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Il tumore “triplo negativo” rappresenta il sottotipo molecolare di neoplasia mammaria a prognosi peggiore sia nella fase avanzata che nella fase precoce. Nel setting preoperatorio, l’utilizzo di un trattamento chemioterapico permette di ottenere una chirurgia mammaria conservativa laddove non fosse possibile in prima battuta e di selezionare pazienti non responsivi per ulteriori trattamenti postoperatori. Recentemente una meta-analisi ha dimostrato come l’ottenimento di una risposta patologica completa ad un trattamento chemioterapico preoperatorio permetta di migliorare la sopravvivenza libera da ricaduta e la sopravvivenza globale in particolare nel sottogruppo di pazienti con tumore triplo negativo.67 Una strategia tesa a migliorare il tasso di risposte patologiche

complete consiste nell’utilizzare derivati del platino in combinazione con i comuni schemi chemioterapici nei pazienti con tumori mammari triplo negativi.82 Il

presente studio è stato effettuato in collaborazione tra l’U.O. di Oncologia Medica di Pisa e il Centro Senologico dell’Azienda Ospedaliera Pisana ed ha coinvolto 116 pazienti di sesso femminile affette da carcinoma della mammella triplo negativo in stadio iniziale con un’età mediana di 47 anni, (range 24-77 anni). Lo studio è stato rivolto alla valutazione dell’efficacia dell’aggiunta del carboplatino alla terapia neoadiuvante in termini di risposta patologica completa (pCR) rispetto agli schemi convenzionali senza carboplatino.

I risultati ottenuti in termini di pCR intesa come ypT0/Tis ypN0 nel gruppo senza sali di platino si è dimostrata leggermente inferiore ai dati riportati in letteratura: il 23% delle pazienti trattate senza platino nel nostro studio ha ottenuto la pCR rispetto a 28% nello studio di Liedtke et all. 92 pubblicato nel 2008 sul Journal of

clinical oncology il quale includeva 255 pazienti affette da tumore triplo negativo trattate con schema terapeutico neoadiuvante comprendente antracicline, taxani, fluorouracile e ciclofosfamide mentre la differenza è ancora maggiore ai tassi del 34% e 35% descritti in due studi pubblicati da Gunter Von Minckwitz e collaboratori tra il 2011 e 2012 che hanno incluso rispettivamente 742 e 921 pazienti con diagnosi di tumore al seno triplo negativo e che hanno effettuato chemioterapia neoadiuvante comprendente antracicline e taxani.

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carboplatino in linea con quanto presente in letteratura: una grossa metanalisi che includeva 28 studi pubblicata nel 2014 da Petrelli che intendeva valutare l’efficacia dei Sali di platino nel setting neoadiuvante ha ottenuto un tasso di pCR del 46.3% (95% CI: 40.7%–52.1%).94

Nel nostro studio quindi l’aggiunta di carboplatino al trattamento standard incrementa i tassi di pCR da 23% al 47% (OR 2.95, 95% CI 1.06-8.16, p=0,038) quindi le pazienti che giovano dello schema contenete carboplatino hanno una probabilità 3 volte maggiore di raggiungere la pCR.

La metanalisi di Poggio e collaboratori pubblicata lo scorso anno su Annals of Oncology afferma che la chemioterapia neoadiuvante con platino incrementa significativamente il tasso di pCR da 37% a 52,1% (OR 1.96, 95% CI 1.46-2.62, P < 0.001).82

Sempre riferendoci allo studio di Poggio 82 non si è registrato nessun significativo

aumento del tasso di pCR nelle pazienti BRCA mutate (OR 1.17, 95% CI 0.51- 2.67, P = 0.711).

In linea con la letteratura anche in questo studio non si è registrato un incremento significativo del tasso di pCR nelle pazienti BRCA mutate che hanno beneficiato del carboplatino comparate con le pazienti mutate a cui non è stato somministrato (25% vs 21%).

