Nella casistica studiata, un’ampia coorte di 260 portatori cronici di infezione da HBV HBeAg negativa sostenuta da genotipo D, i livelli sierici di HBsAg sono risultati essere altamente variabili, con un range che va dai limiti della dosabilità (0,08 UI/mL) a quasi 5 log10 (82.480 UI/ml), con valori mediani significativamente più bassi nei portatori di
infezione senza malattia epatica rispetto ai pazienti con epatite cronica [2,61 (-1,10/4,06) vs 3,62 (2,41/4,92) log10 UI/mL; P <0,001].
Nell’ambito dei soggetti senza malattia di fegato, i livelli di HBsAg sono risultati più bassi nei portatori di infezione HBeAg negativa (precedentemente definiti portatori inattivi, con HBV-DNA ≤2.000 UI/mL) rispetto ai soggetti con bassi livelli viremici (HBV-DNA persistentemente ≤20.000 UI/mL) [2,04 (-1,10/4,06) vs 2,93 (-0,28/3,83) log10 UI/mL; P
<0,001].
Fra i pazienti con danno epatico, i più elevati livelli di antigene di superficie sono stati riscontrati nei pazienti con epatite cronica senza cirrosi [3,66 (2,57/4,92) log10 UI/mL],
mentre nei cirrotici i livelli di HBsAg sono risultati essere significativamente più bassi [3,48 (2,41/4,38) log10 UI/mL; P = 0,001], anche se più elevati rispetto ai portatori di
infezione senza malattia. E’ interessante notare come nei pazienti cirrotici con epatocarcinoma i livelli di HBsAg siano risultati più elevati [3,83 (3,30/4,38) log10 UI/mL]
rispetto a quelli dei pazienti con cirrosi senza epatocarcinoma (Figura 14A).
Tali risultati, oltre a confermare la misura quantitativa dell’HBsAg come uno strumento diagnostico utile alla corretta classificazione del soggetto nella fase HBeAg negativa dell’infezione cronica da HBV, indicano anche come la produzione di HBsAg sia un processo complesso risultante dall’interazione fra numerosi fattori: virali, legati alla risposta immune dell’ospite e allo stato che l’infezione ha raggiunto a livello intraepatico nel singolo individuo.
Per tali ragioni, un corretto inquadramento del portatore HBsAg/anti-HBe positivo comporta non solo la misura quantitativa dell’HBsAg, ma anche il dosaggio dell’HBV- DNA, che rappresenta il marcatore della replicazione virale.
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Nella casistica in studio, la viremia ha dimostrato un andamento simile all’HBsAg con livelli più bassi nei portatori di infezione senza malattia rispetto ai pazienti [2,47 (1,00/4,27) vs 5,69 (1,99/8,23); P <0,001]: tuttavia, i livelli di HBV-DNA, a differenza di quelli dell'HBsAg, nei cirrotici sono risultati essere comparabili a quelli dei pazienti con epatite cronica senza cirrosi [5,66 (2,79/8,23) log10 UI/mL vs 5,69 (1,99/8,04) log10 UI/mL;
P = 0,262]. In accordo con tali risultati, il logaritmo del rapporto tra livelli di HBsAg ed HBV-DNA circolanti (log10 HBsAg/HBV-DNA, ratio) dimostra una progressiva riduzione
della produzione di HBsAg rispetto a quella dei virioni infettivi andando dai soggetti ENI ai soggetti LV, ai pazienti con epatite cronica (ENI vs LV: P = 0,032; ENI+LV vs CH+CI: P < 0,001). In particolare, in quest’ultimo gruppo i valori del ratio suggeriscono come la “produttività” dell’infezione diventi maggiore con il progredire della malattia, in quanto nei pazienti con cirrosi il ratio risulta essere significativamente inferiore rispetto ai pazienti con epatite cronica [-2,37 (-4,68/0,63) vs 2,00 (-4,62/1,99); P = 0,028] (Figura 14C). Questi dati sono in accordo con studi condotti negli anni ‘80 che, caratterizzando l’HBsAg circolante con metodiche di western blotting, dimostrarono una scarsa rappresentazione di GP33 e GP36 nei portatori di HBsAg/anti-HBe positivi senza danno epatico: tale profilo sierologico indicava come l’HBsAg circolante fosse costituito prevalentemente da particelle difettive [137] [138]. In realtà, l’eccesso di produzione di particelle difettive rispetto ai virioni è sempre presente durante l'infezione da HBV, tuttavia il rapporto fra le 2 componenti varia (compresa fra 102 e 105) nelle fasi HBeAg positiva e negativa [139]. L’attuale studio dimostra come ciò avvenga anche all’interno della fase HBeAg negativa e sia proporzionale non solo al livello del controllo immune raggiunto, ma anche alla severità del danno epatico. Quest’ultima evidenza indica come lo studio della produzione di HBsAg in relazione con la replicazione virale sia di estrema importanza per meglio comprendere le implicazioni patogenetiche della rimodulazione del ciclo replicativo di HBV nelle fasi avanzate dell’epatopatia.
