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Il divieto di cui all'art 2444, terzo comma c.c

Nel documento Aumento di capitale nelle srl (pagine 85-112)

E veniamo infine ad uno dei punti più complessi della disciplina dell'aumento.

Il divieto di menzionare l'aumento del capitale negli atti della società fino a che non sia avvenuta l'iscrizione nel registro delle imprese dell'attestazione degli amministratori che l'aumento del capitale è stato eseguito. È evidente che il legislatore vuole evitare che la società tragga in inganno i terzi menzionando nei suoi atti un capitale solo deliberato, senza un corrispondente incremento patrimoniale (consistente quantomeno in crediti verso i sottoscrittori per i sette decimi non versati contestualmente alla sottoscrizione).

Pacifico quanto sopra, si tratta ora di vedere se tra i suoi atti rientri anche lo statuto. In altri termini, se la (eventuale) modifica dello statuto contestuale alla delibera di aumento vada contro il divieto di cui all'art. 2444, terzo comma c.c. Si ricorderà che, come si è riportato in precedenza, è stata dichiarata nulla, perché contraria a norme di ordine pubblico, quali quelle in materia di pubblicità degli atti societari, la contestuale deliberazione assembleare di modificazione dell'atto costitutivo (e/o statuto) (Tribunale di Cassino 18 maggio 1994, cit.).

A fronte della drastica posizione della giurisprudenza e della dottrina prevalente, parte minoritaria della dottrina è sembrata più possibilista. Si è sostenuto, ad esempio, che "... il legislatore... quando parla di atti delle società non si può sostenere che si riferisca anche allo statuto, che fa parte integrante e sostanziale dell'atto costitutivo, ma agli stessi atti di cui all'art. 2250 c.c. secondo comma ove è indubbio che non si riferisca all'atto costitutivo ergo per il combinato disposto dell'art. 2328, ultimo comma c.c. allo statuto". 27

Ancora, si è affermato che la categoria degli atti, cui fanno riferimento l'art. 2250 e l'art. 2444 c.c., non comprenderebbe anche l'atto costitutivo; essa si riferisce agli atti compiuti dalla società nell'esercizio della propria impresa e per mezzo dei quali tende a realizzare il proprio oggetto, ma non può comprendere l'atto costitutivo che è un elemento della struttura sociale o meglio l'elemento fondante della società e non un atto della società . 28

26

V. SALAFIA, Aumento del capitale, cit., p. 1386.

27

A. MARSALA, op. cit., p.34

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Si può aggiungere, da un punto di vista pratico, che il modello di pubblicità presso il registro delle imprese prevede nel campo "VARIAZIONI DEL CAPITALE SOCIALE" il capitale Deliberato, Sottoscritto e Versato. Con ciò probabilmente attenuandosi i rischi di pubblicità ingannevole a cui è particolarmente sensibile la giurisprudenza.

La garanzia per i terzi che l'aumento è stato effettivamente eseguito sta nella iscrizione dell'attestazione degli amministratori di cui all'art. 2444, primo comma c.c., che chiude il procedimento di aumento, non nella consultazione dello statuto . 29

Non sembrano convincenti le altre argomentazioni proposte dalla giurisprudenza.

Gli artt. 2328 e 2329 c.c., da cui si ricaverebbe la necessaria, costante corrispondenza nello statuto tra capitale ivi indicato (art. 2328, primo comma, n. 4) e capitale sottoscritto (art. 2329, primo comma, n. 1), si riferiscono esclusivamente alla fase costitutiva della società, in cui la preoccupazione del legislatore è soprattutto quella di garantire la serietà dell'intento costitutivo, richiedendo l'integrale sottoscrizione del capitale. Non sembra di rinvenire poi nell'art. 2439, secondo comma c.c. quella trasposizione del principio all'aumento di capitale, presunta dalla giurisprudenza, limitandosi tale disposizione a richiedere nella delibera il termine per la sottoscrizione del capitale ed a prevedere la scindibilità dell' aumento come eccezione alla regola generate contraria dell' inscindibilità. Gli argomenti tratti dall'art. 2436 c.c., per cui il deposito dello statuto non può che riguardare una modifica definitivamente avvenuta, e dall'art. 2444 c.c., per cui il divieto di menzionare il nuovo capitale negli atti della società comprenderebbe anche lo statuto, danno per dimostrato ciò che vorrebbero dimostrare, in ciò mostrandosi assolutamente inefficaci.

