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Lo studio dimostra che l’associazione metformina-sitagliptin è efficace nel migliorare la performance beta-cellulare e la sensibilità insulinica rispetto al trattamento con metformina o sitagliptin in monoterapia nelle donne prediabetiche con pregresso diabete gestazionale. L’OGTT e il clamp iperglicemico, se utilizzati in combinazione, forniscono una descrizione abbastanza fedele dello studio della funzione beta-cellulare in risposta al trattamento. Sebbene 4 mesi di terapia rappresentino un periodo di tempo relativamente breve, è stato comunque possibile dimostrare che l’associazione metformina-sitagliptin è più efficace dei singoli trattamenti in monoterapia nel migliorare la prima fase di secrezione insulinica. Il clamp iperglicemico ha consentito, infatti, di valutare la risposta al glucosio della beta-cellula senza la mediazione dei fattori gastro-intestinali (incretine e molti altri) coinvolti nel metabolismo postprandiale. E’ interessante notare che l’Insulinogenic index, parametro derivato dall’OGTT, non è stato modificato significativamente da alcun trattamento, suggerendo che l’effetto di sitagliptin non era tale da interferire in modo significativo sulla performance beta-cellulare mediata dagli ormoni incretinici. Tuttavia, se la funzione beta-cellulare derivata dall’OGTT era calcolata in rapporto alla modificazione della sensibilità insulinica (Disposition Index), un netto miglioramento della performance beta-cellulare era dimostrabile nel gruppo trattato con la combinazione metformina-sitagliptin, in linea con quanto osservato durante il clamp iperglicemico.

Altri studi hanno evidenziato come il trattamento farmacologico possa ridurre il rischio di sviluppare diabete nei soggetti con prediabete. In particolare, alcuni

studi hanno esplorato gli effetti della terapia farmacologica in donne con pregresso diabete gestazionale.

Analogamente a quanto da noi osservato, anche nel recente studio di Elkind- Kirsch l’associazione metformina-sitagliptin si è dimostrata superiore rispetto alla sola metformina nel normalizzare la glicemia a digiuno e nel migliorare la sensibilità e la secrezione insulinica, ipotizzando che il miglioramento della funzione beta-cellulare sia attribuibile alla modificazione del sistema incretinico. Il nostro studio evidenzia come la combinazione sia superiore anche alla sola terapia con sitagliptin.

La metformina viene spesso impiegata nelle donne con pregresso diabete gestazionale con ridotta tolleranza glucidica e sovrappeso. I risultati di questo studio mostrano che l'efficacia della metformina può essere esaltata dal concomitante uso di sitagliptin. Infatti l’aggiunta di sitagliptin alla metformina ha comportato un miglioramento della secrezione e dell’azione insulinica, con conseguente miglioramento nella glicemia a digiuno e dopo carico. La metformina esercita il suo effetto tramite una azione di insulino- sensibilizzazione e precedenti studi hanno dimostrato come la metformina possa ridurre la conversione da prediabete a diabete manifesto in soggetti a rischio elevato (72). Grazie all’azione sensibilizzante, la somministrazione di metformina si associa ad un minor grado di progressione della disfunzione beta- cellulare, come indicato da una minore riduzione dell’indice HOMA-B (indice surrogato di funzione beta-cellulare) (73). A questa maggiore protezione della beta-cellula possono contribuire la minore glucotossicità, ma anche un possibile effetto diretto sulle beta-cellule. Studi in vitro hanno dimostrato un aumento della secrezione insulinica in pancreas isolati e perfusi o in beta-cellule isolate

esposti alla metformina (74), con un miglioramento del pattern di secrezione e la riduzione dei processi apoptotici, in presenza di concentrazioni tossiche di glucosio o acidi grassi liberi (FFA) (75).

In uno studio condotto su insule pancreatiche isolate da sei donatori di organi affetti da diabete mellito tipo 2, Marchetti et al. hanno inoltre dimostrato come concentrazioni terapeutiche di metformina fossero in grado di migliorare la sopravvivenza delle beta-cellule e di ridurre l’espressione di diversi marcatori di apoptosi (76).

Numerosi sono anche gli studi sperimentali che hanno dimostrato un ruolo degli incretino-mimetici sulla funzione e sulla massa delle beta-cellule (77-81).

