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IL COINVOLGIMENTO DELL'IL-1β E DELL'INFLAMMASOMA NLRP3 NELL'OSTEOARTROSI EROSIVA E NODALE DELLA MANO

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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI SIENA

Sede aggregata della Scuola di Specializzazione Tosco-Umbra in

Reumatologia

IL COINVOLGIMENTO DELL’IL-1Β E

DELL’INFLAMMASOMA NLRP3

NELL’OSTEOARTROSI EROSIVA E NODALE

DELLA MANO

Relatore:

Chiar.mo Prof. Mauro Galeazzi

Correlatore:

Chiar.ma Dr.ssa Antonella Fioravanti

Tesi di specializzazione:

Dr.ssa Sara Tenti

(2)

1

INDICE

1. Introduzione………...04

1.1 L’Osteoartrosi della mano…..….………..04

1.2 L’Osteoartrosi Erosiva della mano…………...………...………..10

1.2.1 Eziopatogenesi………11

1.2.2 Clinica…………...………..13

1.2.3 Esami strumentali………16

1.2.3.1 Radiologia tradizionale………..16

1.2.3.2 Altre tecniche di imaging………..…24

1.2.4 Anatomia patologica………...27

1.2.5 Indagini di laboratorio……….29

1.3 L’Inflammasoma………31

1.3.1 I componenti chiave dell’Inflammasoma………31

1.3.2 Il processo di assemblaggio dell’Inflammasoma………33

1.3.3 Ruolo di ASC nell’Inflammasoma………..34

1.3.4 L’Inflammasoma canonico………..34

1.4 L’Inflammasoma NLRP3…………...………...…………37

(3)

2

1.4.2 Ruolo dell’Inflammasoma NLRP3 nelle malattie infiammatorie ed

autoimmunitarie………39

1.4.2.1 L’Inflammasoma NLRP3 nelle Sindromi Periodiche associate alla criopirina (CAPS)………..41

1.4.2.2 L’Inflammasoma NLRP3 nelle Artriti da Microcristalli…..…….42

1.4.2.3 L’Inflammasoma NLRP3 nell’Artrite Reumatoide………...42

1.4.2.4 L’Inflammasoma NLRP3 nel Lupus Eritematoso Sistemico……44

1.4.2.5 L’Inflammasoma NLRP3 nella Sclerosi Sistemica………...45

1.4.2.6 L’Inflammasoma NLRP3 nella Sindrome di Sjogren…...………46

1.4.2.7 L’Inflammasoma NLRP3 nelle Spondiloartriti……...…………..46

1.4.2.8 L’Inflammasoma NLRP3 nell’Osteoartrosi……….……...47

2. Scopo dello studio……….…..50

3. Pazienti e metodi……….….………..51

3.1 Pazienti………51

3.2 Parametri clinici e radiografici………52

3.3 Parametri biochimici………...53

3.3.1 Determinazione della concentrazione plasmatica delle citochine……...53

3.3.2 Estrazione dell’RNA e real-time PCR quantitativa………54

(4)

3

4. Analisi statistica…..……….……….59

5. Risultati……….…………....60

5.1 Parametri clinici………..60

5.2 Livelli sierici ed espressione genica dell’IL-1β………..62

5.3 Espressione genica e livelli proteici dell’NLRP3………...64

5.4 Livelli sierici dell’IL-6, IL-17A e TNF-α………...66

5.5 Correlazioni tra l’IL-1β e l’NLRP3 con gli altri parametri studio………..66

6. Discussione………...68

7. Conclusioni………..75

(5)

4

1. INTRODUZIONE

1.1 L’Osteoartrosi della mano

Con il termine di Osteoartrosi (OA) od artrosi si definisce un’affezione prevalentemente degenerativa delle articolazioni, caratterizzata da alterazioni a carico della cartilagine articolare, dell’osso subcondrale, della membrana sinoviale, dei tessuti e dei muscoli periarticolari. Nella concezione più attuale, l'OA non è considerata come un'alterazione di un singolo tessuto, ma piuttosto come una patologia d'organo, che coinvolge l’intera articolazione (1). Recenti evidenze suggeriscono che l'interessamento dell'intera struttura articolare nell'OA dipenda da un complesso meccanismo di cross-talk tra le tre principali componenti: la membrana sinoviale, la cartilagine e l'osso subcondrale (2) (Fig.1).

From Martel-Pelletier J (Osteoarthritis Cartilage 2010)

Figura 1 - Rappresentazione dei processi patogenetici che interessano l'intera struttura articolare nell'OA

(6)

5

L’OA è, infatti, caratterizzata da una progressiva degradazione e distruzione della cartilagine articolare, associate al rimodellamento a carico dell’osso subcondrale, formazione di osteofiti, flogosi della membrana sinoviale e alterazione dei tessuti e muscoli periarticolari, cui consegue la progressiva perdita della normale funzionalità dell’articolazione (3) (Fig. 2).

La malattia presenta aspetti prevalentemente degenerativi, ma anche un'evidente componente infiammatoria che si traduce sul piano clinico nell’insorgenza di episodiche tumefazioni articolari, associate ai segni del "rubor" e "calor", in parte dovuti al versamento articolare e in parte alla concomitante sinovite (4).

From Hunter DJ (at. Rev. Rheumatol. 2010)

Figura 2 - Meccanismi fisiopatologici dell'OA che coinvolgono tutte le strutture dell'articolazione, intesa come un vero e proprio organo

(7)

6

L’OA attualmente viene considerata come la più diffusa e la più comune patologia reumatologica, con un'incidenza direttamente proporzionale all'età (5). La frequenza della malattia aumenta progressivamente con l’avanzare dell’età; tale incremento tende ad essere di tipo aritmetico fino ai 50-55 anni e di tipo geometrico, specie per le donne, dopo i 55 anni.

In Italia rappresenta il 72,6% delle malattie reumatiche e si calcola che interessi l'80% della popolazione con età superiore ai 75 anni (6-8).

La diffusione dell'OA è destinata dunque a crescere nei prossimi decenni, dato il graduale allungarsi della durata media della vita e dell'aumentata incidenza dell'obesità, considerato il principale fattore di rischio della malattia; si prevede che l’OA rappresenterà la prima causa di disabilità nella popolazione generale entro il 2030, con un notevole impatto sul piano funzionale, sociale e lavorativo dei soggetti affetti (8). La mano è una sede comune di interessamento periferico dell’OA primaria; le articolazioni interfalangee prossimali (IFP) e distali (IFD) insieme all’articolazione trapezio-metacarpale del pollice, costituiscono le sedi più tipiche di localizzazione della malattia, mentre l’impegno del polso e delle metacarpo-falangee (MCF) è abbastanza raro (9,10). I rilievi epidemiologici concernenti l’OA della mano risultano molto discordanti tra loro a seconda che si considerino i dati ottenuti tramite valutazioni cliniche o radiologiche. Nel primo caso, la prevalenza dell’OA della mano, nella popolazione di età superiore ai 70 anni di sesso maschile e femminile, è stimata del 13 e 26% rispettivamente. Se si considerano i dati radiografici, la prevalenza dell’OA della mano aumenta fino al 55-67% della popolazione sopra i 55 anni (11-13).

I criteri classificativi normalmente usati sono quelli formulati dall'American College of Rheumatology (ACR) nel 1990 (14), che enfatizza il valore dell’esame clinico ed in particolare del dolore (Tab.I).

(8)

7

Tabella I-Criteri classificativi per l’OA della mano (Altman R, Arthritis Rheum 1990)

1 Dolore alle mani per diversi giorni del mese precedente

2 Tumefazione dura di ≥2 fra le 10 articolazioni selezionate*

3 Tumefazione molle in ≤2 articolazioni MCF

4a Tumefazione dura di ≥2 articolazioni IFD

4b (oppure) Deformità di ≥1 fra le 10 articolazioni selezionate*

* Le 10 articolazioni selezionate comprendono bilateralmente le seconde e le terze articolazioni IFP e IFD e l’articolazione trapezio-metacarpale.