La misura quantitativa dell’HBsAg rappresenta quindi una valutazione complementare al dosaggio della viremia. Questa è l'espressione diretta della replicazione virale (in quanto prodotto della retro-trascrizione in DNA del pregenoma, a sua volta trascritto dal cccDNA), mentre i livelli di HBsAg, che è prodotto dalla traduzione di specifici RNA messaggeri (mRNA) attivamente trascritti dal cccDNA, riflettono l’attività trascrizionale di quest’ultimo.
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In effetti, a livello della cellula infetta, le vie che portano alla produzione dell'HBV-DNA e dell'HBsAg sono distinte e differentemente regolate, e quindi una temporanea riduzione della replicazione virale non necessariamente porta ad una riduzione della sintesi di HBsAg. In accordo, nella nostra casistica i livelli di HBV-DNA e HBsAg sono risultati tra loro significativamente associati, ma con un coefficiente di correlazione non particolarmente elevato (ρ=0,623; P<0,001). I lavori presenti in letteratura suggeriscono che livelli di HBsAg nella fase HBeAg positiva riflettano complessivamente non solo l'attività trascrizionale del cccDNA, ma anche, seppure in modo abbastanza grossolano, la quantità di cccDNA intraepatico [133].
Al contrario, nella fase di infezione HBeAg negativa, quando è stato raggiunto un efficace controllo immune dell’infezione, i livelli di HBsAg possono essere considerati un indicatore surrogato dell'attività trascrizionale del cccDNA, che è inibita da meccanismi verosimilmente citochino-mediati. Ne consegue che, nella pratica clinica la misura quantitativa dell'HBsAg è particolarmente utile per identificare, con elevata accuratezza diagnostica e specificità il portatore HBeAg negativo senza malattia (portatore inattivo- portatore di infezione HBeAg negativa, secondo la recente definizione dell’Associazione Europea per lo Studio del Fegato (EASL) [108].
Infatti, la contemporanea presenza di bassi livelli di HBV-DNA (≤2.000 UI/mL) e di HBsAg (≤1.000 UI/mL) indicano il raggiungimento di un elevato livello di controllo trascrizionale del cccDNA sia per quanto riguarda la produzione del pre-genoma che degli mRNA per le proteine virali [112, 140].
Al contrario, quando, nella fase HBeAg negativa, permane una florida replicazione virale per l’incapacità del sistema immune di controllare l’infezione, la produzione dell’HBsAg può essere influenzata non solo dall’attività trascrizionale del cccDNA, ma anche da altri fattori, ad esempio da fattori post-trascrizionali, che possono modulare la secrezione della proteina. Il rispetto di un preciso rapporto stechiometrico fra le diverse componenti proteiche, derivanti dall'ordinata trascrizione di Pre-S1, Pre-S2 ed S, è necessario per aver garantita la secrezione di HBsAg, che altrimenti può accumularsi a livello intracitoplasmatico [134, 141-143].
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A tal proposito, numerosi lavori suggeriscono come la variabilità del gene S nella quasispecie virale possa avere un impatto anche rilevante sulla capacità di sintesi e secrezione dell'HBsAg [144-146].
Sono in accordo con tali ipotesi i risultati prodotti da Pollicino et al. [146] con lo studio in
vitro di 3 diverse varianti di HBV con mutazioni della regione Pre-S: una variante con una
delezione (Δ 47-108 aa) a carico del Pre-S1 (delezione di 183 nucleotidi) responsabile della perdita del promoter S, una con delezione del codone di inizio del Pre-S2 e una con un codone di stop prematuro al codone 182 del gene S (sW182*). In tutti e 3 i casi, gli autori hanno dimostrato un accumulo intracitoplasmatico di HBsAg con riduzione della secrezione di HBsAg e dei virioni [146]. Tali dati suggeriscono come la selezione durante l’infezione di una quasispecie virale mutata nella regione Pre-S/S potrebbe portare ad una ridotta produzione di HBsAg. Nella nostra casistica, l’analisi multivariata ha dimostrato come i livelli di HBsAg fossero indipendentemente associati con la presenza di epatite cronica, livelli di transaminasi (P = 0,047) e HBV-DNA (P<0,001) più elevati, valori di fibroscan più alti (P = 0,024) ed età più avanzata (P<0,001). Inoltre, l’analisi della variabilità del gene Pre-S/S, espressa con tasso di sostituzione amminoacidica rispetto alla sequenza di riferimento, ha dimostrato un elevato grado di variabilità globale (solo il 10,8% dei casi analizzati non mostrava alcuna variazione amminoacidica), ma con una prevalenza maggiore nei pazienti con epatite cronica (sostituzioni amminoacidiche presenti nel 94% dei pazienti) rispetto ai soggetti con infezione senza malattia (83%; P = 0,008). Quando, però, all’analisi multivariata si è considerato il ruolo del tasso di sostituzione amminoacidica nell’influenzare i livelli di HBsAg, questo non è risultato essere rilevante (Tabella 7). Tale osservazione non è in accordo con l’ipotesi precedentemente discussa circa una diretta influenza della quasispecie virale sui livelli di HBsAg circolanti [146, 147].