La terapia incretinica, sia con inibitori degli enzimi DPP-4 sia con analoghi recettoriali del GLP-1, corregge molti dei difetti patogenetici tipici del diabete tipo 2, potenziando la secrezione insulinica post-prandiale, riducendo le concentrazioni di glucagone, riducendo l’appetito e il peso corporeo. In aggiunta, diverse evidenze sperimentali e cliniche suggeriscono un ruolo di potenziale preservazione della funzione beta-cellulare. Infatti, studi in modelli sperimentali hanno dimostrato come la terapia incretinica sia in grado di determinare la proliferazione e la differenziazione delle beta-cellule, di indurre neogenesi e ridurre i fenomeni apoptotici (82-84), di aumentare la massa beta- cellulare e garantire un normale rapporto tra beta-cellule e α-cellule. Ratti Zucker (Zucker diabetic fatty rats; ZDF), sottoposti a infusione continua di GLP- 1 per 2 giorni, mostravano un miglioramento del compenso glicemico, un aumento della proliferazione delle beta-cellule, come dimostrato dagli aumentati livelli di Ki-67, un marcatore di proliferazione delle beta-cellule, e una riduzione dei marcatori di apoptosi. Anche l’inibizione dell’enzima DPP-4 ha promosso il

ripristino di un normale rapporto β-cellule/α-cellule in modelli animali (topi) di diabete tipo 2 (85). Studi clinici sugli inibitori del DPP-4 mostrano un miglioramento della capacità secretiva della beta-cellula e degli indici surrogati di funzione beta-cellulare, come l’indice HOMA-B e il rapporto proinsulina/insulina (86).

Le evidenze a disposizione supportano l’ipotesi che in soggetti ad alto rischio di sviluppo del diabete tipo 2, quali sono le donne con pregresso diabete gestazionale, sitagliptin e metformina potrebbero svolgere un effetto sinergico sul miglioramento del metabolismo glucidico e sul rischio di progressione a diabete conclamato agendo rispettivamente sull’incremento della secrezione e sensibilità insulinica. Il nostro studio, peraltro, è di breve durata e non consente di trarre conclusioni sull’effetto a lungo termine dell’associazione metformina- sitagliptin. Ulteriori studi sono necessari per stabilire se la modificazione della funzione beta-cellulare e sensibilità insulinica sia sostenibile nel lungo termine. A tal fine sono necessari studi di durata maggiore e basati sul coinvolgimento di un campione più numeroso di soggetti a rischio di sviluppo del diabete tipo 2 e pregresso diabete gestazionale. Ciononostante, è rilevante osservare che, per quanto piccolo sia il nostro campione, tra le donne con trattamento combinato si sia osservato un maggior numero di riconversione a uno stato di normale tolleranza glucidica. Il nostro studio non ha distinto tra i diversi tipi di condizione prediabetica. Soggetti con IFG o IGT possono presentare alterazioni diverse dei meccanismi responsabili dell’alterazione dell’omeostasi glucidica. In presenza di IFG l’alterazione della produzione endogena (soprattutto epatica e dipendente dall’insulino-resistenza del fegato) è preponderante rispetto al difetto di secrezione beta-cellulare in risposta a un carico che invece caratterizza i

soggetti con IGT nel periodo post-prandiale. Coloro che manifestano contemporaneamente entrambe le condizioni sono, quindi, quelli che rischiano maggiormente di progredire verso la malattia conclamata. Di conseguenza, dal momento che lo studio non prevedeva di identificare prima dell’arruolamento e randomizzazione soggetti con identica alterazione della tolleranza glucidica, è possibile che ciò, in associazione al numero contenuto di partecipanti, abbia ridotto la capacità dei test di stimolo di isolare gli effetti dei farmaci in monoterapia sulla funzione beta-cellulare e sulla sensibilità insulinica.

L'adiposità centrale ha un ruolo rilevante sulla fisiopatologia alla base dello sviluppo delle alterazioni metaboliche glucidiche nelle donne con pregresso diabete gestazionale. Fino a poco tempo fa il tessuto adiposo è stato considerato solo una sede di deposito di energia sotto forma di trigliceridi, immagazzinati durante la fase postprandiale e mobilizzati sotto forma di acidi grassi liberi (FFA) nella fase interprandiale e, in maniera più importante, nel digiuno prolungato. In realtà il tessuto adiposo interviene nella regolazione di numerose e forse tutte le funzioni fisiologiche dell’organismo, possedendo le caratteristiche di una grande e diffusa ghiandola endocrina (87).