Valutando la definizione alternativa di pCR quale ypT0/Tis che non tiene conto dello stato linfonodale i tassi di risposta crescono in entrambi i gruppi: 53% nel gruppo con carboplatino e 33% nel gruppo senza carboplatino.

Andando ad osservare il parametro ypN il gruppo con platino ha ottenuto l’assenza di malattia a livello linfonodale (definita come ypN0) nel 79% dei casi vs 65% nel gruppo senza platino. Lo studio di popolazione di Wang et all. pubblicato nel 2016 e comprendente più di 11000 pazienti con tumore triplo negativo ha dimostrato la relazione fra l’interessamento linfonodale e l’outcome delle pazienti: la prognosi peggiora all’aumentare del parametro ypN e in particolare mentre non si rilevano sostanziali differenze fra ypN1 e ypN2 al raggiungimento di ypN3 (cut-off ≥10 linfonodi metastatici) la prognosi peggiora sensibilmente mentre l’outcome non è influenzato dal parametro ypT.95

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Questi dati suggeriscono che l’aggiunta di carboplatino aumentando i tassi di ypN0 possa influenzare positivamente la prognosi delle pazienti.

È stato interessante osservare a quale tipo di intervento sia state indirizzate le pazienti dopo il trattamento neoadiuvante: il 68% delle pazienti trattate con carboplatino hanno effettuato un trattamento di tipo conservativo vs il 47% delle pazienti trattate con schemi classici. Data la natura retrospettiva del nostro studio non è stato possibile calcolare il tasso di conversione ossia la percentuale di pazienti che prima del trattamento neoadiuvante erano candidate al trattamento demolitivo e a seguito di questo hanno ottenuto una riduzione della massa tumorale tale da consentire la quadrantectomia. Tuttavia il maggior numero di interventi conservativi con l’aggiunta del carboplatino rispetto agli schemi senza derivati del platino potrebbe dimostrare ancora una volta una maggiore attività della combinazione.

L’analisi delle pazienti che hanno ottenuto una risposta patologica completa denominate “full responders” non ha evidenziato particolari differenze rispetto alle pazienti che non hanno ottenuto la pCR, denominate “partial responders”, in termini di età (mediana 47 in entrambi i gruppi) e stato menopausale.

Le dimensioni tumorali erano invece minori nel gruppo full responders con una mediana di 30 mm (range 10-70 mm) vs 40 mm (range 10-90 mm) ed anche lo stadio percentualmente più rappresentato è stato inferiore: stadio IIA (35%) per le full responders vs stadio IIB (38%) per le partial responders.

I dati riportati in letteratura ci suggeriscono come il raggiungimento della risposta patologica completa sia significativamente correlato con una dimensione del tumore più piccola e una più alta espressione del Ki-67. Lo studio di Elnemr pubblicato nel 2016 sull’ Asian Pacific journal of cancer prevention96 ha coinvolto

101 pazienti che hanno effettuato chemioterapia neoadiuvante. Sono stati quindi valutati i livelli di Ki-67, le dimensioni tumorali e associati alla risposta al trattamento. Ne è risultato che i tumori triplo negativi erano quelli col più alto indice proliferativo e che rispondevano di più ai trattamenti chemioterapici. La risposta era inoltre influenzata dalle dimensioni del tumore alla diagnosi.

Il nostro studio è in linea con quanto riportato in letteratura riguardo alle dimensioni tumorali mentre non conferma la letteratura per quanto concerne

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l’espressione di Ki-67 in quanto i livelli di Ki-67 sono risultati analoghi in entrambi i gruppi con una mediana di 60% (range 15-90 nelle full responders e 3-91 nelle partial responders).

Fra gli obiettivi secondari di questo studio vi era quello di descrivere la tolleranza al trattamento nei due gruppi presi in esame e le tossicità.

