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Disturbi psicoaffettivi e malattie cardiovascolar

La correlazione tra alterazioni del profilo psico-emozionale e malattie cardiovascolari emerge già nel XVII secolo da uno scritto di William Harvey che afferma “...ogni tumulto della mente correla con una risposta a livello del cuore” (Harvey 1628). Tale concetto, viene per la prima volta definito in una pubblicazione scientifica nel 1937 da Malzberg. L’autore confronta il tasso di mortalità dei pazienti depressi e quello della

45 popolazione generale, evidenziando una maggiore mortalità dei soggetti depressi, principalmente per cause cardiovascolari.

Nel 1974 Friedman e Rosenman, correlano la comparsa di eventi cardiovascolari con un preciso profilo comportamentale. I soggetti con personalità di tipo A, a maggior rischio per eventi cardiovascolari, sono descritti come impazienti, insicuri, fortemente competitivi e ambiziosi, ostili, aggressivi. Sono molto impegnati nel lavoro, cercano i migliori risultati, e sono insoddisfatti per ogni ritardo. Vengono definiti come “drogati dallo stress”.

E’ ormai evidente che la presenza di un disturbo psico-affettivo rappresenti un fattore di rischio cardiovascolare e che modifichi la prognosi di malattie cardiovascolari preesistenti.

I disturbi psico-affettivi aggravano la prognosi dei soggetti affetti da malattie cardiovascolari. Dopo un primo infarto del miocardio, la depressione maggiore determina un incremento della mortalità. In uno studio del 2009 (Carney 2009), veniva valutata la sopravvivenza dopo infarto del miocardio. Emergeva che i soggetti con primo episodio di depressione avevano una sopravvivenza minore rispetto ai soggetti con depressione ricorrente. Entrambi i gruppi avevano una sopravvivenza minore rispetto ai non depressi.

La sintomatologia ansiosa correla con un aumento di rischio di eventi coronarici nella popolazione generale (Kubzansky 2000, Rozanski 1999, Kawachi 1994) ma non c’è un’unanimità assoluta sul suo possibile ruolo

nella patogenesi delle malattie cardiovascolari (Kuper 2002, Fleet 2000). Anche gli eventi stressanti possono essere considerati come fattori di rischio per lo sviluppo di una sindrome coronarica acuta e possono modificarne la prognosi (Rafanelli 2005).

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Meccanismi fisiopatologici

Un possibile meccanismo biologico alla base dell’associazione tra le patologie potrebbe essere l’iperattività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene documentata nei soggetti depressi da numerosi studi.

Nei soggeti con depressione si rilevano elevate concentrazioni di CFR nel fluido cerebrospinale (Nemeroff 1984, Banki 1987), alterazione del meccanismo a feedback nella secrezione del cortisolo e conseguente ipercortisolemia, ingrandimento della ghiandola pituitaria e surrenale, aumento del numero di neuroni ipotalamici CFR secernenti nel tessuto cerebrale rispetto ai controlli (Raadsheer 1995).

Nei soggetti con depressione si rileva iperattivazione del sistema simpatico che può contribuire allo sviluppo di malattie cardiovascolari attraverso gli effetti delle catecolamine sul cuore, sui vasi e sulle piastrine. Tale sregolazione del sistema nervoso autonomo presente in molti pazienti affetti da Depressione Maggiore si associa ad elevata concentrazione plasmatica di noradrenalina e dei suoi metaboliti (Veith 1994). Nei soggetti affetti da depressione è possibile osservare una ridotta variabilità R-R che correla con un’anomalia del sistema di controllo cardiovascolare dei sistemi simpatico e parasimpatico.

Si pensa che una riduzione della HRV (Heart rate variability) sia da attribuire ad una diminuzione del tono parasimpatico e potrebbe essere un fattore predisponente l’insorgenza di aritmie ventricolari.

L’effetto della depressione sull’infarto potrebbe anche essere mediato da un altro meccanismo, quello delle piastrine.

Per primi Markovitz e Matthews hanno proposto che l’elevata risposta delle piastrine a stress psicologici avrebbe potuto favorire manifestazioni coronariche (Markovitz – Matthews 1991).

Numerosi studi successivi confermano tale dato mostrando una maggiore tendenza all’aggregazione piastrinica nei soggetti depressi rispetto ai non depressi (Musselman 1996).

