• Non ci sono risultati.

Il divertimento come fatto serio

Capitolo secondo: Il genere cavalleresco nella memoria calviniana

2.6 Il divertimento come fatto serio

È sempre in un rifiuto della visione diretta che sta la forza di Perseo, ma non in un rifiuto della realtà del mondo di mostri in cui gli è toccato di vivere, una realtà che egli porta con sé, che assume come proprio fardello.207

Con il mito di Perseo, Calvino apre la prima delle Lezioni americane sulla Leggerezza. Ora, questa stessa immagine mitologica mi sembra calzante anche per introdurre una riflessione sul significato dell’ironia nell’opera di Calvino, specialmente all’interno della trilogia araldica. Come Perseo l’autore non rifiuta il reale, emarginando la propria letteratura ad uno spazio di evasione, ma decide di relazionarsi con essa in modo indiretto, attraverso lo “scudo di bronzo” del distanziamento ironico, che riflette decostruendo i meccanismi del mondo circostante.

Quel che cerco nella trasfigurazione comica o ironica o grottesca o fumistica è la via d’uscire dalla limitatezza e univocità d’ogni rappresentazione e ogni giudizio. Una cosa si può dire almeno in due modi: un modo per cui chi la dice vuol dire quella cosa e solo quella; e un modo per cui chi la dice vuol dire sì quella cosa, ma nello stesso tempo ricordare che il mondo è molto più complicato e vasto e contraddittorio. L’ironia ariostesca, il comico shakespeariano, il picaresco cervantino, lo humor sterniano, la fumisteria di Lewis Carrol, di Edgar Lear, di Jarry, di Queneau valgono per me in quanto attraverso ad essi si raggiunge questa specie di distacco dal particolare, di senso della vastità del tutto.208

L’ironia calviniana punta, dunque, a combattere la rigidità di una visione unilaterale o semplicistica delle cose ed educa il lettore a mantenere un atteggiamento di scetticismo e riflessione, che permette di cogliere le varie sfaccettature del reale.

207 I. Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il nuovo millennio, in Saggi 1945- 1985, cit., p. 644.

208

I. Calvino, Definizioni di territorio: il comico da Una pietra sopra, in Saggi 1945- 1985, cit., p. 197- 198.

105

Questo atteggiamento è rintracciabile nella scelta di alcuni aspetti testuali, come ad esempio quello di affidare l’esposizione della storia a personaggi che mettono continuamente in dubbio la veridicità di quanto narrano, come Biagio nel Barone rampante:

Parecchi episodi di queste memorie della sua vita, sono riportati tal quali egli li narrava sotto le sollecitazioni del suo uditorio plebeo, e lo dico per farmi perdonare se non tutto ciò che scrivo sembra veritiero e conforme a un’armoniosa visione dell’umanità e dei fatti.209

Il meccanismo con cui Calvino decostruisce la narrazione univoca e rassicurante della realtà è presente già nel Furioso, con Ariosto che mette in dubbio l’attendibilità della storia, suggerendone il capovolgimento:

Omero e Agamennòn vittorïoso, e fe’ i Troian parer vili et inerti; e che Penelopea fida al suo sposo dai Prochi mille oltraggi avea sofferti. E se tu vuoi che’l ver non ti sia ascoso tutta al contrario l’istoria converti: che i Grecci rotti, e che Troia vittrice E che Penelopea fu meretrice.210

A tracciare i punti di contatto tra Ariosto e Calvino, per quanto concerne la rappresentazione del reale è Cesare Caes nel celebre saggio “Calvino e il «pathos della distanza»”. Secondo Caes se gli scrittori di romanzi partono dall’accettazione della disarmonia tra individuo e società, tra uomo e mondo, seppur come dato di fatto problematico, lo scrittore ligure invece si avvicina di più ad un poeta epico, che non ancora rassegnato continua ad aspirare ad una integrazione totale.