In accordo con i dati presenti in letteratura come quelli riportati negli studi GeparSixto e nel trial randomizzato di fase II condotto dal Cancer Leukemia Group CALGB 40603 parallelamente a un aumento del tasso di pCR l’utilizzo del carboplatino incrementa le tossicità, in particolar modo la tossicità ematologica con una riduzione del numero dei neutrofili quale evento più ricorrente. 84,97

In particolare nello studio GeparSixto sono state rilevate neutropenia di grado 3- 4 pari al 65% nel braccio con platino vs 28% nel braccio senza platino (p value<0,0001) e anemia di grado 3-4 pari al 15% nel braccio contenente platino vs 1% nel braccio senza Sali di platino (p value<0,0001). Nello studio CALGB40603 la neutropenia di grado 3-4 è stata pari al 56% vs 22% nei bracci con e senza platino mentre l’anemia di grado 3-4 del 4% vs 0%.

Per quanto concerne le tossicità si è registrato un significativo aumento delle tossicità ematologiche di grado 3 e di grado 4 (23% vs 53% OR 3.19, 95% CI 1.55-6.54, P = 0.002; I2 = 90.0%, P = 0.000) mentre non c’è stato nessun

incremento delle neurotossicità di grado 3 e 4 (3,6% vs 3,6% OR 1.05, 95% CI 0.64–1.71, P = 0.854; I2=0.0%, P = 0.565) anche nella systematic review di

Poggio e collaboratori. 82

Nel nostro lavoro la neutropenia di grado 3-4 è stata riscontrata nel 56% delle pazienti trattate con carboplatino vs 20% delle pazienti trattate senza sali di platino, l’anemia di grado 3-4 è risultata nel 12% delle pazienti con carboplatino vs 2% delle pazienti senza carboplatino. Per le altre tossicità di grado severo invece non si sono delineate particolari differenze nei due gruppi.

Tutto questo ha portato a interrompere il trattamento neoadiuvante nel 36% delle pazienti mentre solo il 5% delle pazienti che non hanno ricevuto carboplatino ha sospeso anzitempo la terapia a causa delle tossicità derivate dalla stessa. Questi dati possono essere riassunti nel seguente concetto: il carboplatino in

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aggiunta agli schemi di chemioterapia neoadiuvante contenenti antracicline e taxani è efficace nel determinare un aumento del tasso di risposta patologica completa nonostante un incremento delle tossicità, specialmente ematologiche, che inducono 1 paziente su 3 circa ad interrompere la chemioterapia preoperatoria senza completare tutti i cicli preposti.

Complessivamente le 116 pazienti incluse nello studio hanno ottenuto una DFS mediana di 153 mesi (range 4-199 mesi) e una OS mediana di 182 mesi (range 5-206). Nonostante il basso numero di pazienti analizzati ed il breve follow up anche nel nostro studio si è osservato un trend al miglioramento della DFS e della OS nei pazienti che avevano ottenuto una pCR rispetto a quelli che non avevano ottenuto una pCR indipendentemente dallo schema chemioterapico somministrato: la DFS mediana nel gruppo senza carboplatino è stata 153 mesi (95% CI 71-153) mentre non è stata raggiunta la mediana nel gruppo con carboplatino (p value=0,13) mentre la OS è stata 182 mesi (95% CI 147-182) vs mediana non raggiunta (p value=0,11) Questa osservazione risulta in accordo con quanto riportato in letteratura.67 La bassa numerosità campionaria non ci

permette di confrontare l’outcome di pazienti che avessero ottenuto una pCR con l’aggiunta di carboplatino rispetto a quelli che avessero ottenuto una pCR con schemi convenzionali. Analogamente con i limiti sopra riportati non abbiamo osservato differenze in efficacia nei pazienti che avevano o non avevano ricevuto sali di platino, così come non si è osservata una differenza tra i pazienti mutati in BRCA 1 o 2 ed i pazienti wild type.

Il tumore al seno triplo negativo è una malattia eterogenea ed è necessaria una maggiore comprensione della sua biologia, risponde a una varietà di agenti chemioterapici, sebbene non sia possibile individuare un regime o agente standard specifico.

