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Nel presente studio cross-sectional è stato indagato se l’accumulo eritrocitario di proteine patologiche legate alla neurodegenerazione, quali Aβ42, t-Tau, t-α-syn e gli eterodimeri α-syn/Tau e α-syn/Aβ42, rappresenti un potenziale biomarcatore della patologia di Alzheimer, capace di discriminare soggetti sani da individui MA. I pazienti dello studio erano tutti affetti da “MA probabile”, quindi da una forma di MCI (o Alzheimer prodromico) o di demenza lieve caratterizzata da un prevalente deterioramento della memoria episodica (MA ippocampale o tipica), secondo i criteri clinici dell’IWG-2 (Dubois et al., 2014).

Dai risultati emerge che le concentrazioni eritrocitarie degli eterodimeri α-syn/Tau e α-syn/Aβ42 (Figura 4 e Figura 5) e di t-α-syn (Figura 3) risultano significativamente

inferiori nei soggetti MA rispetto ai CS, mentre le concentrazioni eritrocitarie di A42 e t-Tau (Figura 1 e Figura 2) sono paragonabili tra i due gruppi. In base ai risultati della

curva ROC, inoltre, le concentrazioni eritrocitarie degli eterodimeri α-syn/Tau e α-syn/Aβ42 risultano avere capacità discriminatoria “moderata”. Per quanto riguarda le

concentrazioni di t-α-syn, l’affidabilità diagnostica è risultata essere “limitata”, mentre per il peptide A42 e t-Tau l’affidabilità diagnostica delle concentrazioni eritrocitarie risulta “nulla” (Xia, Broadhurst, Wilson, & Wishart, 2013).

Nel nostro studio, la concentrazione di t--syn intra-eritrocitaria, è risultata significativamente inferiore nei pazienti con MA rispetto ai controlli e si è dimostrata capace di discriminare i due gruppi con accuratezza limitata. A-syn rappresenta la principale componente dei corpi di Lewy; tali reperti, sebbene costituiscano un elemento distintivo delle sinucleinopatie, sono riscontrati anche nel 30% dei soggetti affetti da MA, a livello dell’amigdala (Hamilton, 2000). Tipicamente, α-syn si localizza nel citoplasma dei neuroni e delle cellule gliali, ma si ritrova anche nel CSF, nel plasma, negli eritrociti e in altri tessuti periferici (Atik et al., 2016). Vari studi incentrati sul dosaggio di α-syn nel CSF e nel plasma in pazienti con sinucleinopatie hanno portato a risultati contrastanti (Duran et al., 2010) (Visanji et al., 2017). La discrepanza nei risultati è in parte da attribuire alla notevole variabilità delle misurazioni della concentrazione di -syn tra i

51 vari laboratori, e all’interno dei medesimi laboratori, causata da contaminazione per emolisi dei campioni (Atik et al., 2016). In condizioni fisiologiche, infatti, circa il 99% di α-syn plasmatica si ritrova all’interno dei GR; questi ultimi potrebbero rappresentare, quindi, un ottimo substrato per studiare il ruolo patogenetico di tale proteina nelle

patologie neurodegenerative (Papagiannakis et al., 2018);(Barbour et al., 2008). Infatti, studi condotti su pazienti affetti da Malattia di Parkinson (MP) hanno confermato

l’ipotesi che il livello di -syn nei GR costituisca un potenziale biomarcatore diagnostico della malattia; nello specifico, alcuni studi hanno dimostrato un aumento significativo della forma dimerica di -syn, del rapporto tra la forma dimerica e quella monomerica (Papagiannakis et al., 2017) e del rapporto tra la forma oligomerica e t--syn (X. Wang et al., 2015). Anche nei pazienti con MA, gli studi dimostrano risultati contrastanti. Dal nostro studio è emerso che t--syn è presente all’interno dei GR in concentrazioni significativamente ridotte nel gruppo dei pazienti con MA rispetto ai CS. Anche gli eterodimeri α-syn/Tau e α-syn/Aβ42 si ritrovano in concentrazioni eritrocitarie ridotte a livello eritrocitario nei pazienti con MA. Le concentrazioni degli eterodimeri α-syn/Tau e α-syn/Aβ42 permettono di distinguere i due gruppi con un’affidabilità diagnostica “moderata”, mentre quella di t-α-syn con affidabilità diagnostica “limitata”. La riduzione della concentrazione eritrocitaria di t--syn e dei suoi eterodimeri nei soggetti MA non riflette l’incremento di α-syn che si ritrova, invece, a livello liquorale (Wong & Krainc, 2017). Si può ipotizzare che tale riduzione sia riconducibile a un danno a carico dei GR, che altera alcune loro funzioni fisiologiche, tra cui la clearance di proteine plasmatiche

