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Sulla base delle nostre conoscenze, il presente studio risulta essere il primo ad avere l’obiettivo di valutare, in maniera approfondita, il coinvolgimento dell’IL-1β e dell’Inflammasoma NLRP3 nell’osteoartrosi della mano, con particolare riferimento ai due principali subsets della malattia, l’OAE e l’OAN.

L’IL-1β rappresenta una delle principali citochine pro-infiammatorie, coinvolte nel processo patogenetico dell’OA, in quanto influenza l’omeostasi cartilaginea, stimolando il rilascio di enzimi proteolitici, quali le MMPs e le ADAMTs, promuovendo la produzione di altre citochine, come l’IL-8, l’IL-6 e l’IL-17 e inibendo la sintesi di nuova matrice extracellulare (170,190,191). Tali evidenze in vitro non risultano, però, univocamente confermate da studi sul modello animale e sull’uomo (171-173).

Il ruolo centrale dell’IL-1β nella patogenesi dell’OAE, la forma più severa di OA della mano, con preminenti caratteristiche infiammatorie, è stato ipotizzato da Stern e coll. (54) che hanno dimostrato l’associazione tra il polimorfismo di un singolo nucleotide del gene codificante per l’IL-1β e lo sviluppo di questo subset di OA della mano.

Questi dati non sembrano, apparentemente, confermati dalla nostra ricerca. Infatti, contrariamente a quanto aspettato, l’espressione genica dell’IL-1β è risultata marginalmente più bassa nei pazienti con OAE, rispetto a quelli con diagnosi di OAN, nonostante non si raggiungesse la significatività statistica. L’espressione dell’IL-1β era, inoltre, significativamente più elevata nei Controlli, rispetto ai pazienti con OAE. I livelli sierici di IL-1β non mostravano alcuna differenza significativa tra i tre gruppi in studio.

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Allo stato attuale, è difficile spiegare la discrepanza tra i risultati ottenuti tramite il test ELISA, che valuta i livelli circolanti di IL-1β e quelli riportati mediante PCR real-time, tecnica atta a determinare l’espressione genica dell’IL-1β. Tale differenza potrebbe essere legata all’aumento della percentuale di IL-1β legata ai suoi recettori e quindi non disponibile in forma libera circolante. Infatti, sembra che i condrociti osteoartrosici esprimano una maggior densità di recettori per l’IL-1, rispetto ai soggetti sani (192). Inoltre, è stato dimostrato che l’IL-1 viene rilasciata, soprattutto, nelle fasi iniziali dell’OA e questo potrebbe costituire un’ulteriore spiegazione dei nostri risultati, visto che i pazienti arruolati presentavano una durata media di malattia di almeno 8 anni (193). Infine, potremmo ipotizzare l’esistenza di un meccanismo compensatorio, volto a contrastare la risposta infiammatoria nei pazienti con OAE e OAN.

Considerando, comunque, nel loro insieme i risultati dei livelli sierici dell’IL-1β e dell’espressione genica di questa citochina, si può anche ipotizzare un meccanismo patogenetico indipendente dall’IL-1 nell’OA della mano. Altri recenti lavori avvalorano questa nostra ipotesi, in particolare studi su modelli animali di OA indotta da meniscectomia, hanno dimostrato che topi knock-out per l’IL-1β e per il NLRP3 sviluppavano un danno cartilagineo più severo o almeno sovrapponibile a quanto accadeva a topi WT (172,182). Un’ulteriore conferma, a sostegno di un meccanismo indipendente dall’IL-1β nell’OA, deriva da studi clinici randomizzati (RCTs), in cui sono stati impiegati antagonisti del recettore dell’IL-1 (IL-1Ra) per il trattamento dell’OA di ginocchio. Sia la somministrazione intra-articolare di Anakinra, una forma ricombinante dell’IL-1Ra, sia quella sottocutanea (s.c.) dell’AMG108, un anticorpo monoclonale diretto contro il recettore R1 dell’IL-1, non hanno portato all’efficacia sperata (194,195). Per quanto riguarda l’OA della mano, i dati della letteratura sono

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limitati a due differenti reports che riportano il successo della terapia con Anakinra, per via s.c., al dosaggio di 100 mg/die, in una serie di 3 pazienti con OAE (196,197).

