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Divieto di licenziamento, dimissioni e diritto al rientro

2.5. La normativa nazionale

3.1.4. Divieto di licenziamento, dimissioni e diritto al rientro

A tutela delle lavoratrici e dei lavoratori il T.U. prevede il divieto assoluto di licenziamento, nonché di sospensione dal lavoro e di collocamento in mobilità, dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine del periodo di congedo obbligatorio, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino (286). Per la determinazione del momento in cui decorre tale periodo, si presume che il concepimento sia avvenuto 300 giorni prima della data del parto indicata nel certificato medico (287). È altresì vietato il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore. L’art. 54 T.U. elenca una serie di casi -tassativi- che consentono di licenziare la lavoratrice durante il periodo di gravidanza. Il divieto di licenziamento non si applica nel caso di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro (288); cessazione dell’attività dell’azienda cui è addetta; ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine; esito negativo della prova (289). In caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto il divieto di licenziamento, la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e

(286) Vedi Corte di Cassazione n. 17606/2007 che ha stabilito: “In tema di risarcimento

del danno in favore della lavoratrice illegittimamente licenziata nel periodo di tutela delle lavoratrici madri, sono denunciabili dal danno, che si commisura alle retribuzioni non percepite, le somme costituenti (aliunde perceptum) da parte della lavoratrice; a tal fine, può tenersi conto anche d’ ufficio dei fatti che valgono a ridurre il risarcimento”. In questo senso si veda Cassazione n. 9850/2002, Cassazione n. 317/2002, Cassazione n. 842/2002, Cassazione n. 19286/2008, Cassazione n. 12352/2003.

(287) G. FALASCA, Manuale di diritto del lavoro. Costituzione, svolgimento e risoluzione

del rapporto di lavoro, op. cit., p. 251. (288) Ex art. 2119 c.c.

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contrattuali per il caso di licenziamento (290). La lavoratrice e il lavoratore che si dimettono nel predetto periodo non sono tenuti al preavviso (291).

Le dimissioni e le risoluzioni consensuali presentate durante la gravidanza ed entro i primi 3 anni di vita del bambino devono essere convalidate dai servizi ispettivi del lavoro. L’obbligo di convalida è previsto per le dimissioni e le risoluzioni consensuali del rapporto presentate durante la gravidanza ed entro i primi 3 anni di vita del bambino o anche di accoglienza del minore adottato o in affidamento. Sia i lavoratori privati che i pubblici dipendenti, durante il periodo di congedo obbligatorio di maternità, di paternità e degli altri congedi e permessi previsti dallo stesso Testo Unico maternità, hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro e al rientro in azienda devono essere adibite/i alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti.

La giurisprudenza – principalmente quella costituzionale, ma comunque non va trascurato l’apporto, in taluni casi importante, della giurisprudenza di merito – ha giocato un ruolo molto significativo, nella direzione di aprire nuovi varchi alla tutela della donna-madre lavoratrice.

Si possono individuare due grossi blocchi di pronunce della Corte costituzionale, che convergono in questo senso, specialmente a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta e che dimostrano il carattere incrementale della giurisprudenza.

(290) Sul punto vedi decisione della Corte Costituzionale, 14 dicembre, 2001, n. 405,

Vedi nota di L. LENTI su I profili di illegittimità della disciplina legislativa di tutela della maternità, in Guida al lavoro, 2002, n. 2, p. 10, che ha dichiarato l’illegittimità della disposizione della l. n. 1204 del 1971 e, di conseguenza, del Testo Unico, per la parte in cui escludeva la corresponsione dell’indennità in caso di licenziamento per giusta causa. Cfr. PERA, Responsabilità del datore di lavoro per illegittimo licenziamento della lavoratrice gestante, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 1970, p. 813; R. DEL PUNTA, La sospensione del rapporto di lavoro, op. cit., pp. 640 ss. e 699.

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Vanno considerate, anzitutto, le pronunce che hanno mirato a potenziare le protezioni antidiscriminatorie della donna-lavoratrice, nella sua condizione di sposa o madre, nonché quelle tese a tutelare la salute della lavoratrice gestante e del bambino. Questa giurisprudenza insiste su un’area normativa ben delineata, segnata dalle leggi n. 860/1950, n. 7/1963 e n. 1204/71, come modificate, nel 2000, dal d.lgs. n. 53, e poi, nel 2001, dal d.lgs. n. 151. Si tratta di interventi volti a precisare, se non addirittura, in taluni casi, a correggere, aspetti della disciplina di protezione, in un’ottica tradizionale, di incremento quantitativo delle tutele per la donna. Rientra in quest’area, ad esempio, la pronuncia della Consulta che riconosce il diritto della lavoratrice all’indennità di maternità anche in caso di licenziamento per giusta causa, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, primo comma, della l. n. 1204/1971 (292) : la Corte rimarca come “il

fondamento della protezione sia sempre più spesso e sempre più nitidamente ricondotto alla maternità in quanto tale e non più, come in passato solo in quanto collegata allo svolgimento di un’attività lavorativa subordinata” (293). La Consulta motiva la sua decisione operando un delicato contemperamento tra gli interessi in gioco, guidato dal principio di ragionevolezza. Essa mette a raffronto le due situazioni in contrasto: da un lato, la sanzione derivante dal licenziamento supportato da giusta causa, che consente quindi di dare adeguata considerazione all’interesse organizzativo datoriale a chiudere l’esperienza lavorativa; dall’altro, la negazione di qualunque trattamento di maternità in capo alla lavoratrice. La Corte ribadisce quindi un equilibrio tra gli interessi più rispettoso del valore della maternità in sé, anche sganciata da un’ipotesi di rapporto di lavoro. Questa impostazione giurisprudenziale risulta coerente con alcune

(292) Vedi sentenza Corte Costituzionale dell’11- 24 marzo 1988, n. 332.

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ipotesi esplicitamente previste dal legislatore: si pensi, in modo particolare, all’istituto dei congedi parentali, così come ridisegnato dalla l. n. 53/2000 (294).