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Il presente studio, in accordo con una nostra precedente osservazione, dimostra in un'ampia coorte di 261 portatori cronici di infezione da HBV, HBeAg negativa sostenuta da genotipo D, come i livelli di HBsAg varino nelle diverse fasi dell'infezione. I valori mediani dei livelli di HBsAg sono risultati essere crescenti passando dai portatori inattivi [2,04 (range -1,10/4,06) Log10 UI/mL] ai portatori con bassi livelli viremici e senza malattia epatica [2,93 (-0,28/3,83) Log10 UI/mL], fino ai pazienti con epatite cronica [3,66 (2,57/4,92) Log10 UI/mL] (P<0,001). Nei pazienti con cirrosi, invece, i livelli di HBsAg sono risultati significativamente più bassi [3,46 (-

0,36/4,17) Log10 UI/mL] rispetto a quelli dei pazienti con CH (P=0,001). Al contrario, nei 7

pazienti con epatocarcinoma i livelli erano tendenzialmente più elevati [3,83 (3,30/4,38) Log10

UI/mL] rispetto ai cirrotici senza HCC (P=0,052), ma la modesta numerosità del campione potrebbe aver influenzato in modo rilevante il dato (Figura 12).

Anche la viremia ha presentato un andamento progressivamente crescente dai portatori di

infezione senza malattia ai pazienti con epatite [2,13 (range 1,00/3,55) Log10 UI/mL negli IC vs

5,74 (2,79/8,23) Log10 UI/mL nei cirrotici, P<0,001]: tuttavia, i livelli di HBV-DNA, a differenza di

quelli dell'HBsAg, nei cirrotici sono risultati essere più elevati che nei pazienti con epatite cronica

[5,74 (2,79/8,23) Log10 UI/mL vs 5,69 (1,99/8,04) Log10 UI/mL, P=0,210]. In accordo con tali

risultati, il logaritmo del rapporto tra livelli di HBsAg ed HBV-DNA circolanti (Log10

HBsAg/HBV-DNA, ratio), dimostra una progressiva riduzione della produzione di HBsAg rispetto a quella dei virioni infettivi andando dai soggetti IC ai LV (P=0,052), tale riduzione diventa significativa nei pazienti con CH e nei cirrotici (P=0,016) (Figura 16) con e senza HCC.

Questi dati suggeriscono come l’infezione da HBV sia meno produttiva nei portatori senza malattia rispetto ai pazienti con epatite cronica e cirrosi e sono in accordo con lavori storici che dimostravano come nei portatori di HBsAg/anti-HBe positivi la composizione dell'HBsAg circolante, per la scarsa rappresentazione di GP33 e GP36, fosse prevalentemente sostenuta da particelle difettive [125, 126]. Nel corso dell'infezione cronica da HBV le particelle difettive circolanti sono sempre presenti in largo eccesso rispetto ai virioni infettivi, tuttavia con un'ampia

variabilità (compresa fra 102 e 105) influenzata dalla fase dell'infezione [127]. La misura

quantitativa dell’HBsAg rappresenta quindi un marcatore virale complementare all’HBV-DNA: infatti mentre la viremia è l'espressione diretta della replicazione virale (quindi della trascrizione del pregenoma dal cccDNA, ma anche della sua successiva retrotrascrizione in DNA da parte della polimerasi virale) i livelli di HBsAg riflettono l'attività trascrizionale del cccDNA per la produzione degli RNA messaggeri (mRNA) che presiedono alla sintesi delle proteine di superficie del virus e a livello della cellula infetta, le vie che portano alla produzione dell'HBV-DNA e dell'HBsAg sono