In conclusione, è sicuramente inopportuno, da un punto di vista pratico, procedere alla modifica dello statuto e al deposito presso il registro delle imprese contestualmente alla delibera di aumento di capitale, per i motivi sopra esposti, ma non si rinviene nella disciplina positiva un divieto espresso ne una contrarietà a norme di ordine pubblico, quali quelle in materia di pubblicità degli atti societari.

per il quale "... a evidente come non si possa menzionare nello statuto the a l"atto" sociale di base, un capitale solamente deliberato, a meno di precisare appunto che si tratta solo di cifra deliberata".

29viene sottolineata la importante valenza ricostruttiva dell'art. 2444 c.c., norma spesso

trascurata dalla dottrina. Infatti, al di la di un'evidente funzione informativa rispetto ai terzi, l'attestazione depositata dagli amministratori costituisce l'indice della positiva conclusione del procedimento

di aumento e del mutamento sostanziale della realtà giuridica (aumento del capitale) ed

economica (acquisizione delle nuove entità patrimoniali) (cfr. F. Chiappetta, op. cit., pp. 607 ss.).

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CAPITOLO SESTO

IL PROBLEMA DEL CONFERIMENTO MEDIANTE COMPENSAZIONE

6. Analisi della teoria negatrice alla luce della sentenza del Tribunale di Napoli dell'8 novembre 2006.

Intimamente connesso al conferimento di crediti è il problema dell'utilizzo dello strumento della compensazione tra il debito del socio scaturente dalla sottoscrizione dell’aumento ed il credito dallo stesso vantato nei confronti della società ad altro titolo.

Il tema del se sia ammissibile nell'ambito delle società di capitali e nella specie in sede di aumento del capitale sociale, un conferimento attuato mediante l'utilizzazione di un credito vantato dal conferente nei confronti della società, ha dato luogo a notevoli incertezze in dottrina ed in giurisprudenza.

E' possibile per il socio in sede di aumento conferire, facendo così operare la compensazione, un suo credito liquido ed esigibile proveniente da un precedente e distinto rapporto con la società?

E' pacifico30 che una siffatta affermazione non può valere in sede di costituzione della società, soprattutto con riferimento ai versamenti iniziali, pena la violazione dell'articolo 1246, n. 5 c.c.; si esclude, dunque, l'operatività di tale meccanismo in quanto, in sede di stipula dell'atto costitutivo, e dunque antecedentemente all'iscrizione presso il registro delle imprese, la società non è ancora venuta ad esistenza 31.

Circa la possibilità di utilizzare tale strumento in fase di aumento, invece, in dottrina ed in giurisprudenza sono rinvenibili degli orientamenti diametralmente opposti.

In relazione all'istituto de quo, risulta un tendenziale atteggiamento di disfavore da parte della dottrina (Simonetto, Auletta, Ferri) e della

30

M. Marchetti, “Commentario alla Riforma delle società”, art. 2464, p. 125 e ss.

31

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giurisprudenza (Cass. 10/12/1992 n. 13095) sulla possibilità di compensare, sia volontariamente che legalmente, il debito da conferimento del socio verso la società con un credito vantato verso la società medesima. La teoria negatrice appena descritta, trae le sue convinzioni da tre distinte argomentazioni:

1) la compensabilità non sarebbe ammessa in quanto lederebbe il principio imposto alle società di capitali della piena corrispondenza tra il capitale nominale e quello reale;

2) il rapporto sociale che si verrebbe a creare si porrebbe su di un piano diverso rispetto al rapporto obbligatorio, nel quale il soggetto non interviene in quanto socio, bensì in quanto terzo creditore;

3) attraverso la compensazione il socio non porrebbe in essere un'operazione volta ad essere qualificata come conferimento, nel senso di operazione capace d'incrementare positivamente la garanzia dei creditori, ma si limiterebbe solo a liberare la società da una posta passiva del patrimonio.

Portavoce di tale atteggiamento volto a rinnegare l'operatività della compensazione è la sentenza emessa dal Tribunale di Napoli, sez. VII, in data 8 novembre 2006.

Il Tribunale di Napoli ritiene non ammissibile, in sede di aumento del capitale sociale, il ricorso allo strumento della compensazione in quanto, a suo dire, esso, riguardando finanziamenti c.d. postergati, inciderebbe invalidamente sui diritti dei terzi creditori, il cui soddisfacimento è prioritario rispetto ai soci, per espressa indicazione contenuta nel n. 19-bis dell'articolo 2427, comma 1, c.c.

Invero, la questione proposta dinanzi al Tribunale di Napoli verteva su una consueta operazione sul capitale per perdite attuata mediante azzeramento e ricostituzione di questo.