Nel 1997 Langhrissi – Tode et al. hanno valutato 21 pazienti depressi con malattia cardiovascolare evidenziando un’aumentata attivazione

47 piastrinica. Tale aumento si associava con l’aumento della concentrazione plasmatica dei loro prodotti di secrezione, rispetto a pazienti sani e cardiopatici non depressi.

E’ stato dimostrato inoltre che nei soggetti depressi, a livello piastrinico si osservano livelli più elevati di recettori per la serotonina rispetto ai soggetti normali.

La serotonina secreta dalle piastrine potenzia la vasocostrizione coronarica nonchè l’aggregazione piastrinica e il rilascio di mediatori mediante interazione con recettori 5HT2 presenti sulla membrana dei trombociti.

Dopo trattamento con antidepressivi i livelli di tali recettori si normalizzano

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Bruxismo e patologie cardiovascolari

Ad oggi le patologie cardiovascolari costituiscono una delle principali cause di morte. Possono essere relazionate a molti fattori di rischio dovuti alla loro complessa eziopatogenesi. Lo stress è uno di questi ed è anche una delle cause delle parafunzioni orali come il bruxismo.

Come precedentemente citato, il bruxismo è un’abitudine orale caratterizzata da un digrignamento non funzionale dei denti involontario, ritmico o irregolare.

Nel 1964 Reding et al. hanno descritto un cambiamento nel flusso sanguigno periferico e nel battito cardiaco durante gli eventi di bruxismo. Più recentemente Okeson (1994) ha evidenziato un aumento delle frequenza del ritmo cardiaco nei pazienti bruxisti durante un episodio di digrignamento.

Possiamo classificare il bruxismo come “diurno” o “notturno”, il secondo molto più pericoloso. L’eziologia del bruxismo è multifattoriale e comprende fattori psicologici, fattori periferici e fattori pato-fisiologici. Non è facile fare una diagnosi chiara di questa disfunzione perchè i sintomi possono rimanere impercettibili per un lungo periodo di tempo, tuttavia possiamo contare sulle registrazioni anamnestiche e le caratteristiche cliniche.

Un’eccessiva usura dentaria è il segno più frequentemente citato di bruxismo, Xhonga et al. (1977) indicavano come l’usura dentaria progredisse più velocemente nei bruxisti rispetto ai non bruxisti.

Un metodo affidabile per descrivere il bruxismo è l’utilizzo del “Tooth wear index” (Smith e Knight 1984), indice di abrasione, il quale è un indice sia qualitativo che quantitativo.

Con questo indice, sono esaminate visivamente quattro sezioni di ciascun dente (Tabella 3) :

 buccale,

 palatale/linguale,  cervicale,

49 separatamente a ciascuna superficie è attribuito un valore che va da 0 (nessuna perdita delle caratteristiche dello smalto superficiale) a 4 (completa perdita dello smalto ed esposizione della polpa) (Tabella 4).

Superfici 8 7 6 5 4 3 2 1 1 2 3 4 5 6 7 8 Cervicale Buccale Occlusale/ Incisale Linguale/ Palatale

Tabella 3. Superfici analizzate con il TWI ( Smith e Knight, 1984).

Punteggio

Superfici

Criterio

0

BLOI C

No perdita caratteristiche della superficie smalto

No cambiamento colore

1 BLOI

C

Perdita caratteristiche della superficie smalto Minima perdita del profilo

2

BLO

I C

Perdita smalto, leggera esposizione di dentina < 1/3 della superficie

Perdita smalto, leggera esposizione di dentina Difetto con profondità inferiore a 1 mm

3

BLO

I

C

Perdita smalto, leggera esposizione di dentina > 1/3 della superficie

Perdita di smalto e sostanziale perdita di dentina, senza esposizione polpa Difetto con profondità inferiore a 1-2 mm

50 Tabella 4: Punteggi del TWI (Smith e Knight, 1984).

Non è inusuale trovare le faccette di usura nei pazienti affetti da malattie cardiovascolari, inoltre sia le malattie cardiovascolari che il bruxismo possono essere causati dallo stress.

E’ interessante vedere se esiste un legame diretto tra lo stato di bruxismo e una storia positiva di malattia cardiovascolare, nello specifico l’infarto acuto del miocardio.

L’obiettivo del nostro studio era rappresentare un’analisi di prevalenza in modo da valutare una potenziale associazione tra la malattia cardiovascolare e il bruxismo. Il razionale alla base di questa ipotesi è che lo stress e l’ansia sono fattori eziologici sia della malattia cardiovascolare che del bruxismo.

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