Il nostro studio si è proposto, inoltre, di valutare il possibile coinvolgimento dell’Inflammasoma NLRP3 nell’OA della mano. L’NLRP3 è un complesso intracellulare che media la risposta dell’immunità innata a patogeni endogeni ed esogeni, regolando il rilascio delle citochine pro-infiammatorie, in particolare dell’IL- 1β. L’Inflammasoma NLRP3 svolge, pertanto, un ruolo di primaria importanza, non solo nei meccanismi di difesa dell’organismo da agenti infettivi, ma anche nelle malattie infiammatorie croniche, come quelle di pertinenza reumatologica (133). Nell’OA, il ruolo dell’NLRP3 risulta, tuttavia, altamente controverso. Da una parte, alcuni studi hanno descritto una sovra-espressione delle diverse componenti del complesso NLRP3 nel tessuto sinoviale di pazienti con gonartrosi, rispetto a un gruppo di soggetti sani (179,180); gli stessi Autori individuavano, inoltre, una correlazione positiva tra l’espressione proteica dell’NLRP3 e i livelli proteici di Nox2, un enzima coinvolto nella produzione dei ROS, noti per contribuire allo stato infiammatorio dell’OA (179). Per contro, esistono evidenze che supportano un meccanismo patogenetico indipendente dall’attività dell’Inflammasoma NLRP3 nell’OA (181,182). In particolare, nello studio di Bougault e coll. (181), le concentrazioni di IL-1β provenienti da espianti cartilaginei e sinoviali di 18 pazienti con OA, sottoposti ad artroprotesi risultavano al limite della misurazione, mentre quelle dal tessuto sinoviale si dimostravano più consistenti. Veniva, inoltre, confermata l’espressione proteica dell’NLRP3, di ASC e della caspasi-1 nei condrociti provenienti dai pazienti osteoartrosici. Tuttavia, i condrociti sembravano acquisire un fenotipo pro-degradativo, senza alcun contributo dell’NLRP3 e dell’IL-1β: i livelli proteici delle MMP-3,13,19 erano, infatti, simili nei topi WT e in quelli knock- out (NLRP3-/-) e l’inibizione dell’attività enzimatica della caspasi-1 non induceva

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alcuna modificazione dei livelli proteici delle MMPs. Nello stesso studio, la stimolazione biomeccanica dei condrociti provenienti da topi WT e knock-out portava a risultati sovrapponibili, sia per quanto concerne il rilascio di glicosamminoglicani, sia l’attività delle MMPs (181).

Nel nostro studio, non abbiamo rilevato differenze statisticamente significative tra i tre gruppi analizzati nell’espressione genica dell’NLRP3. Invece, i livelli proteici dell’NLRP3 risultavano significativamente più elevati nei pazienti con OAN, rispetto a quelli con OAE e ai Controlli (p=0,0038, p=0,0063, rispettivamente). La differenza tra i risultati derivati dall’espressione genica e quelli determinati dall’analisi dei livelli proteici, potrebbe essere dovuta a modifiche post-traduzionali o a instabilità dell’mRNA, entrambe note per influenzare l’espressione proteica (198,199).

I nostri risultati sono in linea con quelli di un precedente studio, in cui veniva dimostrata l’espressione genica, tramite PCR a trascrizione inversa, delle diverse componenti dell’Inflammasoma nella membrana sinoviale di pazienti con OA e l’espressione proteica dell’NLRP3, mediante Western Blot, nei linfociti B e nelle cellule della linea mieloide (200) provenienti da soggetti osteoartrosici.

Nonostante l’OAE sia caratterizzata da una spiccata componente infiammatoria, nel nostro studio abbiamo trovato dei livelli proteici dell’NLRP3 più bassi nei pazienti con OAE, rispetto sia al gruppo di OAN che a quello dei Controlli. Sulla base delle conoscenze attuali, è davvero difficile fornire una spiegazione a questo inatteso risultato. È possibile che questi dati siano, almeno in parte, influenzati dalla più elevata percentuale di soggetti fumatori, di comorbidità (diabete, malattie cardiovascolari, tiroidite autoimmune) e più alto BMI tra i pazienti con OAN, rispetto a quelli con OAE. È, infatti, nota una sovra-espressione dell’NLRP3 in queste condizioni (201-203). Per

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stabilire se meccanismi alternativi alla via di attivazione dell’Inflammasoma NLRP3 e al conseguente rilascio di IL-1β potessero essere coinvolti nella patogenesi dell’OA della mano, siamo andati ad analizzare i livelli sierici di alcune citochine, note per le loro proprietà pro-flogistiche, quali l’IL-6, l’IL-17 e il TNF-α. Tutti questi mediatori presentavano, però, dei valori al di sotto della soglia minima rilevabile dalla metodica immunoenzimatica nei 3 gruppi di studio.

Per quanto riguarda il dosaggio dei valori sierici di IL-6, i nostri risultati sono in linea con studi precedentemente pubblicati che non mostravano differenze statisticamente significative tra l’OAE, l’OAN e soggetti sani (204,205). Al contrario, altri Autori riportavano un aumento delle concentrazioni di IL-6, nel siero e nel liquido sinoviale di pazienti con gonartrosi, rispetto a un gruppo di controllo (206,207). Questa discrepanza potrebbe essere dovuta al fatto che l’articolazione del ginocchio si caratterizza per la presenza della fad pad intra-patellare, nota fonte di produzione di citochine, come l’IL- 6, mentre le piccole articolazioni della mano presentano solo una minima quantità di tessuto adiposo (208).