(9)

8

Nel 2009 una specifica Task Force dell’European League Against Rheumatism (EULAR) ha definito un nuovo inquadramento e una nuova semantica dell’OA della mano (15) distinguendo:

Noduli di Heberden e Bouchard: tumefazioni fisse e dure posterolaterali,

rispettivamente delle articolazioni IFD e IFP. Tali noduli possono essere presenti anche in assenza di alterazioni clinico-radiologiche di OA;

OA nodale (OAN): quadro clinico-radiologico di OA, associato a presenza dei

noduli sopra citati (Fig.3);

OA non-nodale: quadro clinico-radiologico di OA, in assenza di noduli di

Heberden e Bouchard;

OA erosiva (OAE): subset dell’OA della mano definito radiologicamente dalla

presenza di patognomoniche erosioni centrali;

OA generalizzata: OA della mano, associata ad OA in altre sedi

(10)

9

Figura 3 - Quadro radiografico di OAN; si può apprezzare la riduzione dell'interlinea articolare, la sclerosi dell'osso subcondrale e la presenza di osteofiti

(11)

10

1.2 L’Osteoartrosi Erosiva della mano

L’OAE, rappresenta un particolare subset di OA della mano, caratterizzata da una prevalente componente flogistica e da un peculiare quadro radiologico (16). Il termine “Osteoartrosi Erosiva” è stato per la prima volta introdotto nel 1966 da Peter e coll. (17) per sottolineare il peculiare reperto radiografico, rappresentato da erosioni delle articolazioni IF, associate ad osteofiti, in pazienti non affetti da Artrite Reumatoide (AR). La particolare localizzazione dell’OAE è considerata talmente caratteristica che i termini “OAE” o “OAE della mano” sono da sempre considerati sinonimi (18). Nel 1972 Ehrlich (19) ha proposto il termine di “osteoartrosi infiammatoria” per focalizzare l’attenzione sull’intensità della sintomatologia clinica, piuttosto che sull’aspetto radiologico.

Nel corso degli anni, l’inquadramento nosografico dell’OAE è stato spesso oggetto di dibattito scientifico; l’OAE è stata, infatti, considerata ora come un’entità clinica distinta, ora come un subset dell’OA della mano (20,21). Attualmente, risulta universalmente accettato che la sua epidemiologia, la sua presentazione clinica e la severità dei sintomi differiscono notevolmente dalla classica OA della mano (16). Dati derivanti dal “Framingham Osteoarhritis Study” stimano la prevalenza dell’OAE nella popolazione generale di circa il 3% negli uomini e del 10% nelle donne, anche se altri studi hanno mostrato che fino al 40% dei pazienti con la classica OAN possono presentare un’evoluzione verso la forma erosiva (10,22). Si ritiene, comunque, che la prevalenza dell’OAE possa essere maggiore di quanto riportato, poiché molti casi vengono erroneamente identificati nell’ambito di altre patologie, probabilmente a causa di una scarsa conoscenza di questa malattia e della mancanza di dettagliati criteri diagnostici (23). La diagnosi differenziale può, infatti, divenire molto complessa nei

(12)

11

confronti di patologie sia infiammatorie, come l’AR o l’Artrite Psoriasica (ARPs), che degenerative (come l’OAN) o indotte da microcristalli (16).

La malattia colpisce in genere donne in età menopausale o post-menopausale con un rapporto femmine:maschi di 10:1, 12:1, 28:1 a seconda delle casistiche. Il range di età si estende dai 36 anni agli 83 anni con un’età media di esordio di 50,5 anni (9).

1.2.1 Eziopatogenesi

L’eziologia è sconosciuta; sono chiamati in causa numerosi fattori di natura endocrino-metabolica, genetica, immunitaria ed infettiva (24).

L’aumentata incidenza della malattia nel sesso femminile e dopo la menopausa induce a ritenere che la carenza di tali ormoni o meglio gli squilibri ormonali che si realizzano nelle fasi peri- e post- menopausale possano costituire elementi importanti nella genesi dell’OAE (25-28).

Tali modificazioni potrebbero predisporre all’OAE anche mediante una modulazione del sistema immunitario: l’ipoandrogenismo e 1’iperstrenismo assoluto o relativo sembrerebbero esacerbare alcune malattie autoimmuni. In effetti, un possibile ruolo del sistema immunitario nella genesi dell’OAE può essere suggerito dall’associazione con alcune malattie di natura autoimmunitaria, quali la tiroidite autoimmune e alcuni tipi di connettivite (29,30).

A questo proposito, molto interessante è il lavoro di Aksoy e coll. (31), volto all’analisi della prevalenza dell’OA della mano in pazienti affetti da sindrome di Sjogren (SjS), in comparazione con un gruppo di pazienti con Lupus Eritematoso Sistemico (LES). Gli Autori hanno riscontrato una maggiore prevalenza dell’OA della mano, in particolare della forma di OAE, nei soggetti con SjS, rispetto a pazienti con LES.

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12

L’OAE sembra associarsi anche alla Sclerosi Sistemica (SS), mostrando un selettivo coinvolgimento della prima articolazione carpo-metacarpale; infatti, differenti Autori hanno riportato una maggiore frequenza di OAE in pazienti con SS e hanno descritto simili caratteristiche radiologiche, rappresentate da un riassorbimento osseo del trapezio e dell’adiacente metacarpo, associato a sublussazione radiale della base metacarpale (32-34).

Alcuni disordini metabolici come l’obesità, l’ipercolesterolemia, il diabete mellito, l’iperparatiroidismo secondario ad insufficienza renale cronica e 1’ipofosfatasia associata a periartrite calcifica potrebbero favorire l’insorgenza dell’OAE (35-41). Tra i fattori di natura metabolica, merita una menzione a parte l’obesità, nota ormai da anni per contribuire, in maniera sostanziale, alla progressione dell’OA, non solo di articolazioni portanti, come il ginocchio o l’anca, per motivi legati al sovraccarico articolare, ma anche di strutture non portanti come la mano (42-47). Tali rilievi sono stati supportati dalla scoperta del ruolo centrale delle adipochine, mediatori rilasciati dal tessuto adiposo bianco, nella patogenesi dell’OA in generale e dell’OAE in particolare (48-50).

Recentemente, è stata riportata anche un’associazione significativa tra l’incidenza di OAE e un moderato consumo di alcool, mentre il fumo è risultato parzialmente protettivo nei confronti della severità radiografica dell’OA della mano (51).

Anche l’importanza del fattore genetico è stata evidenziata nell’OAE; l’aggregazione familiare è stata, infatti, dimostrata in uno studio su 118 coppie di fratelli (52). Inoltre, sono state riportate associazioni tra un singolo polimorfismo nucleotidico del gene codificante per l’Interleuchina (IL)-1β e l’OAE; nei soggetti affetti da questa malattia

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13

sembra essere più frequente la forma allelica MS dell’alfa-l antitripsina (53,54). La forma di OA della mano non erosiva è risultata, invece, associata a due differenti singoli polimorfismi nucleotidici del gene codificante per il recettore dell’IL-4, una citochina nota per la sua azione condroprotettiva (55). Infine, in uno studio del 2011, su 94 pazienti con OAE e 37 con OA non erosiva della mano, l’allele HLA-DRB1*07 è risultato associato, sia allo sviluppo, che alla severità di malattia nei soggetti affetti dalla forma erosiva (56).

Uno studio molto recente ha, per la prima volta, descritto un’elevata positività delle IgG e IgA anti-Clamidophyla Pneumoniae in pazienti con OAE della mano, in fase sintomatica, rispetto a un gruppo di pazienti con OAE non sintomatica. Gli Autori hanno, inoltre, riportato una maggiore efficacia della terapia con doxiciclina nei pazienti con positività delle IgA anti-C.Pneumoniae con completa risoluzione del quadro clinico nel 71,4% dei responders a questo antibiotico (57).

1.2.2 Clinica

L’esordio clinico dell’OAE avviene spesso in maniera acuta con i segni classici dell’infiammazione, cui possono associarsi parestesie acrali, soprattutto notturne e rigidità mattutina di durata uguale od inferiore ai 30 minuti. Il dolore e la tumefazione delle IFP e IFD rappresentano le principali manifestazioni di questa malattia e sono caratterizzate da una importante severità che, spesso, determina la comparsa di marcata disabilità funzionale (9,18,23,58). La sintomatologia si attenua nell’arco di pochi mesi, ma talvolta può perdurare producendo delle deformità articolari quali la “mano a zig zag”, caratterizzata dalla sublussazione mediale della falange intermedia e dalla sublussazione laterale della falange distale, deformità in anchilosi o in flessione delle

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14

IFP e delle IFD e nodosità simili ai noduli di Heberden e Bouchard (59) (Fig.4). La storia naturale della malattia è poco chiara e il decorso imprevedibile, potendo interessare una singola articolazione o più articolazioni contemporaneamente in rapida successione con distribuzione bilaterale, ma non strettamente simmetrica (24,60).