distinte e differentemente regolate. In accordo i dati del nostro lavoro che dimostrano come pur essendo i livelli di HBV-DNA e HBsAg associati in modo statisticamente significativo, tuttavia presentano un coefficiente di correlazione non particolarmente elevato (ρ=0,453, P<0,001). I lavori presenti in letteratura suggeriscono che livelli di HBsAg nella fase HBeAg positiva riflettano complessivamente non solo l'attività trascrizionale del cccDNA, ma anche, seppure in modo abbastanza grossolano, la quantità di cccDNA intraepatico[122]. Al contrario nella fase HBeAg negativa con bassa replicazione virale possono essere considerati un indicatore surrogato solo dell'attività trascrizionale del cccDNA, che risulta essere inibita nella fase di controllo immune. Per tale ragione nella pratica clinica la misura quantitativa dell'HBsAg risulta particolarmente utile per identificare, con elevata accuratezza diagnostica e specificità il portatore HBeAg negativo senza malattia (portatore inattivo). Infatti, la contemporanea presenza di bassi livelli di HBV-DNA ( 2.000 IU/ml) e di HBsAg (1.000 IU/ml) indicano il raggiungimento di un elevato livello di controllo trascrizionale del cccDNA sia per quanto riguarda la produzione del pre-genoma che quello degli mRNA per le proteine virali [105, 128].

In realtà la produzione dell'HBsAg è influenzata non solo da fattori che modulano l'attività trascrizionale del cccDNA, ma anche da fattori post-trascrizionali, che possono condizionare soprattutto la secrezione della proteina. Infatti è necessario il rispetto di un preciso rapporto stechiometrico fra le diverse componenti proteiche, derivanti dall'ordinata trascrizione di Pre-S1, Pre-S2 ed S, per aver garantita la secrezione di HBsAg, che altrimenti può accumularsi a livello intracitoplasmatico [123, 129]. A tal proposito numerosi lavori presenti in letteratura suggeriscono come la variabilità per il gene S della quasispecie virale possa avere un impatto anche rilevante sulla capacità di sintesi e secrezione dell'HBsAg [123, 130-132]. In accordo con tali ipotesi sono i dati prodotti da parte di Pollicino T et al. con lo studio in vitro di 3 diverse varianti di HBV con mutazioni della regione Pre-S: uno con delezione a carico del Pre-S1 (nucleotide 183) con perdita del promoter S, una con delezione del codone di inizio del Pre-S2 e una con un codone di stop al codone 182 del gene S. In tutti e 3 i casi è stato dimostrato un accumulo intracitoplasmatico di HBsAg con riduzione della secrezione di HBsAg e dei virioni [131]. Tali dati potrebbero quindi suggerire che con il persistere dell'infezione, in particolare durante la fase di immunoeliminazione, cioè di epatite cronica, si potrebbe avere una progressiva selezione di una quasispecie virale caratterizzata da una minore produzione di HBsAg. In accordo con tale ipotesi anche l'evidenza che nella nostra casistica all’analisi multivariata, i livelli di HBsAg, oltre che indipendentemente

voluto studiare la variabilità a carico del gene S per capire il suo potenziale ruolo nell'influenzare i livelli di HBsAg circolante. A tal scopo abbiamo sequenziato e analizzato l’intero gene S dei 261 portatori cronici nei quali avevamo anche studiato i livelli quantitativi di HBsAg e HBV-DNA presenti nel siero. In 189 (73%) soggetti la quasispecie virale del gene S è risulta essere costituita prevalentemente da virus non mutati (con sequenza uguale a quella di riferimento), mentre in 35 (13%) prevale una quasispecie mutata. Nei restanti 37 soggetti (14%) la quasispecie virale è risultata essere mista, costituita cioè da virus con e senza mutazioni nelle regione S. Delle 3 regioni del gene S l’eterogeneità in Pre-S2 è risultata essere prevalente rispetto a quella in Pre-S1 e Small S (18% vs 5,8% vs 10%, P<0,001).