A seguito della mancata sottoscrizione dell'aumento di capitale da parte di un socio, cui conseguiva la sua estromissione dalla compagine sociale, egli impugnava la delibera lamentando, tra l'altro, l'invalidità della modalità di sottoscrizione.

Gli altri soci avevano liberato l'aumento mediante compensazione dei “presunti” crediti da essi vantati nei confronti della società a titolo di finanziamento, in violazione dell'articolo 2427, comma 1, n. 19-bis c.c., che considera i finanziamenti dei soci postergati rispetto agli altri creditori. Il Tribunale, accoglie la domanda di parte attrice, statuendo “posto che la compensazione del debito verso dei soci verso la società, per la sottoscrizione del capitale, con il loro credito per i finanziamenti effettuati, coinvolge direttamente interessi dei terzi creditori e non dei singoli soci, la deliberazione con cui si è consentito ai soci sottoscrittori dell'aumento di capitale di compensare, seppur parzialmente, il capitale sottoscritto con i

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presunti crediti da essi vantati nei confronti della società a titolo di finanziamenti, è nulla per lesione dei diritti dei terzi creditori”.

Da tale sentenza possiamo prendere spunto per condurre delle osservazioni in merito alle partecipazioni sociali.

Ebbene, nelle società di capitali, attraverso la partecipazione sociale il socio viene messo in condizione di destinare le sue risorse patrimoniali a favore di un progetto imprenditoriale senza assumere direttamente il rischio d'impresa.

Ciò spiega perché tra le condizioni per la valida costituzione della società e la sua iscrizione presso il Registro delle Imprese competente, il legislatore impone la dotazione di un capitale sociale minimo.

Da tali osservazioni s'introduce il concetto di “sottocapitalizzazione” sociale; concetto questo che ha indotto il legislatore a disciplinare taluni riflessi attraverso il disposto di cui all'articolo 2467 c.c.

Quando la società svolge la propria attività tramite risorse finanziarie imputabili ai soci non come apporti vincolati a capitale di rischio, bensì come prestiti alla società, si assiste a quel fenomeno che in dottrina (L. De Angelis – C. Feriozzi) viene identificato come “sottocapitalizzazione nominale”.

I soci, quindi, qualora vogliano apportare in società proprie risorse finanziarie non vincolandole a capitale, lo fanno sotto la veste giuridica di finanziamenti.

I soci finanziatori, quindi, agendo in tal modo potranno riunire in se sia la posizione di soci, sia quella di creditori della società, avendo la possibilità di scegliere quale delle due condizioni privilegiare a seconda del successo o meno dell'attività sociale 32.

Con il disposto dell'articolo 2467 c.c., come novellato, il legislatore ha voluto dettare una disciplina compiuta delle sorti dei finanziamenti dei soci in società in quanto il fenomeno della sottocapitalizzazione nominale, se da un lato può fungere da mezzo per mantenere in vita con iniezioni finanziarie le piccole e medie imprese, dall'altro può risultare scomodo per un sistema qual è quello delle società di capitali, basato sulla centralità del capitale di rischio 33.

Il legislatore ha, così, disciplinato la materia tenendo presente il problema d'individuare dei criteri atti a distinguere tale forma di apporto rispetto ai rapporti finanziari tra soci e società che non meritano di essere distinti da quelli con un qualsiasi terzo.

32

G.E. Colombo e G.B. Portale, “I versamenti dei soci alla società in Trattato delle società per azioni”, Torino 2004, p.754 e ss.

33

G.A.M. Trimarchi, “L'aumento del capitale sociale”, inNotariato e nuovo diritto societario, collana diretta da G.Laurini, Milano 2007, p. 6 e ss.

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La soluzione indicata all'articolo 2467, 2° comma c.c., è stata proprio quella di un approccio tipologico, evitando, in tal modo, che la sottocapitalizzazione possa causare sempre e comunque la “qualificazione forzata” dei prestiti di capitale di rischio senza la possibilità per il socio investitore di valutare il rischio economico assunto in ragione della sua partecipazione al capitale.

Affinché il credito derivante da un finanziamento soci sia postergato nel rimborso a quello di creditori terzi, devono ricorrere due precise condizioni:

1) eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto, calcolato con riferimento al limite quantitativo di emissione di prestito obbligazionario di cui all'articolo 2412 c.c.;

2) presenza di una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.

In assenza delle specifiche condizioni sopra descritte, non troverà, dunque, applicazione l'articolo 2467 c.c. 34.

