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Da studi in medicina umana è risultato che il 55-86% di pazienti in AKI sviluppa un’insufficienza respiratoria, (Mehta et al 2002, Bouchard et Mehta 2009) peggiorandone così la prognosi. La combinazione di AKI ed ALI infatti determina una mortalità nell’uomo di circa 80% ( Paladino JD et al 2009). Questo ha spinto negli ultimi anni a studiare ed incrementare studi di ricerca sulla relazione tra danno renale acuto e danno polmonare acuto, in quello che viene definito negli anni ’50 “Polmone Uremico” (Bass e Singer 1950). Molti studi sperimentali sono stati effettuati su modelli animali al fine di comprendere al meglio la patogenesi della malattia.

Per quanto riguarda la presenza di tale legame, pochi sono i dati a disposizione in Medicina Veterinaria e si tratta di studi sperimentali. In uno studio retrospettivo la patologia respiratoria è presente in 1 cane su 3 con AKI stage IV e V alla presentazione in ospedale. La prevalenza della patologia respiratoria aumenta durante l’ospedalizzazione fino al 50 % dei cani (Thierrey Francey 2004). Lo studio presentato in questa tesi ha l’obiettivo di comparare la frequenza e la gravità delle alterazioni polmonari in soggetti in AKI, analizzare e comparare i dati ricavati dalla radiografia toracica e dall’emogasanalisi arterioso svolto su questi pazienti e correlare l’outcome con i vari parametri di funzionalità respiratoria e renale.

I soggetti inclusi nello studio risultano avere un’età mediana di 7 anni con un range molto ampio, dai 4 mesi agli 11 anni, sottolineando quindi che l’insorgenza di AKI si può verificare in soggetti di tutte le età. I fattori di rischio sono infatti molteplici e molti di essi indipendenti dall’età dell’animale. I cani maschi interi sono risultati leggermente prevalenti rispetto alle femmine. Inoltre vi è una maggiore incidenza di cani di razza rispetto ai meticci, il 93% dei cani, infatti, è di razza, ma non si è riscontrato una prevalenza di razze particolari: le più rappresentate risultano il pastore tedesco e il golden retriver, che non hanno superato una frequenza del 7 % e

questo dato può essere ricondotto principalmente alla ampia diffusione di tali razze in Italia.

Il 51,7% dei pazienti presentava AKI di origine tossinfettivo, il 3,4% aveva sviluppato AKI in seguito a colpo di calore, il 6,8% in seguito ad intossicazione e il 37,9% erano in fase di riacutizzazione di patologia renale cronica (AKI/CKD). Tra i pazienti con AKI di origine tossinfettivo, nella maggior parte dei casi non è stato possibile risalire all’eziologia della patologia. Solo uno di questi è risultato positivo al test MAT per la leptospirosi. Tra gli altri pazienti, molti presentavano comunque una sintomatologia, esame clinico, parametri ematobiochimici e di diagnostica per immagine riferibili a leptospirosi. In base a ciò è importante sottolineare che il test MAT, come descritto nelle guide lines per la leptospirosi (J.E Sykes et al 2010) è una tecnica difficile da standardizzare, l’interpretazione è infatti in qualche modo soggettiva e richiede una certa esperienza. Il test consiste nel mettere a contatto diluizioni seriali del siero del cane con l’antigene costituito da leptospire vive di sierovariante nota, e l’osservazione dell’agglutinazione, qualora siano presenti anticorpi specifici nel siero, tramite un microscopio a campo oscuro. Non è ancora presente inoltre un consensus su quale titolo dovrebbe essere utilizzato come cut-off per i risultati negativi. Inoltre è noto che nella prima settimana di malattia, i cani frequentemente risultano negativi al test MAT. Infatti cani affetti da leptospirosi possono mostrare segni clinici prima che sia possibile rilevare anticorpi nella prima settimana dall’infezione. Per questo motivo è consigliato ripetere l’esame 7-15 giorni dopo. Titoli falsi negativi si possono presentare inoltre se la sierovariante non è inclusa tra le diverse sierovarianti usate per effettuare il test. Nella diagnostica della leptospirosi nell’uomo vengono infatti utilizzate almeno 20 sierovarianti diverse. Mentre in medicina veterinaria vengono utilizzate 5-7 sierovarianti tra quelle maggiormente rilevate nel territorio italiano (J.E Sykes et al 2010).