Figura 4 – In alto: quadro clinico di OAN (A) e relativo controllo (B), comparabile per età. In basso: particolare di noduli di Heberden e Bouchard (C) e relativo

controllo (D), comparabile per età

Le articolazioni più frequentemente coinvolte sono le IFP, le IFD, la I MCF e la trapezio-scafoidea (18,59,61) (Tab. II). In particolare, le IFD, soprattutto del II e III dito, risultano più frequentemente interessate, rispetto alle IFP (58).

Secondo quanto riportato da numerosi studi e dall’esperienza clinica, i pazienti con OAE presentano maggiore severità della sintomatologia dolorosa e della limitazione funzionale, ridotta mobilità e una sensazione di discomfort estetico, rispetto ai pazienti con OAN. Tutti questi deficit, inducono, spesso, nel corso di pochi anni, una grave

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15

compromissione della qualità di vita che si ripercuote anche nelle più comuni attività della vita quotidiana (62,63).

Tabella II - Localizzazioni dell’OAE della mano secondo Ehrlich

(Ehrlich GE, J Chron Dis 1972)

LOCALIZZAZIONI OSTEOARTROSI EROSIVA

ARTICOLAZIONI FREQUENZA COINVOLGIMENTO IFD 72%-83% IFP 49%-53% 1°CMC 36%-37% IF 1° DITO 29%-35% 1° MCP 24%-28% TS 26%

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16 1.2.3 Esami strumentali

1.2.3.1 Radiologia tradizionale

L’esame radiografico è considerato tuttora il gold standard per la diagnosi dell’OAE della mano. Le alterazioni radiologiche sono la caratteristica saliente di tale forma di OA e, fatta eccezione per le primissime fasi, la comparsa delle lesioni radiologiche tipiche avviene in tempo relativamente breve dall’insorgenza della malattia (64).

I segni radiologici più caratteristici comprendono erosioni, pseudocisti, sclerosi e collasso dell’osso subcondrale, disassamento, anchilosi e riduzione della rima articolare; le erosioni sono localizzate in sede centrale a livello della testa della falange prossimale ed in sede laterale a livello della base della falange distale, l’interlinea risulta così deformata ad “ali di gabbiano” o a “dente di sega” (12, 65-67) (Fig. 5,6). Le caratteristiche radiologiche dell’OAE sono state confrontate con la forma non erosiva di OA della mano in uno studio su un’ampia casistica di pazienti (233 con OAE e 213 con OA non erosiva). E’, quindi, emerso come la distribuzione topografica delle alterazioni osteostrutturali sia costante nelle due forme e predomini il coinvolgimento delle IFD del secondo e terzo raggio. Spesso le articolazioni caratterizzate clinicamente dalla formazione di nodosità si sono dimostrate avere una più elevata percentuale di erosioni centrali e score radiografico più severo. In tutti i pazienti con OAE sono state riscontrate anche erosioni marginali che risultano frequentemente associate anche alla forma non erosiva e verosimilmente legate a processi sinovitici ed entesitici (65).

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17

Le articolazioni MCF possono presentare le caratteristiche radiografiche dell’OA della mano, anche della forma erosiva, nonostante il coinvolgimento sia di solito meno severo rispetto alle IF, mentre l’interessamento radiografico dell’articolazione radio-carpica è trascurabile (18,68).

Figura 5 - Quadro radiografico di OAE; tipico aspetto ad "ali di gabbiano" della III IFP. Si segnala, inoltre, calcificazione della fibrocartilagine triangolare del polso,

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18

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19

In fase avanzata di malattia, agli aspetti di tipo erosivo spesso si sovrappongono fenomeni di tipo produttivo ed iperostosici, che possono erroneamente indurre a pensare ad una parziale risoluzione del processo artrosico (65) (Fig. 7).

Figura 7- Aspetto radiografico di iperostosi del II dito nell'OAE in fase avanzata

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Le erosioni tipiche dell’OAE risparmiano le aree nude e devono, quindi, essere differenziate da quelle dell’AR che sono marginali, ben definite ed interessano soprattutto lo stiloide ulnare, la I, II, III MCF e la II e III IFP e da quelle dell’ARPs, poco definite e con neoformazione ossea circostante e localizzate preferibilmente alle IFD e alle MCF (24, 69, 70) (Fig. 8) (Tab. III).

Figura 8 - Differenze radiografiche tra ARPs e OAE: A) Erosione a "orecchio di topo" nell'ARPs - B) Erosione ad "ali di gabbiano" nell'OAE

(22)

21

Tabella III - Caratteristiche differenziali tra OAN, OAE e ARPs

CARATTERISTICHE

OAN

OAE

ARPs

Erosione

Assente

Erosione

centrale

(ad ali di

gabbiano)

Erosione

marginale

(ad orecchio

di topo)

Articolazione

coinvolta

IFD, IFP,

MCF

IFD, IFP

MCF

IFD

Osteoporosi

periarticolare

Assente

Assente

A volte

presente

Anchilosi

Rara

Frequente

Frequente

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22

Una definizione radiologica univoca di OAE non è attualmente disponibile, considerando l’estrema eterogeneità degli studi finora pubblicati in letteratura; la maggior parte degli Autori utilizza come criteri diagnostici per l’OAE, i criteri clinici dell’OA della mano associati all’osservazione radiologica delle erosioni articolari (16). Il dibattito è ancora aperto su quante erosioni devono essere presenti per porre diagnosi di OAE; alcuni Autori suggeriscono tre, altri invece sostengono che due, in due differenti articolazioni IF, siano sufficienti per classificare la patologia come OAE (58,65,71,72).

Per la valutazione della severità di malattia sono stati elaborati diversi sistemi di score radiologico. Il primo è stato proposto nel 1957 da Kellgren e Lawrence e prevede l’utilizzo di una scala di severità di malattia che varia da 0 a 4 (73) (Tab. IV).

Tabella IV - Classificazione radiografica dell’OA secondo Kellgen-Lawrence (Kellgren JH, Ann Rheum Dis 1957)

Grado Severità OA Caratteristiche radiografiche 0 Nessuna Assenza di segni indicativi di OA

1 Dubbia Dubbia riduzione della rima articolare con possibile formazione di osteofiti

2 Minima Possibile riduzione della rima articolare con definita formazione di osteofiti

3 Moderata Definita riduzione della rima articolare con moderato numero di osteofiti, sclerosi dell’osso subcondrale, possibile deformità articolare

4 Grave Diffusa formazione di osteofiti, severa riduzione della rima articolare con marcata sclerosi dell’osso subcondrale e presenza di definite deformità articolari

Successivamente, Kallman e coll. (71) hanno proposto un metodo che attribuiva un punteggio secondo uno scoring di gravità da 0 a 3 alla presenza di osteofitosi e alla

(24)

23

riduzione dello spazio articolare, mentre per le altre lesioni quali la sclerosi subcondrale, il collasso centrale, le cisti subcondrali e le deformità articolari veniva utilizzato uno score dicotomico: assente o presente (Tab. V).

Tabella V - Classificazione radiografica dell’OA della mano secondo Kallman (Kallman DA, Arthritis Rheum 1989)

Osteofiti 0 = assenti

1 = scarsi 2 = moderati 3 = molti Riduzione dello spazio articolare 0 = assente

1 = moderata 2 = marcata 3 = fusione

Sclerosi subcondrale 0 = assente

1 = presente

Cisti subcondrali 0 = assenti

1 = presenti Deformità laterale (disassamento ≥ 15°) 0 = assente 1 = presente Collasso corticale centrale 0 = assente

1 = presente

Erosioni 0 = assenti

1 = presenti

Un metodo simile è quello sviluppato da Altman e coll. (72), che considerava come elementi distintivi della severità di malattia la presenza di osteofiti, la riduzione della rima

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24

articolare e le erosioni subcondrali, seguiti dalla sclerosi dell’osso subcondrale e dalle sublussazioni.