Bisogna ritornare alla sentenza del Tribunale di Napoli, per riflettere sulla fondatezza della motivazione nella parte in cui si sancisce che “la deliberazione con cui si è consentito ai soci sottoscrittori dell'aumento di capitale di compensare, seppur parzialmente, il capitale sottoscritto con i presunti crediti da essi vantati nei confronti della società a titolo di finanziamenti, è nulla per lesione dei diritti dei terzi creditori”.

Ebbene, i finanziamenti erogati dal socio sono stati considerati ricadenti nella fattispecie di cui all'articolo 2467 c.c., senza alcuna indicazione né del parametro interpretativo, né del requisito temporale necessari per ritenerli tali 35.

La questione su cui interrogarci per analizzare la fondatezza di quanto disposto dalla sentenza di cui ci stiamo occupando è se attraverso l'istituto della compensazione possano essere danneggiati i creditori.

Mediante la compensazione tra un credito del socio verso la società con il suo debito da sottoscrizione, con conseguente riduzione dell'indebitamento della società ed appostamento della relativa posta attiva a capitale sociale, i soci sottoscrittori l'aumento possono considerarsi soddisfatti con priorità rispetto ai creditori terzi?

Se affrontassimo il problema in maniera semplicistica, aderiremmo alla tesi di cui si è fatto portavoce il Tribunale di Napoli; se, invece, partiamo dalla considerazione che il socio sottoscrittore, in quanto contraente il debito da

34

A. Postiglione, “La nuova disciplina dei finanziamenti dei soci di s.r.l.”, in Le società, 2007, p. 936 e ss.

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sottoscrizione, sarebbe comunque obbligato al versamento del relativo importo, giungiamo ad una diversa soluzione.

Ebbene, il socio finanziatore è in ogni caso tenuto all'adempimento del debito da sottoscrizione a prescindere dalla circostanza di essere titolare di un credito da finanziamento che continuerebbe a permanere in stato di postergazione rispetto ai creditori non soci.

Conseguenza per la società e per i creditori non soci sarebbe, quindi, un'iniezione di risorse patrimoniali vincolate a capitale senza che il finanziamento possa in qualche modo sterilizzare l'apporto patrimoniale che dovrebbe pervenire da un aumento di capitale sociale.

Aderendo ad una tale ricostruzione è difficile coordinare il disposto di cui all'articolo 2467 c.c. con la considerazione che attraverso la compensazione i soci altro non fanno che impiegare determinate somme di cui si aspettano la restituzione vincolandole a capitale.

Si potrebbe pensare che attraverso tale meccanismo il socio possa arricchirsi di una partecipazione al capitale rispetto ai creditori non soci; ma se ciò corrispondesse a verità dovremmo mettere in dubbio la liceità di operazioni in cui le riserve imputate a capitale siano originate da rinunce dei soci alla restituzione di finanziamenti 36.

Ci si domanda se anche in questo caso vedendo i soci aumentata solo nominalmente la propria partecipazione, debbano comunque considerarsi preferiti rispetto ai creditori.

Se la preoccupazione del Tribunale è rappresentata dal fatto che attraverso l'utilizzazione dello strumento della compensazione i soci possano soddisfarsi rispetto ai creditori terzi, se ne dedurrebbe che in ipotesi d'indebitamento della società in misura rilevante ai sensi di legge, anche la rinuncia sic et simpliciter alla restituzione del finanziamento, con eventuale conseguente ritorno in bonis della società, potrebbe in qualche modo favorire i soci che al contrario, in caso di messa in liquidazione, vedrebbero comunque il rimborso dei loro finanziamenti postergato rispetto ai creditori37.

Al contrario, la ratio dell'articolo 2467 c.c. può essere letta parallelamente al disposto di cui all'articolo 2445 c.c.

In entrambi i casi, difatti, il legislatore si preoccupa di evitare che la società possa distrarre risorse patrimoniali a danno dei terzi, nell'un caso attraverso una restituzione ai soci dei loro crediti in danno ai creditori e nell'altro caso

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V. Salafia, “Remissione dei debiti sociali e perdita del capitale”, in Le società, 1999, p. 32 e ss.M. Cera, “Il passaggio di riserve a capitale, Milano, 1988,p. 148 e ss.

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attraverso l'eliminazione del vincolo a capitale di talune risorse patrimoniali.

A tal riguardo è il caso di ricordare come la Suprema Corte, con la sentenza n. 936 del 1996, abbia evidenziato che “dal punto di vista economico è un conferimento effettivo che aumenta la consistenza del capitale di rischio”. E' anche attraverso la compensazione che le somme erogate a titolo di finanziamento vengono vincolate a capitale in maniera stabile e definitiva; ed è questo lo scopo che sembra aver voluto conseguire il legislatore della riforma con l'articolo 2467 c.c. 38.

