• Non ci sono risultati.

Stato vitaminico neonatale: livelli di 25-idrossivitamina D nel sangue cordonale di 255 neonati

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Stato vitaminico neonatale: livelli di 25-idrossivitamina D nel sangue cordonale di 255 neonati"

Copied!
85
0
0

Testo completo

(1)

1

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

TESI DI LAUREA

STATO VITAMINICO NEONATALE: LIVELLI DI

25-IDROSSIVITAMINA D NEL SANGUE CORDONALE DI

255 NEONATI

Candidata

Relatore

Lara Fusani

Chiar.mo Prof. Giovanni Federico

(2)

2

Sommario

Riassunto. ... 4 1. La vitamina D. ... 6 1.1 Sintesi e metabolismo. ... 6 1.2 Meccanismo d’azione. ... 8

1.3 Vitamina D: effetti scheletrici ed extra scheletrici. ... 9

1.3.1 Effetti scheletrici. ... 9

1.3.2 Effetti extrascheletrici. ... 13

1.4 Fattori di rischio per ipovitaminosi D. ... 15

1.4.1 Vitamina D ed esposizione solare. ... 17

1.4.2 Vitamina D e dieta. ... 19

1.4.3 Vitamina D e obesità. ... 19

1.4.4 Vitamina D patologie croniche e terapie farmacologiche. ... 20

1.5 Definizione dello stato vitaminico D. ... 21

2. La vitamina D in gravidanza. ... 22

2.1 Metabolismo. ... 22

2.2 Effetti della vitamina D in gravidanza. ... 24

2.2.1 Effetti sul feto, sul neonato e sul bambino. ... 24

2.2.2 Effetti sulla salute materna ... 27

2.3 Fattori di rischio di ipovitaminosi D in gravidanza. ... 29

2.3.1 Supplementazione di vitamina D in gravidanza. ... 30

2.4 Epidemilogia del deficit di vitamina D in gravidanza. ... 30

2.5 Definizione dello stato vitaminico D in gravidanza. ... 32

2.5.1 Definizione livelli vitamina D. ... 32

2.5.2 Misurazione della vitamina D: un analita difficile. ... 34

2.5.3 Interferenza degli epimeri nella valutazione dello stato vitaminico. ... 35

3. Gli epimeri della vitamina D. ... 39

3.1 Metabolismo dell’epimero C3 della vitamina D. ... 40

3.2 Origine del C3-epimero della vitamina D ... 41

3.2.1 Origine del C3-epimero nel siero materno. ... 42

3.2.2 Origine del C3-epimero fetale. ... 44

3.2.3 Origine del C3-epimero neonatale. ... 46

(3)

3

4. Scopo dello studio. ... 50

5.Materiali e Metodi. ... 51

5.1 Caratteristiche dei partecipanti allo studio. ... 51

5.2 Metodi. ... 52

5.2.1 Preparazione dei campioni. ... 52

5.2.2 La spettrometria di massa... 53

6. Risultati. ... 55

6.1 Stato vitaminico D. ... 55

6.2 Stato vitaminico D e profilassi in gravidanza. ... 57

6.3 Stato vitaminico D ed esposizione solare materna. ... 62

6.4 Stato vitaminico D e BMI materno pre-gravidanza. ... 67

6.5 Stato vitaminico D e nazionalità materna. ... 68

7. Discussione. ... 70

8. Conclusioni. ... 78

9. Bibliografia. ... 79 Ringraziamenti ... Errore. Il segnalibro non è definito.

(4)

4

Riassunto.

La vitamina D è molto importante già in epoca fetale. Un’insufficiente esposizione alla vitamina D, infatti, può associarsi ad una riduzione del volume femorale (apprezzabile all’ecografia ostetrica 3D), ad un aumento dell’incidenza di neonati SGA, e a complicanze neonatali precoci come la craniotabe. Il feto è dipendente dalla madre per quanto riguarda i livelli di 25(OH)D, che è in grado di attraversare la placenta. Da qui l’importanza di evitare durante la gravidanza l’ipovitaminosi D, che può indurre un aumentato rischio di sviluppare alcune patologie ostetriche (diabete gestazionale, preeclampsia).

Uno degli scopi del presente lavoro di tesi, pertanto, è stato andare a valutare, su 255 campioni di sangue cordonale, lo stato vitaminico D neonatale in relazione ad alcuni dei fattori di rischio più importanti di ipovitaminosi D in gravidanza: il BMI materno pre-gravidico, la profilassi vitaminica, l’esposizione solare, la nazionalità materna.

È stata evidenziata l’importanza di un’appropriata e completa profilassi, che insieme all’esposizione solare, è in grado di assicurare al neonato livelli di 25(OH)D più adeguati. Per quanto riguarda la nazionalità, i nati da madri non italiane, mostrano concentrazioni medie di 25(OH)D3 significativamente inferiori rispetto ai nati da

madri italiane, sottolineando anche l’importanza del fototipo materno nell’ influenzare i livelli di 25(OH)D3 cordonale. Il BMI

materno pre-gravidico invece correla negativamente e in maniera significativa con la concentrazione di 25(OH)D3 cordonale, che si

riduce all’aumentare del BMI.

Tale studio, inoltre, è andato a valutare anche l’ influenza degli epimeri nella determinazione dello stato vitaminico fetale, e la loro relazione con i fattori di rischio di ipovitaminosi D sopraindicati. L’epimero C-3 della vitamina D è un metabolita con struttura chimica

(5)

5

e massa identica alla 25(OH)D, ma con diversa configurazione stereochimica, oltre a essere biologicamente meno attivo. Il C3-epi-25(OH)D3, è significativamente più elevato nei bambini con età < 12

mesi di vita extrauterina, e si riduce progressivamente negli anni successivi.

Per questo motivo, per la valutazione dello stato vitaminico, è stato necessario ricorrere alla spettrometria di massa, il “gold standard” per il dosaggio dei livelli circolanti di 25(OH)D, in grado di separare composti chirali, e quindi la 25(OH)D dal metabolita 3-epi-25(OH)D. I risultati di tale studio hanno evidenziato che i fattori capaci di influenzare, positivamente o negativamente, i livelli di 25(OH)D3,

influenzano in maniera analoga la concentrazione di C3-epimero.

Altro risultato interessante è l’osservazione che la percentuale di C3-epimero, rispetto ai livelli di 25(OH)D3 cordonale, rimane costante

(approssimativamente intorno al 15%), indipendentemente da eventuali fattori che possono influenzarne la concentrazione, suggerendo che la 25(OH)D3 cordonale sia la fonte principale di

C3-epimero cordonale, che verrebbe quindi generato a livello dell’unità feto-placentare.

È stato ipotizzato che il processo di epimerizzazione sarebbe particolarmente utile durante la vita fetale, periodo in cui il sistema di regolazione della vitamina D non è ancora del tutto sviluppato ed efficace, per ridurre il rischio di fenomeni di tossicità da vitamina D.

Restano da indentificare gli enzimi responsabili della reazione di epimerizzazione, e da chiarire la loro funzione biologica.

(6)

6

1. La vitamina D.

1.1 Sintesi e metabolismo.

La vitamina D (calciferolo) è nota da sempre per il suo ruolo nella regolazione del metabolismo fosfo-calcico e nel mantenimento della mineralizzazione ossea4.

Si tratta di un pro-ormone secosteroideo (rottura dell’anello B tra gli atomi di carbonio C9 e C10, Figura 1), le due forme principali, tra le varie presenti in natura, sono la vitamina D3 (colecalciferolo) e la vitamina D2 (ergocalciferolo), che differiscono tra loro per la presenza di un doppio legame tra il carbonio in posizione 22, il carbonio in posizione 23 e per la presenza di un gruppo metilico sul carbonio 24. Nell’uomo hanno la stessa attività, e parlando di vitamina D, in genere, ci si riferisce ad entrambe 5.

Figura 1. Struttura chimica della vitamina D2 e D36

La vitamina D2, di origine vegetale, è sintetizzata a partire dall’azione dei raggi UV sull’ergocalciferolo, e viene introdotta con la dieta. La vitamina D3, viene soprattutto sintetizzata a livello cutaneo, ma può essere introdotta con la dieta. Ne sono ricchi il tuorlo d’uovo, l’olio di fegato di merluzzo, pesci grassi come il

(7)

7

salmone. Tuttavia, la quota di vitamina D introdotta con la dieta, rappresenta un 10% del totale presente nel nostro organismo 7.

Il 90% del pool di vitamina D è di origine endogena, venendo sintetizzata a livello cutaneo grazie all’azione dei raggi UVB (di lunghezza d’onda tra 290 e 315 nm) che convertono il 7-deidrocolesterolo in previtamina D3, un composto instabile, che si converte rapidamente tramite un processo temperatura dipendente, in vitamina D3 8.