Nel 1995 Verbruggen e coll. (74) hanno proposto un metodo basato sulla valutazione delle lesioni anatomiche, in relazione alle diverse fasi progressive della malattia. Venivano identificate 5 diverse fasi anatomiche: N= normale, S= stazionario, J= completa perdita dello spazio articolare, E= erosioni del piatto subcondrale, associate alla presenza di cisti subcondrali e pseudoallargamento dello spazio articolare, R= rimodellamento osseo. La sequenza evolutiva da N a E ed R si proponeva di riflettere la progressione naturale dell’OAE. Successivamente, questo score è stato aggiornato con l’introduzione del “Ghent University Scoring System” (GUSS), che si prefiggeva di attribuire un punteggio numerico alla progressione erosiva dell’OA e al processo di remodelling osseo, caratteristico delle fasi avanzate di malattia. I cambiamenti patologici che interessano l’osso subcondrale, il piatto subcondrale e la sinovia articolare durante le fasi J, E ed R del già descritto score anatomico, venivano quantificati singolarmente tramite una scala di valutazione a 11 punti; la somma dei 3 subscores forniva lo score totale di progressione articolare (67).

1.2.3.2 Altre tecniche di imaging

Negli ultimi due decenni, l’ecografia e la RMN hanno assunto un valore sempre crescente nell’evidenziare le erosioni articolari.

All’inizio degli anni 2000, furono degli Esperti Italiani a proporre per primi l’esame ultrasonografico (US), con trasduttori ad alta frequenza, per la valutazione delle IFD, nell’ambito di patologie articolari, che colpiscono elettivamente queste articolazioni, inclusa l’OAE (75,76). Con la tecnica ecografica, gli Autori ottennero un’accurata

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25

identificazione e definizione dello spazio articolare, dei profili e della limitante ossei, individuando erosioni, osteofiti, riduzione dello spazio articolare, ispessimento sinoviale, distensione della capsula e presenza di versamento articolare. Inoltre, furono in grado di esaminare e descrivere le caratteristiche dei tessuti molli peri-articolari, tendinei e peritendinei. La tecnica ecografica è risultata sempre più affidabile nell’individuare erosioni anche molto piccole e in fase precoce, con una sensibilità anche maggiore della radiografia tradizionale, dimostrata in alcuni recenti studi (77) . Il segnale power-doppler fornisce ulteriori informazioni, dimostrando, quando positivo, la presenza di un’esuberante vascolarizzazione locale, indice di un processo infiammatorio in atto. In alcuni recenti studi su pazienti con OAE, valutati tramite ecografia al baseline e dopo un periodo di follow-up di alcuni anni (3,9 anni in uno studio e 2,3 nell’altro), l’infiammazione sinoviale, evidenziata tramite segnale power-doppler, si è dimostrata associata allo sviluppo di nuove erosioni centrali delle articolazioni IF, suggerendo il ruolo centrale della flogosi nello sviluppo delle lesioni erosive tipiche di questa forma (78,79).

Grazie alla tecnica ecografica, alcuni Autori hanno valutato anche il possibile coinvolgimento di strutture articolari e peri-articolari della regione calcaneare, in pazienti con OAE della mano, allo scopo di identificare elementi utili per la diagnostica differenziale nei confronti dell’OAN e di forme infiammatorie (come l’AR e l’ARPs). La frequenza dell’entesofitosi calcaneare è risultata simile nell’OAE, OAN e ARPs, mentre le lesioni di natura infiammatoria, come le erosioni calcaneari, la borsite retrocalcaneare e la panniculite subcalcaneare erano frequenti nell’AR e ARPs e non venivano, invece, identificate nei pazienti con OA (80).

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26

Il valore aggiunto della RMN rispetto alla radiografia tradizionale nell’OAE è rappresentato dalla sua capacità di fornire un’immagine multiplanare di tutte le componenti dell’articolazione, delle alterazioni osteostrutturali (osteofitosi, erosioni, cisti) e infiammatorie (sinovite) tipiche di questa patologia. L’utilizzo del mezzo di contrasto paramagnetico (gadolinio) permette, inoltre, di rilevare l’infiammazione della membrana sinoviale, fin dalle fasi più precoci. Le caratteristiche erosioni centrali appaiono come aree di cedimento (collasso centrale) dell’osso subcondrale e atrofia da pressione del tessuto osseo, aspetti che corrispondono alle immagini ad “ali di gabbiano” della radiografia (81). La RMN si è dimostrata molto più sensibile della radiografia tradizionale nell’evidenziare le erosioni centrali; infatti, ricorrendo alla RMN è possibile individuare una o più erosioni nell’80% delle strutture articolari esaminate, di contro la radiografia le individua nel 40% dei casi (82). Grazie alla RMN, è stato possibile anche individuare una più elevata frequenza di sinovite nei pazienti affetti da OAE, sottolineando il ruolo dell’infiammazione in questa patologia (83-85). L’Outcome Measures in Rheumatology (OMERACT) ha recentemente sviluppato un sistema di scoring di RMN per valutare le alterazioni osteostrutturali e il processo infiammatorio in pazienti con OA della mano. Questo score comprende lo studio della sinovite, delle lesioni erosive, delle cisti subcondrali, della formazione degli osteofiti, della riduzione della rima articolare, del malallineamento e delle lesioni del midollo osseo, ciascuno quantificato tramite una scala che varia da 0 a 3 (normale, lieve, moderato e severo) (86).

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27 1.2.4 Anatomia patologica

Due differenti studi hanno valutato le principali caratteristiche istopatologiche della sinovia articolare di pazienti con OAE, dimostrando la presenza di infiltrati interstiziali infiammatori di linfociti, sinovite proliferativa simile a quella presente in corso di AR e fibrosi subsinoviale (17,87).

Di recente, Favero e coll. (88) hanno analizzato, per la prima, volta le caratteristiche istologiche dell’intera struttura articolare (sinovia, cartilagine, osso subcondrale) in due pazienti con OAE sottoposte ad intervento di artroprotesi delle IFP. L’esame istologico mostrava una completa erosione della cartilagine articolare con sclerosi e rimodellamento dell’osso sottostante e aree focali di fibrocartilagine (Fig.9 A,B). Nell’osso subcondrale, si osservava un’intensa attività osteoclastica con presenza di lacune di riassorbimento osseo (Fig.9 C) e tutto intorno pseudocisti degenerative a contenuto fibromixoide. Erano, inoltre, presenti una moderata proliferazione cellulare del tessuto fibrocartilagineo, in sede peri-articolare (Fig.9 D) e grandi osteofiti marginali (Fig.9 E). La membrana sinoviale presentava una modesta ipertrofia aspecifica, stroma cellulare fibromixomatoso senza essudato di fibrina, proliferazione del lining cellulare, mastociti interstiziali e infiltrati infiammatori linfoplasmacellulari perivascolari o interstiziali (Fig.9 F). Tra questi, gli elementi che possono essere considerati specifici della progressione dell’OAE sono rappresentati dall’attività erosiva degli osteoclasti subcondrali con formazione di lacune di riassorbimento osseo, indicative dell’intensa attività di remodelling osseo che porta allo sviluppo delle tipiche erosioni.

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From Favero M, Skeletal Radiol 2017

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29 1.2.5 Indagini di laboratorio

Al momento attuale non esistono indagini di laboratorio specifiche per la diagnosi e per il monitoraggio dell’OAE della mano. Gli indici aspecifici di flogosi sono generalmente normali, tranne alcuni episodici incrementi della VES e della PCR, soprattutto della PCR valutata con metodica ultrasensibile, nelle fasi infiammatorie della malattia (89).

Gli autoanticorpi, quali il Fattore Reumatoide (FR) e gli anticorpi anti-CCP, risultano negativi, fornendo un valido supporto alla diagnosi differenziale tra OAE e AR (90). In particolare, è stato dimostrato che tutti gli isotipi del FR (IgG, IgM, IgA) risultano negativi nei pazienti con OAE, confrontati con un gruppo di soggetti affetti da AR (91).

Negli ultimi anni, la ricerca si è concentrata sull’individuazione nel sangue, nelle urine e nel liquido sinoviale di possibili biomarkers per l’OA in generale, e per l’OAE, in particolare, allo scopo di facilitare il raggiungimento di una diagnosi precoce di malattia, di quantificare l’entità del processo degenerativo cartilagineo, di individuare i fattori legati alla progressione di malattia e permettere un adeguato monitoraggio terapeutico.

Tra i marcatori sierici, in corso di studio, la Mieloperossidasi (MPO), enzima coinvolto nella formazione dei radicali liberi dell’ossigeno (ROS), è risultata più elevata nei pazienti affetti da OAE, rispetto a soggetti con OAN (92,93).

I livelli sierici di acido ialuronico sono stati valutati in soggetti affetti da OA e AR, in quanto sembrano riflettere la severità del processo infiammatorio localizzato a livello sinoviale e, in minor misura, il grado di degenerazione cartilaginea. I pazienti con OAE della mano sono risultati avere livelli sierici più elevati di acido ialuronico, rispetto

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all’OAN con una correlazione positiva con il numero delle articolazioni affette e con il grado radiologico (94,95).