Tutto ciò potrebbe spiegare la bassa prevalenza di positivi e i possibili falsi negativi alla diagnosi di leptospirosi tra i pazienti di questo studio.

I pazienti sono stati divisi nei vari stadi IRIS, tenendo in considerazione il valore di creatinina, la produzione urinaria e la necessità di terapia sostitutiva renale. È risultato che il 13,4% (1/29) dei soggetti appartengono allo stadio 3, il 55,2% (16/29) allo stadio 4, e il 41,4% (12/29) allo stadio 5. Nessun soggetto appartiene allo stadio 1 e 2. Ciò può essere spiegato in quanto tutti i pazienti si sono presentati in emergenza, con sintomatologia acuta e una presentazione clinica molto grave. Molti di questi in base alla gravità dei sintomi e degli esami ematici sono stati riferiti da colleghi libero professionisti che avendo già tentato una terapia medica senza alcun miglioramento hanno scelto per una terapia dialitica.

I pazienti sono stati suddivisi in 3 gruppi in base al rapporto PaO2/FiO2 secondo la definizione del Dhoroty Russel Consensus di VetALI/ARDS (Pamela A. Wilkins et al 2007). Nessun soggetto al momento dell’ingresso in terapia intensiva era affetto da ARDS, il 13,7% (4/29) da ALI e l’86% (25/29) aveva un rapporto PaO2/FiO2 > 300 mmHg e secondo la definizione è stato considerato non affetto da patologia respiratoria. Sulla base della registrazione dei dati effettuata nel paziente ricoverato nell’Unità di Terapia Intensiva, sappiamo che alcuni di questi pazienti hanno successivamente sviluppato complicanze respiratorie compatibili con Vet ALI/ARDS.

Il nostro protocollo prevedeva la valutazione dei valori emogasanalitici in entrata e non durante il ricovero. Potrebbe essere interessante da valutare in futuro il trend dei parametri di funzionalità respiratoria nel tempo, durante il ricovero, considerando infatti che tra i soggetti deceduti la maggior parte (64,7% 7/17) è deceduta per cause polmonari.

Il 58,6% (17/29) dei soggetti dello studio è stato sottoposto a terapia dialitica intermittente. In medicina veterinaria la dialisi è utilizzata frequentemente in caso di insufficienza renale acuta, ed è indicata, in pazienti gravemente uremici e con una scarsa produzione urinaria (anurici o oligurici), e anche pazienti che hanno ricevuto un sovraccarico di fluidi (per esempio in caso di edema polmonare) o in iperpotassiemia. Inoltre la dialisi è indicata nei casi in cui ci siano sintomi associati all’uremia, o quando l’iperazotemia non migliora

con le normali terapie mediche: in queste situazioni viene consigliata anche se la produzione urinaria è adeguata o aumentata (Bartges et al 2012).

La corretta funzionalità di ogni singolo organo e quindi le basi patogenetiche del cosiddetto “organ cross-talk” che coinvolge anche il rene-polmone dipendono da un appropriato metabolismo dell’ossigeno. Una patologia che coinvolge un singolo organo o più si manifesta spesso in un’alterazione della disponibilità di ossigeno ai tessuti (ipossia) o l’incapacità di questi di utilizzarlo (disossia) (Rosenberg et al 2006).

