific e limitato. Dove lo spazio costruito entra a tutti gli effetti tra i termini del paradigma, come i nuovi ‘pesi’ o poli dell’organizzazione metropolitana.

34 Palermo e Ponzini descrivono il Piano Regolatore di Roma e il Piano strutturale di Bologna come visioni strategiche e strutturali basate sull’interpretazione morfologica del contesto e come laboratori critici per discutere nuove direzioni della ricerca all’incrocio tra la pianificazione urbana e il progetto urbano (2012).

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