Per quanto riguarda la correlazione fra eterogeneità del gene S e malattia di fegato HBV indotta abbiamo osservato un progressivo incremento della prevalenza delle mutazioni passando dai soggetti con infezione senza malattia a quelli con epatite cronica, cirrosi e HCC (7% vs 31,7%, 52,5% e 100% rispettivamente). Inoltre, nei pazienti con malattia la presenza di mutazioni del gene S risultava correlata ad una età più elevata sia nei CH (47 vs 39, P=0,002) che nei CI (59 vs 55,

P=0,024). Tali dati sono in accordo con quelli riportati in letteratura in casistiche meno numerose

[59, 60, 133] e suggeriscono come la complessità della quasispecie virale cresca progressivamente nei soggetti con malattia di fegato in base alla sua severità e durata. In accordo i dati relativi ai profili mutazionali: complessivamente 72 portatori presentano almeno 1 mutazione a carico del gene S; 24 (33,3%) solo mutazioni puntiformi, 27 (37,5%) delezioni e solo in 1 caso (1.4%) inserzioni. Infine, 20 (27,8%) soggetti presentano mutazioni combinate (sia puntiformi che delezioni/inserzioni). Da sottolineare come nei soggetti IC e LV le mutazioni, oltre ad essere meno frequenti, risultassero essere prevalentemente puntiformi [4 (80%) dei 5 IC con mutazioni e 2 (66,7%) dei 3 LV con mutazioni]; al contrario nei pazienti con CH, CI e HCC le delezioni/inserzioni e le mutazioni combinate rappresentavano rispettivamente l’81% (21/26), il 61% (19/31) e l’86% (6/7) delle mutazioni.

Lo studio delle mutazioni descritte in base alla loro localizzazione nel gene S dimostra come l'eterogeneità della regione Pre-S1 sia modesta, con scarsa rappresentazione delle mutazioni non solo nei portatori con bassa replica (sono infatti assenti nei portatori inattivi e presenti in 1 soggetto LV), ma anche nei pazienti con epatite cronica (5/82, 6,1%) e cirrosi senza HCC (6/59, 10,2%). Al contrario mutazioni nel Pre-S1 sono state osservate in (3/7) 42,9% dei cirrotici con HCC; P=0,005.

La regione Pre-S2 si è dimostrata essere la regione del gene S con più alta eterogeneità, con un andamento della prevalenza delle mutazioni crescente con la severità della malattia epatica: più bassa nei portatori senza malattia [2/71 (2,8%) degli IC e 2/42 (4,8%) dei LV] rispetto ai pazienti CH [18/82 (22%)], cirrotici [18/56 (30,5%)] e con HCC [6/7 (85,7%)] (P<0,001).

CHB, in 10 (16,9%) cirrotici e in 3 (42,9%) dei 7 pazienti con HCC (P=0,002).

In 30 casi le mutazioni coinvolgevano il codone di inizio (ATG) di una delle 3 regioni: la mutazione più frequente, osservata in 25 dei 30 (83,3%) pazienti anche in questo caso interessava l'ATG del Pre-S2; in 3 (10,0%) casi l’ATG del Pre-S1 e in 2 casi (6,7%) quello dello Small S.

Come precedentemente discusso le mutazioni del gene S, in particolare quelle che impediscono l'inizio della traduzione della proteina (come le mutazioni del codone di inizio) dovrebbero, se sono presenti nella popolazione virale prevalente, influenzare i livelli di produzione di HBsAg, riducendoli. In realtà, dal nostro studio non emerge nessuna correlazione tra mutazioni a carico del gene S o di specifiche regioni (Pre-S1, Pre-S2 e Small S) e livelli di HBsAg. Infatti, i pazienti con epatite cronica o cirrosi dimostrano livelli di HBsAg simili indipendentemente dalla quasispecie

virale [3,70 (range 2,57/4,92) Log10 UI/mL nei CH con gene S wild vs 3,65 (2,95/4,11) Log10

UI/mL CH con gene S mutato, P=0,683; e 3,46 (range 2,41/4,17) Log10 UI/mL nei CI con gene S

wild vs 3,46 (-0,36/3,95) Log10 UI/mL CH con gene S mutato, P=0,915]. Per contro, nei pazienti

con cirrosi, le mutazioni in pre-S2 e sul “determinante a” della proteina Small, sono risultate essere

associate a livelli di HBV-DNA più bassi (5,06 vs 5,92 Log10 IU/ml, P=0.035 e 7,69 vs 5,23 Log10

IU/ml, P=0,011; rispettivamente), facendo ipotizzare una possibile interferenza di tali mutazioni sull'efficienza replicativa o produttiva.