Come ormai è noto il rene è coinvolto in molti meccanismi di omeostasi, che si possono scompensare nel caso si sviluppi AKI. L’AKI ha infatti un enorme impatto sull’omeostasi polmonare, soprattutto sul bilancio idrico. In particolare nel caso di AKI anurica/oligurica si avrà un aumento dei fluidi corporei che andrà ad aumentare il precarico che a sua volta altera la gittata cardiaca. ll rene comunica con il polmone in molti modi: regola il bilancio acido-base (regolazione dell’uptake di ossigeno tissutale e funzionalità enzimatiche cellulari), aumenta la capacità di trasporto dell’ossigeno attraverso l’eritropoiesi (influisce sulla concentrazione di emoglobina e quindi sulla capacità di trasportare l’ossigeno) e regola la pressione ematica attraverso il sistema renina-angiotensina-aldosterone (determina una regolazione del tono vascolare con un aumento del postcarico che può determinare delle ripercussioni sulla gittata sistolica). È stata dimostrata una correlazione direttamente proporzionale tra la funzionalità renale e la funzionalità polmonare e cardiaca, ciò significa che se la funzionalità renale diminuisce obbligatoriamente anche la funzionalità polmonare e cardiaca diminuiscono secondo la seguente formula: disponibilità di ossigeno= (∫funzionalità renale)∗ funzionalità cardiaca. Il danno renale può quindi potenzialmente alterare la disponibilità di ossigeno e il suo utilizzo da parte di altri organi (Rajit K. Basu et al 2013).

Lo sviluppo stesso di ALI/ARDS compromette l’ossigenazione dei tessuti tra cui anche l’ossigenazione renale determinando un circolo vizioso e una progressione del danno renale e polmonare (Rajut K.Basu et al 2011) .

L’impatto dell’AKI sul polmone può essere osservato su più livelli. Uno dei maggiori effetti dell’AKI è l’alterazione del bilancio idrico polmonare. L’overload fluidico che si ha nel caso in cui i soggetti in AKI siano anurici o oligurici può alterare il bilancio idrostatico-oncotico nell’interstizio polmonare. L’infiammazione e il danno endoteliale che si può avere in pazienti con AKI altera a sua volta questo equilibrio. L’infiammazione inoltre è in grado di alterare l’espressione dei regolatori del gradiente fluidico ed elettrolitico polmonare determinando la downregulation dei recettori ENaC, della pompa NA/K ATPasi e delle acquaporine-5 risultando nell’accumulo di fluidi all’interno dell’alveolo (Rajut K.Basu et al 2011). È stato infatti proposto da Rajut K.Basu et al il termine edema polmonare nefrogenico.

L’edema polmonare si verifica quando il flusso attraverso la membrana alveolo-capillare è positivo. In condizioni normali, il fluido nello spazio alveolare è drenato dai vasi linfatici polmonari e trattenuto nello spazio interstiziale. Se la barriera alveolo-capillare è distrutta o se il volume idrico interstiziale aumenta fino a superare il 50%, si verifica il passaggio di fluido all’interno dell’alveolo. Il movimento idrico è dipendente sia dalla pressione idrostatica sia dalla pressione oncotica. Quest’ultima è determinata maggiormente dalla concentrazione ematica di proteine, tra cui l’albumina. L’ipoalbuminemia infatti riduce la pressione oncotica capillare favorendo quindi il passaggio di fluidi all’interno degli alveoli (Rajut K.Basu et al 2011). Essa può diminuire in caso di danno renale e anche in questo quindi il rene gioca un ruolo centrale.

In questo studio abbiamo quindi voluto considerare non solo i valori di Urea e Creatinina, indici della gravità del danno renale, ma anche il valore di albumina considerato il suo coinvolgimento nella patogenesi della formazione dell’edema polmonare.

Il quadro di edema nefrogenico precedentemente descritto, con alterazioni della barriera alveolare e alveolo capillare, può essere alla base di una alterazione dei parametri di funzionalità respiratoria tra cui PaO2/FiO2, A-a e SO2. In particolare il gradiente alveolo-arterioso (A-a) è una misura della

differenza tra la concentrazione di ossigeno alveolare e la concentrazione di ossigeno nel sangue arterioso, ed è infatti un indice dell’integrità dell’unità alveolo-capillare ed indica la capacità di scambio dell’ossigeno tra questi due settori. Tale indice risulterà superiore rispetto al range di riferimento (0-15 mmHg) in soggetti che hanno sviluppato la patologia polmonare.

