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Il mantenimento di livelli adeguati di vitamina D è importante già in epoca fetale, quando iniziano i processi di mineralizzazione ossea, ed è quindi necessario che le richieste di calcio fetali vengano soddisfatte per garantire un’adeguata formazione della massa ossea. In questa fase, un’inadeguata esposizione alla vitamina D, può associarsi ad una riduzione del volume femorale (apprezzabile all’ecografia ostetrica 3D) e ad aumento dell’incidenza di neonati SGA26,54. Al deficit di vitamina D seguono quindi complicanze

neonatali precoci, ad esempio la craniotabe, e tardive. Alcuni studi hanno evidenziato sia un impatto negativo sulla salute ossea durante infanzia e adolescenza, sia un aumentato rischio di sviluppo di malattie autoimmuni57,58. Da qui l’importanza di evitare, durante la

gravidanza, l’ipovitaminosi D cui può associarsi lo sviluppo sia di patologie ostetriche (diabete gestazionale, pre-eclampsia), sia di problematiche fetali e neonatali.

Il feto è completamente dipendente dalla madre per quanto riguarda i livelli di 25(OH)D, metabolita che, come già osservato, è in grado di attraversare la placenta. La concentrazione di 25(OH)D misurata a livello del cordone ombelicale è, infatti, strettamente correlata a quella materna, riflettendone lo stato vitaminico48. Per cui un

inappropriato stato vitaminico materno influenza negativamente lo stato vitaminico neonatale. Da qui l’importanza di conoscere e correggere, quando possibile, i fattori di rischio più importanti di ipovitaminosi D in gravidanza, quali: elevata pigmentazione cutanea, ridotta esposizione al sole, obesità, patologie croniche, assunzione di farmaci che interferiscono con il metabolismo della vitamina D, mancata profilassi vitaminica.

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Il presente lavoro di tesi ha confermato, in linea con quanto riportato da altri3,72,73, la prevalenza di bassi livelli di vitamina D nelle donne

in gravidanza. Dall’analisi dei nostri 255 campioni è, infatti, risultato che solo il 20 % dei neonati aveva uno stato vitaminico sufficiente, il 34,1 % aveva uno stato vitaminico deficitario mentre il 45,9 % rientrava nel range dell’insufficienza.

Sono stati, quindi, selezionati alcuni fattori associati al rischio di sviluppo di ipovitaminosi D, ed è stata valutata la loro influenza nella determinazione dello stato vitaminico neonatale.

Distinguendo i nati da chi aveva fatto profilassi vitaminica D in gravidanza da chi non l’aveva seguita, abbiamo trovato livelli di 25(OH)D3 significativamente maggiori nei primi rispetto ai secondi,

con una concentrazione rispettivamente di 24,9  8,4 ng/ml contro 19,3  8 ng/ml.

Considerando poi in maniera specifica il gruppo che aveva fatto profilassi, è stato valutato se e come l’aderenza alla profilassi e la sua durata (> o < 8 mesi), avessero potuto influenzare i livelli di 25(OH)D3. È risultato che l’aderenza terapeutica è un fattore

importante, con concentrazioni di 25(OH)D3 significativamente

maggiori in chi ha mostrato buona aderenza alla supplementazione vitaminica, rispetto ai nati da madri con scarsa aderenza.

Non sembra, invece, così determinante la durata della profilassi. A patto che fosse mantenuta una buona aderenza, infatti, non sono state trovate differenze significative tra chi aveva fatto profilassi in maniera completa (per tutta la durata della gravidanza), e chi in maniera incompleta (< 8 mesi).

La necessità e il reale beneficio che apporterebbe la supplementazione vitaminica D in gravidanza è un argomento che è stato, ed è ancora oggi, molto dibattuto in letteratura. I dati di tale

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studio comunque supportano l’importanza dell’assunzione di vitamina D in gravidanza.

Un’ osservazione importante è che, nonostante la maggior parte delle madri avesse seguito la profilassi con una buona aderenza, il 24,6 % dei neonati ha mostrato uno stato vitaminico deficitario, il 52,4 % ha un quadro di insufficienza vitaminica e solo il 23% ha uno stato vitaminico sufficiente.

Questi risultati potrebbero riflettere le incertezze dovute ai pochi studi, e alla mancanza di linee guida precise in merito alle dosi di vitamina D che le donne in gravidanza dovrebbero assumere. In particolare, le donne considerate nel presente studio, hanno assunto, nella maggior parte dei casi 400 UI/die di vitamina D. Studi recenti suggeriscono dosi più elevate, di almeno 600 UI/die, salendo a 1000- 2000 in presenza di fattori di rischio di ipovitaminosi D71.