Sebbene i raggi UV siano essenziali per la sintesi della vitamina D, possono essere anche responsabili, in caso di un’esposizione eccessiva, dell’inattivazione dei suoi metaboliti prima che raggiungano il torrente ematico. Per questo un’ eccessiva esposizione alla luce solare non può causare un’ intossicazione da vitamina D9.

Tenendo presente quanto detto è, quindi, improprio parlare di “vitamina”. Il colecalciferolo, infatti, è prodotto a livello cutaneo attraverso l’esposizione ai raggi UV, mentre le vitamine sono composti essenziali che non possono essere sintetizzati dall’organismo10.

Una volta entrata in circolo, la vitamina D si lega ad una proteina di trasporto, la DBP (vitamin D binding protein), e viene veicolata al fegato. A livello epatico viene idrossilata in posizione 25 dalla 25-idrossilasi (CYP2R1), formando la 25 -idrossivitamina D (calcidiolo). Questa reazione è scarsamente regolata, per questo il calcidiolo, che è il maggior metabolita circolante della vitamina D, rappresenta l’indice più accurato per valutare lo stato vitaminico del soggetto 11.

Il calcidiolo viene quindi traportato al rene, dove subisce una seconda idrossilazione in posizione 1-alpha, ad opera della 1 -alfa-idrossilasi (CYP27B1), formando la 1,25-diidrossivitamina D (calcitriolo), la forma ormonale attiva della vitamina D12. Al contrario

(8)

8

della reazione epatica, l’attività di questo enzima è strettamente regolata da tanti fattori diversi. Il principale è lo stesso calcitriolo, che regola la sua stessa produzione attraverso un feedback negativo. A questo si aggiungono calcio e fosforo sierico, e il fattore di crescita fibroblastico 23 (FGF23) che sopprimono l’attività dell’ 1-alfa-idrossilasi, mentre l’ormone paratiroideo (PTH) ne determina un incremento 13.

La reazione mediata dalla 1-alfa-idrossilasi avviene anche in sede extra-renale, essendo questo enzima espresso a livello della placenta, prostata, pancreas, linfociti T. La vitamina D, attivata a livello extrarenale non avrebbe, tuttavia, un’azione sistemica, ma agirebbe piuttosto a livello locale in maniera autocrina e paracrina14.

La principale via di inattivazione della vitamina D prevede una idrossilazione aggiuntiva da parte dell’enzima 24-idrossilasi, espresso soprattutto a livello renale, il cui principale induttore è la 1,25-diidrossivitamina D stessa, che promuove così la sua inattivazione limitando i suoi stessi effetti biologici. L’enzima metabolizza non solo il calcitriolo, ma anche la 25-idrossivitamina D, formando vari metaboliti inattivi (come l’acido calcitroico) che vengono poi eliminati con la bile13.

1.2 Meccanismo d’azione.

La 1,25-diidrossivitamina D, agisce legandosi al proprio recettore (VDR), che appartiene alla superfamiglia dei recettori nucleari per gli ormoni steroidei. Come altri membri di questa famiglia agisce come fattore di trascrizione, attivandosi in seguito al legame con il proprio ligando, e promuovendo l’espressione di vari geni responsivi alla vitamina D11.Il sito di legame per la 1,25-diidrossivitamina D si trova

in corrispondenza della regione C-terminale, a livello della quale si lega anche il recettore X dei retinoidi, con il quale forma un

(9)

9

eterodimero che va a legarsi alle sequenze VDRE ( elementi di risposta della vitamina D)15.

Oltre al recettore nucleare è stato identificato anche un recettore di membrana, che agisce tramite l’attivazione di uno o più sistemi di trasduzione del segnale come quello della fosfolipasi C, o del fosfatidilinositolo-3 chinasi. Tale recettore sarebbe responsabile degli effetti rapidi, non mediati dalla modificazione dell’espressione genica, della 1,25-diidrossivitamina D10.

Il recettore della vitamina D è presente sia in tessuti coinvolti nella regolazione del metabolismo fosfo-calcico, come rene, osso, intestino, sia in tantissimi altri tessuti e cellule, intervenendo nella regolazione di molteplici processi fisiologici. Questa distribuzione spiega gli effetti biologici della 1,25(OH)2D3, che possono essere

divisi in due categorie: le azioni classiche scheletriche, e le azioni non classiche extra scheletriche che vedono la vitamina D coinvolta nella regolazione di processi di crescita, proliferazione, e differenziazione cellulare1.

1.3 Vitamina D: effetti scheletrici ed extra

scheletrici.

1.3.1 Effetti scheletrici.

La vitamina D interviene classicamente nell’assicurare il mantenimento di appropriati livelli sierici di calcio e fosforo,

necessari per garantire l’adeguatezza dei processi di

mineralizzazione ossea 16, agendo su alcuni tessuti target (intestino,

rene, osso) attraverso un sistema complesso di regolazione, che vede partecipi anche altri ormoni come calcitonina, e PTH (ormone paratiroideo)17 . Classicamente la vitamina D agisce a livello

(10)

10

Normalmente, un adeguato stato vitaminico, garantisce

l’assorbimento di circa il 30% del calcio introdotto con la dieta, arrivando ad un 60-80 % durante la crescita, l’allattamento, la gravidanza, condizioni in cui aumenta la richiesta e il fabbisogno calcico18.

All’azione intestinale si aggiunge, in caso di livelli inadeguati di calcio, l’interazione della 1,25(OH)2D3 con il VDR espresso dagli

osteoblasti. Tale interazione determina la produzione di una citochina, il RANKL (receptor activator of nuclear factor-κB ligand), che agisce sul suo recettore a livello dei preosteoclasti promuovendone la maturazione in osteoclasti. A questo consegue un aumento del riassorbimento di calcio a livello osseo, assicurando così il mantenimento dei fisiologici range19. Anche il PTH, ormone ad

azione ipercalcemizzante, agisce in maniera sinergica all’ 1,25(OH)2D3 sul sistema RANK-RANKL, promuovendo l’attivazione

degli osteoclasti. A sua volta, la vitamina D, e l’aumento della calcemia indotto da quest’ultima, controlla con feedback negativo la secrezione di PTH6.

L’1,25(OH)2D3 agisce inoltre anche a livello dei tubuli renali distali,

promuovendo il riassorbimento di calcio e fosforo. Per quanto riguarda l’azione sul calcio agisce di nuovo in maniera sinergica con il PTH, mentre sul fosfato troviamo azioni contrapposte, data l’azione fosfaturica del PTH. Oltre a quanto detto, sempre a livello renale, il PTH agisce stimolando l’enzima 1-alfa-idrossilasi e quindi promuovendo la formazione dell’1,25(OH)2D320,21.

Per tutto questo insieme di azioni complesse, portate avanti agendo a diversi livelli (Figura 2), la vitamina D è considerata un ormone con un ruolo prioritario nell’assicurare la salute dell’osso, soprattutto in età pediatrica22.

(11)

11

Figura 2. Produzione, metabolismo della vitamina D e effetti sul metabolismo fosfo-calcico.21

Il deficit grave di vitamina D è, infatti, alla base del rachitismo carenziale16, patologia che dopo essere stata ritenuta scomparsa per

molto tempo, ha avuto negli ultimi anni una ripresa piuttosto importante23. Il rachitismo è caratterizzato da una ridotta

mineralizzazione della cartilagine di accrescimento, con accumulo di matrice ossea non mineralizzata (tessuto osteoide). Vengono colpite soprattutto le ossa in più rapido accrescimento, con alterazioni tipiche quali il cranio tabe (non patognomico del rachitismo), il solco di Harrison a livello toracico (Figura 3), il rosario rachitico, il

(12)

12

ginocchio valgo e varo, il “braccialetto rachitico”(Figura 4) e la “caviglia rachitica”, dovuti all’accumulo di tessuto osteoide a livello metafisario 2.

È una condizione grave, che, se non trattata, può condurre a deficit di accrescimento, ritardo di crescita, deformità scheletriche24.

Sebbene la carenza di vitamina D sia la causa più frequente di rachitismo, possono esservi alla base anche deficit nutrizionali di calcio e/o fosfato, malattie epatiche, renali, metaboliche, genetiche o acquisite25. Raramente il rachitismo si può manifestare alla nascita,

Figura 3. Solco di Harrison 2.