Dall’analisi statistica effettuata abbiamo voluto verificare se i due gruppi di studio (gruppo 2 con PaO2/FiO2 compresa tra 200 e 300 mmHg (soggetti con ALI), e gruppo 3 PaO2/FiO2>300 mmHg) differiscono in modo statisticamente significativo per quanto riguarda i parametri renali e respiratori.

Dall’analisi statistica tra i due gruppi risulta l’assenza di una differenza statisticamente significativa per i seguenti parametri : creatinina(p=0,1831), urea (p=0,3025) ematocrito (p>0,999), fosforo (p=0,2291), calcio (p=0,7634) e potassio (p=0,4162). Ciò significa che i soggetti che hanno sviluppato ALI e quelli che non lo hanno sviluppato non differiscono in modo statisticamente significativo per quel che riguarda i parametri esaminati. Per il valore di albumina il test risulta non significativo ma con un valore di p=0,0531 molto vicino al limite preso in considerazione (p<0,05), probabilmente a causa del numero esiguo di soggetti che appartengono al gruppo 2 rispetto al gruppo 3. Nello studio di Le Boedec del 2012 infatti risulta una differenza statisticamente significativa del valore dell’albumina tra i soggetti in ALI e quelli in assenza di patologia respiratoria sottolineando l’importanza dell’albumina nella patogenesi dell’edema polmonare.

L’analisi statistica con A-a (p<0,001), SO2 (p<0,001) è risultata statisticamente significativa tra i due gruppi. Quindi nello stesso tempo vi è una differenza statisticamente significativa tra i due gruppi di studio non solo per quanto riguarda PaO2/FiO2 su cui si è basato il parametro di suddivisione dei soggetti ma anche per gli altri parametri di funzionalità respiratoria. I soggetti in ALI presentano infatti valori più elevati di A-a e valori inferiori di SO2 rispetto ai soggetti in assenza di patologia respiratoria come ci saremmo aspettati. A conoscenza degli autori, questo è il primo lavoro in cui vengono esaminati tali parametri.

Abbiamo effettuato il test statistico di correlazione di Pearson tra la PaO2/FiO2 e i valori di creatinina, urea e albumina per verificare come in base alla gravità della patologia respiratoria indicata con ridotti valori di PaO2/FiO2 vi sia correlazione con la gravità della patologia renale.

L’analisi statistica di correlazione di Pearson ha evidenziato una moderata correlazione negativa (p=0,0234 r=-0,4197) tra i valori di creatinina e PaO2/FiO2. Infatti all’aumentare del valore della creatinina diminuisce in modo statisticamente significativo la PaO2/FiO2 come ci si aspetterebbe. Lo stesso test ha evidenziato una moderata correlazione negativa (p=0,0272 r=-0,4099) tra l’urea e PaO2/FiO2. All’aumentare dell’urea, PaO2/FiO2 diminuisce in modo statisticamente significativo. I risultati di tali test statistici sono concordi a quanto ci saremo aspettati, all’aumentare della gravità della patologia renale aumenta anche la gravità della patologia respiratoria, il parametro respiratorio valutato (PaO2/FiO2) infatti risulta diminuito in modo statisticamente significativo all’aumentare del valore di urea e creatinina. Il test statistico svolto tra i valori dell’albumina e PaO2/FiO2 ha mostrato una moderata correlazione positiva (p=0,0196 r= 0,4386). Al diminuire del valore dell’albumina infatti diminuisce in modo statisticamente significativo la PaO2/FiO2. Ciò potrebbe confermare il coinvolgimento dell’albumina nella patogenesi del danno polmonare acuto.

