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Uno degli avversari più forti del teismo, è stato sempre rappresentato dalla scienza. Parole come “fede” e “ragione”, “scienza” e “religione,” hanno avuto sempre molteplici modi di relazionarsi. Nel corso della storia del pensiero, come è facile intuire, possiamo riscontrare situazioni di conflitto tra scienza e religione, oppure di incontro, ma anche di disinteresse reciproco.

Molto spesso abbiamo assistito ad un vero e proprio scontro tra queste due sponde, dove ognuna ha cercato di screditare l‟altra. La scienza ha sempre esibito i propri risultati come fondati su prove certe, mentre la religione veniva accusata di essere inconcludente e basare i suoi contenuti su delle sofisticherie. Al contempo, la religione poteva obiettare alla scienza la sua incapacità nel dare una spiegazione esaustiva dell‟insieme dei fatti, e che

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quindi si dovesse necessariamente far ricorso all‟autorità delle Scritture. Ancora la religione poteva contestare alla scienza il fatto che, molto spesso, le sue teorie si fondassero su argomenti di carattere metafisico e filosofico, e non su basi empiriche. Una prospettiva diversa, invece, ha escluso qualsiasi tipo di conflitto tra scienza e religione, vedendole come discipline interessate ad ambiti del tutto estranei tra loro, una tendenza che possiamo definire “isolazionista”. Scienza e religione offrono delle letture del reale diverse, che vertono su aspetti che non sono in comune. Il fatto che si riconoscano domini diversi ad entrambe, tuttavia, non è privo di difficoltà. Come prima cosa si può intendere questa divisione come il fatto che la scienza ha il compito di spiegare la dimensione fisica e materiale della realtà, mentre la religione quella immateriale e trascendente. Tuttavia chi sostiene questa impostazione, indipendentemente dal fatto che sia valida una visione scientifica o religiosa, deve riconoscere che la realtà è solo una. Oppure si potrebbe supporre che anche la religione è impegnata a dare una spiegazione dei fenomeni naturali, ma si spinge oltre i limiti della scienza. In altre parole alla religione non interessa di come certi fatti si verificano, ma del perché accadono, prospettando così un‟analisi più profonda rispetto a quella scientifica. Ma il punto che qui può essere sollevato, è capire come sia possibile stabilire un confine preciso tra una lettura in termini religiosi o scientifici della realtà, cosa che appare molto ardua. Per ultimo possiamo vedere questa separazione come il fatto che alla religione preme esclusivamente stabilire cosa sia giusto o no, tentando di dare un significato profondo alla vita delle persone. Ma così facendo il campo d‟azione del credente risulta alla fine molto limitato. Infatti tutti gli assunti della religione non potranno più riguardare dei fatti. Infine un‟ultima prospettiva che ha preso piede negli ultimi anni, è quella di intravedere una sorta di cooperazione tra scienza e religione. Così gli argomenti tradizionali della religione vengono ripensati alla luce degli ultimi risultati della scienza. Naturalmente c‟è chi potrebbe sostenere che la religione, operando in

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questo modo, usi esclusivamente quei dati che possono essere impiegati per un fine apologetico.

La contrapposizione più grande, tra scienza e religione, si gioca sul fatto che la prima si occupa del mondo naturale, mentre la seconda verte su questioni di carattere sovrannaturale. Ma detto questo resta da chiarire che cosa si intenda per “mondo naturale”. Si potrebbe rispondere che con l‟espressione “mondo naturale” si fa riferimento all‟ambito di indagine delle scienze naturali. Ma questa definizione non ci porta molto lontano. Prima di tutto nel mondo non esistono unicamente fatti di ordine naturale, basti pensare alle scienze sociali, alla politica o all‟economia che di certo non studiano fenomeni come quelli delle scienze naturali. Si aprono davanti a noi diverse strade per definire cosa dobbiamo intendere con fenomeni naturali: in una includere tutti quei fatti che sono riconducibili ontologicamente ad entità naturali, un‟altra quelli che sono spiegabili in termini di cause naturali, e infine quelli che lo sono per entrambe le cose. Chiarito questo sarà gioco facile intuire che ciò che definiamo come “sovrannaturale” non rientrerà nel domino di ciò che è naturale.