(13)

13

a volte accompagnato da crisi ipocalcemiche, in bambini nati da madri con gravi deficit di vitamina D. Più frequentemente, bassi livelli di vitamina D in gravidanza, si associano ad una compromissione dei processi di mineralizzazione ossea. Questi, nell’immediato, possono correlare con alterazioni ecografiche prenatali come una riduzione del volume femorale del feto, ma soprattutto nel lungo termine pregiudicano nel bambino il raggiungimento di un’adeguata massa ossea26. La vitamina D infatti ha un ruolo fondamentale

nell’assicurare il raggiungimento di un adeguato picco di massa ossea, e deficit meno severi, possono determinarne una compromissione16, con un aumentato rischio di fratture e di

osteoporosi in età adulta. Il picco di massa ossea viene raggiunto al termine della maturazione scheletrica, in genere tra i 18-20 anni nelle femmine, 20-23 nei maschi. Per questo è fondamentale il mantenimento di adeguati livelli di calcio e vitamina D nei periodi di massima crescita, ovvero durante infanzia e adolescenza22.

1.3.2 Effetti extrascheletrici.

Oltre alla ben nota azione a livello osseo, molti studi hanno riportato, negli ultimi anni l’importanza della vitamina D nella regolazione di diversi processi fisiologici, in particolare nel controllo della crescita, proliferazione, differenziazione cellulare1. Il recettore della vitamina

D è, infatti espresso praticamente in tutti i tessuti e cellule dell’organismo, e sono almeno 1250 i geni regolati direttamente e indirettamente dall’ 1,25(OH)2D327.

Per questo la carenza di vitamina D viene oggi associata allo sviluppo di malattie cardiovascolari, ipertensione, diabete e diversi tipi di neoplasie28. Aiutano a spiegare l’associazione tra carenza di

vitamina D e aumentato rischio cardiovascolare, sia la presenza del VDR a livello dei cardiomiociti e delle cellule muscolari lisce della parete dei vasi, sia il fatto che l’1,25(OH)2D3 sia un potente inibitore

(14)

14

In particolare, soprattutto in età pediatrica, è molto importante il ruolo della vitamina D nella modulazione del sistema immunitario. È stato dimostrato epidemiologicamente e da diversi studi, che la prevalenza di malattie autoimmuni, come il diabete mellito di tipo 1, la sclerosi multipla, il morbo di Crohn, aumenta portandosi a latitudini più alte, suggerendo l’importanza di un’ inadeguata esposizione al sole, e di conseguenza di inadeguati livelli di vitamina D, nel determinarne lo sviluppo29. Il VDR è presente nelle cellule

della componente innata e adattativa del sistema immunitario. A questo si aggiunge la capacità di varie cellule, in particolare i macrofagi, di produrre l’1,25(OH)2D3 che agisce in maniera autocrina

stimolando la produzione di catelicidina, peptide ad azione antibatterica. L’1,25(OH)2D3 agisce anche in maniera paracrina su i

linfociti T e B, regolando la sintesi di immunoglobuline e citochine30,31. Ad oggi diversi studi hanno dimostrato la capacità della

vitamina D di contrastare le reazioni autoimmuni e di indurre la differenziazione delle cellule del sistema immunitario, in maniera da promuovere la tolleranza verso gli antigeni self. Questo prevede, quindi, il potenziamento della risposta innata e l’inibizione della componente adattiva, tramite la regolazione delle interazioni tra linfociti e cellule presentanti l’antigene. Aumentando la quantità dei linfociti Th2 e inducendo la proliferazione di cellule dendritiche con attività tollerogenica, la vitamina D porta avanti la sua attività antiinfiammatoria e i suoi effetti immunoregolatori6 (Figura 5).

Un adeguato stato vitaminico, oltre ad essere un fattore protettivo per lo sviluppo di malattie autoimmuni, gioca un ruolo importante anche nel contrastare varie malattie infettive. La vitamina D, potenziando la risposta immunitaria innata, aiuta infatti a contrastare infezioni batteriche (come la tubercolosi) e infezioni virali delle alte vie respiratore32.

(15)

15

Figura 5. Effetti extrascheletrici.21

1.4 Fattori di rischio per ipovitaminosi D.

Sono molti i fattori di rischio responsabili di un non ottimale stato vitaminico. Tra i più importanti troviamo: la scarsa esposizione al sole, l’etnia non bianca (per la maggiore quantità di pigmento melanico a livello cutaneo), l’obesità, l’età, basso stato socioeconomico, patologie croniche, farmaci, genere femminile, mancata profilassi con vitamina D, scarso apporto dietetico 33.

A dimostrazione dell’importanza di questi fattori nell’assicurare un adeguato stato vitaminico, molti di essi sono stati trovati in un bambino di 10 mesi, originario del Senegal, ricoverato presso la U.O Pediatria Universitaria, Dipartimento Materno-Infantile – Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, a cui è stata fatta una diagnosi di rachitismo carenziale (Figura 6).

(16)

16

Figure 6. M. al momento della diagnosi. Si possono apprezzare: tumefazione metafisaria al

polso destro, prominenza frontale, solco di Harrison (indicato dalla freccia), ipotonia generalizzata, ernia ombelicale. Il bambino non mostra il tipico incurvamento degli arti inferiori perché non era ancora in grado di camminare.

Dato che molti di questi fattori erano condivisi da tutto il nucleo familiare, costituito dai genitori e quattro fratelli, si è valutato anche il loro stato vitaminico. Da tale valutazione è risultato che: la madre era affetta da osteomalacia, tre fratelli avevano un deficit di vitamina D asintomatico, e due di loro (9,8 e 13,4 anni) presentavano un iperparatiroidismo secondario. Al quarto fratello (11,3 anni) venne fatta diagnosi di rachitismo carenziale.

Questo quadro conferma come il deficit di vitamina D possa presentarsi con un’ampia gamma di quadri clinici diversi, andando da condizioni asintomatiche, per arrivare al rachitismo e all’osteomalacia.

Nella Tabella 1 sono riassunti i fattori di rischio, per il deficit di vitamina D, dei vari membri della famiglia34.

(17)

17

Tabella 1. Fattori di rischio per deficit vitaminico D nei partecipanti allo studio

1.4.1 Vitamina D ed esposizione solare.

L’esposizione alla luce solare è un fattore determinante, rappresentando la fonte principale di vitamina D, sia nei bambini che negli adulti27. È in questo modo che a livello cutaneo, in seguito

all’assorbimento dei raggi UVB, abbiamo la conversione del 7-deidrocolesterolo in previtamina D3, che successivamente verrà

convertita nella forma attiva8.L’efficacia della radiazione solare, è a

sua volta influenzata da vari parametri. Importante è l’angolo dello zenit, che influenza profondamente la sintesi cutanea di vitamina D35.Un angolo più obliquo garantisce un maggior assorbimento dei

raggi UVB dallo strato di ozono, e questo spiega come mai l’esposizione al sole d’inverno, oppure prima delle 10 di mattina e

(18)

18

dopo le 15, determini una produzione minima di vitamina D a livello cutaneo22.

La pigmentazione cutanea è un altro fattore da tenere presente. La melanina è un filtro solare naturale estremamente efficace, in grado di competere con il 7-deidrocolesterolo per l’assorbimento dei raggi UVB. Infatti soggetti con fototipo 5 o 6 (pelle nera) hanno bisogno di un tempo di esposizione al sole fino a 50 volte maggiore, rispetto a persone con fototipo 2 o 3, per produrre la stessa quantità di vitamina D1. I filtri solari, allo stesso modo, assorbendo i raggi UVB,

riducono la produzione di vitamina D. Un SPF (sun protection factor) di 30 riduce la capacità della cute di produrre vitamina D del 95-99%27.

L’esposizione cutanea agli UVB viene misurata in MED (minimal erythema dose). In un uomo adulto 1 MED, che corrisponde alla dose di UVB necessaria a causare un minimo eritema cutaneo, permette la produzione di circa 20000 unità di vitamina D nelle 24 ore36(Figura

7). Nei bambini, sono sufficienti esposizioni di 30 minuti per 3 volte a settimana, nell’orario compreso tra le 10 e le 15, esponendo gambe

e faccia, per garantire che ottenga una dose adeguata di vitamina D.

Figura 7. Livelli circolanti di vitamina D dopo

(19)

19

D’altra parte, secondo la sezione di dermatologia dell’American Academy of Pediatrics (AAP), è importante evitare l’esposizione al sole nei primi sei mesi di vita, soprattutto dalle 12 alle 14,per ridurre il rischio di insorgenza di tumori cutanei37. Infatti, anche per questi

motivi, l’integrazione di vitamina D è necessaria nel primo anno di vita.