Abbiamo deciso di assegnare ad ogni paziente un punteggio da 1 a 4 sulla base di quanto riportato B. Kohn et al 2010 in relazione all’aspetto ed alla gravità delle lesioni polmonari. Alla maggior parte dei pazienti (48,3% 14/29) è stato assegnato il grado 1 corrispondente alla presenza di un pattern interstiziale ai lobi caudali, al 31% (9/29) il grado 2 (pattern interstiziale ai lobi caudali con un aumento della radiopacità probabilmente riferibile ad un lieve pattern alveolare), al 13,8% 4/29 il grado 3 (pattern interstiziale reticolare micronodulare diffuso lieve/moderato), ed infine al 6,9% 2/29 il grado 4 (pattern interstiziale reticolare micronodulare diffuso grave con aree di consolidamento alveolare). Questa suddivisione ci ha permesso di effettuare il test statistico One way Anova tra i diversi gradi assegnati in base alle

lesioni polmonari e la creatinina (p=0,0070), urea (p=0,4247), albumina (p=0,1847), PaO2/FiO2 (0,2041), PaO2 (0,2001), PCO2 (0,2103), SO2 (0,1314), A-a (0,3807). Volevamo infatti verificare se la gravità delle lesioni polmonari osservate alla radiografia toracica corrisponde alla gravità della patologia renale e respiratoria considerando i valori emogasanalitici.

L’edema interstiziale nel polmone si verifica quando: da una parte il fluido si accumula nell’interstizio per una quantità maggiore del 50% e dall’altra quando viene meno la barriera alveolare e l’alveolo si riempie di liquido. Tutti questi meccanismi potrebbero esprimersi nella presenza di una correlazione tra il valore del gradiente alveolo arterioso e il pattern radiografico polmonare. Anche se dal test statistico non risulta una correlazione significativa, è possibile valutare dal grafico ricavato che il valore A-a è tendenzialmente maggiore nei soggetti a cui è stato attribuito un punteggio di 4 rispetto agli altri. Ciò può trovare spiegazione in tale patogenesi.

Solamente il test che considera il valore di creatinina è statisticamente significativo. Il valore di creatinina è risultato infatti statisticamente più alto in soggetti appartenenti al grado 4 in cui l’aspetto polmonare risulta più grave rispetto ai gradi inferiori. Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe i parametri respiratori valutati non risultano statisticamente significativi se comparati alla gravità delle lesioni polmonari osservate alla radiografia. Non è stato possibile identificare un pattern polmonare prevalente nei soggetti con PaO2/FiO2 <300 mmHg, poiché ad ognuno dei 4 soggetti in ALI è stato assegnato un punteggio in base al pattern polmonare diverso. Secondo lo studio effettuato da Le Boedec et al nel 2012, il pattern polmonare prevalente in soggetti che sviluppano ALI/ARDS è un pattern alveolare. In questo studio non è possibile confermare o smentire tale dato a causa del numero esiguo di soggetti che hanno sviluppato la patologia polmonare. Un soggetto su 4 (25%) presentava infatti un pattern interstiziale ai lobi caudali, 1 soggetto su 4 (25%) presentava un pattern interstiziale ai lobi caudali con aumentata radiopacità probabilmente per lieve pattern alveolare sottostante, 1 soggetto su 4 (25%) presentava pattern interstiziale

reticolare micronodulare lieve/moderato, e un soggetto su 4 (25%) presentava un pattern interstiziale reticolare micronodulare grave con aree di consolidamento alveolare.

In base all’outcome i soggetti sono stati divisi in tre gruppi, sopravvissuti (41,4% 12/29), deceduti per complicanze polmonari (37,9% 11/29 ) e deceduti per altre cause (20,7% 6/29).

È stata valutata la correlazione mediante test One Way Anova con i vari parametri renali e respiratori per studiare se vi è correlazione tra i soggetti deceduti per cause polmonari e i valori di funzionalità renale e respiratoria rispetto ai sopravvissuti e ai deceduti per altre cause. I soggetti deceduti per cause non respiratorie risultano avere un valore di urea significativamente più alto rispetto ai sopravvissuti e deceduti per cause respiratorie. Per quel che riguarda il resto non si sono evidenziate differenze statisticamente significative con gli altri parametri presi in considerazione. È risultata infatti una correlazione statisticamente significativa solamente con l’urea (p=0,0144). In questo caso il nostro scopo era quello di andare a studiare la correlazione tra sopravvivenza, alterazioni polmonari e Urea. Il risulatato del test statistico è contrario a quanto ci aspettavamo. Per valutare in modo corretto la sopravvivenza in questi pazienti sarebbe necessario fare altre correlazioni valutando altre comorbilità ed utilizzare scale predittive come la SPI II, ma questo esula dallo scopo del lavoro. Anche la gravità delle lesioni polmonari osservate alla radiografia toracica non è correlata in modo statisticamente significativo con l’outcome dei pazienti, suggerendo quindi che non è possibile formulare una ipotesi prognostica in cani in AKI basata sulla diagnosi radiografica di disfunzione polmonare. Tale concetto era già stato espresso da Le Boedec nel 2012. È importante comunque sottolineare anche se il test è risultato statisticamente non significativo che ai soggetti deceduti per cause respiratorie era stato assegnato un punteggio superiore rispetto agli altri gruppi (vedi figura 32).