Altri biomarkers valutati negli ultimi anni sono rappresentati dai prodotti di degradazione cartilaginea, come i frammenti derivati dal collagene di tipo II, noto per costituire fino al 50% della matrice extracellulare cartilaginea. Nell’OAE è stato dimostrato un aumento del rapporto tra le concentrazioni sieriche dei frammenti derivati dal collagene di tipo II (Coll 2-1) e la sua forma nitrata (Coll 2-1NO2) (92).

Tra i marcatori, indice di riassorbimento osseo, alcuni Autori hanno riportato un aumento del livelli sierici ed urinari del C-telopeptide del collagene di tipo I (CTX I) in pazienti con OAE, fin dalle fasi più precoci di malattia (96).

Inoltre, un notevole interesse, come possibili biomarcatori di OA, hanno assunto le adipochine, citochine rilasciate dal tessuto adiposo bianco, dotate di effetti pleiotropici che influenzano, tra gli altri anche il metabolismo osseo e cartilagineo. Recentemente, Fioravanti e coll. (50) hanno dimostrato un aumento dei livelli sierici di resistina nell’OAE e OAN rispetto a un gruppo di controllo e degli alti livelli sierici di visfatina nella forma erosiva, rispetto a quella non erosiva, discutendo la possibile utilità di questa adipochina, come marcatore guida nella diagnosi differenziale tra OAE e OAN.

Infine, una correlazione inversa è stata identificata tra l’OAE e la clusterina, nota anche come apolipoproteina I, una proteina coinvolta nei processi di flogosi e apoptosi cellulare (97).

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31

1.3 L'Inflammasoma

Gli Inflammasomi sono complessi multiproteici che si sviluppano intorno ad un recettore intra-cellulare che tipicamente appartiene alla famiglia dei Nucleotide-binding, Leucine-rich Repeat containing proteins (NLRs). I componenti dell'Inflammasoma sono principalmente espressi da cellule dell'immunità innata come monociti e macrofagi, ma anche da cellule dendritiche e neutrofili, così come da cellule non appartenenti al sistema immunitario, quali i cheratinociti e i condrociti (98-101).

L'assemblaggio e l'attivazione dell'Inflammasoma avvengono in seguito al riconoscimento di componenti microbiche, segnali di pericolo endogeni non infettivi o ad alterazioni dell'omeostasi, conosciute come pathogen- or danger-associated molecular patterns or homeostasis-altering molecular processes (PAMPs or DAMPs or HAMPs, rispettivamente). Queste molecole si legano a recettori molecolari chiamati pattern recognition receptors (PRRs), alla cui famiglia appartengono anche i Toll-like receptors (TLR), espressi sulla superficie dei macrofagi (102).

Gli Inflammasomi svolgono un ruolo cruciale nella difesa dell'organismo da batteri e virus intracellulari e nella regolazione dell'infiammazione tramite la secrezione di citochine pro-infiammatorie.

1.3.1 I componenti chiave dell'Inflammasoma

Gli NLRs sono un gruppo di recettori dell'immunità innata, germline-encoded, appartenenti alla famiglia dei PRRs, presenti nel citoplasma delle cellule immunitarie e coinvolti nel riconoscimento di agenti infettivi e nella difesa dell'ospite (103).

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32

Nell’uomo sono noti 22 diversi NLRs, molti dei quali coinvolti nella patogenesi di malattie infiammatorie (104) (Fig.10). Queste proteine contengono diversi domini:

- Un dominio centrale, il nucleotide-binding oligomerization domain, noto come NOD o NACHT

- Un dominio associato al NACHT (NAD)

- Un dominio C-terminale, ricco di sequenze ripetute di leucina (leucine-rich repeat LRR), probabilmente coinvolto nel riconoscimento del ligando

- Un dominio N-terminale variabile che suddivide la famiglia in 5 sottogruppi:

 gruppo NLRA, definito dalla presenza di un dominio acidico di trans-attivazione  gruppo NLRB che contiene i baculovirus inhibitor repeats (BIRs)

 gruppo NLRC, definito dalla presenza di un dominio di reclutamento della caspasi (CARD)

 gruppo NLRP, definito dalla presenza della pirina (PYD)

 gruppo NLRX, che contiene NLRX1, una proteina che non possiede domini CARD e PYD, ma un dominio atipico N-terminale che contiene una sequenza di targeting mitcondriale.

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From Awad F (Pharmacology & Therapeutics 2018)

Figura 10 - La famiglia dei recettori NLRs

1.3.2 Il processo di assemblaggio dell'Inflammasoma

Dopo il riconoscimento dei segnali di pericolo PAMPs, DAMPs o HAMPs, gli NLRs si associano in un complesso multiproteico, chiamato Inflammasoma che media l'attivazione della caspasi-1 e la secrezione di alcune citochine. L'assemblaggio dell'Inflammasoma è guidato dall'interazione omotipica tra il dominio PYD del recettore e la proteina ASC che recluta nel complesso la pro-caspasi 1 che si attiva e scinde in forma attiva l'IL-1β e l'IL-18, portando alla loro maturazione e secrezione (105).

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34 1.3.3 Ruolo di ASC nell'Inflammasoma

ASC è una proteina bipartita con due domini di interazione, il dominio N-terminale PYD e quello C-terminale CARD. La sua struttura particolare rende ASC un'importante proteina adattatrice che permette il legame tra proteine contenenti i domini PYD e CARD (106).

ASC è stata per la prima volta identificata all'interno di grandi aggregati citoplasmatici, cavi centralmente, chiamati specks, nella linea cellulare umana promielocitica HL60 in apoptosi (107). Gli specks di ASC derivano dall'oligomerizzazione di ASC tramite formazione di filamenti di domini PYD e cross-linking tra questi filamenti e i domini CARD di ASC. Questi oligomeri creano i siti di attivazione della caspasi-1, amplificando il signalling mediato dall'Inflammasoma (108).

1.3.4 L'Inflammasoma canonico

Nel cosiddetto "Inflammasoma canonico", la caspasi-1 svolge un ruolo centrale (Fig. 11, riquadro centrale). E' l'oligomerizzazione della caspasi-1 nel complesso dell'Inflammasoma che ne permette la sua attivazione e autoproteolisi con formazione dei dimeri p20/p10 caspasi che si associano in un tetramero in soluzione (109). I dimeri enzimaticamente attivi permettono, dunque, il clivaggio della 1β e della pro-IL-18 nelle loro forme biologicamente attive. Entrambe queste citochine hanno un ruolo chiave nell'infiammazione sistemica, grazie alla loro capacità di agire su molteplici organi target e di indurre l'espressione di un'ampia varietà di geni responsabili della trascrizione di mediatori pro-infiammatori (110). Inoltre, l'attivazione dell'Inflammasoma induce una particolare forma di morte cellulare programmata

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35

chiamata piroptosi. L'induzione del processo di piroptosi è stata recentemente collegata alla gasdermina-D (GSDMMD), una proteina con attività di formazione di pori della membrana cellulare (111). La caspasi-1 permette il clivaggio del dominio pro-piroptotico N-terminale della gasdermina-D, liberandolo dall'interazione inibitoria con il dominio C-terminale. Una volta formatosi, il dominio N-terminale della gasdermina-D si lega alla superficie citoplasmatica della membrana plasmatica, grazie all'elevata affinità con i fosfolipidi, come il fosfatidilinositolo fosforilato e la cardiolipina (111). L'accumulo e l'oligomerizzazione della frazione N-terminale della gasdermina-D porta alla formazione di pori. La conseguente perdita dell'integrità di membrana permette l'ingresso all'interno della cellula di piccole molecole come le citochine pro-infiammatorie e differenti alarmine. Il passaggio intracellulare di tali mediatori, da un lato, favorisce l'eliminazione dell'agente patogeno, ma dall'altro lato, un'eccessiva induzione del processo di piroptosi può risultare distruttivo per la cellula (112).

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From Awad F (Pharmacology & Therapeutics 2018)

Figura 11- Vie di attivazione dell’Inflammasoma non canonico, canonico e alternativo

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1.4 L'Inflammasoma NLRP3

L'Inflammasoma NLRP3 è sicuramente il più studiato; è formato da 3 componenti principali: un dominio N-terminale ricco di pirina (PYD), il dominio centrale NACHT e quello C-terminale (LRR) responsabile del riconoscimento del ligando.