misfolded. A questo riguardo recenti studi hanno anche evidenziato che nella MA il

numero dei GR è ridotto (J. Wang et al., 2017). Ipotizziamo quindi, che la riduzione nel numero di GR e la loro ridotta capacità di clearance di proteine plasmatiche misfolded possano essere causa della diminuzione delle concentrazioni eritrocitarie di α-syn e i suoi eterodimeri nei pazienti con MA. Tale danno potrebbe anche essere causato da α-syn stessa; essa, infatti, risulta capace di legarsi ai lipidi di membrana degli eritrociti, alterandone la composizione e destabilizzandoli. La α-syn modifica, inoltre, la propria

conformazione e si aggrega sotto l'influenza di molti fattori, tra cui la sua interazione con molte altre proteine (Sengupta et al., 2015). E’ stato osservato, infatti, che α-syn induce fibrillazione sia della proteina Tau sia della β-amiloide (Parnetti et al., 2013), e la sua interazione con queste proteine determina la formazione di “oligomeri ibridi”, ossia

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eteroaggregati, che si ritrovano anche a livello periferico (Daniele et al.,

2018);(Giacomelli et al., 2017a). Tali aspetti suggeriscono un potenziale ruolo di α-syn e dei suoi eterodimeri α-syn/Tau e α-syn/Aβ42 nel processo neurodegenerativo

(Wong & Krainc, 2017);(Valera et al., 2016). Per questo motivo, nel nostro studio si è

andati a valutare anche la concentrazione eritrocitaria degli eterodimeri α-syn/Tau e α-syn/Aβ42, ricercando un loro potenziale valore diagnostico nella MA. Nelle malattie

neurodegenerative è stato inoltre dimostrato come la concentrazione di proteine

misfolded e di eteroaggregati tossici sia in equilibrio dinamico nei vari compartimenti,

ossia cerebrale, CSF e periferico. Ciò ha evidenziato l'opportunità di esaminare biomarcatori periferici che potrebbero correlare con le lesioni cerebrali e con la progressione della malattia (Giacomelli, Daniele, & Martini, 2017b). A tale riguardo, il sangue è emerso come fonte di biomarcatori di neurodegenerazione, vista la semplicità, il minor costo e la minor invasività che comporta una sua analisi rispetto al CSF. Infatti, alterazioni patologiche nelle proteine del sangue sono state suggerite riflettere i cambiamenti nel CSF attraverso la semplice diffusione o la compromissione della barriera emato-encefalica, quest’ultimo aspetto tipico della neurodegenerazione (Daniele et al., 2018). Inoltre, il processo di accumulo e aggregazione di proteine misfolded comincia anche decenni prima dell'inizio dei sintomi clinici della malattia; il riconoscimento di tali proteine in fase asintomatica può permettere il tempestivo intervento terapeutico, con lo scopo di bloccare il meccanismo patogenetico.

Anche il peptide A42 danneggia gli eritrociti; infatti, l’interazione di Aβ42 con i globuli rossi ne altera sia la morfologia che le dimensioni, sia alcune fisiologiche funzioni eritrocitarie, tra le quali la capacità di questi ultimi di deformarsi al momento del passaggio nei capillari. Questo sembra contribuire all’ipossia cerebrale, portando ad una riduzione del flusso cerebrale e di conseguenza ad un calo dell’ossigenazione a livello encefalico, con conseguente perdita neuronale. Tali processi sono implicati nella genesi della MA (Nakagawa et al., 2014);(Wojsiat et al., 2017). Inoltre, da uno studio condotto su un gruppo di pazienti con MA confrontati con controlli sani, è emerso che il 98% dei GR dei pazienti presenta in superficie aggregati o fibrille di A42, mentre, nei controlli, tali composti risultano presenti solo nel 38% dei GR (Wojsiat et al., 2017);(Lan et al., 2015). Sembra, quindi, che il peptide A42 anche a livello periferico rivesta un ruolo fondamentale nella patogenesi della MA, in particolare nella genesi delle placche amiloidi