6.1 Analisi della teoria dell'ammissibilità della compensazione

Ad esito di un tormentato percorso dottrinario e giurisprudenziale, l'istituto della compensazione viene oramai ammesso, prevalendo in dottrina (Cenni, Minervini, Graziani, Angelici, Salaria, Atlanta, Rampolla, Martorano, Visentini) ed in giurisprudenza (Cass. 5/2/1996 n. 936) un atteggiamento favorevole al suo utilizzo, quantomeno nella fase di sottoscrizione di aumento a pagamento del capitale sociale.

Tale tesi dell'ammissibilità si basa sulle ragioni qui di seguito riportate: 1) la compensazione deve intendersi come un conferimento indiretto di crediti e ciò non è in contrasto con i principi inderogabili posti in materia societaria;

2) non si arreca alcun pregiudizio a terzi;

3) non comportando lesioni dell'integrità e dell'effettività del capitale sociale, non si pregiudicano neanche gli interessi sociali; anzi, la società, attraverso tale operazione, trae il vantaggio di ridurre la sua esposizione debitoria.

E', quindi, irragionevole pensare che ci si trovi dinanzi ad uno svuotamento del capitale in quanto la compensazione non opera sul capitale, bensì sul patrimonio eliminando una posta passiva (debito nei confronti del socio) ed una posta attiva (credito per il conferimento).

Sulla quaestio dell'ammissibilità della compensazione tra credito del socio derivante dalla sottoscrizione di una quota del capitale sociale e debito della società nei confronti del socio medesimo, l’intervenuta pronuncia della Corte di Cassazione nel 1992 39 la quale, in linea con l'insegnamento della prevalente dottrina, ne ha riconosciuto l'assoluta illegittimità.

Nel 1996, però, la Cassazione ha mutato la posizione originariamente assunta, pervenendo ad una conclusione diametralmente opposta a quella assunta nel 1992, volta all'ammissibilità della compensazione.

38

Tribunale di Milano, 25 ottobre 2005, con nota di G. Spaltro, “Vecchie e nuove problematiche in materia di finanziamenti dei soci”, in Le società, 2006, p. 1268 e ss.

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Veniamo, allora, all'analisi della sentenza della Corte di Cassazione, sez. I, del 5 febbraio 1996 n. 936 secondo la quale “Il credito del socio di una società di capitali nei confronti della società è compensabile con il debito relativo alla sottoscrizione di azioni emesse in sede di aumento del capitale sociale, non essendo ravvisabile un divieto implicito, desumibile da principi inderogabili del diritto di societario, che impedisca in tal casol'operatività della compensazione ex art. 1246 n. 5 c.c. Mentre la compensazione tra debito di conferimento e credito verso la società non può avvenire in relazione al capitale originario – né per il versamento dei decimi prescritti dall'art. 2329 c.c., perché la società ancora non esiste, nè per i versamenti successivi, perché i conferimenti iniziali possono essere costituiti solo da beni idonei a formare oggetto di garanzia patrimoniale - l'aumento di capitale sottoscritto attraverso l'estinzione per compensazione di un debito del socio non è contrario all'interesse della società o dei terzi, comportando, in concreto, un aumento della garanzia patrimoniale generica offerta dalla società ai creditori, in quanto dalla trasformazione del credito (certo, liquido ed esigibile) del socio in capitale di rischio deriva che detta garanzia non copre più il credito del socio”.

Nella sentenza in esame, oggetto di contestazione era la validità di una deliberazione assembleare adottata senza la partecipazione di un soggetto il quale, a parziale liberazione della quota di capitale sociale da lui precedentemente sottoscritta in sede di aumento del medesimo, aveva invocato la compensazione legale del proprio debito da conferimento con un credito di cui era titolare nei confronti della società.

Pregiudiziale alle sorti della delibera era, appunto, la questione dell'ammissibilità della compensazione.

Difatti, solo in quanto ritenuta ammissibile, il terzo sottoscrittore avrebbe potuto arrogarsi la qualifica di socio e, di conseguenza, pretendere di esercitare i diritti riconducibili a tale status.

Pur negata, in relazione alla fattispecie concreta al suo esame, l'operatività della compensazione legale per mancanza del requisito dell'esigibilità del credito vantato dal socio, la Cassazione ne ha riconosciuta l'astratta

Nel documento Aumento di capitale nelle srl (pagine 85-112)

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