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DISCUSSIONE E CONCLUSION

Nel documento IL PARTO IN ANALGESIA (pagine 62-69)

Nel nostro campione le nullipare costituiscono la popolazione più numerosa (66,73%) in assoluto e nei sottogruppi.

A richiedere il parto in analgesia farmacologica sono il 79,55% delle primigravide, rispetto al 19,23% delle multipare, dato molto significativo dal punto di vista statistico (P<0,01%). (Tabella 2- Grafico 1)

E’ intuibile come la paura dell’ignoto, l’ansia e l’inesperienza possano spingere la gestante ad avvalersi del metodo che con più sicurezza la possa liberare dal dolore del parto; la farmacoanalgesia.

Non si può escludere che, per carenza d’informazione, tutte queste gestanti non abbiano avuto consapevolezza delle possibili complicanze dell’epidurale. La percentuale delle richieste pervenute alla nostra equipe anestesiologica è più elevata di quanto riportato da altri autori (52).

Uno degli iniziali effetti negativi che forse le donne non conoscono è che il travaglio in epidurale diventa sempre indotto, poiché l’induzione si rende necessaria nel 100% dei casi.

La durata del travaglio, che altri autori riferiscono allungata di circa un’ora nel parto in analgesia, nella nostra casistica si allunga in media di due ore rispetto a quella delle nullipare non anestetizzate, differenza anche questa statisticamente significativa (47)

Non sono significativi i dati che riguardano le lacerazioni severe, poco numerose nel nostro studio, contrariamente a quanto riportato dai dati della letteratura (53, 54). La frequenza di lacerazioni severe è però indirettamente proporzionale all’uso dell’episiotomia, che arriva ad essere praticata fino nel 52,02% nei parti con l’epidurale contro il 37,05% dei parti senza epidurale (differenza significativa).

Conoscendo gli effetti avversi a distanza delle lacerazioni perineali gravi, quali l’incontinenza fecale, il dolore perineale e le fistole rettovescicali, il ricorso all’episiotomia profilattica di cui ormai si metteva in dubbio la necessità, si renderà sempre più necessaria con l’estendersi dell’uso dell’epidurale in travaglio di parto.

La bassa incidenza dei parti operativi si rapporta inversamente con l’alta incidenza dei Tagli Cesarei (TC) (83,4% verso il 16,6%) praticati d’urgenza dopo l’inizio di un travaglio in epidurale.

Molti autori non trovano significatività statistica per l’aumento dell’incidenza dei il TC dopo analgesia, anche se ne ammettono un lieve incremento (55).

M.C. Klein si meraviglia dei dati della Metaanalisi Cochrane 2003 che minimizzano la frequenza dell’uso del TC a causa dell’analgesia nel travaglio e riporta dati di altri autori che invece sono più simili ai nostri, con punte del 70% (56).

Questo autore ricorda le sequele a distanza per le future gravidanze che insorgono dopo precedenti TC, come le patologie della placentazione, gli aborti, l’infertilità e le gravidanze ectopiche. Tutto ciò

stimola gli studiosi ad indagini più numerose e puntuali per conoscere le varie complicanze ostetriche legate alla partoanalgesia epidurale (57). Purtroppo l’aumento del ricorso al TC è ormai un problema sociale su cui incidono vari fattori: i contenziosi medico-legali sempre più frequenti, l’abilità dei moderni operatori ostetrici, la scarsa preparazione delle donne all’attesa e al minimo sacrificio e il mutato approccio alla nascita di tutto il “sociale”.

La pratica dell’analgesia farmacologica “tout-court”, che sarà sempre più diffusa, non ci aiuterà a ridurre tali problematiche. Ma quando parliamo di TC non possiamo tralasciare le indicazioni che hanno portato a programmarli. Nel 50,4% dei casi infatti si tratta di pregressi TC: è un gatto che si morde la coda!

L’anestesia epidurale è certamente il metodo più efficace nella ricerca del sollievo dal dolore nel travaglio di parto. Il suo impiego sta aumentando in Italia, in modo routinario in alcuni ospedali, occasionale in altri (58). Viene raccomandato anche da autorevoli studiosi e persino la politica ne ha fatto una bandiera del sociale. La disponibilità gratuita di tale analgesia fa parte del patto della salute contenuto nella prossima finanziaria.

L’utilizzo di tale metodica non è però scevro da complicanze, quali: il prolungamento del travaglio, l’aumento dei casi di iperpiressia nella madre (associato ad un aumentato impiego di antibiotici, sia nella

madre che nel neonato), l’ incremento del tasso dei parti operativi, traumi perineali e del ricorso al taglio cesareo (59).