Nonostante questo c’è una crescente evidenza che la terapia a base di platino sia attiva nella fase iniziale della malattia ma quando e come aggiungere sale di platino ai regimi di chemioterapia neoadiuvante standard rimane poco chiaro in quanto manca ad oggi in letteratura uno studio definitivo che mostri un miglioramento in termini di DFS e / o OS.

Sulla base del fatto che la pCR conferisce una buona prognosi, sembra ragionevole portare avanti nuovi studi che abbiano questo risultato come

74 endpoint primario.

Il nostro studio riconosce importanti limitazioni. La natura retrospettiva, il numero relativamente ridotto di pazienti esaminati, nonché il breve follow up specialmente per i pazienti che hanno ricevuto un trattamento a base di carboplatino, influiscono negativamente sul livello di confidenza associato ai risultati ottenuti. La natura retrospettiva dello studio, in particolare, ha portato a raccogliere dati di pazienti con caratteristiche molto diverse tra loro ed il lungo intervallo di tempo giustifica anche la disomogeneità nei trattamenti ricevuti; nel nostro studio infatti circa il 10% dei pazienti ha ricevuto chemioterapia senza taxani che oggi è riconosciuta inferiore in attività rispetto a schemi che li comprendono. Il livello ancora esplorativo fin qui raggiunto dallo studio richiede tuttavia ulteriori sviluppi e i dati ottenuti necessitano di una maggiore maturità per avere risultati più significativi. Questo studio dimostra in ogni caso la validità delle ipotesi prese in esame ed è da intendersi come una prima osservazione meritevole di approfondimenti.

L’utilizzo di una chemioterapia neoadiuvante nei tumori a più alta aggressività biologica come le neoplasie HER2 positive o i tumori triplo negativi sta divenendo oggi sempre più frequente in quanto ci permette di selezionare clinicamente i pazienti non responsivi che presentano una prognosi peggiore. In questo setting è infatti possibile proporre ulteriori trattamenti che oggi sono ritenuti standard. In particolare i pazienti con tumore triplo negativo che non hanno ottenuto una pCR vengono candidati oggi ad un trattamento con capecitabina che si è dimostrato in grado di migliorare la DFS e la OS.98 Oltre a questo i pazienti non responsivi

risultano i migliori candidati alla valutazione di farmaci o protocolli innovativi come per esempio la terapia immunologica.

Nel nostro studio il 70% circa ed il 50% circa dei pazienti che non hanno o che hanno ricevuto carboplatino in neoadiuvante rispettivamente, non hanno ottenuto una pCR. Tali pazienti risultano candidabili come detto sopra a trattamenti aggiuntivi ed a nostro avviso costituiscono un setting ideale per studi traslazionali e molecolari. L’analisi genomica dei tumori residui, selezionati dal trattamento chemioterapico con o senza platino potrebbe in futuro permetterci di comprendere meglio i meccanismi di aggressività e di resistenza di questo sottogruppo di tumori al seno.

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In conclusione, sebbene con i limiti di una analisi retrospettiva, il nostro studio dimostra, in accordo con i dati della letteratura, come un trattamento a base di sali di platino determini un incremento significativo del tasso di risposte patologiche complete in pazienti con tumori triplo negativi sottoposti ad un trattamento preoperatorio. L’aggiunta dei sali di platino determina tuttavia un incremento della tossicità ematologica. Sebbene si osservi un trend al miglioramento della DFS e della OS in pazienti che ottengono una pCR non è possibile, anche nel nostro studio, osservare una differenza in outcome nei pazienti che abbiamo assunto derivati del platino rispetto a quelli che non li hanno ricevuti. Per questo motivo una attenta selezione del paziente risulta fondamentale per non esporre pazienti fragili a trattamenti attivi ma sicuramente più impegnativi dal punto di vista della tolleranza. Infine, sebbene la casistica sia molto limitata, anche nel nostro studio così come in letteratura, la presenza di una mutazione germinale nei geni BRCA non sembrerebbe costituire un fattore di sensibilità ai derivati del platino e pertanto non dovrebbe essere utilizzato come fattore di selezione della paziente.

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