Per quanto riguarda la possibile influenza dell’esposizione alla luce solare durante la gravidanza sui livelli di 25(OH)D3 cordonale, i

bambini del presente studio sono tutti nati nel periodo tra luglio e settembre e la maggior parte delle madri hanno riferito di essersi esposte al sole. Come già osservato, il 90% del pool di vitamina D è di origine endogena, venendo sintetizzata a livello cutaneo proprio grazie all’azione dei raggi UVB, che risultano quindi un fattore determinante nell’assicurare adeguati livelli vitaminici. Non a caso all’aumentare della latitudine aumenta la prevalenza di ipovitaminosi D.

In linea con tale assunto, sono state osservate concentrazioni significativamente maggiori di 25(OH)D3 cordonale in caso di

esposizione materna alla luce solare (24,9  8,3 ng/ml contro 17  6,9 ng/ml).

Nonostante, tuttavia, solo 52 su 255 madri non si siano esposte al sole, solo il 23,7 % dei neonati ha mostrato uno stato vitaminico

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sufficiente. Il 24,6 % ha mostrato un quadro di deficit vitaminico, mentre il 51,7% livelli di 25(OH)D3 insufficienti. In accordo, quindi,

coi risultati di altri studi3,72,73, si conferma anche in questo caso, la

prevalenza di inadeguati livelli di vitamina D in gravidanza.

Per spiegare questa diffusa carenza vitaminica in gravidanza sono state proposte alcune ipotesi: l’aumentata richiesta fetale di calcio e fosforo, l’emodiluizione e la ridotta esposizione al sole3,73. Inoltre,

non si può escludere che alcune madri, sebbene si fossero esposte alla luce solare durante la gravidanza, avessero già uno stato vitaminico compromesso.

A tal proposito, valutando anche la durata dell’esposizione stessa (15 gg <, compresa tra 15 e 30 gg, > 30 gg) in coloro che si erano esposte al sole, è stato possibile confermare sia il ruolo essenziale dei raggi UVB nell’influenzare lo stato vitaminico D, sia l’importanza di un’esposizione di durata adeguata.

Un’esposizione al sole > a 30 giorni si è infatti associata ad uno stato vitaminico sufficiente nel 13,8 % dei casi, scendendo al 4,9 % se l’esposizione era stata < di 15 giorni. Solo il 19,2 % delle madri, tuttavia, si è esposta per più di 30 giorni, mentre il 48,2 % si è esposta al sole per un periodo < 15 giorni.

L’esposizione al sole durante la gravidanza, inoltre, si è dimostrata in grado di influenzare lo stato vitaminico cordonale dei nati da madri supplementate in gravidanza. A parità di profilassi, infatti, un’esposizione solare superiore a 30 giorni ha garantito concentrazioni medie di 25(OH)D3 di 36,4  9,1 ng/ml, contro 23,7

 5,6 ng/ml in chi si era esposto per meno di 15 giorni. Sono dati che confermano l’importanza fondamentale della luce solare, fonte principale di vitamina D, e che ne giustificano l’appellativo “sunshine vitamin”.

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L’efficacia della radiazione solare è influenzata da vari parametri, come la pigmentazione cutanea. La melanina è un filtro solare naturale molto efficace e soggetti con fototipo 5 o 6 (pelle nera) hanno, infatti, un rischio maggiore di ipovitaminosi D. Nel presente studio, i bambini nati da madri non italiane, di diverse etnie e, in genere, con fototipo più alto rispetto alle italiane, mostravano livelli medi di 25(OH)D3 di 18,6  8,2 ng/ml, contro i 26  8,3 ng/ml

misurati nei nati da madri italiane.

Un altro fattore che è stato valutato, in relazione ai livelli di 25(OH)D3

cordonale, è il BMI pregravidico. Diversi studi hanno dimostrato un’associazione inversa tra BMI e la vitamina D che, essendo liposolubile viene facilmente sequestrata all’interno del tessuto adiposo41,42.

Nel nostro gruppo 40 neonati sono nati da madri in sovrappeso e 16 da madri obese. Non sono emerse differenze statisticamente significative, per quanto riguarda la concentrazione di 25(OH)D3

cordonale, rispetto ai nati da madri normopeso, probabilmente anche a causa delle ridotte dimensioni del campione con BMI aumentato. È stata comunque evidenziata una correlazione negativa e significativa tra BMI pre-gravidico e 25(OH)D3 cordonale, i cui livelli

si riducevano con l’aumentare del BMI.

Nel presente lavoro di tesi è stato anche valutato un altro fattore che può interferire nel definire i limiti dello stato vitaminico e nella sua valutazione durante la gravidanza e nel neonato, rappresentato dalla presenza degli epimeri.

Il C3-epi-25(OH)D3, infatti, è significativamente più elevato nei

bambini con età < 12 mesi di vita extrauterina, per poi ridursi progressivamente negli anni successivi. Si tratta di un metabolita con struttura chimica e massa identica alla 25(OH)D, ma con diversa configurazione stereochimica. Come già osservato, l’epimero C-3

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della vitamina D, differisce infatti dalla 25(OH)D solo nella configurazione del gruppo OH nella posizione 3 del carbonio della molecola100.