La mortalità complessiva dei soggetti che si sono presentati con AKI è stata del 58,6% (17/29), conforme a quanto è stato riportato in letteratura (53- 60%) (Linda Ross 2011).

Tra i 17 soggetti che hanno effettuato dialisi il 41% (7/17) è sopravvissuto, il 41% (7/17) è deceduto per cause polmonari e il 17,6% (3/17) è deceduto per altre cause. Per quanto riportato in letteratura la percentuale di sopravvivenza media dei pazienti affetti da AKI sottoposti ad emodialisi si attesta intorno al 41-52%; tuttavia è riportato che tale percentuale sia strettamente influenzata dalla causa scatenante l’insufficienza renale. Infatti, cause emodinamiche e metaboliche presentano una sopravvivenza compresa tra 40-72%, cause infettive una percentuale variabile tra 58-100%, percentuale che tende ad abbassarsi ad un 20-40% nel caso di agenti tossici come il glicole etilenico (Segev G. et al 2008). In questo studio non abbiamo valutato la % di sopravvivenza in pazienti sottoposti a trattamenti emodialitici in relazione all’eziologia, ma la % di soggetti deceduti per cause polmonari (41,2% 7/17). Secondo quanto riportato in letteratura infatti la metà dei soggetti deceduti muoiono per complicazioni extrarenali, come pancreatiti e complicanze respiratorie (Joe Bartges et al 2011). Segev nel suo studio aveva predetto l’importanza di un possibile sviluppo di patologia polmonare in soggetti in dialisi includendolo tra i parametri da considerare per predire l’outcome di questi pazienti (Segev 2008). È infatti noto che l’emorragia polmonare è una potenziale complicazione in cani con leptospirosi o conseguente anche all’utilizzo di anticoagulanti durante il trattamento (Greenlee et al 2004). L’edema polmonare si può verificare come conseguenza di un’ eccessiva reidratazione del soggetto in caso di oliguria o anuria. Inoltre l’uremia stessa aumenta la permeabilità vascolare polmonare (Rabb et al 2003). Nonostante ciò in nessuno studio viene indicata la % di mortalità per cause polmonari in soggetti in terapia dialitica.

È importante sottolineare che tra i soggetti deceduti per cause polmonari il 54,5% (6/11) dei soggetti è deceduto per emorragia polmonare. Nel cane è stata recentemente identificata una sindrome emorragica polmonare

(Emerging Pulmonary Haemorrhagic Syndrome EPHS) associata a leptospirosi. Sebbene la sua eziopatogenesi rimanga da chiarire, è presumibile che le lesioni polmonari siano riconducibili a tossine sviluppate dal batterio stesso o ad un meccanismo immunomediato. Minore importanza patogenetica è stata accordata alla piastrinopenia che, nonostante costituisca un reperto frequente in corso di leptospirosi, in tali pazienti non risulta generalmente associata ad emorragia polmonare (Kloplefleisch R. et al 2010). La maggior parte dei soggetti di questo studio però sono risultati negativi al test MAT, ciò non esclude che non siano affetti da leptospirosi. In questo studio l’incidenza di soggetti in ALI con PaO2/FiO2 <300 mmHg alla presentazione in Terapia intensiva è del 13,7% (4/29), percentuale nettamente inferiore (33%) rispetto a quanto riportato in letteratura (Thierrey Francey 2004). È importante comunque sottolineare che questo studio

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