Considerando le crescenti evidenze di uno specifico ruolo dell’IL-17 nel definire un fenotipo “infiammatorio” di OA, abbiamo deciso di valutare i livelli sierici di tale citochina (209,210). I nostri dati non hanno, tuttavia, confermato il rilievo di elevati livelli di IL-17 in pazienti con OA del ginocchio, rispetto a un gruppo di controlli sani; le concentrazioni di IL-17 nella nostra popolazione in studio erano, infatti, molto basse e non sussisteva alcuna differenza tra gruppi (211-213). Dobbiamo, tuttavia, sottolineare come queste evidenze siano solo apparentemente in contraddizione con i nostri risultati, dato che tutti i lavori finora pubblicati sono relativi all’OA del ginocchio.

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Anche per quanto riguarda i livelli sierici di TNF-α, questi erano al di sotto della soglia minima rilevabile dal test ELISA in tutti i gruppi di studio. Dall’analisi della letteratura, emerge che nessun lavoro, volto ad analizzare le concentrazioni sieriche di TNF-α in pazienti con OAE, sia stato ad oggi pubblicato, mentre le attuali evidenze scientifiche derivano esclusivamente da soggetti con gonartrosi e risultano, tra l’altro, piuttosto discordanti (207,214). Inoltre, gli studi clinici che valutano l’efficacia degli inibitori del TNF-α in pazienti con OA della mano sono talmente eterogenei da non permettere alcuna conclusione. Tre RCTs su adalimumab nel trattamento dell’OA della mano, fallivano nel mostrare la superiorità degli inibitori del TNF-α rispetto al placebo, mentre un altro recente trial randomizzato controllato mostrava risultati incoraggianti su etanercept nella terapia dell’OAE (215-218). Anche i dati provenienti dagli studi open- label risultano ugualmente contradditori; Magnano e coll. (219) non ottenevano alcun significativo miglioramento degli outcomes di studio, dopo terapia con adalimumab nell’OAE, mentre un trial in singolo-cieco su 10 pazienti con OAE mostrava una significativa efficacia clinica della terapia con infliximab, somministrato per via intra- articolare (220).

In accordo con un lavoro precedentemente pubblicato, riportavamo una correlazione inversa, statisticamente significativa, tra i livelli sierici di IL-1β e lo score radiografico di Kellgren-Lawrence nella popolazione totale e nel gruppo di pazienti con OAN, ma non nel gruppo di pazienti con OAE (193). Questo dato supporta l’ipotesi che il rilascio di IL-1β avvenga soprattutto nelle fasi precoci di OA; in effetti, i pazienti da noi analizzati avevano un grado radiologico moderato-severo e una durata media di malattia di diversi anni. Il mancato utilizzo di altri sistemi di scoring radiologico, come lo score di Verbruggen e di Kallman, considerati superiori al Kellgren-Lawrence nel misurare le lesioni erosive, potrebbe spiegare la mancanza di tale correlazione nel sotto-gruppo di

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pazienti con OAE (193). In effetti, nello studio di Roux e coll. (193), la correlazione negativa con l’IL-1β, nel gruppo di pazienti con OAE, veniva dimostrata solo con gli score di Verbruggen e di Kallman e non con quello di Kellgren-Lawrence.

Inoltre, il nostro lavoro evidenziava una correlazione positiva, statisticamente significativa, tra l’espressione genica dell’IL-1β e il numero di articolazioni tumefatte della mano nei soggetti con OAE. Questo risultato potrebbe essere indicativo di una maggiore attività di malattia, come supportato anche dai livelli più elevati di PCR nei pazienti del gruppo OAE, rispetto a quelli del gruppo OAN.

Dobbiamo, comunque, sottolineare come i nostri risultati siano relativi ad uno studio preliminare con alcune limitazioni metodologiche che meritano di essere riportate. In primis, la casistica analizzata era piuttosto limitata e i 3 gruppi non erano omogenei per tutte le variabili demografiche e cliniche valutate, in particolare il numero delle comorbidità. Inoltre, abbiamo utilizzato un solo metodo di scoring radiologico, quello di Kellgren-Lawrence, mentre recenti evidenze suggeriscono che gli scores di Verbruggen e Kallman siano più affidabili nel valutare le lesioni erosive e, quindi, più appropriati per pazienti con OAE. Infine, i nostri risultati potrebbero essere considerati non del tutto completi, in quanto non abbiamo analizzato altri tipi di Inflammasoma, diversi dall’NLRP3, né abbiamo valutato i diversi polimorfismi di questo complesso macromolecolare; non abbiamo, infine, analizzato i livelli sierici dell’IL-18, l’altra importante citochina che viene rilasciata in seguito all’attivazione dell’NLRP3.

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