Per escludere un eventuale effetto confondente di sostituzioni amminoacidiche non rilevanti ai fini della produzione di HBsAg o del suo riconoscimento, l’analisi è stata ristretta alle seguenti mutazioni: alterazioni del codone di inizio delle regioni Pre-S/S, creazione di uno stop prematuro che causa l’arresto della traduzione della proteina, delezioni/inserzioni e mutazioni potenzialmente in grado di alterare specificità antigeniche nella regione MHR.
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Con tale approccio, nel 72% (187/260) dei soggetti studiati, la quasispecie virale dominante era costituita da virus wild-type nel gene S (con sequenza uguale a quella di riferimento), mentre nel 14% (37/260) la quasispecie dominante era mutata; nei restanti 36 soggetti (14%) la popolazione virale circolante era mista, costituita cioè da virus con e senza mutazioni.
Delle 3 regioni del gene S, l’eterogeneità in Pre-S2 è risultata essere prevalente rispetto a quella in Pre-S1 e Small S (17,7% vs 5,8% vs 10,8%; P<0,001). Inoltre, la prevalenza dell’eterogeneità del gene S si è confermata significativamente maggiore nei pazienti con epatite rispetto ai soggetti con infezione senza malattia (CH: 31,7%; CI: 60,0%; ENI+LV: 7,1%). Interessante notare che tutti i 7 pazienti con epatocarcinoma presentavano mutazioni nel gene S. Inoltre, nei pazienti con malattia la presenza di mutazioni risultava correlata all’età più elevata sia nei CH (46,9 vs 38,7; P = 0,002) che nei CI (58,4 vs 55,0; P = 0,038). Al contrario, nei portatori senza malattia, non vi era differenza statisticamente significativa fra l’età dei soggetti con o senza mutazioni.
Tali dati sono in accordo con quelli riportati in letteratura in casistiche però di numerosità molto limitata [148-150] e suggeriscono come la complessità della quasispecie virale cresca progressivamente nei soggetti con malattia di fegato in base alla sua severità e durata. Complessivamente 73 portatori presentano almeno 1 mutazione a carico del gene S; 25 (33,3%) solo mutazioni puntiformi, 28 (38,4%) delezioni e solo in 1 caso (1.4%) inserzioni. Infine, 19 (26,0%) soggetti presentano un profilo mutazionale complesso (sia mutazioni puntiformi che delezioni/inserzioni). Da sottolineare come nei soggetti ENI e LV le mutazioni, oltre ad essere meno frequenti, risultassero essere prevalentemente puntiformi [4 (80%) dei 5 ENI con mutazioni e 2 (66,7%) dei 3 LV con mutazioni]; al contrario, nei pazienti con CH, CI e HCC, le delezioni/inserzioni e le mutazioni combinate rappresentavano rispettivamente l’81% (21/26), il 59% (19/32) e l’86% (6/7) delle mutazioni (Figura 16).
Lo studio delle mutazioni descritte in base alla loro localizzazione nel gene S dimostra come l'eterogeneità della regione Pre-S1 sia modesta, con scarsa rappresentazione delle mutazioni non solo nei portatori con bassa replica (sono infatti assenti nei portatori inattivi ENI e presenti in un solo soggetto LV), ma anche nei pazienti con epatite cronica (5/82: 6,1%) e cirrosi senza HCC (9/65: 13,8%).
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La regione Pre-S2 si è dimostrata essere la regione del gene S a più alta eterogeneità, con un andamento della prevalenza delle mutazioni crescente con la severità della malattia epatica: più bassa nei portatori senza malattia [2/71 (2,8%) degli ENI e 2/42 (4,8%) dei LV] rispetto ai pazienti CH [18/82 (22,0%)], cirrotici [24/65 (36,9%)], (P<0,001).
Le mutazioni nella regione dello Small S sono state riscontrate in 3 (4,2%) ENI, in 11 (13,4%) CH, in 14 (21,5%) cirrotici (CI), P<0,001. Complessivamente, i pazienti con cirrosi ed epatocarcinoma hanno dimostrato il tasso di eterogeneità genetica maggiore, in quanto tutti pazienti presentavano mutazioni in Pre-S/S rispetto a 32 dei 58 cirrotici senza HCC (100,0% vs 55,2%; P = 0,036), con variabilità particolarmente elevata in Pre-S2 (85,7% vs 31,0%), P = 0,008.