Se l’Ariosto riesce a superare le dissonanze del mondo guardandolo, come dice Croce, «con gli occhi di Dio», Calvino, più moderatamente e modestamente, ci riesce guardandolo con gli occhi di un arboricolo.211

209 I. Calvino, Il barone rampante, in Romanzi e racconti, cit., p. 675.

106

In entrambi questi punti di vista, l’elemento fondamentale e ricorrente è la distanza di una visione che dialoga con la realtà, ma che ne rimane distinta; così come Cosimo dagli alberi, che “sa che per essere con gli altri veramente, la sola via è d’essere separato dagli altri.”212

Per raggiungere questo obiettivo i mezzi usati sia da Ariosto che da Calvino, sono il rifiuto dell’emotività e dei toni patetici, l’intreccio elaborato e lo scetticismo contro ogni struttura ideologica e rappresentazione unilaterale. Per smorzare i toni più tragici e la tensione emotiva, Calvino fa ricorso proprio all’ironia, che svolge una funzione di filtro e di mediazione, per ottenere sempre sentimenti trattenuti. Si pensi, ad esempio, all’episodio del Barone rampante in cui si comprende che la generalessa è morta attraverso il gioco delle bolle di sapone:

Le bolle di sapone le arrivavano fin sul viso e lei col respiro le faceva scoppiare, e sorrideva. Una bolla giunse fino alle sue labbra e restò intatta. Ci chinammo su di lei. Cosimo lasciò cadere la ciotola. Era morta.213

Dunque possiamo concludere che l’ironia calviniana ha una componente riflessiva ed educativa, che porta il lettore a mantenere uno sguardo critico ed una padronanza emotiva sulla realtà. La letteratura di Calvino è una “sfida al labirinto”, che rifiuta le visioni semplicistiche che non fanno altro che confermare le nostre abitudini di rappresentazione del mondo; Calvino al contrario punta ad offrire, non solo una mappa particolareggiata del labirinto in cui viviamo, ma soprattutto un’immagine cosmica.214 Ecco che in questa direzione il modello ariostesco ritorna più contemporaneo che mai:

Ariosto così lontano dalla tragica profondità che un secolo dopo avrà Cervantes, ma con tanta tristezza pur nel suo continuo esercizio di levità ed

211 C. Caes, Patrie lettere, cit., p. 161- 162.

212 I. Calvino, Postfazione ai Nostri antenati (Nota 1960), in Romanzi e racconti, cit., p. 1214.

213 I. Calvino, Il barone rampante, in Romanzi e racconti, cit., p. 699- 700.

214

Si fa riferimento a I. Calvino, La sfida al labirinto da Una pietra sopra, in Saggi 1945, 1985, cit., p. 105- 123.

“Oggi cominciamo a richiedere dalla letteratura qualcosa di più d’una conoscenza dell’epoca o d’una mimesi degli aspetti esterni degli oggetti o di quelli interni dell’animo umano. Vogliamo dalla letteratura un’immagine cosmica […] cioè a livello dei piani di conoscenza che lo sviluppo storico ha messo in gioco”.

107

eleganza; Ariosto così abile a costruire ottave su ottave con il puntuale contrappunto ironico degli ultimi due versi rimati, tanto abile da dare talora il senso d’una ostinazione ossessiva in un lavoro folle; Ariosto così pieno d’amore per la vita, così realista, così umano…

È evasione il mio amore per l’Ariosto? No, egli ci insegna come l’intelligenza viva anche, e soprattutto, di fantasia, ironia, d’accuratezza formale, come nessuna di queste doti sia fine a se stessa ma come esse possano entrare a far parte d’una concezione del mondo, possano servire a meglio valutare virtù e vizi umani. Tutte lezioni attuali, necessarie oggi, nell’epoca dei cervelli elettronici e dei voli spaziali. È un’energia volta verso l’avvenire, ne sono sicuro, non verso il passato, quella che muove Orlando, Angelica, Ruggiero, Bradamante, Astolfo…215