Anche le mutazioni a carico del determinante “a” dello Small S, regione responsabile del riconoscimento da parte delle metodiche commerciali utilizzate nella determinazione di HBsAg [66] sono risultate essere più frequenti nei malati [18/148 (12,2%) rispetto ai portatori di infezione senza malattia [3/113 (2,7%)], P=0,010). In tal senso è interessante notare che il confronto di due metodiche commerciali (Abbott e Fujirebio) abbia dimostrato complessivamente un’ottima correlazione tra i due test (=0,970, P<0,001), ma una tendenza a ridursi passando dai soggetti con infezione senza malattia ai pazienti con cirrosi ed HCC (Figura 14). Non si può escludere che in alcuni casi la variazione di epitopi antigenici riconosciuti da una delle 2 metodiche possa aver portato alla sottostima dei livelli di HBsAg con un test.

L'analisi della prevalenza delle mutazioni nei siti funzionali del gene S ha documentato la presenza di mutazioni a carico dell’S Promoter in 20 di 261 (7.7%) soggetti, del sito di legame per l’HSC70 (Heat shock protein 70) in 18 (6.9%), della regione di legame per il nucleo capside (NSB) in 37 (14.2%), della regione coinvolta nella secrezione dei virioni (VS) in 9 (8.4%), del sito di legame per l’albumina sierica umana polimerizzata (pHSA) in 22 (8.4%) e, infine, di quello del

dei non cirrotici (CH) a livello del sito di legame per l’HSC70 (P=0,015). Questi dati indicano come nel corso dell'infezione da HBV e in presenza di una risposta immune costante e di lunga durata, ma non in grado di giungere al controllo dell'infezione, si selezionino delle popolazioni virali con mutazioni in punti critici rispetto ai momenti salienti del ciclo biologico del virus ed è verosimile che tali mutazioni contribuiscano a favorire la persistenza di florida replicazione virale.

I risultati del lavoro confermano l'ipotesi che nei soggetti con infezione senza malattia, il rapido raggiungimento del controllo immune dell'infezione durante la fase di immuno-eliminazione limiti la selezione di quasispecie virali complesse, come recentemente dimostrato accadere anche nei bambini con infezione cronica da HBV dopo la sieroconversione HBeAg/anti-HBe [74]. Nei portatori inattivi i bassi livelli di HBsAg conseguono all'elevato grado di inibizione trascrizionale attivo sul cccDNA e conseguente al raggiunto controllo immune.

Nei pazienti con epatite cronica la persistenza di una pressione immunologica favorisce la progressiva selezione di una quasispecie virale, la cui complessità aumenta con il progredire della severità della malattia epatica. Tuttavia, i nostri dati indicano che l'eterogeneità della regione S presente nei pazienti con cirrosi non influenza significativamente i livelli di HBsAg, che pur essendo più bassi nel paziente cirrotico, risultano essere simili nei soggetti con o senza mutazioni nel gene S. E' quindi verosimile che i ridotti livelli di HBsAg conseguano piuttosto ad un diverso assetto dell'infezione in questa fase della storia naturale. La tipologia delle mutazioni descritte nel paziente cirrotico, con frequente interessamento di regioni coinvolte nella regolazione di momenti critici del ciclo replicativo di HBV potrebbero contribuire ad alterare l'equilibrio virus/ospite, favorendo la persistenza della replicazione virale anche in presenza di un specifica risposta immune adattiva.

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