1.4.2 Vitamina D e dieta.

Il latte materno è la fonte di nutrimento principale per il neonato, ma possiede una quantità scarsa di vitamina D, che a sua volta viene influenzata dall’esposizione al sole della madre, la pigmentazione cutanea, la dieta materna. Il latte materno infatti contiene solo 50 UI/l, pari ad un ottavo dell’apporto giornaliero adeguato di vitamina D (400 UI/die). Il latte in formula, invece, secondo le direttive europee, è artificialmente fortificato con 400 UI/l, assicurando quindi un adeguato apporto vitaminico fintanto che il bambino consumi un litro di latte al giorno. Per questo motivo, i bambini allattati al seno, se non adeguatamente supplementati, sono più a rischio di sviluppare quadri di ipovitaminosi 38,39. Rischio che a sua volta

dipende dalle scorte di vitamina D del bambino alla nascita, legate allo stato vitaminico materno durante la gravidanza21. Per il resto gli

alimenti che contengono vitamina D, non sono molti. Tra questi abbiamo : pesci grassi come il salmone, le sardine, il tonno, alcuni funghi, il tuorlo d’uovo, che non rappresentano la dieta base di bambini /adolescenti38.Per questo la dieta, da sola , non può essere

considerata una fonte adeguata di vitamina D.In alcuni paesi europei sono stati introdotti alimenti fortificati con la vitamina D. Si tratta di latte, yogurt, cereali, succhi di frutta, il cui consumo comunque non ha dimostrato garantire sempre un adeguato apporto vitaminico40.

1.4.3 Vitamina D e obesità.

Nei soggetti obesi si trovano comunemente livelli sierici più bassi di 25(OH)D, dato che la vitamina D, essendo liposolubile, viene

(20)

20

facilmente sequestrata all’interno del tessuto adiposo41. Diversi studi

hanno dimostrato un’associazione inversa tra BMI e livelli sierici di vitamina D42. Oltre a questo, nel bambino obeso, contribuiscono a

determinare il quadro di ipovitaminosi: lo stile di vita sedentario, per cui passano molto tempo in casa esponendosi poco al sole, la dieta inadeguata e squilibrata che comporta una riduzione dell’intake vitaminico, un ridotto assorbimento intestinale e un alterato metabolismo della vitamina D. Per questo, secondo alcuni autori, i bambini e gli adolescenti obesi hanno bisogno di una supplementazione di vitamina D a dosi molto più elevate, rispetto a soggetti normopeso, per normalizzare i livelli sierici di 25(OH)D43.

Questo aspetto è comunque oggetto di discussione, poiché alcuni autori hanno osservato, nei soggetti obesi, normali livelli di 25(OH)D libera44.

1.4.4 Vitamina D patologie croniche e terapie

farmacologiche

.

Possono essere alla base di inadeguati livelli di vitamina D tutte le patologie che coinvolgono gli organi fondamentali nei vari step di attivazione della vitamina D, in particolare fegato e rene45. Pazienti

con celiachia, fibrosi cistica, sindrome dell’intestino corto, sono ugualmente a rischio di ipovitaminosi in relazione ai problemi di assorbimento a livello intestinale. Inoltre varie patologie cutanee (ad esempio la vitiligine), obbligando spesso ad evitare l’esposizione al sole, non garantiscono un adeguato stato vitaminico46.Infine anche

alcune terapie farmacologiche possono causare inadeguati stati vitaminici, interferendo con il sistema della vitamina D. In particolare bambini in terapia con anticonvulsivanti, glucorticoidi, e con farmaci antiretrovirali per il trattamento dell’ AIDS, hanno bisogno di una quantità di vitamina D da due a tre volte maggiore, rispetto ai coetanei, per garantire livelli adeguati di 25(OH)D45.

(21)

21

1.5 Definizione dello stato vitaminico D.

Tenendo presenti tutte le conseguenze che possono derivare da un eventuale quadro di ipovitaminosi D, diventa importante definire correttamente quale sia lo stato vitaminico ottimale, in modo da riconoscere le situazioni a rischio che richiedono un rapido intervento. Tale valutazione viene fatta tramite il dosaggio dei livelli circolanti di 25-idrossivitamina D11. In letteratura sono stati proposti

diversi cut-off per la definizione di ipovitaminosi D, e ad oggi la definizione dei livelli di vitamina D necessari per identificare un appropriato stato vitaminico, rimane ancora dibattuta. Le varie società scientifiche hanno proposto in età pediatrica diversi cut-off, basandosi su diversi criteri, quali la relazione tra i livelli di vitamina D e PTH, l’assorbimento intestinale di calcio, la densità minerale ossea (più in generale lo stato di salute ossea). Uno dei problemi principali però è che la maggior parte di questi dati sono il risultato di studi condotti sugli adulti. Ad oggi, l’AAP, lo IOM (Institute of Medicine), stabiliscono come cut-off per parlare di deficienza vitaminica valori < 20 ng/ml (< 50 nmol/l). L’Endocrine Society considera inoltre valori tra 20-29.9 ng/ml (50-74 nmol/l) per definire l’insufficienza, mentre si ritengono sufficienti valori di vitamina D > 30 ng/ml (> 75 nmol/l). D’altra parte, il British Pediatric and Adolescent Bone Group, ritiene che la definizione dello stato vitaminico D dovrebbe basarsi solo sugli effetti che questo determina sullo stato di salute ossea, suggerendo valori <10 ng/ml per definire la condizione di deficienza, e valori tra 10-20 ng/ml per lo stato di insufficienza vitaminica22. Confermano i cut-off stabiliti

dall’Endocrine Society diversi studi, che valutando la relazione tra 25-idrossivitamina D e livelli di PTH, hanno mostrato un aumento dei livelli di PTH per valori di vitamina D <30 ng/ml, e quindi la necessità di livelli di 25(OH)D > 30 ng/ml per definire un adeguato stato vitaminico47.

(22)

22

2. La vitamina D in gravidanza.

La vitamina D gioca un ruolo fondamentale nel garantire la salute materna durante la gravidanza e nell’assicurare un adeguato sviluppo fetale, tanto che livelli ridotti di vitamina D (<30 ng/ml) comportano un aumentato rischio sia di importanti patologie ostetriche, sia di problematiche fetali, neonatali di vario tipo48.

2.1 Metabolismo.

Durante la gravidanza il metabolismo della vitamina D si modifica per soddisfare l’aumentato bisogno di calcio necessario per i processi di mineralizzazione dello scheletro fetale. Si assiste ad un aumento dei livelli sierici materni di 1,25(OH)2D, soprattutto durante il

secondo e il terzo trimestre26. Al termine della gravidanza sono più

che raddoppiati rispetto al puerperio o rispetto ai controlli non in gravidanza49. Parallelamente si assiste anche ad un aumento della

presenza in circolo della DBP (vitamin D binding protein), che comincia ad aumentare intorno all’ottava-decima settimana di gestazione, precedendo di due settimane circa l’aumento dell’1,25(OH)2D. Il meccanismo che regola l’aumento dei livelli di

DBP in gravidanza non è conosciuto, tuttavia sembra che gli estrogeni possano avere un ruolo50. La placenta è il sito principale di

produzione extrarenale di 1,25(OH)2D, data l’espressione a questo

livello dell’enzima 1-alfa-idrossilasi (CYP27B1), che ne catalizza la conversione a partire dal 25(OH)D. Inoltre, sempre a livello placentare, troviamo una ridotta espressione dell’enzima 24-idrossilasi (CYP24A1) in grado di catabolizzare la forma attiva di vitamina D49. In questo modo la placenta e il tessuto deciduale hanno

la possibilità di massimizzare la produzione di 1,25(OH)2D a livello

dell’interfaccia materno-fetale. Non è chiaro quale sia lo scopo di questa aumentata produzione a livello placentare, ma molto probabilmente riguarda l’azione immunomodulante della vitamina D.

(23)

23

Durante la gravidanza infatti la componente adattativa del sistema immunitario è soppressa, mentre la componente innata è relativamente stimolata. Sono modificazioni necessarie, che normalmente avvengono a livello dell’interfaccia materno-fetale per favorire la tolleranza materna e prevenire il rigetto del feto, e che la vitamina D supporta e favorisce controllando l’appropriatezza della risposta immunitaria51. È stata evidenziata la presenza di VDR a

livello sia della decidua che del trofoblasto, suggerendo che a questo livello la produzione di 25(OH)D avvenga anche attraverso un meccanismo autocrino e/o paracrino49. Il feto è completamente

dipendente dalla madre per quanto riguarda i livelli di 25(OH)D. La 25(OH)D è in grado di attraversare la placenta, infatti la concentrazione di 25(OH)D misurata a livello del cordone ombelicale è strettamente correlata a quella materna, e ne riflette lo stato vitaminico(corrisponde grossomodo al 60-80% dei livelli di vitamina D misurati al momento del parto)48. L’ 1,25(OH)2D materno invece

non è in grado di attraversare la placenta, e i livelli fetali di 1,25(OH)2D sono più bassi rispetto ai materni. Tuttavia, si è visto

che i livelli di 1,25(OH)2D a livello dell’arteria ombelicale sono

leggermente più elevati rispetto alla vena ombelicale, suggerendo un ruolo del rene fetale nella sua produzione52 (Figura 8).