L’NLRP3 è primariamente espresso dalle cellule della linea mielomonocitica e il suo mRNA e i suoi livelli proteici risultano up-regolati nei monociti e nei macrofagi dopo esposizione a uno stimolo infiammatorio. L'espressione dell’NLRP3 è stata osservata anche nei linfociti B e T, nelle cellule epiteliali del cavo orale e del tratto genitale, nei cheratinociti cutanei e nei condrociti (101, 113).

1.4.1 Classica attivazione dell'Inflammasoma NLRP3

L'attivazione dell'Inflammasoma consiste in un processo in due fasi. Il primo segnale è costituito dall’attivazione trascrizionale dell’NLRP3 che avviene grazie all’induzione cellulare da parte di un attivatore dell’NF-kB, quale il lipopolisaccaride (LPS) al Toll-like receptors 4 (TLR4). Modificazioni post-trascrizionali dell’NLRP3 possono comunque contribuire a regolare l'attivazione dell'NLRP3 (101). Il secondo segnale include il riconoscimento da parte dell’Inflammasoma di una varietà di attivatori (DAMPs, PAMPs o HAMPS). Molteplici attivatori dell'NLRP3 sono stati identificati, quali batteri Gram-positivi (Staphylococcus Aureus e Streptococcus del gruppo B), batteri Gram-negativi (Citrobacter rodentium, Escherichia coli o Vibrio cholerae), virus (come virus Influenzae), la tossina batterica nigericina, le tossine responsabili della formazione di pori, quali l'emolisina e la pneumolisina, nanoparticelle ambientali come il silice, l'asbesto, l'alluminio e molecole di danno cellulare come l'ATP, aggregati di

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β-38

amiloide, urato monosodico e cristalli di colesterolo (114,115). Come precisamente questi segnali di pericolo attivino l'NLRP3 rimane in parte sconosciuto.

Il meccanismo principale sembra essere legato a variazioni della concentrazione citoplasmatica del potassio (116). Infatti, i DAMPs come l'ATP o le tossine responsabili della formazione di pori, inducono una fuoriuscita del K+ citoplasmatico. La riduzione della concentrazione citoplasmatica di K+ porta all'attivazione dell'Inflammasoma NLRP3 (117). Un altro meccanismo di attivazione dell'NLRP3 è quello indotto dai DAMPs con struttura cristallina o con struttura particolare, come gli aggregati di β-amiloide, i cristalli di urato monosodico e di colesterolo. Queste molecole vengono fagocitate dalle cellule immunitarie, inducono la lisi lisosomiale e il conseguente rilascio di proteasi lisosomiali, come la catepsina B che attivano l'Inflammasoma NLRP3 (118). Un terzo meccanismo ipotizzato prevede il ruolo centrale dei mitocondri nell'attivazione dell'NLRP3. I ROS attivano, infatti, la thioredoxin-interacting protein che, a sua volta, si lega all'NLRP3, attivandolo (119). Infine, un altro meccanismo di attivazione sembra essere associato alle variazioni della concentrazione intracellulare di calcio. L'attivazione del calcium-sensing receptor (CASR) attiva, infatti, l'Inflammasoma NLRP3, tramite un incremento della concentrazione intracellulare di calcio o una riduzione della concentrazione intracellulare di cAMP. Questa via di attivazione coinvolge la fosfolipasi C che induce la produzione dell'inositolo-1,4,5-trifosfato che, a sua volta, stimola il rilascio di calcio dal reticolo endoplasmatico. Inoltre, anche il calcio extracellulare può agire come un DAMP che induce l'attivazione dell'NLRP3 (120,121).

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39

1.4.2 Ruolo dell'Inflammasoma NLRP3 nelle malattie infiammatorie e

autoimmunitarie

L'infiammazione è un meccanismo di difesa mirato a rimuovere gli agenti patogeni dal nostro organismo. Al contrario, l'infiammazione cronica è caratterizzata da una risposta infiammatoria prolungata con conseguente danno tissutale e rappresenta uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di malattie infiammatorie/autoimmunitarie. Un'attivazione non controllata e ripetuta del complesso dell'Inflammasoma potrebbe, quindi, svolgere un ruolo critico nella patogenesi di malattie infiammatorie/autoimmunitarie. Per questo motivo, negli ultimi anni la ricerca scientifica si è focalizzata sullo studio dei processi di trascrizione genica ed espressione proteica dell’Inflammasoma NLRP3 in varie malattie autoimmunitarie allo scopo anche

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Tab. VI. Evidenze di un coinvolgimento dell’NLRP3 in molteplici malattie autoimmunitarie (Shen H, Autoimmunity Review 2018)

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1.4.2.1 L'Inflammasoma NLRP3 nelle Sindromi Periodiche associate alla criopirina (CAPS)

Nell'ultimo decennio è stato identificato un ampio spettro di malattie autoinfiammatorie, le CAPS, di diverso grado di severità, ma caratterizzate da manifestazioni cliniche comuni (rash cutaneo, febbre, dolore articolare e coinvolgimento del sistema nervoso centrale) e dalla stessa causa genetica. La mutazione del gene NLRP3 induce una sregolata ed eccessiva secrezione di IL-1β che è alla base delle varie manifestazioni tipiche delle CAPS (123).

Rimane pressoché sconosciuta l'origine degli episodi infiammatori acuti nei pazienti con CAPS, eccetto che in quelli affetti da orticaria da frigore, la forma meno grave di queste sindromi. È stato ipotizzato che le mutazioni del gene NLRP3 inducano un abbassamento della soglia di attivazione dell'Inflammasoma NLRP3, rendendolo più suscettibile all'azione dei suoi attivatori, quali ATP e calcio, e meno sensibile ai suoi inibitori, quali il cAMP (124). È stato, inoltre, dimostrato che i monociti di pazienti con CAPS presentano un'alterazione dello stato ossidativo che si traduce in un'aumentata e prolungata produzione di IL-1β, in seguito alla stimolazione delle cellule con agonisti dei TLR (125). Il successo della terapia con antagonisti dell'IL-1 nelle CAPS ha rappresentato un punto cruciale nella conoscenza delle malattie autoinfiammatorie, confermando il ruolo centrale dell'IL-1 nella loro patogenesi (126,127).

Dobbiamo, tuttavia, sottolineare come non tutti i pazienti con CAPS siano portatori di mutazioni del gene NLRP3. E' stato, infatti, individuato un mosaicismo somatico delle mutazioni del gene NLRP3 in circa il 70% di pazienti negativi alla mutazione (128).

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Infine, è stato dimostrato che anche pazienti affetti da sindromi infiammatorie ereditarie non associate a mutazioni di NLRP3 rispondono clinicamente all'inibizione dell'IL-1 (129).

1.4.2.2 L'Inflammasoma NLRP3 nelle Artriti da Microcristalli

La gotta è una delle malattie reumatiche in cui il ruolo dell'Inflammasoma NLRP3 è stato più studiato. L'NLRP3 risulta indispensabile, per la produzione di IL-1β, in vitro, quando i macrofagi vengono incubati con cristalli di urato monosodico o di pirofosfato di calcio (130). Inoltre, l'osservata efficacia clinica degli inibitori dell'IL-1 nella gotta sia nel risolvere l'attacco acuto, sia nella prevenzione delle riacutizzazioni, ha confermato il ruolo centrale dell'Inflammasoma nella progressione della malattia (131,132). In maniera analoga ai cristalli di urato monosodico, anche i cristalli di pirofosfato di calcio e i cristalli di fosfato basico di calcio possono attivare l'NLRP3 (133).

1.4.2.3 L'Inflammasoma NLRP3 nell'Artrite Reumatoide

L'AR è una malattia infiammatoria cronica che colpisce le articolazioni, ha un andamento spesso progressivo e può evolvere verso l'anchilosi con comparsa di deformità invalidanti. La sua patogenesi è legata ad aberranti risposte del sistema immunitario innato e adattativo che risultano in un'aumentata produzione di citochine infiammatorie, quali il Tumor Necrosis Factor (TNF), l'IL-6 e l'IL-1β. Su queste basi è stata avanzata l'ipotesi di un coinvolgimento del complesso dell'Inflammasoma (134).

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Alcuni studi genetici hanno confermato questa tesi, dimostrando un'aumentata espressione dei componenti dell'Inflammasoma NLRP3 nei pazienti affetti da AR rispetto alla popolazione generale ed alcuni polimorfismi del gene NLRP3 e CARD8 sono risultati associati alla suscettibilità alla malattia e alla severità dell'AR (135-137) (Tab. VI).