Numerose osservazioni sperimentali negli ultimi anni hanno dimostrato che il tessuto adiposo produce ormoni, definiti “adipocitochine” o “adipochine”. Alcune aumentano la sensibilità insulinica (ad esempio adiponectina, leptina); altre, al contrario, la riducono causando insulino-resistenza (ad esempio resistina, fattore di necrosi tumorale [TNF]-, interleuchina [IL]-6). Il tessuto adiposo viscerale e, in misura minore, addominale sottocutaneo mostrano minore sensibilità all’insulina, il principale ormone antilipolitico e ciò fa sì che nelle situazioni in cui vi è un aumento di adipe in sede addominale, soprattutto a

livello viscerale, vi sia un abbondante rilascio di FFA e glicerolo per idrolisi dei trigliceridi di deposito. Gli FFA esercitano un differente ruolo sulla secrezione insulinica in funzione della durata dell’esposizione ai medesimi. Essi sono importanti secretagoghi, soprattutto in assenza di glucosio, nel breve termine mentre se le beta-cellule sono esposte agli FFA per periodi prolungati la capacità di secernere insulina in risposta allo stimolo glucidico si riduce. È stato suggerito che una competizione di substrato FFA-glucosio nelle beta-cellule, attraverso l’inibizione dell’attività della piruvato deidrogenasi, si traduce in una compromissione della secrezione insulinica. È stato anche osservato che un’aumentata esposizione delle beta-cellule ai FFA determina una ridotta utilizzazione e ossidazione del glucosio e un accumulo di trigliceridi, oltre che un aumento dei fenomeni apoptotici. È interessante sottolineare che l’effetto deleterio esercitato sulle beta-cellule dall’esposizione ad elevate concentrazioni di FFA viene antagonizzato dalla metformina e dai glitazoni. Nel nostro studio, il BMI si è significativamente ridotto nei tre gruppi, mentre la circonferenza vita si è significativamente ridotta nel gruppo sitagliptin. Tale risposta potrebbe aver contribuito al raggiungimento dei miglioramenti in termini di funzione beta- cellulare e sensibilità insulinica nel gruppo trattato con l’associazione metformina-sitagliptin.

Infine, il profilo lipidico e la pressione arteriosa non sono stati modificati significativamente da alcun trattamento.

Questo studio presenta alcuni punti di forza e alcuni limiti: nell’ambito della prevenzione del diabete mellito mediante intervento farmacologico, nelle donne con pregresso diabete gestazionale e con persistenza di alterazioni glicemiche, questo studio è il primo ad impiegare sia l’OGTT sia il clamp iperglicemico per

sfruttare i vantaggi di entrambi nella valutazione della funzione beta-cellulare ed insulino-sensibilità.

La terapia con sitaglitpin e metformina è stata ben tollerata. La frequenza del drop-out dello studio è stata più elevata nel gruppo MET+SITA, ma non era dovuta all’aumento degli effetti collaterali la cui frequenza è stata simile nei 3 gruppi di trattamento.

La ridotta numerosità del campione e la mancanza della selezione della tipologia di tolleranza glucidica prima del trattamento ha ridotto la capacità dell’intervento farmacologico di isolare e identificare effetti specifici delle singole molecole sui parametri valutati mediante OGTT e clamp iperglicemico. Data la breve durata del trattamento, questo studio non consente di estrapolare alcun dato relativo sulla persistenza del miglioramento della funzione beta- cellulare e alla potenziale riduzione del rischio di progressione a diabete tipo 2, per i quali sono necessari studi di lunga durata e su un numero maggiore di soggetti prediabetici.

In conclusione, lo studio dimostra che in donne con prediabete e pregresso diabete gestazionale la terapia con l’associazione metformina e sitagliptin è più efficace nel migliorare funzione beta-cellulare e insulino-sensibilità rispetto alla monoterapia con metformina e sitaglitpin, suggerendo un potenziale effetto sinergico sui meccanismi fisiopatologici alla base della progressione dal prediabete al diabete conclamato. Sono comunque necessari ulteriori studi di intervento finalizzati alla valutazione dell’efficacia e sicurezza a lungo termine di tale terapia di associazione, non solo in termini di ripristino della tolleranza

glucidica, ma anche in termini di conservazione di una normale funzione beta- cellulare e sicurezza.

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