(24)

24

2.2 Effetti della vitamina D in gravidanza.

2.2.1 Effetti sul feto, sul neonato e sul bambino.

Le richieste di calcio durante la gravidanza aumentano notevolmente, soprattutto per soddisfare i fabbisogni fetali, e garantirne la crescita e lo sviluppo. Da qui l’importanza della vitamina D, ma anche di altri ormoni che intervengono nell’omeostasi del calcio come estradiolo, prolattina, PTH, il lattogeno placentare(i cui livelli in gravidanza appaiono aumentati53), nell’assicurare al feto un adeguato apporto di calcio

per un’adeguata formazione della massa ossea . La mineralizzazione ossea comincia infatti durante la gravidanza, intensificandosi nell’ultimo trimestre. Per questo feti di donne con livelli inadeguati di vitamina D presentano all’ecografia ostetrica 3D, come già detto precedentemente, una riduzione del volume femorale rispetto a feti di donne con livelli appropriati26. Oltre a questo, si osserva anche

una riduzione del peso alla nascita54e un aumento dell’incidenza di

neonati SGA (small for gestational age). In particolare uno studio ha evidenziato come livelli materni di 25(OH)D <10 ng/ml durante il secondo trimestre, fossero associati ad un rischio triplicato di avere un bambino SGA55.

Al deficit di vitamina D seguono complicanze neonatali. Tra le più precoci la craniotabe, condizione caratterizzata dall’assottigliamento e dal rammollimento delle ossa piatte del cranio, che rappresenta spesso anche il primo segno del rachitismo (v. introduzione) 56.

Oltre alle complicanze precoci sono molto importanti anche gli effetti tardivi, e in particolare l’impatto che livelli inappropriati di vitamina D in gravidanza hanno sulla salute ossea durante l’infanzia e adolescenza. Uno studio infatti ha dimostrato come all’età di nove anni, un gruppo di bambine le cui madri durante la gravidanza avevano concentrazioni carenti o insufficienti di vitamina D, avessero

(25)

25

un contenuto minerale osseo ridotto rispetto ai controlli57. A

conferma poi del ruolo importante della vitamina D nella regolazione del sistema immunitario, è stato riportato che quadri di ipovitaminosi si associano, nel primo anno di vita, ad un aumentato rischio di infezioni respiratorie, mentre più a lungo termine è all’insorgenza di allergie, dermatite atopica, diabete mellito di tipo 158.

Nel lungo termine, oltre ad influenzare lo sviluppo di questo tipo di patologie, uno studio recentemente pubblicato dal gruppo di Blighe, che ha preso in considerazione un subset di 245 bambini di tre anni provenienti dal trial VDAART (Vitamin D Antenatal Asthma Reduction Trial), ha evidenziato come i livelli di vitamina D a cui il neonato è esposto durante la gravidanza, possano intervenire nella definizione del profilo metabolomico del bambino.

Molti studi condotti in precedenza sulla vitamina D ne hanno solo analizzato la concentrazione in relazione ai vari processi infiammatori, ma non hanno considerato l’ingente quantità di metaboliti che si trovano a valle di questi processi, e che vengono influenzati, o interagiscono, con la vitamina D59. La metabolomica è

un approccio promettente, che può rivelarsi molto utile, per cercare di colmare tali lacune. Si tratta di una tecnologia ad alto rendimento per misurare e caratterizzare tutte le piccole molecole, i metaboliti, contenuti in un campione biologico, che rappresentano il risultato dell’interazione tra il patrimonio genetico del soggetto e i vari agenti ambientali, come la vitamina D 60.

I 245 soggetti, quindi, sono stati divisi in tre distinti cluster in base al loro profilo metabolomico plasmatico, ovvero alle differenti concentrazioni di acidi grassi infiammatori, ammine e derivati amminici. A questo punto, per i membri di ciascun cluster, è stato possibile evidenziare una associazione statisticamente significativa con la supplementazione di vitamina D materna, e con la

(26)

26

concentrazione di vitamina D misurata su campioni di sangue dei bambini. Questo ha pertanto suggerito una forte influenza della vitamina D sul metaboloma, e ha portato ad ipotizzare un suo ruolo, già in epoca prenatale, nella programmazione del metabolismo del bambino.

In particolare si è visto che i bambini nel cluster 1, esposti a livelli di vitamina D più bassi rispetto al cluster 2 e 3 durante tutta la gravidanza, avevano una più alta concentrazione di acidi grassi, in particolare linoleato, linolenato, miristato, oleato, palmitato, palmitoleato e stearato. Tra questi, quelli presenti in concentrazioni maggiori erano gli acidi grassi saturi palmitato e miristato, entrambi in grado di promuovere vari processi pro-infiammatori59. Livelli

elevati di miristato, infatti, sono stati associati a livelli elevati di marker infiammatori come la proteina C reattiva, e ad altre citochine pro-infiammatorie61. Un altro importante acido grasso, responsabile

della suddivisione nei tre cluster, è stato il linoleato, che di nuovo si è trovato presente in concentrazioni più elevate nel cluster 1. Anche il linoleato è coinvolto in vari processi infiammatori, essendo precursore dell’acido arachidonico, leucotrieni e prostaglandine, tutte componenti della cascata infiammatoria62.

Oltre agli acidi grassi per la suddivisione nei tre cluster, è stata presa in considerazione anche la concentrazione di vari tipi di ammine. In particolare, i bambini appartenenti al cluster 1 e 2, che erano stati esposti durante la gravidanza a livelli di vitamina D rispettivamente bassi e normali, avevano da questo punto di vista un profilo metabolomico comune, con alte concentrazioni di ammine quali: alanina, glutammato, ipoxantina, lattato, prolina e fenilalanina. Anche in questo caso, alcune delle ammine identificate, erano marker di alcuni processi infiammatori, come l’ipoxantina e il glutammato per l’artrite, mentre per l’arginina è stato recentemente descritto un ruolo nel processo infiammatorio asmatico. Nel

(27)

27

complesso, tali risultati facevano ipotizzare che bambini appartenenti al cluster 2, che avevano concentrazioni di acidi grassi più basse rispetto al cluster 1, avrebbero potuto sviluppare in età successive, a causa di tali alterazioni del metabolismo amminico, processi infiammatori e patologie complesse.

In conclusione, tale studio ha dimostrato come i livelli di vitamina D fossero in grado di influenzare il metaboloma tramite metaboliti chiave di vari processi infiammatori, alludendo ad un ruolo della vitamina D nella programmazione del metabolismo del bambino già in epoca prenatale, che potrebbe essere importante nel determinare un’aumentata suscettibilità a processi infiammatori, e altre complesse patologie, in fasi di crescita successive59.

2.2.2 Effetti sulla salute materna

Durante la gravidanza il turnover osseo materno va aumentando raggiungendo il massimo nel terzo trimestre di gravidanza, per assicurare al feto una maggiore disponibilità di calcio. Un deficit di vitamina D può alterare i meccanismi di preservazione dello scheletro materno, portando ad una transitoria riduzione della BMD (bone mineral density)63, oltre ad impedire la corretta formazione

dello scheletro fetale.

La vitamina D è anche un fattore protettivo verso lo sviluppo di infezioni durante la gravidanza, grazie all’azione sul sistema immunitario. Bassi livelli di vitamina D sono stati associati infatti ad un aumentata frequenza di vaginosi batteriche nel primo trimestre, soprattutto in donne nere, che tipicamente hanno livelli più bassi di 25(OH)D, e un rischio fino a sei volte maggiore di ipovitaminosi rispetto alle donne bianche64.

Numerosi studi hanno riportato l’associazione tra bassi livelli sierici di 25(OH)D e varie patologie ostetriche, che possono complicare il

(28)

28

decorso della gravidanza. Tra queste abbiamo la preeclampsia, sindrome caratterizzata da proteinuria e ipertensione di nuova insorgenza, che in generale interessa il 5-8% delle gravidanze. È stata evidenziata un’associazione tra bassi livelli di 25(OH)D e un aumentato rischio di sviluppo di questo quadro, come dimostrato da alcuni studi che sottolineano una sua aumentata incidenza nei mesi invernali, quando riducendosi l’esposizione al sole si riduce anche la produzione di vitamina D65. Facendo un paragone con controlli non

supplementati, la supplementazione di vitamina D riduce il rischio di preeclampsia66. Spiegherebbe questa associazione l’ipotesi per cui,

ridotti livelli di 25(OH)D nelle fasi iniziali della gravidanza, possano portare ad una alterata placentazione, inducendo una perdita della capacità invasiva del trofoblasto extravilloso67. Inoltre è stata

notata, a livello della placenta di donne preeclamptiche, un’attività dell’enzima CYP27B1 pari ad un decimo rispetto a donne non preeclamptiche54.