Le mutazioni che coinvolgevano il codone di inizio (ATG) di una delle 3 regioni sono state riscontrate in 30 casi: la mutazione più frequente, osservata in 25 dei 30 (83,3%) pazienti interessava l'ATG del Pre-S2; in 3 (10,0%) casi l’ATG del Pre-S1 e in 2 casi (6,7%) quello dello Small S. Anche le mutazioni a carico del determinante “a” dello Small S, regione responsabile del riconoscimento da parte delle metodiche commerciali utilizzate nella determinazione quantitativa di HBsAg [76], sono risultate essere più frequenti nei malati [17/147 (11,6%) rispetto ai portatori di infezione senza malattia [2/113 (1,8%)], P = 0,003. La prevalenza delle mutazioni nei siti funzionali del gene S è risultata essere significativamente superiore nei pazienti con epatite cronica rispetto ai portatori di infezione senza malattia [42/147 (28,6%) vs 2/113 (1,8%) P<0,001]. Nello specifico, mutazioni a carico dell’S promoter sono state identificate in 20 di 260 (7,7%) soggetti, del sito di legame per l’HSC70 (Heat Shock Protein 70) in 14 (5,4%), della regione di legame per il nucleo capside (NBS) in 14 (5,4%), della regione coinvolta nella secrezione dei virioni (VS) in 9 (3,5%), del sito di legame per l’albumina sierica umana polimerizzata (pHSA) in 21 (8,1%) e, infine, di quello del Dominio Transattivante in 42 (16,2%).
Complessivamente, i risultati dello studio indicano come nel corso dell'infezione da HBV e in presenza di una risposta immune specifica, ma non in grado di giungere al controllo dell'infezione, si selezionino delle popolazioni virali con mutazioni in siti regolatori del genoma virale ed è verosimile che tali mutazioni contribuiscano a favorire la persistenza dell’infezione attiva.
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L’analisi focalizzata sulle mutazioni in grado di alterare la produzione o il riconoscimento di HBsAg, pur dimostrando una prevalenza inferiore di mutazioni rispetto all’analisi delle sostituzioni amminoacidiche, ha confermato che l’eterogeneità della quasispecie Pre-S/S circolante e la sua complessità sono significativamente maggiori nei pazienti con epatite cronica rispetto ai soggetti con infezione senza malattia [65/82 (44,2%) vs 8/113 (7,1%); P<0,001]. Tuttavia, anche in questo caso la quasispecie circolante non risulta in grado di influenzare i livelli sierici di HBsAg. In realtà all’analisi univariata la presenza di mutazioni nella regione MHR, di delezioni in Pre-S1, Pre-S2 e S associa a livelli di HBsAg significativamente più elevati. Tale evidenza però non si è mantenuta all’analisi multivariata, in quanto la presenza di malattia epatica è risultata, assieme agli altri parametri che associano con il danno epatico [livelli di transaminasi (P = 0,047) e HBV- DNA (P<0,001), valori di fibroscan (P = 0,024) ed età (P<0,001)], il fattore più importante nel condizionare in modo indipendente i livelli di HBsAg. In considerazione del ruolo cruciale dello stato di malattia abbiamo analizzato separatamente i portatori con o senza malattia di fegato, dimostrando come nell’ambito dei pazienti con epatite cronica, i cirrotici portatori di delezioni nella regione Pre-S1 avessero livelli più elevati di HBsAg (P = 0,034) (Tabelle 13). Tale condizione non associa a variazioni significative di altri parametri virologici, quali viremia o il ratio HBsAg/HBV-DNA e necessita di ulteriori approfondimenti.
Complessivamente, l’evidenza che i pazienti con quasispecie circolante mutata in Pre-S/S mantengano livelli di HBsAg simili a quelli dei soggetti senza mutazioni si può spiegare con l’elevata complessità dei processi che presiedono alla produzione dell’HBsAg e fa ipotizzare che nei pazienti con mutazioni in Pre-S/S in grado di ridurre la secrezione delle proteine di superficie, l’HBsAg circolante possa avere differenti origini genetiche.
La produzione di HBsAg, nei soggetti con presenza di una quasispecie “difettiva” dominante, potrebbe essere complementata da popolazioni wild-type minoritarie o derivare da sequenze integrate di HBV-DNA che codificano per la proteina HBsAg. In accordo con quest’ultima ipotesi, recenti studi hanno dimostrato come, nello scimpanzè HBeAg negativo, l’HBsAg circolante derivi principalmente dalla trascrizione di sequenze di HBV integrate [151].
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