3.6.1 Analisi dei risultati sul campione completo
ABBREVIAZIONI: Depr_avv_all: Depressione-Avvilimento
4. DISCUSSIONE E CONCLUSION
Il presente studio comportamentale si colloca nell’ambito di un progetto di ricerca più ampio, costituito da tre fasi: una fase di raccolta di dati comportamentali, una fase di genotipizzazione dei polimorfismi candidati a determinare la suscettibilità a specifici processi cognitivi ed emotivi e una fase che prevede lo studio mediante fMRI dei correlati metabolici dell’attività neuronale circa le scelte morali.
La tesi ha contribuito ad ampliare il campione di studio mediante la raccolta di dati comportamentali e genetici. Nella fase iniziale è stata fatta la somministrazione ai volontari di alcuni reattivi psicologici finalizzati a valutare il ruolo dell’empatia, dell'impulsività, dell’umore e aspetti personologici in relazione a scelte e giudizi morali di carattere controverso. In seguito i candidati sono stati coinvolti in un compito di valutazione di dilemmi morali; essi, dopo aver effettuato una scelta riguardo all’azione da intraprendere hanno espresso la propria valutazione in merito all’accettabilità morale dell’azione in questione, così come una valutazione in merito alla valenza dell’azione presentata ed al livello di arousal esperiti.
I risultati statistici hanno mostrato che i soggetti discriminano le condizioni oggetto di studio. Nello specifico, è emersa una differenza significativa tra l’azione incidentale e strumentale, e tra azione con aspettativa di vita ridotta e quella normale. Ciò indica che i soggetti sono più disposti a mettere in atto l'azione quando questa è incidentale piuttosto che strumentale, cioè quando ossia quando il sacrificio della persona è solo una risultante secondaria dell'azione morale in atto. In questo caso, infatti, i soggetti si avvertono presumibilmente come meno responsabili delle conseguenze della propria azione.
Inoltre se l’aspettativa di vita della persona da sacrificare è ridotta allora i partecipanti tendono a sacrificarla più spesso rispetto ad un soggetto sano con una normale aspettativa di vita.
La probabilità che un soggetto intraprenda un’azione correla positivamente con il giudizio di accettabilità ad essa connesso. Ciò si applica a tutte le condizioni indagate. Questo dato indica che quanto i soggetti sono spinti ad agire in base alle valutazioni morali che fanno dell’azione stessa (più un’azione risulta accettabile, più
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è probabile che la persona la metta in atto), oppure che valutano come più accettabili moralmente le azioni che hanno compiuto. Questo dato è interessante in quanto suggerisce che il comportamento morale sia mediato da processi di valutazione cognitiva.
Altro risultato significativo è quello ottenuto nella variabile arousal; infatti il test t per campioni appaiati mostra una differenza tra la condizione di coinvolgimento del sé e quella senza coinvolgimento del sé. Un’attivazione emotiva e fisiologica maggiore caratterizza le azioni da cui dipende la sopravvivenza del soggetto stesso. Questo dato conferma che i soggetti sono stati in grado di immaginare vividamente queste condizioni sperimentali, sentendosi maggiormente coinvolti negli scenari che prevedevano decisioni che avrebbero compromesso la loro sopravvivenza.
Il POMS ha consentito di raccogliere informazioni sullo stato emotivo- affettivo dei partecipanti nel corso della settimana precedente al test. Nel campione risultano alti i punteggi alla scala “Vigore-Attività”. Questo dato conferma che lo stato affettivo ed emotivo dei soggetti era privo di una fenomenica depressiva e/o ansiosa, un dato peraltro confermato dallo screening per la psicopatologia condotto con il questionario MCMI.
I risultati indicano che l’azione con coinvolgimento del sé correla con la sottoscala aggressività-rabbia del POMS. Questo dato è molto interessante in quanto mette in evidenza che i soggetti con alti livelli di aggressività sono più disposti a sacrificare il prossimo per salvare se stessi.
Il giudizio di accettabilità morale correla negativamente con la preoccupazione empatica e il personal distress. Questo dato è interessante perché fa emergere che più aumenta la preoccupazione empatica e il dispiacere personale per il prossimo e meno sono accettabili le azioni nelle varie categorie. Dunque, il sistema empatico è in stretta correlazione con il giudizio morale che i soggetti danno e funge da sistema inibitorio dei processi di azione.