Sempre più evidenze supportano il ruolo della vitamina D nel mantenimento dell’omeostasi glucidica. L’1,25(OH)2D regola la

secrezione insulinica da parte delle cellule  pancreatiche influenzando in tal modo i livelli ematici di glucosio. Infatti, come atteso, bassi livelli di 25(OH)D sono un rischio per quanto riguarda quadri di intolleranza glucidica e sviluppo di diabete gestazionale, mentre livelli più alti di vitamina D aumentano la sensibilità insulinica68.

Uno studio del 2009 ha evidenziato la correlazione tra livelli sierici di 25(OH)D e l’aumento del rischio di essere sottoposte al primo taglio cesareo. In particolare il rischio è fino a quattro volte maggiore in donne con livelli sierici di vitamina D < 15 ng/ml. In questo caso, il bisogno di ricorrere al cesareo, sarebbe legato alla debolezza muscolare che si associa al deficit di vitamina D69 (Tabella 2).

(29)

29

Tabella 2. Rischi legati al deficit di vitamina D (25(OH)D <32 ng/ml) durante la gravidanza54

2.3 Fattori di rischio di ipovitaminosi D in

gravidanza.

I fattori di rischio più importanti di ipovitaminosi D in gravidanza sono pressochè sovrapponibili a quelli già visti in precedenza, ovvero: elevata pigmentazione cutanea, ridotta esposizione ai raggi solari, obesità, patologie croniche (specie quelle che causano mal assorbimento), assunzione di farmaci che interferiscono con il metabolismo della vitamina D. In aggiunta a questi,il rischio di ipovitaminosi dipenderebbe anche dal trimestre di gravidanza, con un rischio maggiore per il terzo (quando ci si aspettano i livelli più alti di vitamina D) 3.

Nel neonato, come già detto, lo stato vitaminico è strettamente dipendente dallo stato vitaminico materno, come dimostrato dalla correlazione tra i livelli di 25(OH)D materni, valutati durante la gravidanza o vicino al momento del parto, e i livelli cordonali o neonatali di vitamina D. Per questo, un neonato con sufficienti concentrazioni di vitamina D, sottointende uno stato vitaminico materno adeguato, soprattutto nell’ultimo trimestre70. È chiaro

quindi come un inappropriato stato vitaminico materno influenzi negativamente lo stato vitaminico neonatale, con un aumentato

(30)

30

rischio di ipovitaminosi D. Rischio che viene aumentato da vari fattori concomitanti, primo tra tutti l’allattamento al seno, ma anche di nuovo l’elevata pigmentazione cutanea, la scarsa esposizione al sole, trattamenti farmacologici (tutti fattori già spiegati in precedenza).

2.3.1 Supplementazione di vitamina D in

gravidanza.

Al fine di assicurare il mantenimento di un adeguato stato vitaminico D in gravidanza, diventa importante la supplementazione materna. A tal proposito, in letteratura, vi sono punti controversi e ampiamente dibattuti, riguardo il reale beneficio che apporterebbe la supplementazione vitaminica. In ogni caso, i risultati di studi recentemente pubblicati, suggeriscono che la donna in gravidanza dovrebbe assumere almeno 400-600 UI/die di vitamina D fin dall’inizio della gravidanza, salendo a 1000-2000 UI/die in donne con fattori di rischio di ipovitaminosi D (obesità, scarsa esposizione alla luce solare, elevata pigmentazione cutanea)71.

2.4 Epidemilogia del deficit di vitamina D in

gravidanza.

Attualmente diversi dati epidemiologici sulla prevalenza del deficit vitaminico D nelle donne in gravidanza mostrano una diffusa carenza vitaminica, che rappresenta un problema sanitario importante per tutti i problemi che ne conseguono, soprattutto considerando la stretta relazione tra stato vitaminico materno e stato neonatale .

Vari report hanno evidenziato come tra le donne incinta il 18 % in Inghilterra, il 25% negli Emirati Arabi,l’80 % in Iran, 42 % nel nord dell’India, il 61% in Nuova Zelanda e il 60%-84 % delle donne immigrate in Olanda , mostrino un deficit vitaminico D72.

Uno studio recente del 2017 ha valutato lo stato vitaminico di un gruppo di donne tedesche in tutti e tre i trimestri gravidanza,

(31)

31

confrontandolo con quello di un gruppo di donne tedesche non incinta. Lo stato vitaminico, nei vari gruppi e sottogruppi definiti nel corso dello studio, è stato stimato tenendo presenti i suoi principali determinanti: età, BMI, fototipo, recenti vacanze, esposizione al sole (quindi anche la stagione in cui veniva prelevato il campione di sangue per i dosaggi), latitudine, trimestre di gravidanza. È stato aggiunto tra i parametri in considerazione l’uso di contraccettivi orali per le donne non incinta.

I risultati hanno evidenziato come bassi livelli di vitamina D siano prevalenti nelle donne in gravidanza, con il 78% delle donne in gravidanza con livelli di vitamina D < 50 nmol/l, contro il 53.9% di quelle non in gravidanza. Oltre a questo dato, la stagione invernale, il fatto di vivere ad una longitudine tra 6,3°E e 8,9°E, o 9,0°E e 10,9 °E, e il terzo trimestre di gravidanza, sono stati associati ad un rischio aumentato di deficit grave di vitamina D (<25 nmol/l) (Figura 9) . Rischio che è apparso tre volte maggiore nelle donne incinta se paragonate al gruppo di quelle non incinta.

Figura 9. Stato vitaminico (25 (OH)D ) valutato in base : a. Donne in gravidanza rispetto a

(32)

32

Comunque solo il 5 % delle donne incinta, e il 15% di quelle non incinta, raggiungevano livelli di vitamina D considerati sufficienti ( >75 nmol/l ).

Sono dati che sono in linea con dati di studi condotti in altri paesi europei, che hanno mostrato un’alta prevalenza di inadeguati livelli vitaminici 3.

Anche uno studio del 2009, condotto dal gruppo di Holmes a Belfast, in cui sono stati confrontati i livelli di 25(OH)D di un gruppo di donne in gravidanza con un gruppo di donne non in gravidanza, aveva dato risultati simili, con livelli di vitamina D molto più bassi in gravidanza73. Sono state proposte diverse teorie per spiegare i più

bassi livelli vitaminici in gravidanza. Sicuramente è fondamentale l’aumentata richiesta fetale di calcio e fosforo, ma anche altri fattori come l’emodiluizione, la ridotta esposizione al sole. È possibile inoltre che anche l’utilizzo di contraccettivi orali in donne non in gravidanza possa spiegare questa differenza, dato che i loro uso è stato associato a livelli più alti di 25(OH)D3,73.

2.5 Definizione dello stato vitaminico D in

gravidanza.

Tenendo presenti le implicazioni che può avere un quadro di ipovitaminosi D sulla salute materna, fetale e neonatale, diventa cruciale andare a definire con precisione lo stato vitaminico D in questi gruppi. A tal proposito sono diversi i fattori che possono complicare tale valutazione.

2.5.1 Definizione livelli vitamina D.

Innanzitutto, bisogna considerare la scarsità di dati che definiscono con precisione quale sia il range di 25(OH)D che può essere considerato normale durante la gravidanza 70.

(33)

33

Per valutare lo stato vitaminico in gravidanza sono stati usati, in molti studi, i livelli di 25(OH)D misurati su campioni di siero materno. I cut-off usati per la definizione dello stato vitaminico secondo lo IOM, in base ai livelli circolanti di 25(OH)D, sono già stati esposti in precedenza, e riassunti nella Tabella 3.

Tabella 3. Cut-off stato vitaminico D.

Tuttavia la valutazione eseguita su campioni di sangue cordonale, ottenuti al momento del parto, permette di valutare in maniera più precisa e diretta qual è stata l’esposizione fetale alla vitamina D durante la gravidanza, e di avere quindi un’idea delle scorte di vitamina D del neonato74.

La 25-idrossivitamina D, come già detto, è in grado di attraversare la placenta, per cui i livelli materni e quelli cordonali sono direttamente associati, con le concentrazioni cordonali che corrispondono all’80% circa dei livelli di vitamina D materni70. Esiste

invece una scarsa correlazione materno-fetale tra i livelli di 25(OH)D e di 1,25(OH)2D, a conferma della necessità di usare la 25(OH)D per

la valutazione dello status vitaminico75.