53 cerebrali, come suggerisce “l’ipotesi della cascata amiloide” (Gandy, 2005). Questo accumulo cerebrale si riflette in una conseguente diminuzione di concentrazione di A42 all’interno del CSF; tale alterazione è ormai considerata patognomonica di MA, nonostante possa essere riscontrata anche in altre patologie neurodegenerative (Dubois et al., 2014). Dal momento che A42 può distribuirsi sia nel sistema centrale sia in quello periferico, attraverso specifici trasportatori, il dosaggio della concentrazione eritrocitaria di A42 può riflettere quella cerebrale (J. Wang et al., 2017). A conferma di ciò, in un recente studio è stato osservato che le concentrazioni plasmatiche di A42 diventano

progressivamente più basse passando da naMCI ad aMCI e infine ai soggetti MA. Questo risultato è in accordo con i risultati di un ulteriore studio, secondo il quale Aβ42 plasmatico

diminuisce in pazienti con MA, ma non in altri pazienti cognitivamente sani (Hanon et al., 2018). Differenti sono i dati ottenuti in altre numerose indagini che, al contrario, dimostrano una scarsa correlazione tra la concentrazione di A42 liquorale e quella plasmatica (Hansson et al., 2010). Anche nel nostro studio la concentrazione eritrocitaria di A42 dei pazienti MA non presenta differenze significative rispetto a quella dei CS; inoltre la capacità del peptide di discriminare i due gruppi è risultata “nulla”. Una spiegazione per questa mancanza di associazione tra MA e livello di A42 eritrocitario è la possibilità che la frazione misurata nei GR non sia soltanto il prodotto dei processi patologici cerebrali, ma anche l’espressione di una sua sintesi periferica (M. Chen, Inestrosa, Ross, & Fernandez, 1995); infatti, sembra che i GR stessi siano implicati sia nella produzione di A42 (grazie all’espressione di APP) sia nel suo trasporto verso organi e tessuti deputati alla eliminazione (J. Wang, Gu, Masters, & Wang, 2017). Dobbiamo comunque ricordare che la divergenza nei risultati tra i vari studi potrebbe essere attribuibile anche all’influenza che altri fattori esercitano sulle concentrazioni di Aβ42 all’interno dei GR, come l’età (Hanon et al., 2018); infatti in soggetti di età avanzata sono state osservate concentrazioni intra-eritrocitarie di A42 più elevate rispetto a individui più giovani, probabilmente per una modificazione del metabolismo di A42 stesso (Kiko et al., 2012). Alcune analisi, inoltre, hanno riscontrato che nella MA si riduce la capacità dei GR di legare A42 e di mediarne la clearance (Rogers et al., 2006);(Chen et al., 2017): ciò può determinare un aumento della concentrazione di A42 nel circolo plasmatico. In tal caso si verrebbe a creare un circolo vizioso in cui A42 rappresenta una fonte di

54 tossicità per l’eritrocita, e l’eritrocita stesso, danneggiato, è responsabile di un incremento del danno neuronale (Wojsiat et al., 2017). In conclusione, in base ai dati attualmente presenti in letteratura e secondo quanto emerge dal nostro studio, la concentrazione eritrocitaria di A42 non risulta significativa nel discriminare i pazienti affetti da MA dai CS. In futuro potrebbe dimostrarsi utile per chiarire le controversie dei precedenti risultati dosare le concentrazioni plasmatiche del peptide Aβ42 e stabilire il rapporto tra esse e le rispettive concentrazioni eritrocitarie, distinguendo i soggetti in base alle varie fasce di

età. Per quanto riguarda t-Tau, il nostro studio mostra che le sue concentrazioni eritrocitarie