Nei modelli animali di AR, l'assenza di componenti dell'Inflammasoma determina effetti diversi sulla severità di malattia, a seconda del tipo di modello studiato e del meccanismo con cui viene indotta sperimentalmente l'artrite. Infatti, nei modelli di artrite indotta da adiuvante e in quelli di artrite indotta da collagene, la deficienza dell'NLRP3 o della caspasi-1 non portano a un miglioramento dell'infiammazione articolare, mentre la deficienza di ASC induce lo sviluppo di una forma più lieve di artrite (138,139).

Ulteriori evidenze a conferma del ruolo dell'NLRP3 nella patogenesi dell'AR derivano dallo studio di Riuscitti e coll. (140) che hanno dimostrato una significativa produzione di IL-1β nei monociti di pazienti con AR e che la produzione di tale citochina avviene grazie a meccanismi mediati dall'NLRP3 (Tab. VI).

Esistono, tuttavia, anche studi con risultati discordanti rispetto a quanto finora menzionato (122, 141) (Tab. VI); è, infatti, possibile che l’espressione delle diverse componenti dell’NLRP3 sia influenzata dalle diverse fasi di attività di malattia, dalla distribuzione geografica delle popolazioni studiate e dai tipi cellulari analizzati.

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1.4.2.4 L'Inflammasoma NLRP3 nel Lupus Eritematoso Sistemico

Il LES è una malattia sistemica autoimmune caratterizzata dalla produzione di specifici auto-anticorpi, attivazione del sistema del complemento e deposito di immuno-complessi che si esprime con una varietà di manifestazioni cliniche. L'eziopatogenesi del LES non è del tutto nota, ma crescenti evidenze suggeriscono un ruolo cruciale dell'NLRP3 nel suo sviluppo (142) (Tab. VI).

La U1-small nuclear ribonucleoprotein (U1-snRNP) è risultata, infatti, capace di indurre l'attivazione del complesso dell'Inflammasoma NLRP3 e il conseguente rilascio di IL-1β da parte dei monociti umani di pazienti con LES, in presenza degli anticorpi anti-U1snRNP che sono caratteristici di alcune malattie autoimmunitarie, tra cui il LES (143). Gli stessi Autori hanno, inoltre, dimostrato che il DNA a doppio filamento (dsDNA) e gli anticorpi anti-dsDNA inducono la produzione di IL-1β nei monociti umani, attraverso l'attivazione dell'NLRP3 e sono in grado di promuovere la risposta cellulare mediata dai linfociti T helper 17 (Th17) (144).

Inoltre, altri Autori hanno individuato nei Neutrophil extracellular traps (NETs), filamenti di materiale nucleare derivati da granulociti neutrofili ed estrusi nell’ambiente extracellulare in risposta ad appropriati stimoli infiammatori, altri possibili attivatori dell'NLRP3 nel LES. Kahlenberg e coll. (145) hanno, infatti, osservato un'aumentata attivazione dell'NLRP3, mediata dai NETs, nei macrofagi di pazienti con LES.

Anche alcuni studi su modello animale di lupus supportano il ruolo dell'NLRP3 nella patogenesi del LES (146-148).

In contrasto con i dati finora riportati, lo studio di Yang e coll. (149) presenta una correlazione negativa tra l'Inflammasoma NLRP3 e l'attività di malattia del LES;

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l'espressione dell'NLRP3 è, infatti, risultata più bassa nelle cellule mononucleate circolanti, peripheral blood mononuclear cells (PBMCs), di pazienti con LES rispetto a quanto osservato nei controlli sani.

Infine, molti studi hanno dimostrato il ruolo centrale dell'Inflammasoma nella patogenesi della nefrite lupica, una tra le principali cause di morbidità e mortalità nel LES (150).

1.4.2.5 L'Inflammasoma NLRP3 nella Sclerosi Sistemica

La SS è una malattia pro-fibrotica cronica, caratterizzata da un esuberante accumulo di collagene, alterazioni vascolari e deficit multi-organo. Recentemente, alcuni studi hanno mostrato il coinvolgimento dell'Inflammasoma nella differenziazione dei miofibroblasti e nel deposito del collagene (151) (Tab. VI). I dati della letteratura forniscono evidenza di una sovra-espressione dell'NLRP3 e conseguente produzione di IL-1β e IL-18 nella cute e nel polmone di pazienti sclerodermici (152,153) (Tab. VI).

Recentemente, Artlett e coll. (154) hanno dimostrato che i fibroblasti cutanei e polmonari di pazienti con SS presentano un'elevata espressione del microRNA (miR)-155, che al contrario, risulta fortemente ridotta nei fibroblasti deficienti per NRLP3 e nei fibroblasti trattati con un inibitore della caspasi-1. La bassa espressione del miR-155 si associava, a una ridotta produzione di collagene e la regolazione del miR-155 risultava mediata dall'Inflammasoma NLRP3.

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1.4.2.6 L'Inflammasoma NLRP3 nella Sindrome di Sjogren

La SjS è una malattia autoimmune sistemica, che colpisce prevalentemente le ghiandole esocrine, quali le ghiandole salivari e lacrimali, determinando un quadro di secchezza generalizzata. Nonostante si tratti di una malattia rara, diversi Autori hanno indagato il ruolo dell’Inflammasoma nella SjS. Da studi su modelli animali, risulta che l’espressione e l’attivazione della caspasi-1 vengano indotte nel tessuto salivare fin dalle fasi più precoci di malattia (155,156). Questi dati sono stati confermati anche nell’uomo. Infatti, l’espressione genica dei componenti dell’Inflammasoma è significativamente aumentata nel tessuto salivare di pazienti con SjS e correla con la positività degli anticorpi anti-Ro nel siero e con la presenza della scialoadenite linfocitaria focale all’esame istologico (157). Inoltre, i livelli circolanti di IL-1 e IL-18, derivanti dall’attivazione dell’Inflammasoma, risultano elevati nei pazienti affetti da SjS (157-162). Tali evidenze suggeriscono, pertanto un ruolo centrale dell’Inflammasoma nell’esordio e nella progressione della SjS.

1.4.2.7 L'Inflammasoma NLRP3 nelle Spondiloartriti

Le Spondiloartriti (SpA), compreso il loro prototipo, la Spondilite Anchilosante (SA) sono malattie infiammatorie articolari che colpiscono prevalentemente lo scheletro assiale. Gli alti livelli circolanti di IL-1 evidenziati in uno studio su pazienti con SA e l’efficacia della terapia con Anakinra, ha indotto ad ipotizzare una possibile influenza dell’Inflammasoma nella patogenesi delle SpA (163). Uno studio di genetica, su 492 pazienti con SA, ha individuato l’associazione tra un singolo polimorfismo nucleotidico nell’allele minore di CARD8 e un ridotto rischio di sviluppare la malattia (164). Sulle

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basi di tali evidenze, è stato postulato che Inflammasomi contenti domini CARD senza polimorfismi possano rappresentare fattori di rischio per l’insorgenza della SA. Infine, alcuni Autori hanno osservato una maggior concentrazione di caspasi-1 nel liquido sinoviale di pazienti con SpA rispetto a pazienti con artropatia gottosa, OA ed altre forme di artropatie infiammatorie (165).

1.4.2.8 L’Inflammasoma NLRP3 nell’Osteoartrosi

Nonostante un coinvolgimento dell’IL-1β nella patogenesi dell’OA sia stato ampiamente dimostrato in modelli in vitro, il preciso ruolo di questa citochina nella malattia osteoartrosica non è stato completamente chiarito (166-168). Da una parte, studi in vitro hanno dimostrato che l’IL-1β agisce stimolando il rilascio da parte dei condrociti dei principali enzimi responsabili del catabolismo cartilagineo, quali le metalloproteasi (MMPs) e l’aggrecanasi ed inibendo la produzione dei componenti della matrice extracellulare. L’IL-1β è in grado, inoltre, di favorire il rilascio di altre citochine pro-infiammatorie come l’IL-6, di chemochine e di altri mediatori infiammatori, quali l’ossido nitrico sintetasi inducibile, la fosfolipasi solubile A2, la ciclo-ossigenasi 2, e la prostaglandina E sintetasi contribuendo al mantenimento e alla progressione del processo di degradazione cartilaginea (169,170). I risultati ottenuti da studi sul modello animale risultano, invece, piuttosto discordanti; infatti, in un modello murino di OA indotta da meniscectomia, le iniezioni intra-peritoneali di antagonisti dell’IL-1 non hanno portato a nessun miglioramento degli score di gravità di malattia analizzati e in un altro studio topi knock-out per l’IL-1 sviluppavano lesioni cartilaginee più gravi rispetto a topi wild tipe (WT) (171,172). Anche nell'uomo i dati sono piuttosto controversi, infatti alcuni Autori hanno trovato concentrazioni molto basse di IL-1β

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nella membrana sinoviale e nel liquido sinoviale di pazienti affetti da OA, sia in fase iniziale che avanzata (173). Queste evidenze hanno fatto ipotizzare una via patogenetica indipendente dall’IL-1 nell’OA.