D’altre parte non esistono linee guida che definiscano quali siano gli intervalli di riferimento per valutare la concentrazione di 25(OH)D su campioni di sangue cordonale, e quindi i livelli soglia per parlare di deficiente, insufficiente, sufficiente stato vitaminico variano negli studi.

Ad oggi lo IOM ha definito i seguenti cut-off per la valutazione della 25(OH)D su siero cordonale: livelli <30 nmol/l (12 ng/ml) sono associati ad un aumentato rischio di deficit vitaminico, 40nmol/l (16

Deficit grave Deficit Insufficienza Sufficienza 25(OH)D <10 ng/ml (<25nmol/l) <20 ng/ml (<50nmol/l) 20-29 ng/ml (50-74nmol/l) > 30 ng/ml (>75nmol/l)

(34)

34

ng/ml) corrispondono ad una adeguata concentrazione, mentre è considerata sufficiente una concentrazione > a 50 nmol/l (20 ng/ml).. Concentrazioni di 25(OH)D su siero cordonale < 25-30 nmol/l (10-12 ng/ml) corrispondono ad un aumentato rischio di rachitismo carenziale, soprattutto in assenza di una adeguata supplementazione di vitamina D nel primo anno di vita76

2.5.2 Misurazione della vitamina D: un analita

difficile.

A quanto detto, si aggiunge il fatto che la vitamina D è un analita difficile da misurare per diversi motivi: la sua natura idrofobica, perché esiste in diverse forme molecolari, è strettamente associata alla sua proteina di trasporto (DBP), e perché fino a poco tempo fa mancava uno standard di riferimento o un metodo di riferimento. Il siero umano è una matrice complessa, ricca di lipidi di varia natura, e quando si mette a punto un dosaggio, i calibratori e gli standard sono costruiti artificialmente in modo simile al siero umano, ma non identico: il fatto che la vitamina D sia di natura lipofilica la rende vulnerabile alla presenza di altri lipidi, potendo provocare per le sostanze leganti che vengono utilizzate delle differenze di associazione alla vitamina D rispetto a quello che succede nel siero o negli standard. Queste problematiche vanno sotto il nome di “effetto matrice”. Altro problema importante è la necessità di separare la vitamina D dalla sua proteina di trasporto per poter effettuare il dosaggio di 25(OH)D77.

Esistono tredici differenti metodi per analizzare la concentrazione di 25(OH)D sierica, ognuno con diversi gradi di accuratezza. I limiti di rilevamento, e i coefficienti di variazione (CV) inter- e intra-assay, variano ampiamente 78. Questo rischia di portare a risultati poco

accurati, e soprattutto rendere impossibile confrontare i risultati ottenuti in studi che utilizzino metodi diversi. Da qui la necessità di programmi di standardizzazione dei diversi sistemi di analisi, che

(35)

35

definiscano i cut-off da utilizzare nella pratica clinica, e rendano quindi confrontabili tra loro i risultati di tali metodi13.

Tra i metodi più utilizzati troviamo il RIA (radioimmunoassays), il dosaggio competitivo a legame proteico (competitive protein binding assay), la spettrometria di massa in cromatografia liquida (LC-MS), la spettrometria di massa tandem accoppiata alla cromatografia liquida(LC-MS/MS)78.

Il RIA è una tecnica sviluppata negli anni 80, basata sulla competizione tra un antigene non marcato e una quantità nota dello stesso antigene marcato, per il legame con un numero limitato e costante di siti anticorpali. In particolare la vitamina D endogena all’interno del campione, viene messa in competizione con un analogo marcato con un tracciante isotopico radioattivo (in genere I125). Queste due sostanze competono per il legame con un anticorpo

anti-vitamina D. La misurazione avviene indirettamente attraverso la rilevazione del segnale, che sarà inversamente proporzionale alla concentrazione di vitamina D nel campione79.

Attualmente, la miglior accuratezza e precisione della spettrometria di massa tandem, fanno sì che possa essere considerata come “gold standard” per il dosaggio della 25(OH)D, e quindi per la definizione dello stato vitaminico78.

2.5.3 Interferenza degli epimeri nella valutazione

dello stato vitaminico.

A conferma del bisogno di utilizzare metodi precisi e accurati come la LC-MS/MS, abbiamo che durante la gravidanza, e soprattutto nel neonato, la valutazione dei livelli di 25(OH)D può essere complicata dalla presenza di vari metaboliti, prodotti di degradazione, che rischiano di classificare erroneamente lo stato vitaminico.

A tal proposito è di fondamentale importanza la presenza degli epimeri (C3-epi-25(OH)-vitamin D), metaboliti che possono essere

(36)

36

inclusi nel dosaggio della 25(OH)D da metodi LC-MS che non separano composti chirali, portando a sovrastimare lo stato vitaminico D 80.

Il 3-epi-25(OH)D è un metabolita con una struttura chimica e massa identica alla 25(OH)D, ma con una diversa configurazione stereochimica. L’epimero C-3 della vitamina D differisce infatti dalla 25(OH)D solo nella configurazione del gruppo OH nella posizione 3 del carbonio della molecola. Per questo motivo molti metodi LC-MS usati di routine, non riescono a separare la 25(OH)D dal metabolita 3-epi-25(OH)D, con conseguente sovrastima dello stato vitaminico, dal momento che l’area corrispondente al C3-epimero viene quantificata sulla curva di calibrazione della 25(OH)D. Per valutare accuratamente i livelli di 3-epi-25(OH)D è necessaria una curva di calibrazione apposita, che deve essere aggiunta al sistema di analisi, con l’utilizzo di 3-epi-25(OH)D come standard interno81 (Figura 10).

(37)

37

A conferma del ruolo degli epimeri nell’influenzare la determinazione di un corretto stato vitaminico nel neonato e nella madre, vi è uno studio del 2016, condotto dal gruppo di Aghajafari, su un gruppo di donne canadesi e dei loro neonati.

Sono stati raccolti 92 campioni di sangue materno e cordonale. Il 3-epi-25(OH)D3 è stato trovato in tutti i campioni, costituendo il 6,0%

e il 7,8 % dei livelli di 25(OH)D3 rispettivamente nei campioni

materni e fetali. Quando il 3-epi-25(OH)D3 era escluso dalla

valutazione dello stato vitaminico, il 38% dei campioni materni e l’80% dei campioni cordonali presentavano concentrazioni di 25(OH)D < 75 nmol/l (30 ng/ml), mentre quando era incluso i campioni con livelli di 25(OH)D < 75 nmol/l scendevano al 33 % per quanto riguarda i campioni materni, e al 73% per i campioni cordonali. Per cui al 5% delle madri, e al 7 % dei neonati era erroneamente attribuito uno stato vitaminico sufficiente, a causa della presenza 3-epi-25(OH)D3. Considerando invece il cut-off di 50

nmol/l, usato per definire il quadro di deficit, includendo il 3-epi-25(OH)D3 nella valutazione dello stato vitaminico, il 2% dei campioni

materni e il 21 % dei campioni cordonali rientravano nel quadro di deficit, mentre escludendo da tale valutazione gli epimeri si saliva al 4% per i campioni materni e ben al 28 % per i cordonali82.

Sono dati che concordano con altri studi, come quello condotto da Bailey D nel 2013, per cui il 9% dei neonati, e il 3 % degli adulti sarebbero stati erroneamente considerati con uno stato vitaminico sufficiente (>75 nmol/l- 30 ng/ml), se gli epimeri non fossero stati identificati durante tale valutazione83. Pertanto, tenendo presenti

tutte le importanti implicazioni cliniche legate a livelli deficitari/insufficienti di vitamina D durante la gravidanza e nel neonato, è importante misurare la 25(OH)D con metodiche che permettano di identificare e separare in maniera accurata gli epimeri, quali la LC-MS/MS, in modo che le riserve vitaminiche non

(38)

38

vengano erroneamente sovrastimate. Tali considerazioni sono importanti, e vanno tenute ben presenti, soprattutto quando si valuta lo stato vitaminico in bambini con meno di un anno, nei quali troviamo i livelli di C3-epimero più alti rispetto ad altre età pediatriche.

(39)

39

3. Gli epimeri della vitamina D.

Gli epimeri della vitamina D, come già riportato in precedenza, sono molecole con struttura e massa identica alla 25(OH)D, che differiscono dalle molecole primarie solo nella configurazione del gruppo OH nella posizione 3 del carbonio della molecola81. Sono

diastereoisomeri della 25(OH)D, che presentano una differente configurazione presso uno solo stereocentro (Figura 11). I diastereoisomeri non sono specularmente sovrapponibili.