I risultati, infine, mostrano che all’aumentare dell’impulsività aumenta la probabilità di intraprendere un’azione nelle diverse condizioni, fatta eccezione per la
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condizione in cui la vittima ha un’aspettativa di vita normale. Questo particolare dato indica che l’impulsività funziona da facilitatrice dell’azione.
Prendendo in esempio le affermazioni di Greene, i nostri risultati mettono in risalto che i giudizi morali utilitaristi sono guidati da processi cognitivi controllati, mentre i giudizi morali non-utilitaristi sono guidati da risposte emotive automatiche. Dunque, sia i processi emotivi automatici che quelli cognitivi deliberativi sono coinvolti nel giudizio morale.
Sia componenti emotive che razionali influenzano l’azione morale, in primis quelle connesse alla capacità empatica e all’impulsività. I soggetti plausibilmente di fronte a scelte di carattere controverso, si immedesimano nella vittima e non giudicano accettabile l’azione che viene proposta. La teoria della mente è strettamente legata alla regolazione cognitiva ed emotiva del comportamento interpersonale, sia prosociale che antisociale. Costituisce un fattore fondamentale per la capacità di ragionamento e di giudizio morale. I soggetti che hanno partecipato al paradigma sperimentale hanno mostrato proprio queste caratteristiche, più si mettevano nei panni della vittima, meno erano portati a sacrificarla.
Una valutazione qualitativa condotta durante lo svolgimento dei diversi compiti, ha fatto emergere quanto i soggetti mostrassero dapprima un atteggiamento molto empatico nei confronti della vittima, per poi invece mostrarsi più distaccati e meno emotivi nel sacrificarla. I loro livelli di attivazione emotiva però, anche in seguito a questo fenomeno di abituazione, si sono mostrati alti nell’azione strumentale e quando erano coinvolti in prima persona nell’azione proposta.
Anche il livello di impulsività dei soggetti gioca un ruolo importante ai fini dell’azione da loro messa in atto. I partecipanti a questo esperimento ci hanno permesso di osservare quanto l’impulsività sia causa dell’azione. Più si è impulsivi più si agisce. La mancanza di controllo inibitorio, la mancanza di empatia e di Teoria della Mente sono caratteristiche che riscontriamo nel disturbo di personalità antisociale. Le persone con disturbo antisociale, secondo studi condotti da Hare (si veda ad esempio quello del 1995), non si lasciano guidare da un pensiero razionale e pianificato, ma giudicano in base al loro desiderio attuale. Il livello di tolleranza è molto basso. La capacità di inibire i comportamenti impulsivi è a carico della
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corteccia prefrontale dorsolaterale che permette un controllo inibitorio. Questo disturbo si caratterizza, inoltre, per una povertà della vita emotiva e affettiva con un’assenza della capacità empatica nei confronti del prossimo.
Studi di neuroimmagine hanno dimostrato delle differenze sia morfologiche che funzionali della corteccia cerebrale tra soggetti sani e soggetti con disturbo antisociale di personalità, prima tra tutte le differenze sono a carico dei lobi prefrontali, dorso laterali e orbito frontali. Una disfunzione alla porzione dorsale comporta un minore controllo inibitorio che porta il soggetto a comportarsi impulsivamente, perdendo la capacità di pianificare, di problem solving, di porre attenzione e di essere flessibili nelle situazioni nuove. Una disfunzione alla porzione orbitofrontale, invece, incide sulla capacità di prendere decisioni e di imparare dagli errori commessi. Ci si muove in base alla ricompensa non pensando alle conseguenza.
I risultati di questa tesi aggiungono un tassello in più alla comprensione dei rapporti tra comportamento morale e caratteristiche personologiche, suggerendo che deficit nel controllo del comportamento volitivo così come nella capacità empatica incidano profondamente sulla capacità di compiere e inibire azioni moralmente rilevanti.
La scienza si compone di intuizioni, di grandi scoperte e di teorie luminarie, ma si parte sempre da piccoli passi e da piccoli dettagli per giungere ad affermazioni che cambiano il senso della vita.
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INDICE:
Abstract ………..pag. 1 Parole chiave………...pag. 2 Introduzione………...pag. 3 PRIMO CAPITOLO: GIUDIZIO MORALE
1.1 Che cosa sono i dilemmi morali e basi teoriche del giudizio morale …..pag. 5 1.2 L’empatia ……….pag. 6 1.3 La Teoria della Mente ………pag. 7
1.4 Libero Arbitrio e comportamento criminale ………...pag. 9
1.5 L’impulsività ………..pag. 12