Per contro, dobbiamo tenere in considerazione che l’OA risulta strettamente associata al deposito di cristalli di pirofosfato di calcio e cristalli basici di calcio, entrambi capaci di attivare l’Inflammasoma, mediando la produzione di IL-1β (174,175). I cristalli basici di calcio, che includono i cristalli di idrossiapatite, gli octacalcio fosfato, i tricalcio fosfato e quelli di magnesio whitlockite, sono presenti nelle strutture articolari di anca e ginocchio con indicazione all’artroprotesi (176). Tra i cristalli basici di calcio, quelli di idrossiapatite si ritrovano più frequentemente nelle articolazioni osteoartrosiche ed evidenze derivanti da studi in vitro e in vivo mostrano che l’NLRP3 viene attivato dai cristalli di idrossiapatite tramite meccanismi dipendenti dalla fuoriuscita di K+, produzione di ROS e rilascio di proteasi lisosomiali secondario alla fagocitosi macrofagica. Tali dati permettono di attribuire all’NLRP3 un ruolo centrale nella degradazione cartilaginea e nell’infiammazione sinoviale del processo osteoartrosico associato a cristalli di idrossiapatite (177). Anche i cristalli di urato monosodico sembrano essere coinvolti nella progressione dell’OA. E’ stata, infatti, riportata, in pazienti con gonartrosi, una correlazione diretta tra le concentrazioni di acido urico nel liquido sinoviale e quelle di IL-1β e IL-18, derivanti dall’attivazione dell’NLRP3, oltre che con la severità di malattia (178).

Considerando l’azione indispensabile dell’Inflammasoma NLRP3 nella produzione della forma attiva di IL-1β, appare facilmente comprensibile come la ricerca si sia focalizzata recentemente sullo studio dell’NLRP3 nella patologia osteoartrosica. I dati risultano, però, piuttosto discordanti. Infatti, se da un lato vi sono lavori che dimostrano

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una sovra-espressione dell’Inflammasoma NLRP3 nell’OA, ve ne sono altri che supportano l’ipotesi di un meccanismo patogenetico non dipendente dall’attivazione dell’NLRP3 (179-182). Tra i primi, interessante è lo studio condotto da Clavijo-Cornejo e coll. (179) che hanno dimostrato un aumento dell’espressione proteica delle componenti dell’NLRP3, valutata tramite Western Blot, nella membrana sinoviale di pazienti con gonartrosi sottoposti ad intervento di artroprotesi, rispetto a un gruppo di soggetti sani con lesione del legamento crociato anteriore trattati con artroscopia. Gli Autori riportavano, inoltre, una correlazione positiva tra l’espressione proteica dell’NLRP3 e i livelli proteici della nicotinamide adenine dinucleotide phosphate oxidase (Nox)-2, un enzima coinvolto nella produzione dei ROS, noti per contribuire allo stato infiammatorio dell’OA. Risultati discordanti sono stati, invece, decritti da Bougault e coll. (181) che hanno valutato il rilascio di IL-1β da espianti cartilaginei e sinoviali, derivati da 18 pazienti con OA, sottoposti ad artroprotesi. In uno studio più recente, Nasi e coll. (182) hanno dimostrato che topi knock-out (NLRP3-/-) (IL-1β-/-) non risultano protetti dal danno cartilagineo e dall’infiammazione sinoviale nel modello artrosico di meniscectomia, bensì le lesioni cartilaginee possono essere esacerbate, suggerendo che l’Inflammasoma non può essere considerato un mediatore cruciale nel processo patogenetico osteoartrosico.

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2. SCOPO DELLO STUDIO

Scopo del nostro studio è stato quello di valutare il possibile coinvolgimento dell’IL-1β e dell’Inflammasoma NLRP3 in un gruppo di pazienti affetti da OAE e in un gruppo di pazienti con OAN, in comparazione ad un gruppo di soggetti sani. In particolare, abbiamo analizzato l’espressione genica dell’NLRP3 e dell’IL-1β, tramite real-time PCR quantitativa, i livelli proteici dell’NLRP3, mediante analisi al Western Blot e le concentrazioni sieriche dell’IL-1β e di altre citochine pro-infiammatorie (IL-6, IL-17 e TNF-α), dimostrate implicate nella patogenesi dell’OA. Infine, abbiamo esaminato le possibili correlazioni esistenti tra l’IL-1β e l’NLRP3 e i parametri clinici, di laboratorio e radiologici dei pazienti in studio.

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3. PAZIENTI E METODI

3.1 Pazienti

Nel nostro studio venivano inclusi 54 pazienti caucasici affetti da OA della mano, secondo i criteri classificativi stilati nel 1990 dall’ACR (14), afferenti, nel periodo compreso tra il Dicembre 2014 e il Marzo 2016, all’ambulatorio dedicato alla “Diagnosi e Trattamento dell’Osteoartrosi della mano” dell’Unità Operativa di Reumatologia del Policlinico “Le Scotte” di Siena. Sulla base di recenti radiografie di mani e polsi, veniva posta diagnosi di OAN o OAE della mano, quest’ultima definita dalla presenza della classica erosione centrale in almeno due articolazioni interfalangee (65). Nel gruppo dell’OAE, venivano inclusi 25 pazienti, mentre 29 soggetti appartenevano al gruppo dell’OAN. Il gruppo di controllo era costituito da 20 soggetti sani che non presentavano dolore o dolorabilità a carico delle mani, noduli interfalangei e segni clinici di OA a carico di altre sedi articolari o altre patologie autoimmuni e/o infiammatorie.

Venivano esclusi dallo studio tutti i pazienti con altre affezioni reumatiche di natura flogistica od autoimmunitaria, soggetti con malattie infiammatorie intestinali e storia personale o familiare di psoriasi.

Venivano, inoltre, esclusi pazienti trattati nell’ultimo anno con immunosoppressori o farmaci Symptomatic Slow Acting Drugs for Osteoarhritis (SySADOA), quali il condroitin solfato, la glucosamina solfato, la diacereina, gli estratti di soia e di avocado, l’acido ialuronico per via intra-articolare o preparati nutraceutici (183).

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Tutti i pazienti arruolati nello studio fornivano preventivamente il loro consenso informato, in forma scritta, in accordo con la dichiarazione di Helsinki.

3.2 Parametri Clinici e Radiografici

Al momento dell’arruolamento nello studio, veniva raccolta un’accurata anamnesi, comprensiva di dati demografici e clinici, quali età, genere, peso, altezza, BMI, durata di malattia, concomitante OA di anca e ginocchio (184), abitudine al fumo, storia di diabete mellito, ipertensione, malattie cardiovascolari, tiroidite autoimmune e ipercolesterolemia.

Si esaminava, inoltre, per ogni paziente una radiografia bilaterale di mani e polsi non antecedente allo studio da più di 6 mesi. L’esame radiologico veniva eseguito in proiezione antero-posteriore e il coinvolgimento articolare veniva analizzato da due esperti, attraverso lo score di Kellgren-Lawrence (73).

Venivano, inoltre, valutati il numero di articolazioni tumefatte della mano, i valori sierici di VES e PCR e il dolore spontaneo riferito dal paziente, tramite la scala analogica VAS (0-100 mm). La funzionalità articolare veniva misurata, mediante la versione validata in lingua italiana dell’indice algo-funzionale Functional Index for Hand Osteoarhritis (FIHOA) (185,186). Il FIHOA è il test più utilizzato per la valutazione della compromissione funzionale della mano (187) e analizza la capacità di eseguire 10 gesti di vita quotidiana mediante una scala ordinale a quattro livelli (da 0 = possibile senza difficoltà a 3 = impossibile). Il punteggio totale è ottenuto dalla somma delle singole voci ed è compreso fra 0 e 30. (185,186).

Riferimenti

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