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La filosofia della religione oggi è chiamata ad affrontare la sfida del dialogo tra le varie esperienze religiose. Non che questa cosa sia una novità assoluta degli ultimi anni, poiché nella sua storia l‟uomo ha sempre vissuto

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l‟incontro e molto spesso lo scontro, fra religioni diverse. Oggi tuttavia, più che mai, il dialogo religioso sta diventando una questione di primaria importanza. Questo perché, all‟interno di un mondo globalizzato, l‟utilizzo di nuove tecnologie rende sempre più veloce il contatto tra realtà religiose che una volta erano distanti. Non a caso è sempre più difficile localizzare una religione in una particolare area geografica. Come è chiamata dunque ad agire la filosofia dinnanzi alla diversità religiosa? Diversi possono essere gli approcci. Il primo riguarda la razionalità e la giustificazione che ogni esperienza religiosa cerca di esibire. La sfida rappresentata da questo ambito, consiste nel fatto che molto spesso ogni religione ha esibito la propria superiorità sulle altre, cercando di screditarle. Ed è questo l‟effetto che, secondo Hume38, si verifica nell‟incontro tra tradizioni religiose dissimili. La questione si focalizza sulla possibilità di poter far interagire tra loro credenze e pratiche di contesti religiosi diversi. Una famosa risposta a questo problema epistemologico è stata data nel panorama analitico dal Alston.39 Egli ritiene che si possono giustificare le credenze religiose facendo appello alla dimensione pratica ed esperienziale presente all‟interno della religione stessa. Nel parlare di “pratica doxastica”, Alston si richiama ad un modo per formare dei giudizi all‟interno di un panorama condiviso di riti e gesti. Dunque non è sempre necessario appellarsi all‟evidenza per giustificare una credenza religiosa. In questo modo le varie credenze legate alle singole religioni, possono trovare una giustificazione all‟interno di una dimensione esperienziale condivisa. In questa prospettiva non c‟è motivo di pensare che esperienze e mondi religiosi diversi si escludano tra di loro, né tanto meno che una abbia un valore di verità superiore rispetto alle altre. La capacità di poter affrontare un‟analisi paritaria dei vari contesti religiosi, costituisce sicuramente un punto fondamentale per favorire la tolleranza tra le religioni. Ma le difficoltà non sorgono unicamente dal confronto tra le varie pretese epistemologiche di

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Cfr. David Hume, Ricerca sull’intelletto umano, Editori Laterza, Roma-Bari, 2009

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ogni singola dimensione religiosa. Già la parola stessa “religione” presenta una pluralità di significati, che rendono difficile una sua connotazione univoca. La sfida consiste nel far dialogare le varie accezioni del termine. La prima che salta all‟occhio è che non tutte le forme religiose fanno rifermento alla medesima cosa. Nell‟affrontare la questione da una prospettiva occidentale, siamo portati a considerare la religione come quella serie di atteggiamenti, pratiche e credenze che fanno appello ad una divinità pensata in termini personali, con tutta una serie di attributi. Basta però spostare il nostro sguardo verso oriente per intuire come una connotazione di questo tipo non sia affatto appropriata. Religioni come il Buddismo o il Taoismo non pensano minimamente alla dimensione divina in chiave personale. E le difficoltà ci sono anche tra esperienze religiose vicine tra loro, che condividono delle basi comuni e un costante influsso reciproco nel tempo. Dunque questa prima definizione non sembra essere in grado di contenere dentro di sé molti dei mondi religiosi oggi presenti. Potremmo muoverci in un‟altra direzione, e pensare alla religione come un insieme di simboli capaci di motivare le persone nel compiere determinati atti e un preciso stile di vita, all‟interno di una prospettiva che dà ordine e senso al reale. Detto in modo diverso la religione fa appello a specifici simboli, nei quali i credenti vedono una guida per la loro vita, si riconoscono in riti e pratiche condivisi all‟interno di una comunità. La religione, dunque, è anche uno strumento capace di rassicurare l‟uomo per le sue incertezze, di porre ordine all‟interno del reale. Ma questa definizione si presta immediatamente ad una critica: l‟idea di caratterizzare la religione come sistema di simboli risulta troppo ampia. Infatti molte altre cose si basano su un sistema di simboli, ma sono lontane da ciò che intendiamo per religione. Lo stesso Nazismo si fonda su una simbologia molto forte, ma certamente non siamo portati a pensarlo come una religione. Un modo diverso per inquadrare il fenomeno religioso è quello di pensarlo come un rapporto che risponde a precisi schemi in relazione ad una o più entità di ordine sovrannaturale. Qui la parola “rapporto” indica diverse tipologie di azioni

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che il credente può compiere. Però il rischio di questa descrizione è che sia troppo limitativa, che non riesca ad includere molti fenomeni che oggi noi pensiamo come religiosi. Conserva ancora tutta la sua validità l‟approccio wittgensteiniano, secondo il quale la religione ha prima di tutto, come gli altri giochi linguistici, le proprie regole, e può essere pensata come una famiglia di concetti tra loro somiglianti, con caratteristiche comuni.

Per giungere ad una conclusione, il rapporto tra le diverse espressioni della religione, solleva sicuramente molte questioni. Le difficoltà sorgono nel far interagire le diverse istanze di carattere epistemologico che ogni esperienza religiosa presenta, ma soprattutto il problema si pone nel rendere il termine “religione” un terreno di dialogo comune.

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SECONDA PARTE