Il naturalismo rappresenta dunque quella prospettiva secondo la quale ogni fenomeno rientra nella realtà naturale, e dunque esclude la possibilità che esistano entità o cause di ordine sovrannaturale. Però anche qui non è facile arrivare ad una connotazione univoca di che cosa possiamo racchiudere sotto il concetto di “naturalismo”. Infatti il naturalismo può essere inteso in senso metodologico quando non si fa riferimento a fenomeni e cause sovrannaturali per spiegare quelli naturali. Ma il naturalismo può anche essere metafisico, volto ad escludere l‟esistenza di entità sovrannaturali. Infine il naturalismo di tipo epistemologico possiamo chiamarlo anche “scientismo”, poiché chi sostiene questa posizione ritiene che ogni forma di conoscenza debba essere ricondotta a quella scientifica. Comunque, al di là di queste diversificazioni, il naturalismo esclude la possibilità di una visione religiosa della realtà, dal momento che pone tutti i fenomeni all'interno del mondo fisico, sia ontologicamente che causalmente. Il teismo presuppone,

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invece, che esista un Dio creatore dell‟intero universo, che agisca sul mondo, in modo indiretto, ossia attraverso le leggi fisiche, o diretto, cioè facendo capitare quei fatti che classifichiamo come miracoli. Il deismo sembra essere più vicino alla scienza poiché implica una divinità come principio razionale del mondo, ma senza che agisca sulla realtà. Possiamo già qui anticipare come l‟ultimismo di Schellenberg sia ancor più compatibile con una lettura in chiave scientifica della realtà, benché sia comunque avverso al naturalismo.

L‟equilibrio tra scienza e religione si gioca soprattutto sul modo in cui si intende l‟azione della divinità sul mondo. Abbiamo parlato di azioni indirette e dirette. Se si accettasse la prima ipotesi, si vedrebbe nella regolarità delle leggi fisiche l‟impronta iniziale di una mente ordinatrice. L‟altra scelta invece ci porta ad una visione abbastanza tipica all‟interno delle tre grandi religione monoteiste, ossia all‟idea che Dio in risposta alle preghiere dei credenti faccia succedere fatti che violano le leggi fisiche, e questo si scontra in modo evidente con la scienza. Non dobbiamo tuttavia farci ingannare dal fatto che, chi accetta la prospettiva di un‟azione indiretta di Dio sul mondo, compia una scelta neutrale e priva di conseguenze. Infatti nel momento in cui si ricorre all‟azione, anche se indiretta, della divinità per spiegare il funzionamento dell‟intero universo, si afferma che solo spiegazioni di ordine naturali non sono sufficienti. Una visione che trova molto terreno all‟interno del teismo. Questo al fine di preservare l‟immagine di Dio come di un essere dotato di tutte le perfezioni. Infatti per un essere con queste caratteristiche, sembra molto più appropriato il fatto che un suo intervento avvenga attraverso quelle leggi che egli stesso ha posto all‟interno della creazione, senza violarle di continuo. L‟idea di un intervento divino, indiretto, sembra essere preferibile anche in relazione a certe attese da parte dell‟uomo. Le persone, nel riscontrare la regolarità di certi accadimenti, sono portate a credere in una uniformità che si ripresenterà anche in futuro. Se invece la divinità violasse costantemente questo ordine, verrebbe meno nei suo confronti la fiducia del credente, che

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vede Dio come massimo garante dell‟universo. Infine se pensiamo il mondo come un dono di Dio, allora possiamo ritenere che nel crearlo, Egli vi abbia posto dentro tutte le condizioni possibili affinché la vita e il corso della storia umana potessero svilupparsi autonomamente, senza continui aggiustamenti.