nei pazienti affetti da MA sono quantitativamente comparabili a quelle riscontrate nei CS. Questa proteina si ritrova principalmente associata ai microtubuli degli assoni corticali; le sue concentrazioni liquorali sono direttamente correlate a processi di degenerazione e di perdita neuronale corticale, presenti anche in altre patologie neurodegenerative (Jack et al., 2013). Nonostante la sua bassa specificità, l’aumento della concentrazione di t-Tau nel CSF è tra i biomarcatori utilizzati nella diagnosi di MA (Blennow et al., 2010). Inoltre, la concentrazione di t-Tau liquorale correla direttamente all’intensità e rapidità di morte neuronale; infatti, alti livelli di t-Tau, sia liquorali che plasmatici, sono associati a un accelerato peggioramento cognitivo rilevabile al MMSE, una rapida riduzione del volume ippocampale e a un ipometabolismo corticale riscontrabile alla 18FDG-PET (Mattsson et al., 2016). Altre indagini hanno riscontrato una consistente associazione tra la MA e alti livelli di t-Tau misurati nel plasma o nel siero, relazione che non è stata evidenziata invece nei controlli sani (Olsson et al., 2016). In conclusione, in base ai dati attualmente disponibili, la misurazione di t-Tau nel sangue non rappresenterebbe un biomarcatore diagnostico della MA. Il nostro studio conferma che anche i livelli eritrocitari di questa proteina non mostrano differenze statisticamente significative tra il gruppo con MA e il gruppo di controllo. Tuttavia, in studi successivi, considerando il legame tra t-Tau e i processi neurodegenerativi, potrebbe essere interessante andare a confrontare l’andamento della sua concentrazione eritrocitaria all’interno dello spettro delle malattie neurodegenerative e valutarne le eventuali differenze.

Il punto di forza del nostro studio è di aver confrontato l’accuratezza diagnostica dei nostri biomarcatori eritrocitari (Aβ42, t-Tau, t-α-syn e gli eterodimeri α-syn/Tau e α-syn/Aβ42) nel distinguere un gruppo di pazienti con MA con diagnosi non solo clinica ma anche

55 fisiopatologica (Aβ42 e t-Tau liquorali, PET-amiloide), da un gruppo di controllo di soggetti cognitivamente sani di pari età e sesso (Dubois et al., 2014). È importante, ad ogni modo, tenere in considerazione la presenza di alcuni limiti dello studio come la relativa bassa numerosità del campione esaminato, l’assenza di un follow-up dei pazienti, che non ha permesso di esaminare il potenziale valore prognostico dei biomarcatori eritrocitari nel tempo, la presenza di pazienti unicamente affetti dalla tipica sindrome amnesica ippocampale, escludendo dunque individui con esordio clinico cognitivo atipico, dove il disturbo di memoria è meno marcato (le varianti posteriore, logopenica e frontale). Rimane dunque da capire e valutare se la presenza dei biomarcatori nei GR vari a seconda dei differenti fenotipi clinici. Un ulteriore limite è rappresentato dal fatto di

non aver confrontato le concentrazioni eritrocitarie dei biomarcatori, in particolare di t-α-syn e degli eterodimeri α-syn/Tau e α-syn/Aβ42, con le rispettive concentrazioni

plasmatiche, per stabilire l’esistenza di un eventuale nesso tra le due e per chiarire il loro ruolo nel processo patogenetico. Future indagini potrebbero essere rivolte alla ricerca di questi biomarcatori, non solo a livello eritrocitario ma anche plasmatico e in altre strutture cellulari nel sangue, come le piastrine.

Infine, ricordando l’eziologia multifattoriale della MA e l’esistenza di molteplici fattori implicati nella patogenesi dei disturbi neurodegenerativi, potrebbe rivelarsi utile valutare la concentrazione intra-eritrocitaria anche di p-Tau (che riflette specificamente la presenza dei grovigli neurofibrillari), -syn fosforilata (in quanto costituisce il 90% dell’-syn insolubile all’interno dei corpi di Lewy) (Atik et al., 2016), le fibrille o gli aggregati di A (che si legano ad una quota di GR nettamente maggiore in pazienti MA rispetto a controlli sani) (Lan et al., 2015) e infine la forma oligomerica dell’-syn, il cui dosaggio intra-eritrocitario ha già fornito risultati significativi nella MP (X. Wang et al., 2015).

Per validare ed espandere tali risultati si rende dunque necessario effettuare ulteriori studi su un maggior numero di pazienti, prendendo in esame i diversi fenotipi clinici nei differenti stadi di malattia, e valutare i cambiamenti nel tempo dei biomarcatori in relazione all’evoluzione del processo patogenetico. Queste indagini, nel complesso, potranno servire non solo per ottenere un’ulteriore conferma diagnostica e una valutazione di tipo prognostico, ma anche per fornire chiarimenti aggiuntivi riguardo i meccanismi patogenetici implicati nelle malattie neurodegenerative.

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