Gli effetti indesiderati riguardano la madre, i meccanismi del parto e il neonato; alcuni di questi sono dovuti alla procedura stessa. Infatti il rischio di puntura della dura e di malposizionamento subaracnoideo del catetere è stato valutato essere del 3% in campo ostetrico ed è strettamente dipendente dall’esperienza dell’anestesista. E’ stato calcolato che su un numero maggiore a 100 blocchi, la percentuale dei casi in cui si verifica la puntura della dura è dell’1,2%; e in questi casi, come complicanza a breve termine si ha il sintomo cefalea.

Sempre per ciò che riguarda le complicanze della procedura, l’incidenza dell’ematoma peridurale è stimata essere di 1 caso su 150.000 anestesie. Le sequele di lesioni dei nervi periferici possono variare da un transitorio deficit funzionale ad una lesione severa e permanente; per questi casi l’incidenza può variare all’interno di un range compreso tra lo 0,008% e lo 0,36%. Un blocco inaspettatamente prolungato è, invece, il risultato di un alta concentrazione di anestetico locale o di dosi ripetute (48, 49).

L’analgesia ottimale dovrebbe:

 Rispettare l’evoluzione fisiologica del travaglio;

 Risolvere il dolore in maniera assolutamente sicura per madre e feto;

 Assicurare alla donna la partecipazione attiva al parto con spinte volontarie, non dolorose.

Dalla casistica riportata in letteratura e anche dal nostro studio, risulta che le prime due caratteristiche che dovrebbe presentare la partoanalgesia non sono, almeno in parte, rispettate.

La medicalizzazione del parto, contestata solo pochi anni fa dalle

donne a volte con fanatismo, è rientrata trionfante grazie alla partoanalgesia.

L’analgesia non farmacologica, che utilizza tecniche e strategie

diverse per controllare il dolore in travaglio, può produrre prove di efficacia di diverso livello e si può avvalere di:

 Continuità dell’assistenza durante la gravidanza e il parto;  Del rapporto assistenziale ostetrica-donna one-to-one;  Di corsi di preparazione alla nascita con varie metodiche.

Tali modelli, se confrontati con quelli di assistenza convenzionale, dimostrano vantaggi significativi.

A breve termine:

- Riduzione della stimolazione farmacologica (ossitocina e prostaglandine);

- Riduzione della durata del travaglio;

- Minor ricorso a farmaci analgesici e antidolorifici in travaglio; - Maggiore probabilità di avere un parto vaginale spontaneo; - Riduzione del periodo espulsivo;

- Riduzione dei parti operativi;

- Minore incidenza di neonati con indice di Apgar <7 al 5^minuto; - Riduzione dei neonati che necessitano di rianimazione;

- Miglioramento del self control uterino; - Maggiore soddisfazione materna (5).

A lungo termine:

- Minore incidenza della depressione post-partum; - Disponibilità maggiore verso l’allattamento; - Minore difficoltà nell’adattamento materno;

- Ottima percezione dell’esperienza della nascita (60).

Il caposaldo di tutte queste metodiche è l’ampliamento del concetto di “maternity care”, tenendo sempre presente la componente psico- somatica del dolore da parto e non incentrandosi esclusivamente sulle alterazioni organiche e fisiologiche.

Le stesse partorienti che possono usufruire di questa modalità di analgesia riportano come componenti più importanti dell’assistenza durante il travaglio:

 Il supporto emotivo: presenza continuativa, incoraggiamenti e complimenti;

 Il supporto fisico: interventi mirati a ridurre la sete, la fame e il dolore;

 Le informazioni e consigli su quanto sta accadendo e su come farvi fronte;

 L’appoggio per rispettare le sue decisioni e l’aiuto per comunicarle al team di cura;

 L’assistenza del partner.

Indietro non si torna. L’analgesia epidurale sta entrando nella nostra cultura, è ormai divenuta una pratica quotidianamente richiesta ed offerta. Il suo uso però non deve divenire indiscriminato né routinario. Si rischia che gli operatori siano sempre meno interessati all’evento nascita e soprattutto che la donna rimanga sempre più sola, sia in gravidanza che in travaglio.

La complicità con le altre donne che frequentano i gruppi di psicoprofilassi ostetrica, l’orgoglio di esser stata forte, la realizzazione del sé e quindi dell’esser madre si perde e la puerpera che ha partorito con l’aiuto dell’epidurale spesso dice: “E’ andato tutto bene, ma ho fatto l’epidurale”.

Nel documento IL PARTO IN ANALGESIA (pagine 62-69)

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