Nell‟esporre il rapporto tra religione e scienza, un problema che abbiamo già visto, è quello di offrire una precisa demarcazione tra i due ambiti. L‟azione della divinità, sia in termini indiretti che diretti, risulta di difficile conciliazione con una impostazione di tipo scientifica. Ma in che modo la scienza ha cercato nel corso della sua storia di differenziarsi non solo e in particolare dalla religione, ma anche da altri ambiti? Una prima risposta può essere cercata nel metodo. La scienza ha usato ed usa un metodo che la rende capace di arrivare a grandi risultati. Un metodo che però non può essere applicato al sovrannaturale, dal momento che non può essere studiato empiricamente, e non è possibile dunque fare tutta una serie di esperimenti di verifica. In questo frangente si ricorre al naturalismo metodologico per spiegare gli eventi naturali, escludendo qualsiasi spiegazione di altro tipo. La scienza si pone come fine quello di giungere a capire in che modo accadono veramente i fatti. Così si ricercano le vere cause, ed una spiegazione vera su ciò che ci circonda. Per il teista, allora, il naturalismo metodologico potrebbe rappresentare un ostacolo interno alla stessa scienza37. Infatti far ricorso all‟azione indiretta della divinità, come spiegazione ultima dell‟intero universo, potrebbe rappresentare la strada corretta da perseguire, cosa che non accade nel momento in cui ci si arresta al naturalismo. E come già detto precedentemente, questa è la posizione che molti filosofi, come Plantinga e Swinburne, difendono. Per costoro il ricorso ad una divinità come esplicazione ultima, rappresenta la migliore strada da percorrere, mentre il naturalismo è qualcosa di dannoso anche per la scienza stessa. Ma si potrebbe replicare a questa argomentazione

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Una posizione di questo tipo è stata sostenuta da Plantinga in un recente dibattito contro Dennett. Si veda nello specifico Dennett e Plantinga, Scienza e religione sono compatibili?, Edizioni ETS, Pisa, 2012

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sostenendo che la scienza rifiuta di appellarsi al sovrannaturale, sia in termini di entità che di cause, perché non può ricevere nessun tipo di giustificazione. La scienza ha l‟ambizione di produrre risultati veri, ma per farlo deve poterli anche giustificare, sulla base di evidenze, prove ed esperimenti. Il sovrannaturale dall‟altro canto non è in grado di poter esibire una giustificazione secondo i parametri della scienza. Molto spesso le credenze riguardanti il divino ricevono una spiegazione di tipo intersoggettivo. Questo spiega il motivo del perché i giudizi sul sovrannaturale non rientrano nel dominio della scienza. Dunque, per concludere la nostra disamina sul rapporto tra scienza e religione, possiamo vedere nel naturalismo un avversario contro qualsiasi pretesa di spiegare i fenomeni facendo ricorso a cause o entità sovrannaturali. Dall‟altra parte il difensore del teismo molto spesso considera il naturalismo, non un aiuto, ma un peso per la ricerca scientifica, poiché la distoglie dal perseguire la vera spiegazione delle cose, identificabile invece con l‟azione divina. Si potrebbe per ultimo trovare una soluzione di compromesso, arrivando ad un naturalismo metodologico che definiremmo “modesto”. Ossia ci si impegna a ricercare cause solo di ordine naturale, ma qualora la ricerca dovesse fallire, si farebbe ricorso a esplicazioni sovrannaturali. Ma questa è una soluzione poco gradita alle due parti. Alla scienza perché ricorderebbe come, nel corso della sua storia, per tutte le scoperte che ha ottenuto, si è basata unicamente su spiegazioni di ordine naturale, escludendo ogni richiamo a motivazioni di ordine sovrannaturale. Allo stesso tempo la religione si vedrebbe sempre relegata in secondo piano, una stampella e un ripiego per la scienza.