Pertanto, per una precisa valutazione dello stato vitaminico, si è preferito escludere l’uso di metodi di misurazione che non separassero i composti chirali e non fossero, quindi, in grado di separare la 25(OH)D dal metabolita 3-epi-25(OH)D, con conseguente rischio di sovrastimare lo stato vitaminico D. È stata, quindi, utilizzata la spettrometria di massa tandem, metodica considerata per la sua precisione e accuratezza il “gold standard” per il dosaggio dei livelli circolanti di 25(OH)D81. Infatti, in linea con

quanto riportato da altri studi 82, è risultato che mediamente il C3-

epimero costituiva circa il 15 % dei livelli di 25(OH)D3 cordonale, con

conseguente rischio di sovrastimare erroneamente lo stato vitaminico neonatale.

Attualmente, in letteratura, sono poche le informazioni sui fattori che influenzano la concentrazione di 3-epi-25(OH)D3 su campioni di

sangue cordonale, la cui origine di fatto, nonostante siano state formulate alcune ipotesi, rimane sconosciuta.

A tal proposito, nel presente lavoro di tesi, è stato valutato quali effetti potessero avere, sui livelli cordonali di 3-epi-25(OH)D3, gli

stessi fattori che sono risultati capaci di influenzare i livelli di 25(OH)D3. In accordo con quanto riportato in letteratura91 è stato

osservato, in relazione a tali variabili, un comportamento pressochè speculare del C3-epimero rispetto alla 25(OH)D3. Per quanto

riguarda la profilassi, infatti, le concentrazioni di 3-epi-25(OH)D3

sono risultate significativamente maggiori nei nati da donne supplementate, con un’associazione statisticamente significativa con l’esposizione alla luce solare. Il BMI invece correlava negativamente,

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e in maniera marginalmente significativa, con la concentrazione di C3-epimero.

Lo studio ha evidenziato un altro dato molto interessante: la percentuale di C3-epimero, rispetto ai livelli di 25(OH)D3 cordonale,

rimane costante (approssimativamente sempre intorno al 15%), indipendentemente da eventuali fattori che possono influenzarne la concentrazione, come la profilassi vitaminica o l’esposizione alla luce solare.

Osservando anche i grafici, si può apprezzare come la correlazione tra la concentrazione cordonale di 25(OH)D3 e di C3-epimero, si

mantenga stabile e significativa, suggerendo in accordo con altri studi80, che la 25(OH)D3 cordonale sia la fonte principale di C3-

epimero cordonale, che verrebbe quindi generato a livello dell’unità feto-placentare. Il feto quindi si occupa di sintetizzare gli epimeri, in maniera costante e indipendentemente da fattori esogeni. Rimangono comunque da identificare gli enzimi responsabili della reazione di epimerizzazione, diversi da quelli appartenenti alla famiglia del citocromo P450, e resta da chiarire la funzione biologica del C3-epimero.

Tra le varie ipotesi, quella maggiormente condivisa identifica, nel processo di epimerizzazione, un meccanismo utile per ridurre il rischio di fenomeni di tossicità da vitamina D, generando un metabolita biologicamente meno attivo. Il processo di epimerizzazione sarebbe particolarmente utile durante la vita fetale, in cui il sistema di regolazione della vitamina D non è ancora del tutto sviluppato ed efficace. Il 3-epi-25(OH)D3 mostra infatti una

ridotta affinità sia per la DBP che per il VDR, con di conseguenza una ridotta attività di regolazione del metabolismo calcico, e una riduzione della capacità di regolare l’espressione di vari enzimi responsivi alla vitamina D95.

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Il presente studio presenta dei limiti, legati alla dimensione del campione. Nonostante si tratti di un’ampia casistica, non è stato possibile valutare la relazione tra i livelli di 25(OH)D3 e l’età

gestazionale, il peso alla nascita, il tipo di parto, cesareo o spontaneo. La selezione dei soggetti da includere nello studio, infatti, è stata interamente casuale, non sono stati usati criteri di inclusione/esclusione, e dalla raccolta dei dati è risultato che solo 3 dei 255 neonati erano SGA, mentre per 24 è stato necessario ricorrere al taglio cesareo.

Le dimensioni ridotte di questi due gruppi, potrebbero essere la causa dell’assenza di una correlazione significativa tra questi due parametri e l’ipovitaminosi D, osservata in altri studi54,69.

Per lo stesso motivo non è stato possibile accertare l’associazione tra ipovitaminosi D e patologie ostetriche come il diabete gestazionale e la preeclampsia. Nessuna delle madri dei neonati considerati, infatti, ha sviluppato preeclampsia e solo 10 di esse avevano sviluppato un diabete gestazionale.

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