In particolare gli epimeri della vitamina D sono il 3-epi-25(OH)D3 (la

forma principale), il 3-epi-25(OH)D2, e il 3-epi-1,25(OH)2D. Molti

studi non prendono in considerazione gli epimeri della vitamina D2,

dato che i livelli della 25(OH)D2 risultano spesso bassi, e solo una

percentuale minore di soggetti mostravano livelli rilevabili di 3-epi-25(OH)D284.

(40)

40

3.1 Metabolismo dell’epimero C3 della

vitamina D.

Parallelamente alla via metabolica classica della vitamina D, che porta alla sua attivazione attraverso tutta una serie di reazioni enzimatiche operate da enzimi della famiglia del citocromo P450, è stata scoperto, da qualche anno, che la vitamina D può essere metabolizzata attraverso una via alternativa, tramite una reazione di epimerizzazione a livello del carbonio 3. Tale processo è stato descritto per la prima volta nel 2001 da Reddy et al. in cheratinociti umani neonatali85. In particolare, nel processo di epimerizzazione, il

gruppo OH nella posizione 3 del carbonio dell’anello A, passa dalla configurazione alfa (sotto l’anello) alla configurazione beta (sopra l’anello). Studi in vivo e in vitro mostrano come tutti i principali metaboliti e prodotti intermedi della vitamina D possono andare incontro a tale reazione. A loro volta gli epimeri possono essere metabolizzati dagli stessi enzimi responsabili degli eventi di ossidazione e idrossilazione nella via metabolica standard, producendo cosi 3-epi-25(OH)D3, 3-epi-1,25(OH)2D3, e il

3-epi-24(R),25(OH)2D3. Per cui gli enzimi CYP27B1 e CYP24 sono in grado

di svolgere la reazione di idrossilazione, rispettivamente in posizione C1 e C24, indipendentemente dalla stereochimica del gruppo OH in C3 (Figura 12).

Successivamente 3-epi-1,25(OH)2D3 può essere metabolizzato in

altri tre composti polari: 3-epi-1,24(R),25(OH)3D3,

3-epi-24-oxo-1,25(OH)2D3,3-epi-24-oxo-1,23(S),25-tridrossivitamina D383.

La reazione di epimerizzazione non ha solo un importante significato nella via metabolica della vitamina D, ma è un’importante reazione chimica che interviene anche nella regolazione di alcuni ormoni steroidei, come i fattori di rilascio ipotalamici delle gonadotropine 86.

(41)

41

Nonostante l’enzima responsabile dell’epimerizzazione non sia ancora stato identificato, tale attività appare indipendente sia dalla presenza del gruppo OH su C 1 o C 25, sia dall’attività degli enzimi della famiglia del citocromo P450(CYP24, CYP27A1, CYP27B1) e della 3()idrossisteroide epimerasi87,88.

Dunque ad oggi sono stati definiti i seguenti punti: 1) la reazione di epimerizzazione interessa tutti i principali metaboliti della vitamina D; 2) sembra che si verifichi in vari tessuti extrarenali; 3) sembra che coinvolga enzimi distinti da quelli classici che portano all’attivazione della vitamina D.

Figura 12. Metabolismo della 25(OH)D e pathways di epimerizzazione83

3.2 Origine del C3-epimero della vitamina D

È noto che i livelli di C3-epimero sono più elevati nei bambini con meno di un anno, rispetto a bambini più grandi, soprattutto in

(42)

42

paragone con gli adulti. Tuttavia sono disponibili poche informazioni riguardo le concentrazioni del C3-epimero durante la gravidanza e su campioni di sangue cordonale, per cui di fatto l’orgine del C3-epimero rimane sconosciuta.

Sono state formulate alcune ipotesi. Intanto, alla luce del fatto che tale metabolita è più comunemente rilevato nelle donne incinta, rispetto ad adulti non in questa condizione89, è ragionevole pensare

che in maniera analoga alla 25(OH)D, il C3-epi-25(OH)D attraversando la placenta arrivi al feto, spiegando le elevate concentrazioni osservate nelle prime epoche di vita.

In alternativa, il C3-epimero, potrebbe essere generato dal feto stesso o accumulato dopo la nascita,o derivare da fonti esogene (ad esempio può andare incontro alla reazione di epimerizzazione la vitamina D data in supplementazione nel primo anno di vita)80.

3.2.1 Origine del C3-epimero nel siero materno.

Sebbene la presenza di C3-epi-25(OH)D3 in gravidanza sia stata

attributita sia ad una produzione endogena di vitamina D che a fonti esogene, si è visto che i livelli di C3-epimero erano più alti nelle donne supplementate con vitamina D.

Per verificare tale ipotesi, ovvero che la vitamina D “esogena” possa essere fonte di orgine preferenziale per il C3-epimero, è stato eseguito uno studio da Bailey et al. nel 2014, che ha dimostrato come la supplementazione orale con vitamina D abbia un effetto indipendente, rispetto alla produzione endogena di vitamina D , nel contribuire ai livelli di C3-epi-25(OH)D3.

Senza supplementazione mediamente l’ 1.75 % di 25(OH)D3 andava

incontro ad epimerizzazione, salendo al 6.25 % nelle donne supplementate80.

Questi dati quindi mostrano come la vitamina D sarebbe fonte di orgine preferenziale per il C3-epimero. Probabilmente la digestione, l’assorbimento, e le modificazione epatiche, della vitamina D assunta

(43)

43

per via orale indurrebbero la reazione di epimerizzazione. A sostegno di tale ipotesi, è stato osservato che l’assorbimento intestinale della vitamina D, assunta dall’esterno, si associa ad un più rapido uptake epatico,e ad una più rapida conversione in 25(OH)D, rispetto alla vitamina D prodotta a livello cutaneo90.

Tale importante correlazione tra la supplementazione con vitamina D e la concentrazione di 3-epi-25(OH)D3, che suggerisce come essa

possa essere fonte/substrato per il 3-epi-25(OH)D3, è stata

confermata anche dallo studio del 2016 di Aghajafari(già menzionato in precedenza). Questo studio non ha solo solo dimostrato una associazione statisticamente significativa tra i livelli di 3-epi-25(OH)D3 e la supplementazione vitaminica materna, ma anche la

presenza di una correlazione importante tra concentrazione di 3-epi-25(OH)D3 materna e le stagioni, suggerendo il contributo della

vitamina D endogena e di conseguenza anche l’importanza dell’esposizione alla luce solare, nel definire i livelli di 3-epi-25(OH)D3 materni. D’altre parte tale studio non ha evidenziato tale

correlazione nei campioni cordonali.

Un altro studio importante nel definire quali possano essere i fattori determinanti la concentrazione di 3-epi-25(OH)D3 ,prendendo però

in considerazione un campione di soggetti adulti (n=1082), non un campione di donne incinta, è stato quello del 2014 condotto da Cashman. È stata confermata nuovamente, non solo la correlazione lineare esistente tra livelli di 25(OH)D3 e 3-epi-25(OH)D3(Figura 13)

e il fatto che la concentrazione di 3-epi-25(OH)D3 aumenti in

maniera significativa in caso di supplementazione vitaminica, ma sono stati valutati altri fattori.

Riferimenti

Documenti correlati

Dallo studio fatto su due Patologie Neonatali in Veneto risulta che tutti gli infermieri sono a conoscenza di che cosa sia la Care Neonatale, che molte

In tal caso, previa verifica d’idoneità dei genitori, il sangue cordonale viene raccolto e le cellule estratte vengono conservate presso una banca pubblica.. In caso di necessità,

Gli Autori concludono che il regime profilattico con 1 mg di vitamina K per os alla nascita, seguito dalla sommi- nistrazione di 150 µg/die per os dalla 2 a alla 13 a

E sarà forse strano, retorico, inopportuno…non importa: l’ultimo grazie è per me stesso, per aver almeno tentato di metterci sempre quel pizzico in più, per

In attesa di ulteriori studi a conferma delle azioni extra-scheletriche della vitamina D, alla luce della prevalenza di deficit e insufficienza di vitamina D nei gruppi

Al contrario, l’età influenzava lo stato vitaminico in quanto i bambini presentavano livelli circolanti di 25-OH-D significativamente superiori rispetto ad adolescenti e

Essere in so- vrappeso, utilizzare almeno una volta a settimana durante la gra- vidanza prodotti di pulizia per la casa (candeggina, ammoniaca, detergenti per vetro, spray per

L’obiettivo dello studio è quello di studiare il rischio di sovrappeso e sin- drome metabolica nella prole adulta delle donne con diabete mellito gestazionale (gestational